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Autore: Pech    18/07/2012    2 recensioni
Mick e Bowie passano la notte insieme, se sapete cosa intendo. Angie li scopre e Mick viene cacciato da David. Jagger si sente deluso e respinto, perché in fondo provava qualcosa per lui. Nel viaggio di ritorno verso casa, Michael porta indietro la mente, fino al primo giorno che conobbe il Duca Bianco. E' una fiction a quattro mani, il primo capitolo lo scrivo io e il secondo la mia amica Ivory e così via. Questa fiction verrà pubblicata anche sulla categoria 'David Bowie'.
Solito avvertimento: RECENSITE, KRISNACANE.
Genere: Demenziale, Malinconico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Can we really be heroes, Dave?



Buio totale. Così inizia (e finisce) la nostra storia: nel buio.
Mi risvegliai in un letto matrimoniale. Nella stanza dove mi trovavo era tutto oscurato. C'era solo un fascio di luna che illuminava un armadio, ma non mi fu di grande aiuto nel ricordarmi perché stavo lì. Mi grattai la testa. Forse avevo passato la notte nella camera di Keith e quel drogato neanche se n'era accorto. Magari lui si stava trombando una sedicenne e mi aveva rinchiuso qui. Non avevo proprio voglia di pensarci, così mi stesi sul letto e fissai il soffitto. Forse tutte quelle cazzate mi venivano in mente perché non avevo nulla di comodo, nulla di soffice, per poter poggiare la testa e per riuscire a placare i nervi.

Allungai la mano per capire che fine avesse fatto il mio cuscino. Tastai i tre quarti del materasso, ma un pezzo mi era sfuggito. Be', quel quarto era occupato e non dalla solita puttanella che mi porto a letto. La sua schiena era incredibilmente liscia. Mi sono sempre chiesto come diavolo facesse ad avere una pelle così morbida. Fissai la sua figura che giaceva sul materasso. Preso dalla voglia, gli accarezzai i capelli. Dio, i suoi capelli. Potrei stare ore ed ore a parlare dei suoi capelli maestosi e lucenti.

Si mosse un po', come se stesse cercando di liberarsi da una mosca fastidiosa, poi riprese a dormire. Rimasi zitto per qualche istante. Per un attimo avevo creduto che potesse leggermi la mente e sentire tutte quelle sciocchezze che mi passavano per la testa. Mi guardai intorno. Tutto quel silenzio mi metteva ansia. Cercai di dormire, o almeno era l'unica cosa che mi sembrò giusta da fare. David mi accarezzò delicatamente la testa, come per tranquillizzarmi. Mi baciò anche la fronte, poi si girò dall'altra parte. Mi strinsi forte a lui. Appoggiai il mento sulla sua spalla e le braccia intorno al suo bacino.

Mi aveva segnato la fronte con affetto, ed io mi sono sentito costretto a ricambiare, in qualche modo. Ma, distruggendo quel tenero momento, Angie spalancò la porta. Tutta la luce del corridoio irruppe nella stanza. Peccato che, invece, la sua casalinga sbraitava impazzita peggio di un ossesso. Come se non abbia mai visto due uomini nudi e nello stesso letto in vita sua. Sinceramente, non capii un granchè di quello che disse. Non so neanche se era per il fatto che quella donna parlasse esclusivamente spagnolo o semplicemente perché ero preso dal fascino di Bowie e non mi andava di sentirla.

David prese le coperte e si coprì il volto. Io mi tirai su dal letto e salutai Angie con un gesto della mano. Lei rise, scosse la testa e strattonò la casalinga fuori dalla camera. Mi fissò per un ultima volta, rise e se ne andò via, chiudendo la porta alle sue spalle. Mi tirai a sedere sul bordo del letto, quando Bowie sussurrò: - Vattene. -

Mi girai verso di lui. Ma come, abbiamo passato la notte insieme e vuoi scacciarmi? Ero tentato di rispondergli, poi pensai di aver capito male e ho fatto finta di niente.

- Lo so che mi hai sentito. - fece con un tono di voce poco più forte - Vattene via. Tornatene a casa, torna a dormire nel tuo letto. Vedrai che domani starai meglio. -

Rimasi in silenzio. Personalmente mi aspettavo qualcosa di meno freddo. Che so, un "Se non ti dispiace, vorrei dormire, ma non preoccuparti ci sentiamo domani." oppure "Vai a casa, ma telefonami perché sento già la tua mancanza.", ma non uno squallido "Torna a casa. Vedrai che starai meglio". Pensava di poter entrare ed uscire dalla mia vita, come se fossi un Bed&Breakfast e lui un mio cliente fisso. Mi avvicinai al suo orecchio e gli sussurrai: - Io, senza te, non starò mai meglio. -

Bowie sbuffò e girò il capo. Che stronzo, neanche si degnò di ripagare il mio dolce gesto. E io che perdevo tempo a fare il tenero. Avvicinai il mio volto al suo. Avvicinai le mie labbra alle sue. Avvicinai il mio corpo al suo e, con un filo di voce, dissi: - Penso di amarti. -

Mi rise in faccia. Mi sentii deluso e allo stesso tempo ridicolo. Tornai a sedere sul letto, con le mani che mi coprivano il volto e i gomiti che mi perforavano le coscie.

- Sì, certo, e io mi arrapo ogni volta che vedo Crudelia De Mon. - disse con tono beffardo.

- Ma David, io sono serio. - risposi appongiandogli una mano sulla spalla.

Evidentemente non mi stava ascoltando. Era preso nel canticchiare quella stupida canzoncina.

- Crudelia De Mon, Crudelia De Mon, può metter paura perfino a un leon... -

- Sei un bastardo, cretino, deficente, freddo, idiota... - iniziai ad elencare tutti gli insulti, in ordine alfabetico, che lo potevano descrivere alla perfezione, ma arrivato a "zuccone" non sapevo più cosa inventarmi.

- Dimmi un altro insulto e ti sbatto contro il muro. - fece lui con tono provocatorio, ma allo stesso tempo sensuale.

L'ho detto e lo ripeto, non sapevo più cosa inventarmi, perciò rimasi zitto. Lui mi fissò con lo sguardo simile a quello di un cane abbandonato.

- Pensavo fossi innamorato di me. - fece in tono deluso Bowie.

- Lo sono. - risposi, alzandomi dal letto. Mi fermai davanti alla scura figura del suo volto sottile e gli accarezzai i capelli. - Ma forse non mi credi. -

Mi bloccò il polso della mano. Si tirò su e mi guardò fisso negli occhi. Okay, la luce che prima occupava la stanza se ne andò quando Angie chiuse la porta, ma sentii i suoi occhi che mi fissavano. Scosse la testa e disse: - Senti, Mick, io sono sposato. Non potrebbe mai funzionare. -

'Sta volta fui io a sbuffare. Conoscevo un mucchio di gente che, anche sposata, trombava con quasi tutta la città, talvolta anche contemporaneamente.

- Okay, ho detto una cazzata. - si scusò lui - Be', ehm, diciamo che Angie è gelosa, ecco. -

Incrociò le mani e alzò le sopracciglia, come se mi volesse dire "Bene, vediamo cosa ti inventi ora" .
Lo guardai scocciato. Bowie non è un tipo da dover raccontare storielle per mollare qualcuno. Glielo dice in faccia. Sperai non durasse molto questa sottospecie di litigata, ma ovviamente sbagliai.

Indicai la porta con il pollice, mi portai le braccia incrociate al petto e borbottai: - Ma se prima mi ha salutato come se niente fosse. -

L'ho fregato. Si stava grattando il mento continuamente e sembrava nella merda. Mi guardò. Mi mise una mano sulla spalla. Odio quando le persone mi guardano in quella maniera, soprattutto quando mi mettono anche la mano sulla spalla. Me l'hanno fatto i miei quando mi dovevano lasciare solo in casa, me l'hanno fatto alcune fidanzatine per mollarmi, me l'hanno fatto quando mi è morto il cane, me l'hanno fatto quando è morto Brian. Mi ricorda un sacco di cose brutte, quel gesto.

- Mick, lo capisci che hai cinque anni in più di me? - mi chiese con un tono di voce che mi ricordò quello di mia madre quando mi disse che Babbo Natale era solo una frottola.

Tutte queste stronzate mi davano alla testa. Seriamente, non ce la facevo più. Scrollai il capo, con uno sguardo compassionevole.

- Ti prego, Dave, se se stai cercando di dirmi che è tutto finito, dimmelo e basta. - feci io, raccattando le mie cose e cominciando a rivestirmi.

Ogni volta che mi vesto, dopo una storiella s'intende, mi ricorda uno di quei film che guardava sempre mia madre; quel genere di film dove l'uomo se la squaglia e la donna rimane da sola, incinta e con un mucchio di bebè frignoni da sfamare. Mia madre ci piangeva su quei film, mentre mio padre rideva così tanto, che quasi il sigaro non se lo ingoiava. In quell'istante, iniziai a pensare che fossi incinto e che Bowie mi volesse mollare per non trovarsi un bebè fra i piedi. Molto probabilmente non trovai una scusa abbastanza plausibile per quel suo atteggiamento, che presi per giusta la prima cazzata che mi bolliva in testa.

- Ma è la verità. - mi rispose lui bloccandomi la mano mentre cercavo di rimettermi le mutande. - Sei troppo grande per me. Non te la prendere. -

- Sapevi che Shakespeare si sposò un' attrice di otto anni più grande di lui? - dissi io, infilando la gamba sinistra nel buco del pantalone.

- E' vero. - fece - Ma tu non sei un' attrice gnocca, eh. -

Lo fissai alzando le sopracciglia. Questo era un insulto pesante, ma non gli diedi corda. Sapevo che voleva farlo per ingelosirmi. Infilatomi anche la maglietta, me ne andai. Mi avviai verso la porta, salutai Bowie con un gesto rapido della mano e aprii la maniglia della porta. Quando iniziai a camminare per il corridoio, sentì Bowie aprir la porta.

- NON FARE LO STRONZO. - mi urlò alle spalle - NON SEI MICA L'UNICO UOMO CHE MI SONO PORTATO A LETTO. -

Mi girai verso di lui. Qualcosa mi è uscito da dentro. Qualcosa come il piccolo Mick, capriccioso e lagnoso. Una lacrima mi rigò il volto. Lo guardai con lo stesso sguardo che un bambino scaglia alla propria madre quando non gli compra il giocattolo desiderato. E io lo desideravo così tanto quel giocattolo.

- NON E' VERO. - dissi con lo stesso tono di un bambino - MENTI. E' UNA FROTTOLA. MI AMI, LO SO. -

Mi resi conto di aver un tono abbastanza ridicolo, stupido, infantile. Bowie mi guardò, a braccia conserte, scuotendo il capo. Faceva di tutto per farmi girare le palle. Non lo sopportavo.

- Ti amo tanto, amore mio. - disse ridacchiando, dopo avermi lanciato dei bacetti.

Inutile ripetere che ero imbufalito. Camminai, fino ad arrivare in cucina, dove trovai Angie e la sua casalinga sconvolta. Angela mi era sempre piaciuta. Lei e Bowie erano molto carini e felici, insieme. Mi sorrise, scoprendo quasi tutti i denti. Si stava preparando un caffè.

- Michael, vuoi un caffè? - mi chiese con dolcezza.

Io mi stavo dirigendo verso l'uscita, quando mi bloccai di colpo. Angie mi piazzò sotto gli occhi la tazza di caffè. Guardai con particolare attenzione il caffè che mi aveva preparato. 'Perché me lo stava offrendo?' mi chiesi. Notai una sfumatura violastra, nella tazza che mi aveva dato, ma sono quasi sicuro che era veleno, e quella mi voleva uccidere. La guardai con occhi sgranati. Con il palmo della mano, spostai la tazzina verso di lei.

Mi ripresi la giacca che avevo lasciato su una poltrona, vicino all'ingresso, e la fasciai sul mio braccio, come una benda. Poggiai una mano sulla maniglia della porta. Per qualche secondo chiusi gli occhi. Riuscivo a sentire David, che dall'altra stanza urlava: 'AMORE, NON SCAPPARE'. Feci un respiro profondo, cercando di non sentire quel coglione che emaneva urletti poco virili. Feci forza sulla maniglia ed aprii la porta. Mi infilai la giacca e camminai nel vuoto più assoluto. 'Dove cazzo credi di andare, Mick?'  mi chiesi. Ah, sinceramente non lo so.

Dopo poco, mi resi conto di non aver preso le mie scarpe. Ero così sopraffatto dall'ira che non me ne sono reso conto. Non avevo nessuna intenzione di rientrare in casa, perciò cercai una fermata dell'autobus. Mi piaceva camminare nella notte. Quello che non mi piaceva, invece, era il freddo che provavo sotto i piedi. Peccato che i negozi di scarpe non siano aperti alle tre del mattino. Tuttavia, non era male camminare a piedi scalzi sul marciapiede. Mi ricordava il mio amico hippie, John Lennon. Ah, quella peste, mi mancava così tanto.

Trovai il cartello delle fermate degli autobus. Dannazione, mi ero completamente dimenticato che erano le tre del mattino. Ero solo, senza meta e anche senza scarpe. Mi sedetti su una panchina, mettendomi la testa tra le mani. Iniziai a piangere, senza motivo. Le mie guancie erano fradice. Alzai il viso, quando una luce mi accecò. Ero già morto? Mi trovavo in paradiso? Sentii una voce, ma non riuscii a capir bene ciò che mi disse.

- SONO TROPPO GIOVANE. - urlai, con le lacrime che sembravano rubinetti - PRENDITI LA REGINA. LEI E' PIU' POTENTE DI ME, CI FARESTI UNA FORTUNA. -

Mi coprii gli occhi con il palmo delle mani, per non vedere la morte in faccia. Fortunatamente sentii un clakson e, se mi hanno insegnato bene, la morte non va in giro con una macchina a terrorizzare la gente. Misi le mani a coppola e sgranai gli occhi per capire chi fosse il proprietario di quel macchinario. Era una macchina nera, con una scritta laterale: 'TAXI'. Il taxista abbassò il finestrino e mi squadrò dall'alto al basso, sistemandosi il cappello. Era un uomo abbastanza in carne, con un ruporto di capelli neri, occhi verdi e delle basette, che andavano di moda a quei tempi.

- Scusami, giovanotto, ti serve un passaggio? - mi chiese il taxista.

- Sì. - singhiozzai, io - Sì, grazie, Sir. -

Aprii lo sportello della macchina e mi misi a sedere. Mi asciugai il viso con il polso destro, appoggiai la testa sul vetro del finestrino e guardai la panchina, dove qualche secondo prima ci sedevano le mie chiappe.

- Dove la porto? - mi chiese.

Tornare a casa, ecco il problema. Non volevo tornarci proprio ora. Tutto mi ricordava Bowie: Keith, Charlie, Bill, la mia fisarmonica, il cielo, le stelle, il prato, tutto. Non volevo rispondere, volevo essere portato via, in un posto sconosciuto dall'uomo.

- Il più lontano da qui. - sussurai io malinconico.

Guardai un'ultima volta la panchina. Cominciai a pensare a Dave e al perché si comportasse così.
Non capivo cosa voleva da me. Non capivo cosa dargli. Non capivo nulla, ma sentivo che qualcosa in lui mi attraeva, sin dal primo giorno che lo conobbi. Sarà stato il suo fascino, sarà stato il suo comportamento immaturo, non lo so di preciso. Volevo solo che fosse mio. Solo mio.




Don't you worry 'bout what's on your mind, oh my.

Okay, forse non è come me l'aspettavo. Anche se Jagger che fa il cane bastonato, ehw, è così puccetto.
Forse il mio vicino di casa identico a David mi ha influenzato troppo, DECISAMENTE TROPPO.
Ho tipo un immagine, in camera mia, di loro due che ridono. Mi ha aiutato molto a scrivere. Cioè, quei bei faccini sorridenti, aw.
Spero vi sia piaciuta. Il prossimo capitolo dovrebbe essere della mia amica, Ivory, che saluto e stritolo in un forte e caldo abbraccio, deheh.
Cielo, ultimamente mi sono resa conto che scrivo solo fiction a quattro mani. Sono incapace di fare qualcosa di concreto, da sola.
LET'S SPEND THE NIGHT TOGETHER, NOW I NEED YOU MORE THAN EVER. LET'S SPEND THE NIGHT TOGETHER, NOW.
Me la squaglio. Al prossimo capitolo, pivelli.
Pace e Amore e quant'altro.

- Dick

  
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