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Autore: Pilatigirls    17/07/2012    6 recensioni
20 giugno 1869.
Dopo la battaglia contro Kazama Chikage, una pallottola segna implacabile la fine di uno degli ultimi samurai del Giappone, Hijikata Toshizou. E anche della donna che silenziosamente l’aveva amato. Ma forse non tutte le porte si sono chiuse, forse piuttosto che affrontare il mondo da soli è megli affidarsi a qualcuno. Indipendentemente da quello che si pensa di lui.
“Che cosa credevate? Gli Oni non muoiono per così poco”
Genere: Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chikage Kazama, Chizuru Yukimura
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ehm... Salve a tutti!
Complimenti per aver avuto il coraggio di aprire questa pagina ^^ Be', in realtà non ho molto da dire... Ho avuto un'illuminazione ehm, allucinazione improvvisa e ho deciso di cimentarmi in questo obbrobrio unico, mentre ascoltavo spasmodicamente la sigla di Hakuouki Reimeiroku *^*. Per il momento è una OneShot, ma se ne avrò voglia (e se ne sarò in grado) la trasformerò in una long fic (tremate). E' solo un esperimento *continua a ripeterlo per giustificarsi a scopo puramente informativo*, sono ancora troppo poco allenata a scrivere pezzi di riflessione!
Ok, tecnicamente non dovevo avere molto da scrivere, ma mi sono lasciata andare. Scusate!
Buona lettura
Bea^^








Watashi no kakujitsu   の 確実 - La mia certezza







Chizuru era stanca. Stanca dei colpi di cannoni che le esplodevano nelle orecchie, tappandogliele. Stanca del continuo trascinarsi su e giù per i sentieri appena tracciati del bosco dove lo aveva baciato per l’ultima volta. Stanca di ripetersi che era sola, che nessuno sarebbe più tornato. Stanca di sentirsi rimbombare nella testa un pensiero terribile, eppure vero. Lui non c’è più. Non tornerà più. Rimarrà per sempre immobile, e freddo.

Raggiunse un paese all’alba, dopo aver vagato per tutta la notte con la mente completamente vuota.

Un paese piccolo, non certo una città, ma gremito di persone con un futuro. Un futuro che a lei era negato. Tutti coloro che aveva conosciuto erano morti. Non ci sarebbero più stati pattugliamenti con Saitou che la salvava ogni volta che si metteva nei guai, nè i momenti di imbarazzo dovuti agli scherzi di Okita. Harada e Shinpachi non avrebbero più fatto battute salaci per poi chiederle scusa, Heisuke non avrebbe più parlato con lei. Kondou non le avrebbe più sorriso con riconoscenza davanti ad un tè caldo arrivato dopo una giornata particolarmente lunga.

Ma soprattutto lui non l’avrebbe più guardata con quello sguardo duro e autoritario, o con uno dei suoi rari sorrisi dolci. Non l’avrebbe più baciata, non si sarebbe mai più appoggiato a lei per sostenere le responsabilità che gli gravavano addosso.

E pensare che sembrava quasi che le cose si stessero sistemando. Sotto quel ciliegio, quando lui aveva riaperto gli occhi dopo aver ucciso Kazama, quando aveva pronunciato il suo nome... Si era illusa di poter scappare, di poter iniziare a vivere una nuova vita. Se l’era caricato sulle spalle con una forza che non credeva di avere e aveva cercato di raggiungere proprio il paese in cui ora stava entrando.

Mentre lottava per non farsi sconfiggere dalla fatica e dalla sua debolezza di donna, aveva provato a pensare ad una vita normale: dei figli, una casa, lui che tornava stanco dopo una giornata di lavoro, lei che gli preparava la cena, felice, perchè lui era al sicuro, perchè non doveva più misurarsi con la battaglia.

Aveva ripreso forza, aveva aumentato il passo, rassicurandolo sulla vicinanza della loro meta. Lui aveva sorriso, stanco e pallido, si era fidato e aveva tentato di camminare un po’ sulle sue gambe. Sciocco orgoglioso. Non voleva lasciare tutta la fatica ad una donna. Anzi, alla sua donna.

Perchè era così che Chizuru si sentiva: era sua e di nessun altro. Durante i consigli di guerra, durante le rare feste organizzate per cercare di dimenticare la fine sempre più vicina, lei se ne stava in un angolo e taceva. Ma teneva il mento sollevato con orgoglio, perchè lei era la sua assistente, ma soprattutto, la donna che lui aveva scelto. In quelle occasioni si sentiva al posto giusto, perchè aveva un ruolo.

Avevano camminato per quasi due ore, fermandosi di tanto in tanto quando sentivano di non potercela più fare senza un minimo di riposo, poi era arrivato quello che avrebbe dovuto essere il momento peggiore: per arrivare al paese, avrebbero dovuto sfiorare una parte del fronte, dove si combatteva ancora. Chizuru aveva sentito con sgomento i colpi di armi da fuoco diventare sempre più nitidi.

Si erano mossi il più silenziosamente possibile, tenendosi bassi tra i cespugli del sottobosco. Avevano temuto più volte di essere scoperti, ma la fortuna pareva essere dalla loro parte. Ormai tra alleati e nemici non faceva più differenza: non era dagli imperialisti che scappavano, ma dalla guerra. Avevano raggiunto entrambi il limite e lo sapevano. Forse non era un comportamento onorevole, ma a tutti e due serviva del tempo per recuperare le forze, sia fisiche che mentali.

Superata la zona più critica, avevano tirato un sospiro di sollievo. Be’, in verità solo lei, perchè lui era troppo orgoglioso anche per una cosa del genere. Avevano ripreso a camminare in fretta, o meglio, a zoppicare in fretta. Nonostante le ferite, si sentivano quasi al sicuro. Poi si era sentito uno sparo molto vicino. Chizuru si era guardata intorno, allarmata, ma ormai era troppo tardi: il suo corpo era diventato improvvisamente pesante e le era scivolato giù dalla spalla.

Aveva urlato, lo aveva chiamato, ma lui era riuscito solo a sussurrare un lieve Arigatou, mentre i suoi occhi si chiudevano per sempre.

Ci aveva messo diversi minuti per realizzare quello che era appena successo. Sentiva il cuore rallentare. Era stato tutto troppo improvviso, a freddo, non poteva essere successo davvero. Lui  era sopravvissuto a tutti i suoi compagni, anzi, era sopravvissuto grazie a loro, lui aveva condotto innumerevoli battaglie, lui si era guadagnato il rispetto di un Oni e l’aveva ucciso. Non poteva morire in quel modo. Non poteva morire. Punto. Doveva vivere, doveva vivere per lo Shinsengumi, per il bushido, per Kondou, per tutti i suoi compagni e amici. Per lei.

Invece era morto davvero.

 

Chizuru aveva ancora alcuni soldi in tasca. Li usò per pagarsi una modesta stanza in una locanda nella via principale. Dovette contrattare per un po’ sul prezzo, perchè il proprietario vedendo una donna da sola pensò di approfittarne e di farsi dare un po’ di più. Lei però non si fece imbrogliare: gli sbattè la giusta cifra sul tavolo al quale era seduto e se ne andò nella sua stanza con un insolito passo marziale. Non riuscì a spiegarsi il perchè del suo comportamento: forse era rimasta per così tanto tempo insieme a uomini che la rispettavano nonostante il suo sesso che ormai lo dava per scontato. Avrebbe dovuto invece ricordare che adesso era solo una donna non sposata senza un posto dove andare.

Quando arrivò alla camera, rimase a lungo sulla soglia ad osservarne l’interno. Era così che lei immaginava la stanza di una casa abitata da persone tranquille e ordinarie. Se lui fosse stato ancora vivo, forse qualche mese dopo avrebbero potuto davvero vivere in un posto come quello, semplice ma pulito.

Contemplò a lungo l’ambiente, ma non riuscì ad entrarvi e uscì dalla locanda sotto lo sguardo stupito del proprietario.

“Non siete soddisfatta della stanza, musume - san?” le chiese con ironia l’uomo, toccandosi i baffetti unti con le dita “Forse non è adatta alle vostre attività?”

Chizuru lo guardò freddamente, ignorando l’ultima frase. “Ritornerò questa sera” disse controllata, quasi con aria di superiorità. Si domandòcome avesse fatto ad uscirle una voce del genere. In un altro frangente gli avrebbe risposto appassionatamente per le rime.

Si incamminò con questo interrogativo ancora in mente, ma poi dovette accantonarlo per pensare a cose più concrete, ovvero il fatto che le servisse al più presto un kimono da donna. Le sarebbe andato bene qualunque abito pur di togliersi i vestiti da battaglia che indossava. La spiegazione ufficiale che si diede fu che una ragazza con i pantaloni dava troppo nell’occhio, ma la verità era che voleva sbarazzarsi al più presto di tutto ciò che le ricordava il capitolo della sua vita che si era appena concluso. Almeno delle cose concrete. Sapeva benissimo che i ricordi sarebbero tornati a visitarla anche solo alla vista di una haori blu, o più semplicemente di una spada. Lei però doveva farci i conti perchè anche dopo tutto quello che era successo, anche dopo tutto quello che aveva perso, voleva vivere.

La vita le era ancora preziosa, come quella notte in cui era iniziato tutto.

 

Il primo negozio che vendeva anche abiti che trovò fu una minuscola bottega stretta tra due case piuttosto ambigue, coraggiosamente gestita da una donna con il doppio dei suoi anni. Aveva un neonato appeso alla schiena grazie a due strisce di stoffa e la accolse con il sorriso di chi è abituato a servire ogni cliente che avesse bisogno di lui.

“Allora, signore... In cosa posso esserle utile? Un regalo per la vostra bella?”

Da non credere: l’aveva scambiata per un uomo? Nel passare di fianco ad una notevole serie di ekagami , Chizuru si specchiò frettolosamente. Quella donna in effetti non aveva tutti i torti: le sue guance erano imbrattate di polvere e fango secco e gli occhi privi di luce. Nel complesso sembrava un ragazzo molto femminile o una ragazza davvero brutta.

Decise di dire la verità, anche perchè sarebbe stato imbarazzante o quantomeno difficile fingersi un uomo in cerca di regali per la fidanzata. Fece un bel respiro e si preparò alla prevedibile reazione che avrebbe avuto la mercante..

“In realtà sono una donna” disse senza esitazione. Di nuovo le era venuto in soccorso quel tono freddo e distaccato che le aveva permesso di liquidare il locandiere. Dovette ammettere che sebbene non si sposasse bene con la sua personalità, le era davvero utile.

La donna intanto stava cercando di assimilare la cosa. “Una... Donna?” chiese a stento, portandosi una mano al petto come se si fosse trattato di una notizia terribile e sconvolgente “Una donna vestita come un soldato?”

In realtà la sua reazione era più che comprensibile: le donne vestite da soldato potevano fare solo un tipo di lavoro, ovvero portare uno spiragli di amore e femminilità in una truppa con il morale basso. Detto in altri termini, cortigiane.

Chizuru pensò di inventarsi qualcosa di plausibile per fugare ogni sospetto sul suo lavoro e sulla sua filosofia di vita, dato che in quella giornata la proprietaria del negozio era la seconda a capire male. In pochi istanti la sua storia era già pronta.

“In realtà questi abiti erano del mio promesso sposo...” mormorò sommessamente. Le vennero le lacrime agli occhi senza che lo volesse. “Era un soldato al servizio della nostra nazione... Ma pochi giorni fa è morto in battaglia. Ho preso i suoi abiti solo per viaggiare con più sicurezza...” Non riuscì più a trattenersi e scoppiò a piangere. Avrebbe voluto dire che il suo... Sì, il suo fidanzato era un grande samurai, il più grande di tutti, che il suo nome era Hijikata Toshizou, ma non poteva: se voleva vivere, e lei lo desiderava davvero, non avrebbe mai più dovuto parlare di lui con nessuno. Paradossalmente, la memoria di colui che voleva condurla verso il futuro doveva essere nascosta per permetterle di averne uno.

“Oh, mia cara...” boccheggiò la donna “Oh, povera, povera ragazza... Sei ridotta peggio di uno straccio... Lascia che ti aiuti: ti do una ripulita così puoi toglierti quegli abiti sporchi e inadatti... E poi puoi fermarti qui a cena, d’accordo, piccola?”

Chizuru si sentì davvero commossa da quella proposta, ma sapeva di non poter accettare: era chiaro che quella donna non aveva quasi di che sfamare se stessa e la sua creatura. Non le avrebbe rubato il cibo che si stava guadagnando con il suo lavoro.

Arigatou gozaimasu, demo... Mi basta un kimono nuovo, davvero signora. Voi siete così gentile...”

“No, no, cara: insisto. Ce l’hai un posto dove dormire, almeno? Puoi restare qui se vuoi”

Chizuru scosse la testa. “Dormirò da alcuni parenti. Vorrei solo un kimono per non presentarmi così a loro. E un pettine, se l’avete”

“Ma certo, tutto quello che vuoi” sorrise con dolcezza la signora, mostrando poi un’espressione fiera “Il mio negozio è più che fornito, non temere”

La condusse in giro per la bottega e Chizuru si scoprì di colpo molto interessata agli oggetti della vita quotidiana. Osservava con attenzione piatti, ciotole, lampade di carta, zori... Tutto ciò che le ricordava la sua vita nel Quartier Generale dello Shinsengumi, prima che cominciasse la guerra.

La proprietaria le mostrò dei bei kimono colorati, davvero graziosi, ma lei ne scelse uno grigio senza alcun fregio. Non era dell’umore adatto per riprovare a indossare vesti davvero femminili.

Si cambiò dietro un paravento di carta che sarebbe stato in vendita e mano a mano che gli abiti cadevano a terra le sembrava di cambiare. Prima il corpetto, poi gli stivali, le protezioni per le braccia, i pantaloni e infine la camicia. Il nastro rosso che teneva annodato intorno al collo decise di tenerlo e se lo legò ad un polso. Era un oggetto che lui, nei momenti in cui la sete lo prendeva, aveva toccato spesso.

La donna le fornì anche della biancheria pulita e un paio di geta, così Chizuru potè indossare abiti completamente nuovi. In verità, la gonna del kimono la intralciava e sentiva le gambe un po’ troppo nude. Per non parlare del disagio che provava nel portare calzature così alte e instabili.

Quando uscì però, la proprietaria del negozio fece un’espressione deliziata e le porse uno specchiò dove guardarsi. “Oh, ma guardatevi. Siete proprio graziosa. Sono sicura che non avrete difficoltà a trovare marito. O alla peggio potreste diventare una geiko... Siete un po’ troppo cresciuta, in realtà, ma forse...”

Un’altra valanga di ricordi. Le sere d’inverno passate a Shimabara, i suoi goffi tentativi di sembrare una geisha, i ragazzi che la difendevano da chi allungava troppo le mani, Osen... Già, Osen... Chissà dov’erano lei e Kimigiko... Forse le avrebbe riviste. Osen glielo aveva promesso. Si rifugiò in questa speranza. Non tutto era perduto, forse. Forse qualche brandello della sua vita era recuperabile.

Si pulì il viso con un po’ d’acqua fredda e si pettinò i capelli con un bel pettine preso dalla piccola esposizione del negozio. Poi usò il nastro rosso per legarseli in una bassa e sbrigativa coda. Quando si sentì pronta, si specchiò di nuovo.

Ora sei una ragazza normale... disse alla ragazza che la guardava con gli occhi castani velati di tristezza.

La donna protestò un po’, ma alla fine Chizuru riuscì a metterle in mano alcune monete per ringraziarla degli oggetti che aveva voluto gentilmente regalarle e per il kimono. Dopo qualche minuto di tira e molla, si era ritrovata padrona di un pettine, di uno specchio, di un cambio di biancheria e di un pacchetto di hanao di ricambio per i geta. Sperò che questi ultimi non le dovessero mai servire*.

La ringraziò con calore, augurando ogni bene a lei e al bambino, poi uscì dal negozio con il cuore un po’ più leggero di prima. Aveva scoperto che al mondo esistevano ancora persone buone e generose, felici di aiutare chiunque si trovasse in difficoltà. Chissà, forse anche lei avrebbe potuto incontrare qualcun altro così gentile e trovarsi un lavoro. Non le sarebbe dispiaciuto, nell’attesa di trovare ciò che stava cercando. In realtà però si sentiva persa, come gettata in mezzo al mare senza nulla a cui aggrapparsi, e non vredeva capace di sopravvivere completamente sola.

“Neh, musume –san, dove state andando tutta sola?” schiamazzò una roca voce maschile.

Chizuru si voltò di scatto e vide un gruppetto di uomini ubriachi fuori da una delle due case accanto al negozio dove era stata. In effetti le erano sembrate fin da subito posti malfamati. Riprese a camminare più in fretta, ma i geta non le permettevano di muoversi come avrebbe voluto. Sentì dei passi dietro di sè, ma non si fermò ad indagare, fino a che una mano non le afferrò bruscamente il colletto del kimono.

“Non è educato non rispondere, musume – san...” la rimproverò la voce di prima, venata di divertimento.

Si voltò per ritrovarsi davanti il volto disgustoso di un uomo di quarant’anni. Gli diede uno schiaffo dritto in faccia e lo costrinse a lasciarla.

“State lontano” ordinò con freddezza.

“Ma come? Io mi preoccupo per voi, bella mia” rise l’uomo. Intanto anche i suoi compari si erano avvicinati, come cani randagi attorno alla preda.

Qualcunò la spintonò. Il pacchetto che teneva sottobraccio cadde a terra, aprendosi. Lo specchio si ruppe. Già, ricordò Chizuru, oltre alle persone buone c’erano anche quelle cattive. Che erano molto più numerose. In quel momento avrebbe voluto avere la sua kodachi... Ricordò che l’aveva lasciata nel negozio e si diede della stupida.

Nel frattempo la comitiva di ubriachi continuava a toccarla e a gridare oscenità. Si chiese se per la strada non stesse passando proprio nessuno. Sperò che la donna che l’aveva aiutata non uscisse attirata dal rumore. Non doveva accaderle nulla per colpa sua.

“Ehi, donna, per caso sei fidanzata? No, perchè un pensierino su di te me lo farei...”

Chizuru cominciò ad indietreggiare per allontanarsi il più possibile da quella via, ma dopo qualche passo la sua schiena urtò qualcosa di duro. Ma come, qualcuno era riuscito a portarsi dietro di lei senza che se ne accorgesse? Sentì un braccio circondarle le spalle e una mano fredda appoggiarsi al suo braccio.

“Questa è la mia donna” fece una voce che conosceva bene “La cosa vi crea problemi?”

Alzò il volto e incontrò proprio quello che si aspettava: due occhi di un rosso inquietante e ciocche di un biondo insolito.

“Ka-Kazama – san?” mormorò a mezza voce, attonita. Aveva visto lei stessa il suo cadavere. Aveva visto la sua spada trapassargli il petto. Non poteva essere vivo.

“Cosa credevate? Gli Oni non muoiono per così poco” ribattè lui, quasi scocciato, per poi rivolgersi agli uomini che la stavano importunando “Fuori dai piedi” ordinò con flemma.

Quelli lo guardarono con stupore per alcuni istanti, ma poi reagirono. Uno di loro si slanciò in avanti con una mano chiusa a pugno, già pronta a colpire, ma Kazama non si spostò di un millimetro. Alzò una gamba e gli sfondò quasi la cassa toracica. Il rumore delle costole che si spezzavano fu sufficiente perchè gli ubriachi arretrassero di alcuni passi, mormorando spaventati.

“Finito. Possiamo andare” fece Kazama, impassibile.

Chizuru in quel momento si accorse che gli si era stretta addosso in modo abbastanza imbarazzante, prendendogli tra i pugni parte del cappotto occidentale. Lo lasciò come se scottasse, rossa in faccia, e si chinò per raccogliere gli oggetti che le erano caduti. Lui la guardò con aria interrogativa mentre rifaceva con attenzione il suo fagotto.

“Andiamo” convenne Chizuru quando ebbe finito.

Due minuti dopo erano in una delle strade più affollate del paese, piene di gente che andava e veniva o urlava per richiamare l’attenzione sulle proprie merci.

“Non mi aspettavo di trovarvi qui, Yukimura Chizuru” commentò in modo neutro Kazama.

La ragazza trovò strano che fosse lui ad intavolare una conversazione, ma annuì. “Non avevo altro posto dove andare”

“Perchè avete lasciato la vostra kodachi in un posto come quello?” le chiese l’Oni in tono quasi accusatorio, estraendo dalla cintura la corta spada e porgendogliela.

“L’ho dimenticata” confessò con vergogna Chizuru, prendendola tra le mani e stringendola con forza.

Per un po’ non ci furono altri scambi di parole. Chizuru era più che imbarazzata, come ogni volta in cui stava con Kazama. Insomma, lui non era una compagnia molto semplice e aveva detto chiaramente che avrebbe voluto sposarla per avere un figlio. Lei aveva sempre rifiutato con decisione, ma in quel momento tutte le sue certezze erano in frantumi e stare con Kazama era quasi più semplice.

Continuarono a camminare fino a che non uscirono dal paese e si addentrarono nei campi coltivati lì attorno. C’era un silenzio pieno e perfetto, rotto ogni tanto da una folata di vento che scuoteva le fronde degli alberi. L’aria era bassa e pesante nonostante fossero nell’Hokkaido.

Chizuru non sapeva perchè lo stesse seguendo. Le era venuto istintivo, naturale. Kazama era un pezzo della sua vita precedente, nonostante non evocasse ricordi piacevoli. E lei aveva bisogno di qualcosa di conosciuto, anche solo per poco. Aveva bisogno di convincersi che non era stato tutto un sogno.

Ad un certo punto, l'Oni si fermò di colpo e si voltò verso di lei. Sul suo volto aleggiava il leggero sorriso che aveva spesso.

Le tese la mano.

Chizuru capì che era un invito. Un invito per una vita che non aveva mai voluto, ma che in quel momento forse...

Non poteva sperare di cavarsela da sola, non lì. Se fosse stata ad Edo, sarebbe potuta andare nella sua vecchia casa. Persino a Kyoto avrebbe avuto qualche possibilità, con un po’ di fortuna. La verità era che però non aveva proprio idea di come andarci. Le dicevano tutti che era una donna forte, determinata, ma senza nessuno che potesse fungerle da appoggio era completamente impotente. Anche se avesse trovato un lavoro, non avrebbe saputo dove vivere nel frattempo. Forse ad Ezo... Poteva proporsi come serva e abitare nella casa di qualcuno. Ma era davvero quello che voleva? Ce la poteva davvero fare? Per vivere le servivano delle certezze e lei non ne aveva più. Forse.

Non prese la sua mano, ma avanzò fino a che non si ritrovò costretta ad alzare lo sguardo per guardarlo negli occhi. Annuì in silenzio.

Avrebbe vissuto. Nessuno gliel’avrebbe impedito. E Kazama Chikage era l’ultima certezza che le era rimasta.






Ok, e ora i significati dei nomi messi solo per soddisfare l'ego dell'autrice =)

haori = casacca (ovvio -.-)

ekagami = specchi

geta = le scarpe tradizionali giapponesi, quelle alte

hanao = il laccio dei geta (*rompere gli hanao porta sfortuna)

Arigatou gozaimasu, demo... - Grazie mille, ma...  Questo l'ho voluto inserire perchè è uno dei punti forti di Chizuru u.u

Grazie per l'attenzione e per essere arrivati fino a qui!

 



  
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