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Autore: Miss Weasley    02/02/2007    2 recensioni
- Non per vantarci ma, sapete, ad Hogwarts siamo piuttosto famose… - cominciò a dire una piccola strega di circa quattordici anni, rivolgendosi agli utenti di EFP che avevano appena cliccato la pagina “Ultime storie ”.
– È per questo che, nonostante… - continuò la ragazzina, salvo bloccarsi improvvisamente come se un nodo le si fosse formato in gola. - … nonostante tutto… non possiamo non tornare a scuola l’anno prossimo. – aggiunse seria, smuovendo i capelli biondi.
- Oh… ma piantala! – disse un’altra giovane maga, di poco più grande ma con gli stesi grandi occhi neri, interrompendola. – Nessuno sa chi siamo… altro che famose! – la contraddisse annoiata.
- Parla per te… - replicò la prima ragazza. – Io sono apparsa nel quarto libro! – aggiunse trionfante.
- Una volta! – replicò la seconda ragazza, alzando gli occhi al cielo!
- Sempre una in più di te! – fu la risposta che diede la biondina, mostrando all’altra la lingua. – Non vi ricordate? Prendete il quarto libro a pagina 157: mi vedete? Ancora no? Guardate meglio alla riga 34! Letto?– continuò a chiedere, rivolgendosi agli utenti di EFP.
“… mentre “McDonald Natalie!” si univa al tavolo di Grifondoro…”
Visto? – tornò a domandare dopo aver letto la frase che la riguardava. - E questa è mia sorella, Elisabeth McDonald! – concluse indicando la brunetta che aveva di fianco.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Corvonero, Nuovo, personaggio, Serpeverde, Tassorosso
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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h LA FAMIGLIA MCDONALDg

La famiglia McDonald abitava da molti anni nella graziosa villetta, dal tetto rosso situata nell’ Hampstead. Composta dal Dottor Jonathan McDonald, la signora Nora Sanders e le due figlie Elisabeth e Natalie McDonald, la famiglia viveva in felice armonia con i vicini Babbani.

Certo, le piccole dovevano stare attente quando volavano sulle loro scope ma, così come il signor McDonald aveva fatto in modo di rendere “poco visibili” i continui gufi e allocchi che andavano e venivano, l’uomo aveva anche fatto in modo di rendere poco “percepibili” due graziose fanciulle a cavallo di scope magiche.

Del resto, nonostante trovasse volare uno sport decisamente pericoloso, “non sapete quanti finiscono da noi per dei voli andati male” diceva spesso, non poteva impedire alle figlie di farlo. Questo perché la loro madre era una ideatrice di scope.

- Sarai pure tu a realizzare quei oggetti infernali… ma non vedo perché sperimentare le tue creazioni sulle nostre bambine! - diceva spesso l’uomo alla moglie.

- Credi che lascerei le mie figlie salire su scope poco sicure, Dottor Jonathan? – rispondeva quindi la moglie, incrociando le braccia e fingendosi offesa.

- E quella volta che il tuo prototipo si è rifiutato di eseguire gli ordini di Natalie? – ribatteva allora l’uomo, tirando di nuovo fuori la volta in cui una scopa, non ancora in commercio, portata a casa dalla signora McDonald, si era bloccata a mezz’aria impedendo a Natalie di scendere e aveva cominciato a disarcionarla come un cavallo sbizzarrito.

- Sai benissimo che la scopa non aveva niente che non andava. – rispondeva allora la donna annoiata; aveva perso il conto di quante volte avessero affrontato la stessa discussione. – Ma che tua figlia è una birbante. Qualsiasi scopa si sarebbe rifiutata di fare le pazzie che voleva lei! – spiegava, cercando di nascondere un sorriso di ammirazione per la figlia e ripensando a quante volte lei, da giovane, aveva provato a fare le stesse cose.

- Mia? TUA figlia vorrai dire! – sottolineava allora l’uomo.

- Nostre! Guardale… saranno due bravissime streghe! – concludeva quindi la donna, gettando le braccia sul collo del marito e strappandogli un sorriso.

In effetti, la signora McDonald non aveva torto. Nessuno, mago o babbano che fosse, avrebbe potuto mettere in dubbio che Elisabeth e Natalie fossero le figlie di Jonathan McDonald e Nora Sanders.

La più grande, Elisabeth, era il ritratto di sua madre: capelli castani mossi, occhi leggermente a mandorla, labbra carnose, naso piccolo un po’ a patata, carnagione olivastra e un fisico dalle promettenti forme, nonostante la giovane età. Il suo carattere era, invece, tale a quello di suo padre: molto intelligente, responsabile, coscienziosa. Elisabeth era anche a volte, un po’ troppo diplomatica, per non dire paurosa.

La sorella, Natalie, invece, aveva preso le caratteristiche fisiche del padre e il carattere della madre. Era molto snella, aveva i capelli lisci e biondi che portava corti e sfilzati, gli occhi erano grandi, il naso delicato leggermente all’insù, la carnagione chiara e la bocca un po’ troppo larga. Come sua madre, era invece molto coraggiosa, spigliata, sempre pronta al sorriso, anche quando si trasformava in una vera pasticciona combina guai o nella “svampita”, che finiva per non pensare mai prima di agire.

L’unica cosa che i quattro avevano in comune era il colore degli occhi scuri, praticamente neri.

Un’altra scenetta ricorrente nella villetta dal tetto rosso ad Hampstead, appartenuta un tempo ad una babbana, la dottoressa Esther Cromer, la madre di Jonathan, era la storia di come i nonni si erano conosciuti.

Fin da piccole, le due sorelle costringevano il padre a raccontare come una dottoressa babbana avesse conosciuto e sposato un guaritore del San Mungo, il loro nonno. Era la loro storia preferita, così incredibile e romantica.

La dottoressa Cromer, che aveva sempre vissuto nell’Hampstead, non aveva mai sospettato l’esistenza del modo magico. Fu per lei infatti un vero colpo risvegliarsi in un enorme letto al San Mungo, con l’ultimo ricordo di aver mentito, per tranquillizzarlo, ad un bambino, dicendogli che l’iniezione che stava per fargli non sarebbe stata dolorosa.

- E perché era finita al San Mungo? – chiedeva Elisabeth, anche se conosceva la risposta a memoria.

- Il bambino che il medico stava visitando, figlio di due babbani che conoscevano Esther fin da piccola, era un mago. Aveva solo nove anni e, quindi, nessuno avrebbe potuto sospettare che avesse dei poteri. – cominciava a spiegare serio l’uomo, assumendo l’espressione riflessiva di quando esercitava la sua professione: come suo padre, anche lui era un Guaritore. – Ma, come sapete, gli incantesimi inconsci di un bambino possono rivelarsi molto potenti. – continuava solenne.

- E cosa era successo alla dottoressa Cromer? – domandava allora Natalie, ma anche lei conosceva la risposta.

- Il bambino le aveva gettato addosso un incantesimo restringente. C’era voluto un bel po’ alla squadra di soccorso per ritrovare la dottoressa che, svenuta, era finita sotto la siringa. Non tanto quanto ci sia voluto a vostro nonno per farla tornare di dimensioni normali! – spiegò divertito. – Da brava dottoressa, non voleva saperne di inghiottire le pozioni che lui le porgeva. Non senza saperne tutti i componenti e effetti collaterali, almeno. – aggiungeva divertito.

- E poi? – chiedevano quindi le due bambine contemporaneamente.

- Beh… e poi… convincere la nonna che un matrimonio misto fosse perfettamente normale sia per i babbani che per i maghi, fu ancora più difficile. – rispondeva l’uomo, continuando a sorridere. – Si era innamorato di lei fin da quando l’aveva vista, piccola come una formichina, rigirarsi incredula su uno dei grandi letti del quarto piano. – concludeva il signor McDonald con un po’ di tristezza, mentre imboccava le coperte alle due bambine.

- Adesso però dormite! - ordinava infine alle figlie che lo guardavano pronte a fare qualche altra domanda.

Alle piccole quel racconto piaceva molto, ma quello che non sapevano era che, sebbene al loro padre piacesse raccontarlo, farlo lo rattristava. Lui non aveva niente contro i Babbani: suo padre era un Mago Purosangue, per quanto fosse possibile essere ancora dei veri Purosangue ma, nonostante ciò, la sua famiglia non aveva mai badato a queste cose, così come non lo faceva lui. Per lui i maghi erano tutti uguali: purosangue, mezzosangue o magonò che fossero. Così come per lui erano perfettamente uguali Maghi e Babbani. Lui stesso, per volere di sua madre, finché non ebbe compiuto undici anni, aveva frequentato una scuola babbana. Sua madre che, nonostante lo “scontro” iniziale con la magia, era molto affascinata da quel mondo così magico, voleva comunque che suo figlio conoscesse il suo, di mondo.

No, Jonathan non rinnegava le sue origini babbane. Non si vergognava di avere una mamma “normale”, né disprezzava l’essere un mezzosangue. Quello che rattristava Jonathan era l’ostinata insistenza di suo padre nel promuovere i vantaggi di unire il mondo magico e non, anche in tempi in cui questo era un pericolo mortale. Secondo l’uomo era infatti questo che aveva portato alla morte dei suoi genitori. Morte voluta da Voldemort, quando aveva deciso, grazie al suo immenso potere e al suo esercito, di ripulire la stirpe di maghi da tutti quelli che l’avevano, secondo lui, infangata.

Quindi Jonathan, come molti altri studenti di Hogwarts, doveva la sua vita a Silente, o comunque alla scuola. In quanto tutti si trovavano proprio ad Hogwarts quando le loro dimore erano state contrassegnate dal Marchio Nero.

Era per questo, perché la stessa cosa era già capitata ad altri studenti in quei tempi, che, quando Jonathan ricevette in piena notte una richiesta da parte di Silente di raggiungerlo nel suo ufficio, capì subito cosa fosse successo. Senza battere ciglio, il ragazzo aveva attraversato i deserti corridoi di Hogwarts, dritto verso l’ufficio del preside e una volta davanti al gargoyle aveva trovato Silente ad attenderlo. L’uomo l’aveva salutato con gentilezza e lo aveva invitato a salire nel suo ufficio.

- Credo possa anche dirmi qui cosa sia successo, Preside. – gli aveva risposto freddamente Jonathan. Non sapeva se era il dolore che parlava per lui, o il suo carattere timido a tal punto da non volersi lasciare andare davanti a Silente.

- Preferirei salire, se non le dispiace, signor McDonald. – aveva replicato tranquillo Silente.

Il ragazzo aveva pensato d’insistere ma, guardando il Preside, capì che sarebbe stato inutile. Silente voleva che lo seguisse e non gli avrebbe detto niente nel corridoio.

Una volta salite le scale a chiocciola ed entrati nell’ufficio di Silente, per un attimo Jonathan aveva dimenticato cosa ci facesse là. Non era mai stato nello studio di Silente e quindi non poté fare a meno di rimanerne sbalordito: c’era un concentrato di cose bizzarre e rare in quella stanza, che fino ad allora il ragazzo aveva visto solo nei libri. Quanto era stato sciocco in quella situazione! Rapito da tanti oggetti insoliti, aveva dimenticato il motivo per cui era in quella stanza.

- Quella è una fenice… so che hanno poteri incredibili! Delle fenici sarebbero davvero utili a papà al San Mungo! – aveva detto senza pensare, guardando rapito Fanny; aveva letto tutto sulle fenici, soprattutto della loro capacità di guarire ferite mortali.

- Sì… vuoi accomodarti Jonathan? – era stata la riposta di Silente.

Per Jonathan, quelle parole avevano sortito l’effetto di una doccia fredda. Aveva, per un attimo, davanti ai tesori di quella stanza, dimenticato il motivo per cui era là. Ma il tono confidenziale e dolce di Silente lo avevano riportato alla realtà. A suo padre una fenice non sarebbe certo servita più, né per l’ospedale né per se stesso. Non c’era rimedio contro l’Avada Kedavra!

Dopo averlo fatto accomodare, il Preside aveva cominciato a parlare, ma lui non voleva sentire quelle parole. Infondo perché? Lo sapeva già, nessuno glielo aveva già detto, ma era chiaro. Silente non aveva l’abitudine di chiamare nel suo ufficio gli studenti nel cuore della notte!

- Non vuoi neanche sapere come? – gli aveva chiesto allora l’uomo.

- E perché? Alla fine va sempre allo stesso modo, no? AVADA KEDAVRA! – era stata la risposta del ragazzo. Forse era davvero il dolore a parlare per lui, ma non solo il dolore della perdita: anche il dolore per non essere mai riuscito a fermare suo padre dall’attirare l’attenzione su di lui e il suo matrimonio misto, si faceva sentire.

- Tuo padre era un grande mago e un eccelso Guaritore. Così come tua madre era una Babbana incredibile! Niente avrebbe potuto evitare… - aveva ripreso a dire Silente, come se avesse letto nella mente del ragazzo.

Ma il giovane lo guardò interrompendolo. Per lui non era così, potevano chiamarlo vigliacco, vile, traditore, egoista, ma era dell’idea che bisognasse non buttarsi mai nella mischia. Lui non aveva problemi con nessuno e non vedeva perché dovesse andare a cercarseli. Suo padre si era innamorato di una Babbana. Aveva potuto sposarla? Perfetto! Perché continuare ad attirare l’attenzione su di sé professando idee che sapeva pericolose di quei tempi? Non si era mai fermato a pensare a lui, suo figlio? O alla moglie? Con dolore Jonathan pensò per un attimo a sua madre, lei era solo una Babbana, sarebbe dovuta morire per cause magiche. Non era giusto!

A quel punto Silente aveva parlato nuovamente, come se avesse seguito il filo dei suoi pensieri ed avesse atteso paziente che lui arrivasse a quel punto.

- Stai per finire la scuola e tu sei un ottimo mago. So che vuoi diventare guaritore, come tuo padre, ma forse una breve esperienza come “auror” potrebbe essere… illuminante! – aveva cominciato a dire Silente fissando Jonathan. – Quindi, se vorrai fare qualcosa per aiutarci nella lotta contro chi… - aveva continuato, ma fu di nuovo interrotto dal ragazzo.

- NO! – fu la risposta secca e decisa del giovane. Sì, potevano chiamarlo vigliacco, ma non avrebbe dato la lotta a Voldemort per vendetta. Lui non credeva giusto mettere in pericolo la propria vita, se non necessario. La morte di sua madre era stata ingiusta, ma lui non poteva fare più niente ormai.

- Diventerò Guaritore al San Mungo, come mio padre. – aveva dichiarato sicuro, fissando Silente. - Là sarò lieto di guarire chiunque mi verrà portato. E’ questo che voglio nella vita. Voglio salvare le persone, non ucciderle. – concluse, alzandosi dalla sedia e chiedendo al Preside il permesso di tornare in stanza.

Non seppe mai se Silente trovasse giusta o meno la sua decisione, ma il Preside non cercò mai di convincerlo del contrario o di rimproverarlo per le sue scelte, anche se le loro strade si sarebbero incrociate altre volte.

La vita della moglie di Jonathan fu più tranquilla. Sua madre e suo padre erano due maghi normali che si erano conosciuti a scuola, infatti entrambi avevano frequentato Hogwarts. I due, come del resto la loro figlia, non eccellevano nelle doti magiche e a scuola erano Tassorosso. In particolare, sua madre le raccontava spesso che, quando le era arrivata la lettera di Hogwarts, i suoi genitori erano rimasti molto sorpresi: erano infatti convinti che lei fosse una maganò.

Gestivano da una vita la farmacia a Diagon Alley dove praticamente tutti gli studenti di Hogwarts facevano i loro acquisti per pozioni. Nora quindi non aveva mai vissuto la guerra condotta da Voldemort, se non attraverso le notizie che la raggiungevano a scuola e l’attacco subito dai genitori del suo fidanzato, Jonathan.

Eppure, nonostante ciò, al contrario di lui, voleva combattere. Era una strega coraggiosa, pronta a mettersi alla prova e forse proprio per questo era finita a Grifondoro, nonostante le sue qualità come maga non fossero poi molte. Il suo sogno era quello di diventare Auror, ma aveva dovuto abbandonarlo fin dal sesto anno quando, dai voti dei suoi G.U.F.O., era chiaro che non avrebbe potuto accedere alle materie necessarie per diventarlo. Quindi, quando venne a conoscenza dell’Ordine della Fenice, finita la scuola, decise che ne avrebbe fatto parte.

Lo desiderava in tutti i modi, lo desiderava a tal punto da lasciare l’uomo che amava per combattere. Jonathan infatti era contrario alla sua idea e lei furiosa gli aveva urlato che era solo un vigliacco.

Dopo quella sfuriata, sapeva di averlo perso, sapeva che non sarebbe potuta più tornare da lui. Ma neanche ci provò. Dopo il categorico rifiuto di Silente di farle fare parte dell’Ordine, si era rifiutata di tornare da Jonathan, in quanto sapeva che fosse stato lui a chiedere al Preside di non permetterle di lottare. Il suo caratterino deciso non le fece credere neanche per un istante che forse Silente non la voleva nell’Ordine perché, conoscendo le sue capacità come maga, credeva che lei non fosse all’altezza.

Fu solo dopo la morte dei Potter e la sparizione di Voldemort che Nora perdonò Jonathan.

In effetti, lui aveva chiesto a Silente di impedire a Nora la partecipazione all’Ordine. Ma, come piaceva ricordare a Jonathan, non è che il loro vecchio preside fosse particolarmente triste di non averla tra i piedi.

P.s. Ringrazio Izumi… la mia FANTASTICA beta!!!

  
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