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Autore: Evilcassy    20/07/2012    7 recensioni
"I Chitauri stanno arrivando, nulla può cambiare. Cosa dovrei temere?"
"I Vendicatori, ci facciamo chiamare così: una specie di squadra, "gli eroi più forti della Terra", o roba simile."
"Sì, li ho conosciuti."
Già! Ci mettiamo un po' a riscaldarci, questo te lo concedo. Ma facciamo la conta dei presenti:
Tuo fratello, il semidio;
Un supersoldato, una leggenda vivente che vive nella leggenda;
Un uomo con grossi problemi nel gestire la propria rabbia;
Una mezzodemone piuttosto focosa
Un paio di assassini provetti e tu, bellimbusto, sei riuscito a far incazzare tutti quanti!"
Il numero Sette esprime la globalità, l’universalità, l’equilibrio perfetto e la dinamicità. Sette è il numero della Materia, dei Peccati Capitali ma anche delle Virtù. Sette, come i Vendicatori.
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Loki, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A Seven Heroes Army [The Seventh Saga]' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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The Seventh

The Seventh

 

PARTE 1: Becoming.

PROLOGO

Pleased to Meet You, Hope you Guess my Name.

E' iniziato tutto...

Da dove? Sono poco lucida in questo momento, sto scivolando lentamente verso qualcosa di fresco e buio e i miei pensieri sono distratti da una fitta allo sterno ogni volta che respiro.    

Eppure voglio resistere con tutte le mie forze. Che non si dica che GreyRaven sia morta senza lottare sino all'ultimo. La resa non è mai stata un'opzione selezionabile dal mio punto di vista.

E quindi devo mantenermi vigile. Ci sono tonfi e grida, rumori di crolli e di esplosioni al di fuori di queste mura crivellate. Sarebbe così semplice chiudere gli occhi e lasciare che i polmoni si fermino, anche solo per un attimo a riprendersi, che sono ormai stanchi di muoversi tra le fitte.

No, Addison, mantieniti vigile. Pensa a qualsiasi cosa. Ricordati da dove è iniziato. 

Forza, rispondi alla domanda: Come hai fatto a ritrovarti qui, in questo stato?

Forse è iniziato tutto da quando ti sei trovata davanti il Direttore Fury nell'aula di detenzione del liceo?

No, anzi. Diciamo che è iniziato tutto quando il libro di scienze mi ha preso fuoco da sotto il braccio, davanti a metà corpo docente. Fuoco grigiazzurro, per la precisione.

Che poi è il motivo per cui mi sono ritrovata davanti a Nick Fury.

Anzi no, non è vero. E' iniziato tutto da una ragazza su un letto d'ospedale, la sacca per la trasfusione del sangue nel braccio sinistro e due buchi lividi sul lato destro del collo. Da qui si sono scatenati gli eventi che hanno portato il mio libro di scienze a prendere fuoco da sotto il mio braccio e poi a ritrovarmi in aula detenzione davanti ad un Nick Fury incuriosito.

No, non è neppure quello l'inizio. Quello semmai è il punto di svolta della mia esistenza.

L'inizio di tutto questo sono due occhi rossi come tizzoni ardenti che si voltano lentamente verso di me. Verso una bambina incastrata tra le lamiere di un'auto.

 

Al momento preferisco pensare al punto di svolta, piuttosto che al punto d'inizio. E’ più piacevole, in fondo.

All'ultimo Liceo che ho frequentato non ero una cheerleader, ma ero popolare. Non so neppure bene io il perché: i ragazzi mi reputavano carina e alla mano e le ragazze simpatica e innocua.

La mia migliore amica Valerie era una cheerleader. E una sera, tornando a casa da un allenamento finito poco prima di cena, è stata aggredita nel parcheggio della scuola: l'hanno ritrovata agonizzante le sue compagne di squadra. Nessun segno di violenza, a parte due buchi sul collo e molto sangue in meno.

Come nel migliore cliché di un film horror studentesco, la polizia cercava l'aggressore tra i vivi senza credere all'esistenza di altro. Due buchi sul collo, tanto sangue in meno. Un vampiro, che altro vuoi che sia?

Beh, diciamocelo: quanto è credibile la storia del vampiro? Nulla, ci arrivo pure io.

Eppure... eppure c'era qualcosa in me che mi portava a credere fosse vera.

Era la stessa sensazione di sensibile fastidio di quando una crosta viene tolta dalla ferita prima che si sia completamente cicatrizzata. La ferita non è aperta, ma l'epidermide sottile e fragile acuisce le sensazioni al tatto.

Era la stessa percezione che avevo colto l'attimo prima che l'auto si ribaltasse e mi ritrovassi ad urlare tra le lamiere contorte scrutata da uno sguardo di fuoco, tanti anni prima. Un'increspatura nell'aria, mi era sembrata all'epoca.

Dovevo esternare quello che provavo e non starmene con le mani in mano. Di certo non lo potevo fare con chiunque ma sentivo di aver bisogno di non agire in solitaria. Scelsi bene la mia squadra: Il mio vicino di casa nerd senza speranze, la sua ragazza goth patita di Buffy l'AmmazzaVampiri e il capo del club cattolico della scuola.

Sinceramente, quest'ultimo l'avevo scelto per mio mero diletto: i giocatori di football avevano messo in giro la diceria che avesse il pene più grosso della scuola. Ma essendo ultrareligioso, non l'avrebbe riposto tra le grinfie di una ragazza senza che prima si fosse sposato. Prima che finisse su di un letto d’ospedale avevo scommesso con Valerie che gli avrei fatto cambiare idea. Riesco sempre a convincere le persone, è una delle mie abilità. 

E poi un vergine nella squadra tornava sempre utile, quando si trattava di vampiri. Bela Lugosi docet.

La farò breve: capito chi era (Una goth e un hacker insieme sono una spettacolare squadra di ricerca) e stabilito un piano, mi sono proposta io stessa di andarlo a stanare. La certezza di poterlo battere, di essere abbastanza forte mi scorreva nelle vene e potevo sentire in bocca il sapore della sfida, il gusto del pericolo e del mistero.

Prima di partire all’attacco piagnucolai sulla spalla dell'ultrareligioso dicendogli che temevo per la mia incolumità, essendo i vampiri attratti dalle vergini.

Ehehe, al risveglio Valerie mi avrebbe dovuto venti dollari.

Si, aveva un pene notevole. Si, si è accorto che la storia della mia verginità era piuttosto falsa. Si, gli ho mentito dicendo che dovevo essere stata accidentalmente deflorata durante una lezione di equitazione.

No, non sono mai salita su un cavallo ma so mentire in modo convincente e lui era piuttosto ingenuo.

Ad ogni modo, la trappola scattò con una puntualità disarmante e mi ritrovai davvero faccia a faccia con un vampiro.

Dimenticatevi le fatine sbarluccicanti, i petti lucidi e i vestiti alla moda di quelle mezze checche di Twilight. Qui avevo davanti un mezzo mostro. Simile al Nosferatu cinematografico, però con i capelli. E un alito pestilenziale.

Ho sbagliato una mossa e lui è riuscito a ghermirmi e a mordermi. Al collo, si, cliché tremendo e prevedibile.

La cosa strana è stata che però non ho avvertito alcun dolore.

La cosa ancora più strana, è stato che ho sentito qualcosa dentro di me esplodere e percorrermi tutto il corpo. E' stata una scossa.

E stato come spalancare la vetrata di una stanza opprimente su una montagna innevata.

E' stato gelido e caldissimo insieme. Piacevole e doloroso. Troppo breve e lunghissimo. E liberatorio.

E subito dopo avevo la forza di staccargli la testa dal mio collo, scaraventarlo a terra e prenderlo per la gola. "Hai addentato la mela sbagliata." Qualcosa di caldo mi è scivolato nelle vene del braccio ed è passato attraverso le mie dita strette attorno alla sua gola. E l'ha incendiato di fiamme grigiazzurre.

All'ospedale, Valerie ha aperto gli occhi.

Con calore dalle ceneri del vampiro sulle mani, mi sono alzata e lo sguardo mi è caduto sul vetro rotto di una finestra della casa in cui l’avevo intrappolato.

Il mio riflesso era diverso. I lineamenti erano sempre i miei, ma il mio sguardo era d’oro, la pelle del mio viso sembrava così bianca e perfetta e le mie labbra avevano assunto il colore del sangue vivo.

Il morso di quell’essere sembrava aver risvegliato in me qualcosa di sopito, una forza affascinante e nascosta che si era rivelata nella mia capacità di scaraventarlo a terra senza problemi e di incendiarlo con delle fiamme emesse dal mio stesso corpo. Ero confusa, ma mi sentivo bene. Non provavo paura, sentivo questa forza mia come se lo fosse sempre stata. E forse lo era.

La mia squadra mi ha accompagnato a casa, trattandomi da eroina. L'ultrareligioso voleva prima portarmi da un esorcista ma davanti al mio sguardo schifato è andato ad accendere un cero in chiesa a ringraziare qualche santo a me sconosciuto e a chiedere perdono per aver ceduto alle tentazioni della carne.

Sono rientrata di nascosto in casa, senza accendere le luci per non svegliare nessuno scivolando silenziosa in camera mia. Solo lì ho acceso la luce della lampada di fianco allo specchio.

Il mio aspetto stava tornando quello di prima: gli occhi avevano ancora qualche riflesso ambrato, ma la pelle era tornata ad assumere un colore normale, le piccole efelidi sul naso stavano lentamente ricomparendo.

Alle mie spalle, individuai una sagoma al di là del vetro della finestra.

E un leggero bussare al vetro: Toc Toc.

Ok, sono venuti a prendermi. Ho pensato aprendo la finestra con una spavalderia incauta.

Fuori, seduto sul davanzale con la schiena appoggiata al muro con noncuranza, c'era un uomo sulla trentina. La luce fredda del lampione della strada gli gettava addosso una penombra quasi fatata.

Un uomo che mi sembrava di aver già visto da qualche parte. Dove?

I capelli scuri gli cadevano in leggere onde i sulle spalle coperte da quella che sembrava una casacca cremisi decorata con dei fili d'oro. Gli occhi castani erano venati della stessa ambra che avevo scorto nei miei qualche istante prima. Mi restituì lo sguardo perplesso grattandosi il pizzetto scuro. "Posso entrare?"

"Non se sei un vampiro."

"Ti sembro un vampiro?"

No, era del tutto diverso da quello che avevo appena incenerito. Eppure umano non lo poteva essere: non con quegli occhi e non sdraiato sul davanzale di una finestra a quindici metri da terra come se nulla fosse. "Palliduccio lo sei."

L'uomo scoppiò a ridere di gusto e temetti che potesse svegliare il resto della casa. "In effetti io e il sole non siamo compatibili. Ma se fossi un vampiro non credo risponderei positivamente alla tua domanda diretta. Ti facevo più sveglia, sai? Dopotutto, hai appena sconfitto un non morto senza sapere esattamente a cosa andavi incontro. O sei molto stupida, o sei maledettamente..."

"Istintiva" suggerisco. Piegando la testa di lato con una smorfia affermativa mi fa capire di essere d'accordo. "Cosa diavolo mi sta succedendo?"

"Ecco, Diavolo è una delle parole chiave. E' una storia piuttosto complicata. Non per essere insistente, ma spiegarla in bilico sul davanzale risulterebbe piuttosto scomodo."

Gli ho fatto cenno di entrare che aveva già una gamba al di qua della finestra. "Speravo che saresti diventata così normale." Sembrava piacergli la mia stanza. Osservava i poster alle pareti e il caos adolescenziale con vivo interesse e un sorriso divertivo. "Lieto che tu la sia stata sin'ora. Peccato che sarai costretta a cambiare..."

"Che vuoi dire?"

"Che ora che le porte si sono spalancate e ci hai guardato ciò che nascondevano, non vorrai mai più chiuderle."

"E questo è un bene?"

Alzò le spalle: "Esistono diversi punti di vista. Avrai tempo per costruirtene uno tuo. Scema non la sei."

Si, era dannatamente famigliare, eppure non riuscivo ad afferrarne l'identità. "Chi sei?"

Si avvicinò a me e mi posò una mano sulla guancia. Ricordo quel contatto come un brivido. Era qualcosa che andava ben oltre all'essere famigliare. Era un gesto che sentivo mio dal profondo dell'anima. Il gesto dolce di una notte maledetta. La carezza di un'ombra alata e alta china su una bambina spaventata.

Occhi ambrati che avevano appena spento quelli di brace con la lama di una spada.

"Il mio nome è Amon, Sovrano del Limbo. E tuo cugino, Addison."

 

Quindi, mi sono presentata il giorno dopo a scuola con il libro di scienze sotto il braccio e lo sguardo completamente assente.

Giusto in tempo per vedere schierato mezzo corpo docente davanti ai miei occhi a chiedermi notizie.

Notizie? Che ho scoperto di essere un mezzo-demone, di una stirpe di mezzi demoni nati dall'incontro di tale demone Astarot con la strega irlandese Morrigan prima dell'anno Mille, stirpe spazzata via dalla faccia della terra da tale Baal, in modo da poter avere meno pretendenti al trono degli inferi (pare ci sia stata una specie di guerra civile, laggiù) a sua volta fatto fuori da Amon, alias mio cugino di settantaseiesimo grado davanti ai miei occhi la notte della morte dei miei genitori.

Si, quella simpatica scena del gigante con gli occhi di brace che tutti gli psicologi infantili a cui sono stata in cura hanno identificato come una manifestazione del mio stato di shock indotto dall'incidente automobilistico.

Notizie? Che da grande voglio fare la psicologa. Mi piace l'idea di essere pagata per sentire assurdità e dare una spiegazione plausibile farcita di tanti paroloni.

Mi piacciono i paroloni. Suonano bene. Tra l'altro, sono capacissima di convincere la gente a fare ciò che dico. Ciò fa di me una Manipolatrice? Ok, vada per la Manipolatrice, tanto non ho vinto nessuna borsa di studio per pagarmi il college.

"Addison, volevamo avere notizie di Valerie." precisa la professoressa di matematica. Oh, Valerie, giusto.

Cielo, non ho detto tutte quelle cose prime ad alta voce, vero? Mi agito, e prima che me ne sia resa conto, ho la stessa sensazione di caldo della sera precedente nelle vene. Prima che possa fermarla è passata alle mie dita e al libro di scienze.

Che prende fuoco. Fuoco Grigiazzurro, appunto. E si scatena il putiferio.

 

All'ultima ora sono nell'aula di detenzione, da sola. Scommetto che la scuola abbia già avvisato i miei genitori affidatari e che stasera mi faranno una bella lavata di capo. Mi alzo dal banco e ciondolo verso una pila di libri su un tavolo. Ne scartabello qualcuno, ho bisogno di evitare di pensare, che le ultime ventiquattro ore sono state piuttosto incasinate. Tra i libri trovo un fumetto degli X-men, probabilmente confiscato da qualcuno. Ho uno scatto di stizza e lo lancio fuori dalla finestra, nel cortile.

Poi prendo il primo libro che mi capita, Racconti della Civiltà Norrena, e ritorno al banco. In realtà non riesco a leggere, ho la testa che vaga da tutt'altra parte, ma un libro in mano mi da un tono e chiunque entra da quella porta vedrà la solita Addison che, insolitamente in detenzione, passa il tempo nel modo migliore che si possa richiedere.

Ed infatti qualcuno entra.

"Miss Addison Borgo?"

Alzo gli occhi dal libro per trovarmi davanti un uomo vestito di nero con un lungo cappotto che gli arriva sotto le ginocchia un occhio bendato. Appoggio il libro sul banco senza riuscire a trattenere un sospiro.

Con l'andazzo di questi giorni, non farei fatica a credere di trovarmi davanti  al cosplayer guercio di Blade. O alla Morte in persona. "Lei non mi sembra uno dei servizi sociali."

"Dovrei esserlo?"

"I miei genitori affidatari sono piuttosto severi in materia scolastica. Aver saputo di una detenzione potrebbe indurli a richiamare i servizi sociali e farli cercare un'altra famiglia per me." cerco di assumere un tono a metà tra l'innocente e lo sconsolato. L'uomo alza un sopracciglio. "Un'altra ancora?"

Ah, ecco. Se conosce tutta la storia delle mie famiglie affidatarie, allora è davvero dei servizi sociali. Chissà come si è giocato l'occhio. Rissa tra divorziandi? Alzo le spalle, come se non potessi farci niente.

L'uomo si avvicina con studiata lentezza e prende una sedia. "Posso sedermi?" chiede avvicinandola al mio banco.

"Siamo in una scuola pubblica, io non posso impedirglielo."

L'uomo si siede, aggiustandosi il cappotto. Mi studia con lo sguardo e io lo sostengo. "Non mi ha ancora detto il suo nome. Sarebbe così cortese? In fondo lei conosce il mio."

Fa un mezzo sorriso, qualcosa di non molto decifrabile e neppure troppo tranquillizzante. "Il mio nome è Nick Fury."

Mi scappa una mezza risata, mentre incrocio le braccia. "Mi perdoni, ma ha l'aspetto e un nome da rockstar, più che da servizio sociale."

"Non sono dei servizi sociali, Miss Borgo." Risponde senza sorridere. Ecco, ora ha stimolato la mia curiosità. Faccio per aprire la bocca e riempirlo di domande, ma lui mi precede. "Il motivo della sua detenzione è piuttosto inusuale, non trova Miss Borgo?"

Diretto al punto. "Se devo andare in detenzione, ci vado con stile."

Ancora quel mezzo sorriso. "Emettere fiammelle azzurre ha indubbiamente un suo stile."

"Grigiazzurre, per la precisione."

"Giusto. Ed è una cosa usuale, per lei? Voglio dire, è il motivo per cui ha cambiato sei famiglie affidatarie negli ultimi tredici anni?"

Mi raddrizzo sulla sedia e allungo le braccia sul banco, le dita delle mani intrecciate. Questa mia posa vedo che suscita un guizzo d'interesse nel suo occhio scuro. So come trattare questo argomento. So come non passare per la vittima delle circostanze, ma neppure sembrare una menagramo: "Se lei dovesse pensare a cinque singole parole che descrivono la famiglia, quali sarebbero?"

L'ho preso alla sprovvista, e mi sembra piacevolmente colpito. Ci pensa un po' su. "Non sono molto esperto in materia." ammette. "Ma direi... bah! Calore. Somiglianza. Uhnm... Sincerità, forse. Sicurezza. Appartenenza."

"Appartenenza." questa volta sono io a sorridere. "Che bella parola. Difficile quando emetti fiammelle grigiazzurre dalle dita trovare una famiglia in cui sviluppare un senso d'appartenenza. Lasciamo pur stare la Somiglianza." In realtà ho scoperto il giochetto delle fiammelle solo ieri sera, ma questo Nick Fury non può saperlo. E d'altronde, la mia è una mezza verità: ho sempre chiesto di cambiare la famiglia affidataria non perché avessi dei problemi (a parte con una, se devo essere sincera), ma perché non riuscivo a trovare nulla da condividere con loro.

Ho imparato tanto da tutte quante. Ho avuto genitori affidatari hippies, artisti, professori universitari di letteratura, sportivi, esteti. Ho preso da loro le nozioni principali delle loro passioni, quelle che ci tenevano tanto a tramandare ai figli, e le ho sviluppate per mio conto. Sono molto veloce nell'apprendere.

"Miss Borgo…"

"Mi chiami Addison"

"Addison, allora. Perché non mi racconta come è andato l'incidente in cui sono morti i suoi genitori?" Deglutisco e faccio per aprire la bocca per raccontare quello che hanno cercato di mettermi in testa tutti quanti, in questi anni, e cioè che ricordo solo uno schianto fortissimo e nulla più, ma lui mi precede di nuovo: "Realmente"

"Realmente?" Mi sfugge una risata: "Non credo sia possibile quello che ho visto, per tanto le darò la spiegazione più plausibile se non le spiace.”

"Plausibile come delle fiammelle grigiazzurre?"

Touché. Ok, se vuole la versione splatter dell'evento, l'accontenterò. Cerco di apparire distaccata anche se dentro sono un tumulto: "Ricordo di aver avvertito che stava per capitare qualcosa e subito dopo uno schianto su un lato dell'auto. Non so chi o cosa fosse: era buio e fuori pioveva a dirotto. L'auto ha iniziato a rotolare di lato e io ho perso i sensi. Quando li ho riacquistati, la prima cosa che ho visto è stato il corpo di mia madre steso sulla strada, decapitato: non hanno mai ritrovato la testa. E poi c'era...” Questa parte mi è sempre stata molto difficile da descrivere. L’ho disegnata, un paio di volte e per un paio di psicoanalisti, che ovviamente hanno convento all’unisono che tale ‘cosa’ era talmente irreale da dover per forza essere un frutto della mia mente traumatizzata. “Lei ha visto Il Signore degli Anelli? Ha presente il Balrog?" Nick Fury annuisce non molto convinto. "Ecco, era una cosa molto simile. Teneva mio padre alzato per un braccio e... e l’ha… squartato” Deglutisco e prendo un bel respiro; per quanto ci provi, rimanere distaccata dal racconto è pressoché impossibile: “Ricordo di aver urlato. Di aver gridato con tutta la forza che avevo in corpo, e che cercavo di scappare. Ma ero incastrata tra le lamiere dell'auto. Il...coso ha gettato via i resti di mio padre e mi ha... guardato." Deglutisco di nuovo: sento la gola riarsa e non so cosa darei per avere un bicchiere d'acqua. Tutto d'un tratto l'odore di sangue, fumo e carne bruciata mi torna tutto nelle narici. L'odore della morte. L'odore della mia paura. Lo sguardo di Fury mi incalza a continuare. "Si stava avvicinando per prendermi, quando dal nulla è stato colpito e scaraventato a terra. Era... un demone, si. Con le ali e il resto, e una spada lunga e dorata. Hanno iniziato a combattere, e mentre lo faceva una donna mi ha liberato dalle lamiere."

"Una donna normale?"

Scuoto la testa: “Ha piegato le lamiere come fossero di cartone. Aveva dei capelli dorati lunghissimi, mi ricadevano tutti addosso. Mi ha tenuto al sicuro finché il demone ha ucciso quel coso che assomigliava al Balrog. Poi lui è venuto da me e mi ha accarezzato. E poi lì sono svenuta, davvero."

"Sai chi era?"

Resto un attimo in silenzio, indecisa se mentire o meno. Poi penso che tanto valeva, prendermi per pazza prima o dopo ormai non aveva più nessuna importanza.  "Il suo nome è Amon, ed è il Re del Sottomondo, l'Anticamera degli Inferi. La donna è sua moglie, si chiama Erzsebet”

"Il Sottomondo?"

"Si, il Limbo. E' che Re del Limbo suona ridicolo, non trova?"

Nick Fury sogghigna.

"Ed ora, se non le spiace, signor Fury... vorrei sapere a chi ho avuto il piacere di raccontare la mia storia."

E fu così che venni a sapere dello S.H.I.E.L.D . Ovviamente Fury me lo spiegò in modo diretto e molto esaustivo. Non è di certo uno che spreca qualche parola in più del necessario. 

Mi lasciò un cellulare minuscolo, dicendomi che quello non mi avrebbe intercettata nessuno che aveva un'unica linea diretta con lui, e che mi dava comunque la libertà di scelta sull'entrare a fare parte dello S.H.I.E.L.D. o meno, una volta raggiunta la maggiore età.

Non credo che ce l'avessi davvero, tuttavia. Una volta scoperta mi avrebbero tenuta sott'occhio comunque: le mie capacità potevano essere un’arma pericolosa che non potevano lasciare andare tanto facilmente. Tanto valeva collaborare, ricavarci un lavoro e prendere quanto più di positivo si potesse.

Magari una borsa di studio per l’Università, per esempio.

Al mio diciottesimo compleanno mancavano solo tre settimane. Quattro, al Prom di fine anno.

 

Ecco, appunto. Il Prom. Croce e delizia di ogni fine carriera scolastica. Quello a cui avevo partecipato, in ghingheri e contesa tra più ragazzi, aveva preso una piega del tutto imprevista. Appena dopo l'incoronazione di Valerie e del suo ragazzo a regina e re del ballo, il mio amico ultrareligioso (che, a differenza della coppia Nerd-Goth non avevo più frequentato dalla famosa sera) era salito sul palco per fare un annuncio.

Davanti a tutta la scuola, aveva confessato il suo peccato carnale con la sottoscritta e mi aveva chiesto di sposarlo, con tanto di anello.

 

"Fury, Fury? Ehm... a proposito della tua proposta... pensavo di accettare. ORA."

"Ottimo. Qual'è la tua situazione?"

"...di merda, al momento."

"Una macchina sarà davanti alla tua posizione tra tredici minuti."

 

Sette anni dopo, durante l'annuale brindisi per gli auguri di Natale dello S.H.I.E.L.D., un Phil Coulson al terzo bicchiere di spumante raccontò di come avesse inchiodato l'auto, dodici minuti e quarantotto secondi dopo la chiamata di Fury, davanti alla Kenneth High School in tempo per vedere l'uscita di scena più bella che mai si potesse vedere in un Prom:

Inseguita da tutti i partecipanti del ballo, professori inclusi, uscivo correndo dalla scuola sollevandomi la gonna del vestito viola sopra le ginocchia, mi tuffavo nella macchina senza controllare chi fosse davvero per poi sporgermi dal finestrino aperto ed infine puntualizzare, mentre la macchina partiva sgommando, che la verginità l'avevo davvero persa a cavallo - si, ma di uno dei compagni di squadra del mio disperato pretendente.

Tutto questo prima di sprofondare in uno stato di agitazione tale da mettermi a sproloquiare ad alta voce su tutta quella situazione ed essere talmente fastidiosa da indurre Romanoff, che in quel momento era sdraiata nel sedile posteriore con ancora in corpo i postumi di una dose da cavallo di sedativo, a riprendere di colpo coscienza di sé e tentare di strangolarmi con una cintura di sicurezza.

Solo un cinque minuti e sei sbandate dopo riuscimmo ad arrivare ad una tregua: io le offrii le mie sigarette, lei un sorso di vodka da una fiaschetta che teneva chissà dove. 

Il nostro arrivo alla base non passò inosservato: Un agente in giacca, cravatta ed aria sfatta, una rossa assassina russa vestita in una attillata tuta nera ed occhiali da sole ancora più scuri e una neodiciottenne in abito da ballo scolastico, claudicante su un paio di scarpe con un tacco rotto.

Clint ammise che avrebbe dato un rene per essere presente su quell'auto, Maria Hill soffocò una risata dentro al suo bicchiere di spumante e Fury si prodigò in un sorriso meno inquietante del solito.

Fu l'ultimo brindisi di auguri di Natale a cui Coulson partecipò.

 

 

 

Premetto che non solo è la prima fiction sui Vendicatori, ma anche che li conosco solo tramite il film e che è la primerrima ficiton che scrivo con un OC come protagonista.

Con questo non voglio giustificare oscenità, amenità e pallosamenti vari. Se riuscirete ad andare oltre ai primi capitoli, probabilmente riuscirete a leggere qualcosa di originale. Probabilmente, neh.

E’ solo per mettere le mani avanti.

Giuro che poi migliora. (...uhnmph.) Vabbè, ci proverò.

Scusate anche per la lungagghine e per la vaga mignottaggine della protagonista. (Poi migliora anche questo. Forse)

Mo’ fate vobis.

EC

 

 PS: la frase all'inizio la citazione di Sympathy for the Devil dei Rolling Stones.

 

 

   
 
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