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Autore: Slyth    17/07/2012    4 recensioni
«Ho detto bella maglia»
Indicò la mia maglia stile hippy troppo colorata, troppo appariscente, troppo stramba, troppo...troppo.
In fondo ero così anche io, come una maglia hippy. Nessuno mi avrebbe mai indossata, perchè nessuno era abbastanza coraggioso da farsi vedere in giro con me.
«Ti... ti piace?»
La curiosità prevalse sul buonsenso. 'Come ti chiami?', 'piacere', 'io sono Lucia', chi se ne frega.
«Molto. Adoro tutti quei...colori»
Sorrise di nuovo, e d'improvviso pensai che anche lui fosse un colore. Ma non il bianco, né il nero: quelli si accostano a tutto.
Un colore come il verde, che nessuno indossa mai, perché non si abbina praticamente a nulla, se non a un'altra tonalità di verde.
Riflettei, il mio cervello vorticò per qualche istante.
Il mio guardaroba era stracolmo di vestiti verdi.
E allora gli sorrisi anche io.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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a -When we were beautiful-

Non ero mai stata davvero capita.
Giunsi alla conclusione che l'origine dei miei problemi fosse proprio quella.
Incontravo persone, spesso anche dell'altro sesso, parlavamo, ci cofrontavamo, ci salutavamo e il giorno dopo non avevo più il desidero di vederle ancora.
''Vedrai che quello giusto capiterà''.
Ma io non volevo che capitasse. Io volevo che capisse.
Avevo bisogno di essere afferrata per le spalle sentendomi dire 'so che non stai bene, non fingere con me -perché io so vedere nella tua anima-'.
Avevo, nel petto, una risata da liberare, ma nessuno sapeva come farlo. Sorrisi striminziti, ecco cosa regalavo alle persone, un 'scusa, ma non so fare di meglio, non è colpa tua'.
Mi convinsi di essere nata storta, mi lasciai andare tra le braccia della rassegnazione.
Decisi che dovevo essere capitata nell'era sbagliata, o perlomeno, nel posto a me meno consono.
Non riuscivo ad ancorarmi a qualcuno, ad agganciare un'anima simile alla mia, un altro disperso in questa vita così inadatta. Avremmo affrontato il viaggio insieme: tra incompresi ci si comprende a meraviglia.

***

Era uno qualunque, non mentirò.
Non parlerò di 'colpo di fulmine', non dirò 'io l'ho sempre saputo che era lui quello giusto'.
A dire il vero, non sapevo proprio un cazzo. Non ricordo nemmeno quand'è capitato. Un giorno ignoto, di un mese sconosciuto di una vita spenta (poi avrei detto 'pensandoci bene, dovevo essere uscita per fare due passi su un altro pianeta').
Non credo nel destino. Credo nel caso, nelle 'botte di culo', per capirci.
Insomma.
Non penso che fossimo destinati ad incontrarci. Penso che sia successo, e che per una volta in diciassette anni la fortuna abbia girato dalla mia parte.
Ho svoltato l'angolo giusto della via giusta nel momento giusto.
Avrei potuto soffermarmi un attimo di più davanti alla vetrina del negozio di cappelli, e nulla sarebbe cambiato.
E invece.
''Bella maglia''
Continuai a camminare, sospesa con la mente in un qualche universo parallelo, in una qualche epoca ormai decaduta.
 Non ricordo chi stessi fingendo di essere, quella mattina. Forse una principessa greca, forse un condottiero romano. E' una cosa che faccio spesso, catapultarmi indietro nel tempo, immaginarmi diversa da quella che sono.
''Mi scusi''
Quella voce era così reale. Troppo reale per essere frutto della mia fantasia. E poi, qualcosa mi stava sfiorando il braccio.
Lo vidi, semplicemente. Né bello né brutto, né alto né basso, nè magro né grasso.
Non era niente di speciale, proprio come me.
''Prego?''
Sorrise.
Carino, bella dentatura. Forse solo un dente scheggiato. Lì finiva.
''Ho detto bella maglia''
Indicò la mia maglia stile hippy troppo colorata, troppo appariscente, troppo stramba, troppo...troppo.
In fondo ero così anche io, come una maglia hippy. Nessuno mi avrebbe mai indossata, perchè nessuno era abbastanza coraggioso da farsi vedere in giro con me.
''Ti... ti piace?''
La curiosità prevalse sul buonsenso. 'Come ti chiami?', 'piacere', 'io sono Lucia', chi se ne frega.
''Molto. Adoro tutti quei...colori''.
Sorrise di nuovo, e d'improvviso pensai che anche lui fosse un colore. Ma non il bianco, né il  nero: quelli si accostano a tutto.
Un colore come il verde, che nessuno indossa mai, perché non si abbina praticamente a nulla, se non a un'altra tonalità di verde.
Riflettei, il mio cervello vorticò per qualche istante.
Il mio guardaroba era stracolmo di vestiti verdi.
E allora gli sorrisi anche io.

***

Stavamo seduti sugli scaloni del Duomo, la città era quasi deserta, il caldo costringeva tutti a casa, la faccia piazzata davanti all'aria artificiale dei ventilatori, le finestre sprangate.
A noi invece piaceva.
Amavamo l'afa che ci penetrava i vestiti e ce li appiccicava addosso come una seconda pelle; amavamo il sole cocente, amavamo toccarci la testa e sentircela bollente, amavamo le giornate d'estate, quando la sera non arrivava mai, e sembrava che tutto potesse durare per sempre.
Potrei dire che era bello, seduto a gambe incrociate, gli occhiali da sole scuri, la t-shirt sbiadita di un vecchio manga giapponese.
Ma il punto è che non era bello. Era solo un ragazzo di diciannove anni con un dente scheggiato e i capelli bisognosi di un taglio.
Se ne stava lì, mi teneva la mano; 'io so leggere il futuro', mi diceva, 'non essere cretino', dicevo io, e lui sorrideva, il volto più magro dal giorno del nostro primo incontro.
Mi piaceva sentirlo parlare, sembrava che mi parlasse in modo diverso da tutto il resto del mondo, come se tutto ciò che mi dicesse fosse stato un dono, anche le cose più banali.
''Lucia''
Aveva portato una mano al colletto della mia camicetta colorata, potevo vedere i suoi occhi scuri assottigliarsi per lo sforzo di trovare le parole giuste.
''Hm''
''Cosa facevi prima di conoscermi?''
Riusciva a farmi mancare il respiro, a mirare con precisone per andare a colpire la crepa nella mia corazza e aprirla, lentamente, come un guscio. Non aveva fretta, sapeva che avrebbe vinto, alla fine. Poteva girare intorno ad un argomento per ore, lui, le sue mani troppo grandi, i suoi vestiti troppo stretti, e quella sua calma snervante, che contrastava così tanto con me, e la mia smania, la mia frenesia, il mio 'tutto e subito'.
''Vivevo, Diego''
Risposte ovvie.
Non si sarebbe accontentato.
Non era lì per accontentarsi. E io non avrei lasciato che si accontentasse.
Solo che non avrei ceduto subito, tutto qua.
''Vivi anche adesso''
''A quanto pare''
Voleva essere diverso. No, voleva che lo facessi sentire diverso da tutti gli altri.
Un bambino in cerca di attenzioni, un moccioso che torna da scuola con un disegno per sua madre e desidera essere adulato fino alla nausea.
'Sono qui per te. Dimmi quanto significo per te, ho bisogno di saperlo'.
Sapeva benissimo che per me non c'era nessun altro al mondo come lui. Sapeva benissimo che non c'era nessun altro, punto.
Diego era arrivato, da chissà quale posto lontano e senza nome, un diciannovenne con il volto da ragazzino, la risata di un uomo e l'anima di un immortale.
Un imperfetto, un diamante allo stato grezzo, o una pietra di fiume, trasportata dalla corrente fino a me.
Io, un'imperfetta. Lui, un imperfetto.
Noi, che trovavamo la perfezione in una canzone dei Rolling Stones, una tragedia di Shakespeare, o in un pranzo mangiato direttamente dalla padella, seduti sul tavolo della cucina di casa mia.
Dovevo dargli un motivo per restare.
Temevo che se glielo avessi dato, poi se ne sarebbe andato.
Perché in fondo non esistevano motivazioni vere e proprie.
Stai con me perché se ci sei tu il mondo gira e per la prima volta io sembro rimanere salda sui miei piedi.
Stai con me perché da quando ci sei non ho più quella risata nel petto da liberare, come un macigno, ma le mie risate riempiono ancora l'aria, vagano per il mondo.
Resta, Diego, perché se resti resterò anche io, resterò in vita.
Ho alzato lo sguardo su un balcone poco distante, ho accennato un sorriso.
Mi ha seguito con la testa, gli ho indicato una girandola, immobile all'assenza di vento.
''La vedi quella girandola?''
Ha annuito.
''Quando non c'eri, ero una girandola in mezzo alla cappa di afa del deserto: inutile. Una stupida, colorata girandola, persa in un luogo senza vento. Tu sei il vento, Diego. Sei una tempesta del deserto. Sei il vento, il vento che ha fatto muovere la girandola''
Mi ha fissata in tralice.
Sapeva che non avevo finito.
''Ma...?''
Ho sospirato, continuando a fissare la girandola.
''Ma siamo sempre nel deserto, e le tempeste di vento sono brevi... e rare''
Mi ha stretta di più a sé, soffiandomi piano nell'orecchio, facendomi il solletico.
''Questo vento soffierà lo stesso per te''.

***

Coppia anormale.
Si può dire, coppia anormale?
Beh, è quello che eravamo, dopotutto.
Ci vedevi in giro mano nella mano, il rocker e l'hippy, il freddo -io- e il caldo -lui-.
Eppure eravamo così simili. Un'accoppiata vincente. Non 'La Bella e la Bestia', solo due bestie; non 'il Diavolo e l'Acqua Santa', soltanto due diavoli.
Un giorno Diego mi disse che la gente come noi due è sulla Terra per raccogliere sassi.
''Raccogliere sassi?''
Lo avevo guardato storto, giocherellando con il rasta che aveva fatto da pochi giorni.
Aveva riso della mia faccia perplessa. Tutti gli uomini sono dei sassi, mi aveva spiegato, lastricano la strada di qualcuno superiore a loro. Ma ci sono alcuni sassi, aveva aggiunto poi, sfiorandomi il naso con il dito medio, che hanno più valore di altri: sono piccole pietre preziose, ma ancora non lo sanno.
''E...saremmo..io e te?'' avevo domandato.
''Anche. E siamo al mondo per raccogliere altri sassi come noi, la nostra metà, che non conoscono il loro valore, la loro diversità. Non sanno che sono destinati a qualcosa di più grande''.
Mi stupiva, con le sue teorie. A volte sospettavo che mi prendesse in giro, altre gli credevo così tanto che mi domandavo come avessi fatto a non pensarci prima.
Mi ritrovavo ad assecondarlo, a chiedere: mi affascinava.
''Io ho trovato te'' mi aveva dato un leggero bacio a fior di labbra ''o forse tu mi hai trovato. O magari ci siamo trovati a vicenda. Da soli non eravamo altro che ciottoli, insieme la nostra luce brilla come un diamante colpito da sole di mezzogiorno. Non riesci a percepirlo? Ti ho trovata, ho trovato il mio piccolo zaffiro, e ormai non ci speravo più.''
Forse era anche questo a piacermi di Diego, il fatto che mi risultasse così semplice starci insieme.
Eravamo diversi e uguali allo stesso tempo: uguali tra noi, diversi dalla maggior parte del Mondo al di fuori della nostra piccola realtà.
E mi stava bene, perché io non avevo mai voluto omologarmi al resto del pianeta; cercavo solo qualcuno che fosse fuori dalla normalità insieme a me.

***

Non ho mai avuto cicatrici fino a pochi giorni prima di conoscere Diego.
E non intendo in senso figurato, quelle cazzate come 'cicatrici sul cuore', 'cicatrici dell'anima': intendo cicatrici sulla pelle, vere, tangibili, reali.
Poi, esattamente una settimana prima che Diego mi bloccasse all'angolo di quella strada, caddi.
La portinaia aveva dato la cera al pavimento del pianerottolo, nonostante fosse lunedì, e nonostante di solito la signora Grisci desse la cera solo il giovedì. Certa di ciò, mi ero precipitata giù per le scale a passo spedito, e naturlamente ero inciampata, procurandomi un'escoriazione piuttosto sanguinolenta.
'Le rimarrà la cicatrice, ma si rimarginerà presto', erano state le parole della guardia medica che mi aveva fasciato la ferita.
Poco male, pensai, purché non sia troppo visibile.
E invece, la mattina stessa in cui incontrai Diego, la mattina stessa in cui indossai quella maglia hippy dai mille colori, la mattina stessa in cui per pura fatalità non mi soffermai un minuto in più davanti alla vetrina di cappelli, permettendo al caso di svolgere il suo corso, controllai il ginocchio e vi trovai una enorme, vistosissima cicatrice.
Una enorme, vistossissima cicatrice... a forma di cuore.

***

Sai Diego, ho sempre pensato che dipendere dalle persone fosse quanto di più sbagliato potesse esistere al mondo.
E avevo ragione.
Perché se io non avessi permesso a me stessa di innamorarmi di te, adesso sarei sì sola, sì incompresa, ma dovrei sopportare comunque un dolore meno grande di quello che sto sopportando in questo momento. Non mi ridurrei a dover indossare i tuoi rayban e i tuoi jeans strappati e sbiaditi -i tuoi preferiti- per sentire che c'è ancora speranza, che tu sei ancora qui, che cammini ancora per casa mia, che ti siedi ancora sul mio letto e che fai ancora l'amore con me sopra al tappeto verde accanto al comò.
I tuoi jeans mi vanno larghi, i tuoi occhiali mi calano sul naso, il tappeto verde l'ho nascosto dentro l'armadio, a prendere polvere, in attesa di te.
Non c'è niente che mi vada bene, non c'è abito che mi calzi a pennello come il tuo corpo.
Sono sempre io, Lucia, la girandola che è tornata immobile dopo la tempesta di vento.
Sono sempre io, lo zaffiro prezioso che è tornato una pietra grezza senza di te a darmi valore.
Io che a fatica torno alla mia vecchia esistenza, arrancando sulla salita per lasciarmi alle spalle il piccolo assaggio di paradiso che mi era stato concesso. La vita è beffarda, Diego, avevi ragione tu; si diverte a portarci in alto e a lasciarci precipitare l'attimo dopo, a vanificare mesi colmi d'amore con un solo secondo di odio.
Ti guarda, mentre sei in basso, mendicante che chiede ancora un po' di felicità, e ride della tua stoltezza, dice 'non avrai creduto che potesse durare per sempre?'.
No, Diego.
Non lo credevo.
Non l'ho creduto nemmeno quando mi parlavi dei tuoi progetti, gesticolavi e mi aprivi la mente verso un futuro dove nulla era certo, se non io e te, insieme, per sempre.
Non lo credevo, ma pensavo che alla fine dei giochi, ad andarmene sarei stata io.
Perchè ero convinta di conoscermi, ed ero convinta di conoscere te, e pensavo che tutto fosse certo.
Invece io rimango, e tu parti.
In fondo è stato così fin dal principio. Io non ho mai fatto nulla, se non starmene ferma dov'ero; sei stato tu a venire da me. Ed ora sei tu ad andartene.
Sì, è sempre stato così: io, immobile, e tu, che ruoti intorno a me.
Parti per così lontano, le valige non servono per viaggi così lunghi, serve solo coraggio.
Prendi coraggio, Diego, indossa la tua t-shirt troppo grande, i tuoi pinocchietti troppo stretti, fai l'amore con me per l'ultima volta, lascia che io affondi la mano tra i tuoi capelli una volta ancora, prima di dirti addio.
Cucinerai ancora per me, Diego, prima di partire?
Lascerai a me le tue ultime gocce di vita? 
E dunque, infine, mi abbandonerai così, lentamente, dandomi tutto il tempo per morire dentro anche io?
Quando il tuo corpo sarà coperto dalla terra di quel prato che tu tanto amavi (ti ricordi, Diego? 'questo prato mi piace, qui è sempre primavera', dicesti), allora io sarò la tua tomba. In me, per sempre, dentro me, finché anche io non giacerò al tuo fianco.
 
***

Sono qui, in una sala d'attesa in ospedale, odore di cibo di bassa qualità, medici che trasportano frettolosamente i pazienti da un reparto all'altro, pianti di neonati dalla nursery.
Mi infastidisce ogni cosa, seduta su questa sedia rigida, la schiena inarcata, le mani intrecciate.
Una coppia di indiani con un bambino mi passa davanti, il profumo di un'altra terra mi solletica le narici, e per un attimo riesco quasi a distrarmi: odorano di stoffe orientali, di spezie e di aromi. Il bambino dalla pelle ambrata si avvicina e mi sorride, e mi ritrovo a pensare che il sorriso è davvero una lingua universale, ma che io non posso ugualmente capire, perché probabilmente non appartengo nemmeno a questo universo.
Tento di sollevare gli estremi della bocca, ma questi ricadono in basso, penosamente. Il bambino fa una smorfia delusa, corre dietro ai genitori, scompare con loro dietro l'angolo del corridoio del reparto rianimazione.
Adesso c'è un odore diverso nell'aria.
Il medico grassoccio che mi ha fatto 'accomodare' qui esce dalla stanza dove è entrato quella che mi è sembrata una vita fa.
Mi alzo di scatto, lo sguardo spiritato, stringo tra indice e medio la stecca degli occhiali di Diego, ormai non esco di casa senza quegli occhiali.
Scuote la testa, se la gratta, sembra impietosito, vorrei sputare su quel suo volto da uomo perbene, così da lucidare quell'impeccabile maschera dispiaciuta che -ne sono certa- non smette mai.
So già cosa mi dirà, non voglio sapere nulla dalla sua bocca.
Lo sorpasso ed entro nella stanza.
Diego è lì, sul lettino, mi fissa, come a rassicurarmi.
Diego è lì, disteso sul lettino, mi fissa con gli occhi sbarrati, vitrei, come a rassicurarmi, 'non è finita, ci rivedremo'.
Annuisco, mi asciugo una lacrima, annuisco, stringo i rayban, annuisco di nuovo.
Mi precipito fuori da quell'edificio che sa di morte, di sogni infranti, di false speranze, di addii.
Un leggero vento sta soffiando da nord, e mi piace pensare che Diego sia qui, per far sì che la girandola continui a muoversi.


  
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