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Autore: 365feelings    17/07/2012    3 recensioni
Non indossava la sua armatura, l’orlo del mantello rosso non ondeggiava attorno alle sue gambe, in mano non aveva Mjolnir . Thor era davanti a lei e vestiva un paio di jeans e una maglietta bianca.
Affetta/o da Shipping compulsivo, partecipo all'iniziativa del forum « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest.
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jane Foster, Phil Coulson, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autrice: KumaCla
Titolo: I miss you
Pairing: Thor/Jane
Warnings: Het
Genere: Romantico, Triste
Tipologia: OneShot
Prompt: martello
Note: non ci credo, finalmente ho scritto qualcosa riguardante il mio amatissimo universo Marvel <3 A sfidarmi è stata vanna87: spero di aver esaudito appieno la sua richiesta e soddisfatto la sua voglia di Thor/Jane.
E ora qualche dritta per la lettura: la donna che Jane vede è la violoncellista citata all’inizio di The Avengers e la frase «Potresti voltarti e illuminare col tuo volto una persona a cui sei mancata immensamente?» proviene dal fumetto «Thor, il ritorno del dio del tuono» (in cui però era rivolta alla presunta figura di Lady Sif). Il resto è tutta invenzione.
 
I miss you 
Will you come home and stop this pain tonight
Stop this pain tonight 
 I miss you - Blink 182
 
Mentre osservava gli agenti sgombrare dal suo laboratorio, Jane Foster ebbe la sensazione che neanche quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe avuto a che fare con lo SHIELD. I quattro uomini in nero erano arrivati una mattina, senza preavviso, con le loro valigette dalle quali avevano estratto le attrezzature per monitorare la zona. Aveva protestato e chiesto il motivo della loro venuta, ottenendo in risposta un criptico «Per la sua sicurezza», e alla fine aveva dovuto arrendersi, rispondendo con un «Basta che non intralciate le ricerche» borbottato a denti stretti. Ora che se ne stavano andando, dopo giorni di fastidiosi messaggi in codice che non era riuscita a decifrare, si chiese quando li avrebbe rivisti e con che scusa si sarebbero intromessi nel suo lavoro.
«Attenti al telescopio!» esclamò seccata, accorrendo in soccorso dello strumento, urtato da un maldestro agente.
A mettere in pericolo il precario equilibrio di quel laboratorio si aggiunse l’arrivo di una trafelata Darcy. La giovane assistente, infatti, tenendo tra le mani un giornale dall’aria sciupata, era entrata spalancando la porta e aveva percorso a grandi falcate la lunghezza del laboratorio fino a raggiungerla, facendo volare fogli e fotografie.
«Non ci crederai mai, Jane» disse con voce acuta, indicando la prima pagina del quotidiano e aggiustandosi gli occhiali che, quando si agitava, erano soliti scivolarle sul naso.
«Super eroi salvano il mondo dalla minaccia di un invasione aliena» iniziò a leggere l’astrofisica «Un gruppo di sei elementi riesce a sventare l’attacco extraterrestre riportando la pace sulla Terra».
L’occhio cadde sulla fotografia di un aitante Tony Stark in armatura che ammiccava, stanco e tuttavia non per questo meno tronfio, ai fotografi. In lontananza si potevano scorgere altre cinque persone, ma l’inchiostro grigio non le permetteva di cogliere con chiarezza i loro lineamenti. Sotto l’articolo continuava, ma fu una parola che catturò la sua attenzione: SHIELD. Continuò a leggere, con foga, sempre più interessata.
Aveva paura di non scorgere il suo nome, di rimanere delusa e senza alcuna notizia dell’uomo - il dio - che amava. Ma lo sguardo scorreva vigile sulle parole stampate in nero, avido di informazioni. Forse c’era anche Thor tra loro, forse era tornato sulla Terra. 
Con la speranza che cresceva di riga in riga, infine trovò ciò che cercava.
«Ad ultimare la squadra c’è un dio norreno, armato di martello e dai muscoli d’acciaio» scriveva il giornalista, aggiungendo qualche altro dettaglio sulla vittoria riportata dai supereroi.
Quella frase da sola suonava come un enorme “Thor è tornato”, che echeggiava tra le pareti di vetro del laboratorio, tra gli strumenti, i computer e i fogli fitti di formule.
 
Non era mai salita su un veicolo del genere e solo un anno fa ne sarebbe stata entusiasta. Ma un anno fa non aveva investito un dio norreno, scoperto l’esistenza di altri mondi, intrapreso una relazione a distanza con Thor. Un anno fa aveva altre priorità nella vita che rincorrere un uomo in armatura che appariva, salvava la Terra e scompariva senza neanche passarla a salutare.
Aveva comprato un biglietto per New York, di sola andata, nella speranza di rivederlo, perché credeva davvero che lui l’avrebbe aspettata. Non aveva avuto dubbi nel loro incontro, perché Thor glielo aveva promesso prima di scomparire per quasi un anno e lei si fidava.
Quando, però, non aveva trovato nessuno che rispondesse alla descrizione del dio norreno ad attenderla ed era venuta a sapere da un venditore di hot dog – a quanto pare tutti lo sapevano, tutti tranne lei – che Thor se n’era tornato a casa con quel suo fratello pazzo neanche due giorni prima, ogni sua certezza si era incrinata e qualcosa di molto simile alle lacrime aveva luccicato nei suoi occhi, offuscandole la vista.
Poi era stata avvicinata da un uomo vestito di nero, che le aveva detto di essere dello SHIELD e l’aveva condotta sull’Elivelivolo. Lì c’era un gran via vai di agenti, la base brulicava di uomini e donne intenti a monitorare i cieli, sventare minacce aliene e salvare la razza umana. Nick Fury in persona l’aveva ricevuta e in quel momento era venuta a conoscenza della morte dell’agente Phil Coulson.
La prima volta che l’aveva incontrato l’aveva fatta arrabbiare, d’altronde aveva sequestrato tutta l’attrezzatura e le ricerche senza darle una spiegazione – che poi non sarebbe comunque servita a molto. Però poi si era rivelato una persona affabile e gentile, un uomo cordiale con cui scambiare due chiacchiere. Capitava che lo SHIELD si facesse vivo per controllare i suoi progressi: nel laboratorio si presentavano agenti spocchiosi, maldestri e antipatici, pronti a criticare gli sviluppi delle sue ricerche e a deridere i suoi sforzi. Phil invece si mostrava davvero interessato e disposto a farsi perdonare per il loro primo poco felice incontro. Non lo aveva visto molte volte, ma quando si presentava tra le sue scartoffie – sempre impeccabile nel completo nero d’ordinanza – era un piacere lasciare da parte calcoli ed equazioni per scambiare due parole, magari con una tazza di caffè. Phil credeva nei suoi studi, era convinto che sarebbe riuscita a trovare un modo per mettere in contatto la Terra con Asgard.
Ora che Thor non l’aveva contattata aveva bisogno di un sostegno, di qualcuno che le dicesse «Stai tranquilla Jane, vedrai che vi ritroverete». Ma Phil non c’era più, era morto in servizio, caduto per mano di Loki durante lo scontro sull’Elivelivolo. Proprio lui che pareva incapace di far male a una mosca.
Si asciugò le lacrime e si appoggiò ad una parete, sperando di scomparire da quella realtà che non le apparteneva. Lei non faceva parte dello SHIELD, non era un agente e nemmeno un’eroina. Era solo un’astrofisica troppo lontana dai suoi telescopi.
 
Il funerale si tenne a terra, in un cimitero civile, una mattina d’ottobre.
In prima fila c’erano i Vendicatori insieme a Nick Fury, seguiti da alcuni agenti dello SHIELD. Era la prima volta che vedeva dal vivo gli eroi che avevano salvato il pianeta e una parte di lei – quella ancora lucida e non annebbiata dalle lacrime - si rese contro che avrebbe dovuto come minimo provare un brivido di eccitazione e magari anche di gratitudine. Forse sarebbe dovuta andare a salutarli e a ringraziarli - in fondo era merito loro se lei era viva -, a stringer loro la mano. Ma poi cosa avrebbe detto? «Piacere, sono Jane Foster, l’astrofisica che cerca un modo di collegarsi ad Asgard, così da poter ritrovare Thor. Ce lo avete presente, no? Ha combattuto con voi, è quell’uomo in armatura e mantello rosso che regge un martello e parla strano»? Sapeva bene come quella presentazione suonasse strana, folle. Lei stessa a volte si chiedeva se le sue ricerche avessero senso: c’erano notti in cui si svegliava e non sapeva se Thor non fosse stato altro che un sogno, però poi prendeva in mano il suo quaderno e vi trovava il disegno dei pianeti che lui aveva tracciato per lei e tutto diventava dolorosamente vero.
Jane restò quindi ai margini del campanello di gente, stretta nel suo giubbotto di un rosso stinto. Le avevano procurato degli abiti neri: c’erano tubini, completi, vestiti di varia lunghezza. Ma più che a un funerale le erano parsi adatti ad una festa e aveva rifiutato, restando in jeans e camicia a quadri, con le sneakers ai piedi. Sicuramente Phil non avrebbe sollevato problemi riguardo i suoi abiti informali. Anzi, le avrebbe sorriso, dicendole che era stata una buona scelta, quella di restare se stessa.
La prima a parlare era stata Pepper Pots, impeccabile nel suo tubino nero: sarebbe parsa davvero perfetta se gli occhi – arrossati, segnati dalla stanchezza e dal dolore – non l’avessero tradita per primi. Aveva iniziato il suo discorso, ma neanche dopo la prima frase la voce aveva iniziato a tremare e ad incrinarsi pericolosamente. Era intervenuto in soccorso Tony Stark: ci aveva provato Iron Man a risollevare l’umore, ma il sorriso che aveva sfoderato non raggiungeva lo sguardo. Steve Rogers si era commosso e aveva lasciato la parola agli altri, tornando ad occupare la prima fila a testa bassa, le lacrime in quei grandi occhi azzurri. Anche Nick Fury e la sua assistente, Maria Hills, avevano salutato il loro efficiente agente.
Jane si chiese se non avesse avuto una famiglia, Phil. Una madre, un padre e magari una sorella o un fratello da cui tornare i fine settimana. Una donna che lo attendesse nel loro appartamento e che si domandasse della ragione delle sue assenze. Ma sembrava che a quel funerale ci fossero solo colleghi, come se non avesse mai avuto una vita privata, come se non si fosse mai tolto quel completo nero.
Ancora una volta si asciugò le lacrime e tirò su col naso, strofinandosi il volto con la manica del giubbotto. Sapeva che se avesse provato a parlare, a dire qualsiasi cosa, si sarebbe messa a piangere. Quindi rimase in disparte, qualche passo indietro rispetto al gruppo, a osservare la conclusione della cerimonia. Fu così che notò la presenza di una donna, lontana qualche metro da loro. Indossava un cappotto nero col collo alzato, che faceva risaltare il biancore del volto,  incorniciato da una chioma castana raccolta in una crocchia. Era certa di non averla mai vista e qualcosa nel suo portamento le suggeriva che non faceva parte dello SHIELD. Forse era la sorella o un’amica. Forse era la sua donna. Si chiese quanti segreti Phil avesse dovuto averle tenuto per impedirle di partecipare al suo funerale, quanti misteri e silenzi ci fossero stati tra i due. Avrebbe voluto sapere chi era e magari parlare con lei di Phil, ma alla fine della cerimonia la donna non c’era più.
Approfittando della dispersione della gente, che a testa bassa tornava al proprio lavoro, Jane si avvicinò alla lapide bianca e semplice, ai cui piedi erano stati deposti alcuni mazzi di fiori. Sfiorò il marmo, freddo e ostile sotto i suoi polpastrelli, e indugiò sui bordi della lettere incise.
«Potresti voltarti e illuminare col tuo volto una persona a cui sei mancata immensamente?»
La voce alle sue spalle – profonda e roca, una voce conosciuta - la fece trasalire e quando si voltò a stento riuscì a credere ai suoi occhi.
Thor era lì.
Non indossava la sua armatura, l’orlo del mantello rosso non ondeggiava attorno alle sue gambe, in mano non aveva Mjolnir. Thor era davanti a lei e vestiva un paio di jeans e una maglietta bianca.
Per un istante lo fissò con stupore, poi si gettò tra le sue braccia e lo strinse con la paura di perderlo da un momento all’altro. Ma quando sentì le sue mani sulla schiena e la sua fronte sulla propria, si rese davvero conto che Thor era concreto ed era lì, in quel cimitero, in quel momento, con lei.
Lo strinse con quanta forza aveva in corpo, certa che a lui sarebbe parso di ricevere solo una lieve carezza, ma aggrapparsi ai suoi muscoli significava aggrapparsi ad un appiglio sicuro.
Si rese conto di star piangendo solo quando sentì le mani grandi e calde di Thor sulle sue guance: piangeva e rideva, sembrava una pazza. Era triste per la morte di Phil ma felice per ritorno di Thor e non sapeva più nemmeno lei cosa stesse provando in quel momento.
Alla fine riuscì solamente a dire «Mi sei mancato», sussurrato sulle labbra del dio.
 
 
Crack, fanon o canon? Slash, Het, Threesome?
GOD SAVE THE SHIP!
   
 
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