+ CAPITOLO UNO+
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LA FAMIGLIA MCDONALDg
La famiglia McDonald
abitava da molti anni nella graziosa villetta, dal tetto rosso situata nell’ Hampstead. Composta dal Dottor Jonathan McDonald, la
signora Nora Sanders e le due figlie Elisabeth e Natalie McDonald, la famiglia
viveva in felice armonia con i vicini Babbani.
Certo,
le piccole dovevano stare attente quando volavano sulle loro
scope ma, così come il signor McDonald aveva fatto in modo di rendere “poco
visibili” i continui gufi e allocchi che andavano e venivano, l’uomo aveva
anche fatto in modo di rendere poco “percepibili” due graziose fanciulle a
cavallo di scope magiche.
Del resto, nonostante
trovasse volare uno sport decisamente pericoloso, “non
sapete quanti finiscono da noi per dei voli andati male” diceva spesso, non poteva
impedire alle figlie di farlo. Questo perché la loro madre era una ideatrice di scope.
- Sarai pure tu a realizzare
quei oggetti infernali… ma non vedo perché
sperimentare le tue creazioni sulle nostre bambine! - diceva spesso l’uomo alla
moglie.
- Credi che lascerei
le mie figlie salire su scope poco sicure, Dottor Jonathan? – rispondeva quindi
la moglie, incrociando le braccia e fingendosi offesa.
- E
quella volta che il tuo prototipo si è rifiutato di eseguire gli ordini di
Natalie? – ribatteva allora l’uomo, tirando di nuovo fuori la volta in cui una
scopa, non ancora in commercio, portata a casa dalla signora McDonald, si era
bloccata a mezz’aria impedendo a Natalie di scendere e aveva cominciato a
disarcionarla come un cavallo sbizzarrito.
- Sai benissimo che la
scopa non aveva niente che non andava. – rispondeva allora la donna annoiata;
aveva perso il conto di quante volte avessero affrontato la stessa discussione.
– Ma che tua figlia è una birbante. Qualsiasi scopa si
sarebbe rifiutata di fare le pazzie che voleva lei! – spiegava, cercando di
nascondere un sorriso di ammirazione per la figlia e
ripensando a quante volte lei, da giovane, aveva provato a fare le stesse cose.
- Mia? TUA figlia vorrai dire! – sottolineava allora
l’uomo.
- Nostre! Guardale… saranno due bravissime streghe! – concludeva quindi la donna, gettando le braccia sul collo del
marito e strappandogli un sorriso.
In effetti, la signora
McDonald non aveva torto. Nessuno, mago o babbano che fosse, avrebbe potuto
mettere in dubbio che Elisabeth e Natalie fossero le figlie di Jonathan
McDonald e Nora Sanders.
La più grande,
Elisabeth, era il ritratto di sua madre: capelli castani mossi, occhi
leggermente a mandorla, labbra carnose, naso piccolo un po’ a patata,
carnagione olivastra e un fisico dalle promettenti forme, nonostante la giovane
età. Il suo carattere era, invece, tale a quello di suo padre: molto
intelligente, responsabile, coscienziosa. Elisabeth era anche a volte, un po’
troppo diplomatica, per non dire paurosa.
La sorella, Natalie, invece,
aveva preso le caratteristiche fisiche del padre e il carattere della madre.
Era molto snella, aveva i capelli lisci e biondi che portava corti e sfilzati, gli
occhi erano grandi, il naso delicato leggermente all’insù, la carnagione chiara
e la bocca un po’ troppo larga. Come sua madre, era invece molto coraggiosa,
spigliata, sempre pronta al sorriso, anche quando si trasformava in una vera
pasticciona combina guai o nella “svampita”, che finiva
per non pensare mai prima di agire.
L’unica cosa che i
quattro avevano in comune era il colore degli occhi scuri, praticamente
neri.
Un’altra scenetta
ricorrente nella villetta dal tetto rosso ad
Hampstead, appartenuta un tempo ad una babbana, la dottoressa Esther Cromer, la
madre di Jonathan, era la storia di come i nonni si erano conosciuti.
Fin da piccole, le due
sorelle costringevano il padre a raccontare come una dottoressa babbana avesse
conosciuto e sposato un guaritore del San Mungo, il
loro nonno. Era la loro storia preferita, così incredibile e romantica.
La dottoressa Cromer,
che aveva sempre vissuto nell’Hampstead, non aveva mai sospettato l’esistenza del
modo magico. Fu per lei infatti un vero colpo
risvegliarsi in un enorme letto al
San Mungo, con l’ultimo ricordo di aver mentito, per tranquillizzarlo, ad un
bambino, dicendogli che l’iniezione che stava per fargli non sarebbe stata dolorosa.
- E perché era finita al San Mungo? – chiedeva Elisabeth, anche se
conosceva la risposta a memoria.
-
Il bambino che il medico stava visitando, figlio di due babbani che conoscevano
Esther fin da piccola, era un mago. Aveva solo nove anni
e, quindi, nessuno avrebbe potuto sospettare che avesse
dei poteri. – cominciava a spiegare serio l’uomo, assumendo l’espressione
riflessiva di quando esercitava la sua professione: come suo padre, anche lui
era un Guaritore. – Ma, come sapete, gli incantesimi
inconsci di un bambino possono rivelarsi molto potenti. – continuava solenne.
- E
cosa era successo alla dottoressa Cromer? – domandava allora Natalie, ma anche
lei conosceva la risposta.
- Il bambino le aveva
gettato addosso un incantesimo restringente. C’era
voluto un bel po’ alla squadra di soccorso per ritrovare la dottoressa che,
svenuta, era finita sotto la siringa. Non tanto quanto ci sia voluto a vostro
nonno per farla tornare di dimensioni normali! – spiegò divertito. – Da brava
dottoressa, non voleva saperne di inghiottire le pozioni che lui le porgeva. Non
senza saperne tutti i componenti e effetti collaterali,
almeno. – aggiungeva divertito.
- E
poi? – chiedevano quindi le due bambine contemporaneamente.
-
Beh… e poi… convincere la nonna che un matrimonio misto fosse perfettamente
normale sia per i babbani che per i maghi, fu ancora più difficile.
– rispondeva l’uomo, continuando a sorridere. – Si era innamorato di lei fin da
quando l’aveva vista, piccola come una formichina, rigirarsi incredula su uno
dei grandi letti del quarto piano. – concludeva il
signor McDonald con un po’ di tristezza, mentre imboccava le coperte alle due bambine.
- Adesso però dormite!
- ordinava infine alle figlie che lo
guardavano pronte a fare qualche altra domanda.
Alle
piccole quel racconto piaceva molto, ma quello che non sapevano
era che, sebbene al loro padre piacesse raccontarlo, farlo lo rattristava. Lui
non aveva niente contro i Babbani: suo padre era un Mago Purosangue, per quanto
fosse possibile essere ancora dei veri Purosangue ma, nonostante ciò, la sua
famiglia non aveva mai badato a queste cose, così come non lo faceva lui. Per
lui i maghi erano tutti uguali: purosangue, mezzosangue o magonò che fossero. Così
come per lui erano perfettamente uguali Maghi e Babbani. Lui stesso, per volere
di sua madre, finché non ebbe compiuto undici anni,
aveva frequentato una scuola babbana. Sua madre che, nonostante lo “scontro”
iniziale con la magia, era molto affascinata da quel
mondo così magico, voleva comunque che suo figlio conoscesse il suo, di mondo.
No, Jonathan non
rinnegava le sue origini babbane. Non si vergognava di avere una mamma
“normale”, né disprezzava l’essere un mezzosangue. Quello che rattristava Jonathan
era l’ostinata insistenza di suo padre nel promuovere i vantaggi di unire il
mondo magico e non, anche in tempi in cui questo era un pericolo mortale. Secondo
l’uomo era infatti questo che aveva portato alla morte
dei suoi genitori. Morte voluta da Voldemort, quando
aveva deciso, grazie al suo immenso potere e al suo esercito, di ripulire la
stirpe di maghi da tutti quelli che l’avevano, secondo lui, infangata.
Quindi Jonathan, come
molti altri studenti di Hogwarts, doveva la sua vita a Silente, o comunque alla scuola. In quanto tutti
si trovavano proprio ad Hogwarts quando le loro dimore erano state contrassegnate
dal Marchio Nero.
Era per questo, perché
la stessa cosa era già capitata ad altri studenti in quei tempi, che, quando Jonathan
ricevette in piena notte una richiesta da parte di Silente di raggiungerlo nel
suo ufficio, capì subito cosa fosse successo. Senza battere ciglio, il ragazzo aveva
attraversato i deserti corridoi di Hogwarts, dritto verso l’ufficio del preside
e una volta davanti al gargoyle aveva trovato Silente
ad attenderlo. L’uomo l’aveva salutato con gentilezza e lo aveva invitato a
salire nel suo ufficio.
- Credo possa anche
dirmi qui cosa sia successo, Preside. – gli aveva risposto freddamente Jonathan.
Non sapeva se era il dolore che parlava per lui, o il suo carattere timido a
tal punto da non volersi lasciare andare davanti a Silente.
- Preferirei salire,
se non le dispiace, signor McDonald. – aveva replicato tranquillo Silente.
Il ragazzo aveva
pensato d’insistere ma, guardando il Preside, capì che
sarebbe stato inutile. Silente voleva che lo seguisse e non gli avrebbe detto
niente nel corridoio.
Una
volta salite le scale a chiocciola ed entrati nell’ufficio di
Silente, per un attimo Jonathan aveva dimenticato cosa ci facesse là. Non era
mai stato nello studio di Silente e quindi non poté fare a meno di rimanerne
sbalordito: c’era un concentrato di cose bizzarre e rare in quella stanza, che
fino ad allora il ragazzo aveva visto solo nei libri.
Quanto era stato sciocco in quella situazione! Rapito da tanti oggetti insoliti,
aveva dimenticato il motivo per cui era in quella
stanza.
- Quella è una fenice…
so che hanno poteri incredibili! Delle fenici sarebbero
davvero utili a papà al San Mungo! – aveva detto senza pensare, guardando rapito
Fanny; aveva letto tutto sulle fenici, soprattutto
della loro capacità di guarire ferite mortali.
- Sì… vuoi accomodarti
Jonathan? – era stata la riposta di Silente.
Per Jonathan, quelle
parole avevano sortito l’effetto di una doccia fredda.
Aveva, per un attimo, davanti ai tesori di quella stanza, dimenticato il motivo
per cui era là. Ma il tono confidenziale e dolce di
Silente lo avevano riportato alla realtà. A suo padre
una fenice non sarebbe certo servita più, né per l’ospedale né per se stesso. Non
c’era rimedio contro l’Avada Kedavra!
Dopo averlo fatto
accomodare, il Preside aveva cominciato a parlare, ma lui non voleva sentire
quelle parole. Infondo perché? Lo sapeva già, nessuno glielo aveva già detto,
ma era chiaro. Silente non aveva l’abitudine di chiamare nel suo ufficio gli
studenti nel cuore della notte!
- Non vuoi neanche
sapere come? – gli aveva chiesto allora l’uomo.
- E
perché? Alla fine va sempre allo stesso modo, no? AVADA KEDAVRA! – era stata la
risposta del ragazzo. Forse era davvero il dolore a parlare
per lui, ma non solo il dolore della perdita: anche il dolore per non essere
mai riuscito a fermare suo padre dall’attirare l’attenzione su di lui e il suo
matrimonio misto, si faceva sentire.
- Tuo padre era un grande mago e un eccelso Guaritore. Così come tua madre era
una Babbana incredibile! Niente avrebbe potuto evitare… - aveva
ripreso a dire Silente, come se avesse letto nella mente del ragazzo.
Ma
il giovane lo guardò interrompendolo. Per lui non era così, potevano chiamarlo
vigliacco, vile, traditore, egoista, ma era dell’idea che bisognasse
non buttarsi mai nella mischia. Lui non aveva problemi con nessuno e non vedeva
perché dovesse andare a cercarseli. Suo padre si era innamorato di una Babbana.
Aveva potuto sposarla? Perfetto! Perché continuare ad
attirare l’attenzione su di sé professando idee che sapeva pericolose di quei
tempi? Non si era mai fermato a pensare a lui, suo figlio? O
alla moglie? Con dolore Jonathan pensò per un attimo a sua madre, lei era solo una Babbana, sarebbe dovuta morire per cause
magiche. Non era giusto!
A quel punto Silente aveva
parlato nuovamente, come se avesse seguito il filo dei suoi pensieri ed avesse
atteso paziente che lui arrivasse a quel punto.
- Stai per finire la
scuola e tu sei un ottimo mago. So che vuoi diventare guaritore, come tuo
padre, ma forse una breve esperienza come “auror” potrebbe
essere… illuminante! – aveva cominciato a dire Silente fissando Jonathan. – Quindi,
se vorrai fare qualcosa per aiutarci nella lotta contro chi…
- aveva continuato, ma fu di nuovo interrotto dal ragazzo.
- NO! – fu la risposta
secca e decisa del giovane. Sì, potevano chiamarlo vigliacco, ma non avrebbe
dato la lotta a Voldemort per vendetta. Lui non credeva giusto mettere in
pericolo la propria vita, se non necessario. La morte di sua madre era stata
ingiusta, ma lui non poteva fare più niente ormai.
- Diventerò
Guaritore al San Mungo, come mio padre. – aveva dichiarato sicuro,
fissando Silente. - Là sarò lieto di guarire chiunque mi verrà
portato. E’ questo che voglio nella vita. Voglio salvare le persone, non
ucciderle. – concluse, alzandosi dalla sedia e chiedendo al Preside
il permesso di tornare in stanza.
Non seppe mai se
Silente trovasse giusta o meno la sua decisione, ma il
Preside non cercò mai di convincerlo del contrario o di rimproverarlo per le
sue scelte, anche se le loro strade si sarebbero incrociate altre volte.
La vita della moglie
di Jonathan fu più tranquilla. Sua madre e suo padre
erano due maghi normali che si erano conosciuti a scuola, infatti entrambi
avevano frequentato Hogwarts. I due, come del resto la loro figlia, non
eccellevano nelle doti magiche e a scuola erano Tassorosso. In particolare, sua
madre le raccontava spesso che, quando le era arrivata
la lettera di Hogwarts, i suoi genitori erano rimasti molto sorpresi: erano
infatti convinti che lei fosse una maganò.
Gestivano da una vita
la farmacia a Diagon Alley dove praticamente tutti gli
studenti di Hogwarts facevano i loro acquisti per pozioni. Nora quindi non
aveva mai vissuto la guerra condotta da Voldemort, se non attraverso le notizie
che la raggiungevano a scuola e l’attacco subito dai genitori del suo
fidanzato, Jonathan.
Eppure, nonostante ciò,
al contrario di lui, voleva combattere. Era una strega
coraggiosa, pronta a mettersi alla prova e forse proprio per questo era finita
a Grifondoro, nonostante le sue qualità come maga non fossero poi molte. Il suo
sogno era quello di diventare Auror, ma aveva dovuto abbandonarlo fin dal sesto
anno quando, dai voti dei suoi G.U.F.O., era chiaro che non avrebbe potuto accedere alle materie
necessarie per diventarlo. Quindi, quando venne a conoscenza
dell’Ordine della Fenice, finita la scuola, decise che ne avrebbe fatto parte.
Lo desiderava in tutti
i modi, lo desiderava a tal punto da lasciare l’uomo che amava per combattere. Jonathan infatti era contrario alla sua idea e lei furiosa gli aveva
urlato che era solo un vigliacco.
Dopo quella sfuriata,
sapeva di averlo perso, sapeva che non sarebbe potuta più tornare da lui. Ma neanche ci provò. Dopo il categorico rifiuto di Silente
di farle fare parte dell’Ordine, si era rifiutata di tornare da Jonathan, in quanto sapeva che fosse stato lui a chiedere al Preside
di non permetterle di lottare. Il suo caratterino
deciso non le fece credere neanche per un istante che forse Silente non la
voleva nell’Ordine perché, conoscendo le sue capacità come maga, credeva che
lei non fosse all’altezza.
Fu solo dopo la morte
dei Potter e la sparizione di Voldemort che Nora perdonò Jonathan.
In effetti, lui aveva
chiesto a Silente di impedire a Nora la partecipazione all’Ordine. Ma, come
piaceva ricordare a Jonathan, non è che il loro vecchio preside fosse particolarmente triste di non averla tra i piedi.
P.s. Ringrazio Izumi… la mia FANTASTICA beta!!!