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Autore: Rain Princess    20/07/2012    0 recensioni
A un anno dal suo ritorno sulla Terra, Hitomi non è ancora riuscita ad andare avanti. Sogna ancora di rivedere Gaea nel cielo della Luna dell'Illusione, e di ritornare da Van. Eppure..
Tratto dal primo capitolo:
“Van, perché mi hai abbandonata qui? Perché non mi porti via? Salvami, ti prego”. Il mio è nient’altro che un sussurro, una preghiera bisbigliata, il desiderio del condannato. Ormai ho capito che lui non verrà più.
E l’orologio del mio cuore si ferma qui.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Se siete qua beh, o amate rischiare o l'introduzione non era tanto male.
In ogni caso, benvenuti!
Come altri prima di me, ho voluto inventare un piccolo seguito alla storia per dare ai nostri amanti una possibilità, vedremo se saranno in grado di coglierla. Sarà una cosa un po' sui generis però, nel senso che ho scritto questi 4 capitoli di getto, dopo aver visto il film qualche mese fa, e quasi 10 anni dopo aver visto la serie, quindi troverete delle cose un po' strane e diverse, dovute alla scarsa memoria e alla "licenza narrativa", vi avviso! XD
E che altro dire se non... Buona lettura! :)


Clouds - Nuvole

Hitomi - Luna dell’Illusione

Guardo il cielo. È nuvoloso. Odio quelle nuvole, e se mi stessero nascondendo Gaea? Se proprio stanotte fosse riapparsa sulla mia testa e io non la potessi vedere?

Abbasso la testa. Faccio sempre così quando il cielo è coperto. E lo so che non mi fa bene, ma è più forte di me. Passo più tempo col naso in su che a guardare per terra.

Cado spesso.

So che dovrei rassegnarmi al fatto che i miei giorni su Gaea sono finiti, ma come posso farlo quando lì ho lasciato il mio cuore, la mia vita? Nel prato soffice di quei capelli neri come la notte, nel velluto marrone e denso dei suoi occhi ho perso la parte migliore di me. Quella capace di sorridere, di godere della carezza inaspettata del sole a primavera.

Da quando sono tornata, da quando mi sono condannata a questa triste esistenza – perché è esistenza la mia, non vita – non ricordo di aver mai sorriso, non davvero, almeno.

Alzo di nuovo il viso nella speranza che il cielo si sia liberato, ma ovviamente non è cambiato nulla. Sfido con lo sguardo le coltri grigie, odiandole. Se fosse possibile, il mio sguardo le trapasserebbe, tanto è duro e tagliente.

Le odio, stasera più che mai, queste maledette nuvole.

Quanti giorni sono passati? Esattamente 365. Ecco perché le odio.

Perché i giorni sono passati e non è mai successo nulla. E allora, pur di avere una speranza a cui aggrapparmi, mi sono ripetuta, giorno dopo giorno, che forse Gaea mi sarebbe riapparsa a distanza di un anno, per una sorta di ciclicità o che so io.

Ho vissuto in funzione di questo maledetto giorno, vi ho riposto le mie più nascoste speranze. E invece quelle maledette nuvole stanno distruggendo tutto. Il castello di carte che mi sono costruita si sta sfaldando secondo dopo secondo, l’illusione sta svanendo.

E con essa le mie forze.

Van non verrà. Non rivedrò quel ragazzo straordinario, il suo sorriso raro ma indimenticabile, le sue ali bianche spiegate in volo verso di me. Non mi perderò nel suo sguardo profondo e indagatore, non lo abbraccerò.

Mi dovrei rassegnare ma il cuore si oppone, pur nell’agonia, e un lungo urlo disumano di dolore mi esce dalla gola – il suo nome – lasciandomi stordita, affannata e senza più la forza di reggermi in piedi. Mi accascio accanto alla finestra mentre lacrime di dolore e frustrazione mi bagnano il viso e i singhiozzi mi scuotono e mi fanno male per l’urlo di prima, che ancora mi rimbomba dentro prolungandosi.

Incuranti di tutto il mio dolore, le nuvole, beffarde, stanno ancora lì, nemmeno un alito di vento a muoverle; l’aria è immobile in un modo così innaturale da essere quasi spaventoso.

Se non avessi visto molto di peggio mi impressionerei. Ma ho visto il cielo andare a fuoco, l’acqua rosseggiare del sangue dei soldati, la terra scossa e spaccata dal fragore della battaglia; ciò che mi circonda non mi può toccare più.

Ed è in questo istante che realizzo che non avrò mai pace, perché la mia vera dimora mi è inaccessibile, mentre mi trascino su una terra che dovrebbe appartenermi, ma che invece sento forestiera come mai prima.

“Van, perché mi hai abbandonata qui? Perché non mi porti via? Salvami, ti prego”. Il mio è nient’altro che un sussurro, una preghiera bisbigliata, il desiderio del condannato. Ormai ho capito che lui non verrà più.

E l’orologio del mio cuore si ferma qui.

Non va più né avanti né indietro, schiacciato dal troppo dolore. Muovo gli occhi ma mi rendo conto che le immagini di ciò che vedo non mi colpiscono, mi sento come se mi stessi vivendo dall’esterno. Nulla mi tocca più, non mi ricordo di respirare, nel petto nemmeno un rumore.

Vedo tutto al rallentatore e sbiadito e capisco, dev’essere così che ci si sente quando si muore.

È bello così, non si soffre, non c’è dolore. Ed è vero, si può morire d’amore.

Perdo la presa sul davanzale e mi lascio andare all’indietro, piano. Il cielo, oltre la finestra, si carica di elettricità mentre le palpebre diventano inesorabilmente pesanti e non trovo un solo, valido motivo per contrastarne la chiusura.

L’ultima cosa che vedo è un lampo che, vicinissimo, squarcia il cielo in due, un’ombra bianca e poi il buio.

Il mio ultimo pensiero è ancora lui – Van! – penso, e poi mi lascio andare definitivamente all’oscurità.




Bene, e questo è il primo! Spero vi sia piaciuto e se vorrete scrivermi ne sarò felice!
A presto col prossimo capitolo! :)
  
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