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Autore: literatureonhowtolose    19/07/2012    5 recensioni
{ Phan }
« Di me non importa a nessuno. » mormorò semplicemente, la voce spenta, priva di tono.
Non si girò nemmeno a guardarmi, gli occhi vitrei puntati sul fiume e sulla prepotenza con la quale sbatteva contro le grandi rocce del fondale. Un po’ come la mia vita stava facendo con me, e come probabilmente la sua stava facendo con lui.
Sbatteva contro il mio corpo, la sentivo scuotermi le ossa, squagliarmi gli organi, trapassarmi lo spirito. Farmi male.
E sapevo che lui sentiva altrettanto.
« A me importa. »
E' tutt'ora terrificante quanto fossimo vicini al nulla.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Slash
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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I remember what you said to me, I don’t have to fight alone.
 
There's gotta be another way out
I've been stuck in a cage with my doubt
I've tried forever getting out on my own.
But every time I do this my way
I get caught in the lies of the enemy
I lay my troubles down
I'm ready for you now.
 
Bring me out
come and find me in the dark now
Everyday by myself I'm breaking down
I don't wanna fight alone anymore
Bring me out
from the prison of my own pride
My God
I need a hope I can't deny
In the end I'm realizing I was never meant to fight on my own.
 
« A cosa pensi? »
Levo lo sguardo verso la porta in legno chiaro dall’altra parte del salone e mi accorgo della presenza del mio ragazzo appoggiato allo stipite di essa. Non mi ero reso conto che fosse lì, chissà da quanto è arrivato. Lo conosco bene, so che gli piace guardarmi in silenzio senza farsi notare da me, a volte.
Accenno un sorriso.
« Oggi sono tre anni. » mormoro, guardandolo negli occhi.
Lui beve un sorso dalla tazza fumante che ha in mano: il suo solito caffè. Poi con calma poggia la bevanda sulla prima mensola libera che trova e mi viene incontro, facendomi scorrere un po’ di più verso lo schienale del divano color panna nel quale sono sdraiato.
« Già. »
Sospira, avvinghiandosi a me. Prendo ad accarezzargli i capelli, lentamente. E’ l’unica cosa che ho voglia di fare.
Ci sono dei giorni in cui il semplice pensiero di alzarti per fare qualcosa di produttivo ti dà la nausea, in cui sei esausto a prescindere, in cui non riesci a connettere con il resto del mondo neanche se ci provi in modo disperato. E oggi è un po’ così. Il diciannove luglio del duemiladodici.  
Sono passati ormai tre anni da quando io e Phil ci siamo salvati a vicenda, strappandoci alle grinfie di un destino troppo sbagliato per noi. Ma ogni volta che il diciannove luglio ritorna, con lui torna questo senso di pesantezza, di inadeguatezza. Questo sordo vuoto dentro.
Fuori piove a dirotto, nonostante sia piena estate. In fondo non è una cosa così anormale, a Londra. 
Sento le gocce sbattere con violenza contro i vetri della porta finestra. Ricordo quelle che mi scalfivano la pelle quel giorno, e mi bagnavano i capelli, e i vestiti, e l’anima.
Stringo involontariamente Phil a me, più di quanto non avessi già fatto. Lui strofina il naso contro il mio collo, perché sa benissimo che mi piace quando fa così. 
Sorrido malinconicamente. Il ricordo è così nitido.
 
Ero stufo, ero stufo di tutto. Non c’era una cosa che andasse bene in quel periodo, o almeno così pensava la mia mente da diciottenne omosessuale perso, spaesato, alla quale erano sfuggite un po’ di cose di mano. Un po’ di sentimenti, un po’ di persone, un po’ di vita.
Volevo solo farla finita,  volevo che tutto smettesse di rotearmi intorno. Non volevo più la possibilità di pensare, non ero capace di reggerla.
Avevo deciso di privarmi della mia stessa esistenza. Era il diciannove luglio del duemilanove e pioveva a dirotto. Quella notte ero uscito di casa dicendo ai miei che sarei andato da un amico, ma tanto non gli sarebbe importato se gli avessi detto il vero motivo. Non fecero domande riguardo all’amico in questione o al perché non avessi preso una giacca o quantomeno un ombrello, mi lasciarono andare così, in maniche corte e jeans neri. Ciò che il loro errore umano decideva di fare non era un problema che li riguardava.
Abbastanza vicino a casa mia c’era un fiume non troppo profondo, ma il cui livello doveva essere aumentato a causa delle cattive condizioni climatiche degli ultimi giorni. Sopra quel fiume c’era un ponte, ed era da lì che avevo deciso di buttarmi.
Quando arrivai alla mia meta però, completamente fradicio e con il lungo ciuffo scuro incollato alla  fronte, vidi che c’era qualcuno che mi aveva preceduto.
Un ragazzo se ne stava ritto in piedi al bordo dell’impalcatura e fissava il regime del fiume, decisamente in piena. Anche lui non aveva nulla per ripararsi, perciò la sua giacca in tessuto nero era grondante d’acqua tanto quanto il resto della sua persona.
Capii cos’aveva intenzione di fare, non era difficile arrivarci.
Mi avvicinai a lui, e penso che la mia voce lo colse di sorpresa. 
« Perché? »
Sussultò.
« Di me non importa a nessuno. » mormorò semplicemente, la voce spenta, priva di tono.
Non si girò nemmeno a guardarmi, gli occhi vitrei puntati sul fiume e sulla prepotenza con la quale sbatteva contro le grandi rocce del fondale. Un po’ come la mia vita stava facendo con me, e come probabilmente la sua stava facendo con lui.
Sbatteva contro il mio corpo, la sentivo scuotermi le ossa, squagliarmi gli organi, trapassarmi lo spirito. Farmi male.
E sapevo che lui sentiva altrettanto.
« A me importa. »
Nel momento stesso in cui pronunciai quelle parole, a bassa voce ma con la giusta decisione, capii che era vero. Che per assurdo davvero mi importava, più di lui che di tutto il resto del mondo che non riusciva a comprendere, che non comprendeva nulla. 
Non contava il fatto che non sapessi nemmeno il suo nome, né l’età, né nient‘altro. Le uniche cose che contavano erano il suo sguardo perso in un infinito oblio, il suo corpo reso troppo fragile da tutte le tempeste emotive e la sua voce troppo bassa per essere sentita. La sua voce che aveva paura di farsi sentire. Proprio come la mia.
Finalmente si girò a guardarmi, e lessi la disperazione nel suo viso. La muta richiesta d'aiuto, la voglia di scappare, di riuscire a stare bene.
Affogai nelle sue iridi celesti, e fu talmente bello che pensai di non voler affogare da nessun’altra parte se non lì. Mi voltai verso il fiume e mi spaventai al pensiero di quello che due minuti prima avrei fatto senza rimorsi.
Il ragazzo cadde in ginocchio davanti a me, i capelli neri appiccicati al volto, a coprirglielo. Mi avvicinai a lui e mi abbassai per abbracciarlo.
Lui mi strinse, subito, senza esitazioni. Si aggrappò con le unghie alla mia maglia e affondò il viso nel mio petto, cominciando a singhiozzare. Piansi anche io, così forte che nemmeno lo scrosciare dell’acqua mi fu più udibile.
Urlammo per sfogare la nostra frustrazione, la nostra rabbia. Urlammo contro ciò che non andava, contro ogni cosa che avrebbe potuto portarci all’errore più grande di tutti.
Urlammo contro la vita, che ci aveva respinti con così tanta forza da farci pensare di abbandonarla. Urlammo, piangemmo, soffrimmo insieme. In pochi attimi diventò la persona più importante per me, l’unica in grado di sapere veramente ciò che provavo e l’unica in grado di aiutarmi solo esistendo. Ed io lo diventai per lui.
Non fu mai un rapporto normale, il nostro. Non andò lento, non maturò con calma come ogni relazione, fu come una bomba: esplose e basta. Esplose in un secondo, troppo velocemente perfino per darci il tempo di rendercene conto, e da lì fummo sicuri di non essere più soli. 
Quella sera ci salvammo, e capimmo che un secondo può essere davvero il tutto o il niente. 
 
Ed è tutt’ora terrificante pensare quanto fossimo vicini al nulla.
Scuoto la testa, cercando di scacciare tutti quei pensieri orribili che ormai non dovrei neanche più voler ricordare. Eppure è più forte di me, le immagini rimangono lì, fissate in testa, terribili ma necessarie. Necessarie a ricordare tutto il male che io e Phil abbiamo rischiato di farci, necessarie a ricordare che non dovremo mai più neanche pensare a prendere decisioni del genere.
« Dan? » mi chiama Phil, con la voce incrinata dal pianto.
Sento una lacrima bagnarmi la maglia, e devo fare uno sforzo enorme per evitare di cominciare a piangere con lui.
« Mh? »
« Ti amo. » sussurra.
« Ti amo anche io, Phil. » dico io dolcemente, le lacrime sul punto di scendere.
Lui si allunga verso di me e mi lascia un salato bacio sulle labbra, prima di tornare a rimuginare accoccolato a me su quel divano troppo stretto per tutti e due.
Finalmente la prima gocciolina scende rigandomi il viso, e un peso se ne va. Un po’ di malinconia viene trasportata via con lei, facendomi sorridere malgrado tutto.
Perché nonostante alcuni ricordi siano difficili da riesumare, appartengono al passato e non possono più fare così male. Perché io e Phil ora siamo insieme, e ci prenderemo cura l’uno dell’altro. Non ci permetteremo più di soffrire in quel modo, né di commettere tali errori.
E soprattutto perché sì, in passato siamo stati pericolosamente vicino al nulla..ma non ci siamo buttati fra le sue braccia, siamo risaliti insieme.

Fin.

Due parole a proposito di questa storia.
Dunque. Prima di tutto, sarei un'ipocrita a dire che l'idea per scrivere ciò mi è venuta da sola, perché non è vero. In realtà mi è venuta leggendo questo
messaggio su tumblr, che ho trovato stupendo e commovente. Perciò, mi scuso con chiunque abbia vissuto una storia simile in prima persona, per il fatto di averla "presa in prestito" e colorata un po'.
Poi. I personaggi. Non sono miei, no. Esistono, e sono due youtubers:
danisnotonfire e AmazingPhil. Ho messo la fanfiction fra le originali perché non avevo idea di dove poterla mettere altrimenti. Ovviamente tutto ciò è OOC (circa) e anche AU, per certi versi, visto che nella mia storia non sono youtubers o altro ma solo due ragazzi problematici, però quando ho deciso di scrivere questa one shot sono stati i primi a figurarsi nella mia mente, perciò li ho usati. Anche perché sì, sono una shipper accanita e la Phan è una delle mie OTP. Lo ammetto.
Ultimo ma non ultimo, la canzone. Le strofe della canzone dell'inizio sono di
"On my own" degli Ashes Remain. L'ho ascoltata tutta la notte, mentre scrivevo questa storia, e mi ha aiutata molto a ricreare l'atmosfera che sentivo dentro. Ci sta perfettamente con il contesto e..vi consiglio di ascoltarla. E' musica cristiana a quanto ho capito, ma non trovo che si noti se uno non vuole notarlo, mh.
Angst, angst ovunque. Mi fanno male le ossa, ci credete? Non so, io- è più forte di me, scrivo praticamente sempre con un briciolo di angst, ma qua era così concentrato che ha fatto male pure a me. Ho pianto. Ma ciò non significa che non mi sia piaciuto scriverla, anzi. E' stato bellissimo, e spero che a qualcuno possa trasmettere qualche cosa. Qualsiasi cosa. Spero che trasmetta, e basta.
Ho finito, vi lascio stare. Grazie mille a chiunque sia arrivato fin qua, abbia messo tra i preferiti/seguiti/ricordati e a chiunque sia venuto in mente di lasciare una piccola recensioncina. Davvero, mi farebbe piacere sapere l'opinione di qualcuno su questa storia. 
A presto! 
  
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