Sdraiata sul prato umido.
Nebbia.
Gli occhi spalancati che scrutano il cielo, invedibile.
Le mani aperte, le braccia distese, le dita contratte.
I capelli sciolti sparsi sull’erba.
Il corpo sudato assorbe le gocce d’acqua sugli steli. Avido, ingordo, assetato.
Il viso immobile, fisso all’insù, che sbianca come una piuma di colomba.
Le labbra prima soffici e rosacee si tingono di rosso infernale e poi marrone, e poi viola scuro.
Arrogante e prepotente colore.
La terra bagnata macchia il suo abito bianco. Era un regalo per il suo compleanno.
Gli schizzi di fango si impastano ai boccoli purpurei, che solo poco prima svolazzavano allegri al vento.
Api che si fermano sulla sua guancia fredda a gustarne il dolce nettare della giovinezza ormai perduta.
I piedi scalzi e ruvidi appoggiati alle radici del glicine.
Nel viso l’ultima lacrima quasi del tutto sparita, che lenta percorre la sua strada, corrodendo fino all’ultimo quel volto delicato.
Piano cade sull’erba.
Un misero click. Infimo.
Impercettibile.
Eppure le foglie lo sentono, i tronchi marci, i piccoli fiori, i vermi nella terra, i ragni.
E delicatamente l’edera comincia a coprirla; le avvolge le gambe, le braccia, la stringe a sé, la accarezza.
Il corpo sprofonda nel terreno, che lo accoglie premuroso.
E nessuno più troverà la piccola Petra.
Nessuno più la troverà.
Nemmeno il bastardo che, imprigionato dalla noia della sua inutile vita, l’ha selvaggiamente stuprata e uccisa, strappandole la gioia e rubandole la spensieratezza dei suoi giorni.
In sole due ore ha cancellato quei milioni e miliardi di sogni che girovagavano nella mente.
Ormai solo squarci di ombre irrealizzabili.
E ora nessuno più la troverà.
E quando i suoi genitori e i suoi fratelli passeranno di lì, piangendo e urlando disperati, vedranno solo distese di prati in fiore.
E nulla più.
Non sapranno che proprio sotto i loro piedi giace il gracile corpo di una fanciulla morta, che mai più potrà ridere.
Mai più.
Mai.