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Autore: _giumuddafuggaz    22/07/2012    2 recensioni
"Ho passato cosi tanto tempo a dirmi che questa non era la mia casa che ho finito col crederci" dissi, prudente. "è sempre stata dura per me appartenere ad un posto"
"io posso essere casa tua" disse lui piano "appartieni a me"
Non è una storia d'addii, lacrime e batticuori o almeno, questa non era la mia intenzione. Un passato tormentato, la possibilità di cambiare, d'essere finalmente ciò che hai sempre desiderato. Nessuna promessa, nessuna mano tesa per salvarti, tocca a te decidere il tuo destino.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ALL I NEED IS SOMEONE TO SAVE ME,
CAUSE I'AM GOIN' DOWN.
Robert, disse di chiamarsi cosi.
Era seduto di fronte a me, non osava alzare lo sguardo dalla tazzina da caffé oramai vuota, era imbarazzato, lo si capiva bene.
Nell’ ultima settimana mio fratello lo aveva invitato spesso da noi, non c’eravamo mai rivolti parola. Solo qualche saluto confuso, masticato. Non sapevo nemmeno come si fossero conosciuti, me lo ero ritrovato li, da un giorno all’ latro e mi ero dovuta abituare alla sua presenza. 
A volte mi domandavo se lui si chiedesse mai perché i nostri genitori non telefonassero durante la giornata, non spedissero cartoline o semplicemente non abitassero li, con noi. Non sapevo nemmeno se Rayder glielo avesse detto. 
“Cosi la consumi..” 
mi fissò, quasi sorpreso della mia presenza.
“Aspetto che tuo fratello torni”
Ritirai le dita sotto il palmo della mano, cosa significava quella frase?
Voleva liberarsi di me nel minor tempo possibile?
Il pavimento dell’ ingresso scricchiolò sotto il peso degli scarponi da lavoro di Ryder.
Da quando ci eravamo trasferiti, lui doveva svolgere due lavori per mantenere i miei studi e tutto ciò a cui prima pensavano mamma e papà. 
Il gas, la luce, il bollo dell’ auto. 
Lui aveva un furgoncino grigio, glielo aveva lasciato papà.
Al diciottesimo compleanno gli fece trovare le chiavi sulla scrivania di camera sua, non era mai stato cosi felice. Era da anni che faceva la corte a quella macchina ma mai si sarebbe immaginato che il padre potesse volergliela affidare, un giorno. 
“Siete già svegli?”
Posò la casetta con gli attrezzi sul ripiano di pietra in cucina.
Nessuno dei due disse niente fino a che Robert non si alzo per mettere a lavare la tazzina.
Io lo guardai stordita.
Aveva dormito da noi e non era la prima volta che accadeva.
Forse aveva perso il lavoro, la casa e Rayder era stato cosi gentile da dargli un alloggio, una seconda possibilità che non si nega a nessuno. Questo aveva imparato dal fratello, il dar fiducia alle persone, senza mai aspettarsi nulla in cambio o almeno, non subito. 
“Se sei buono con il mondo prima o poi ti tenderà una mano” 
Io non ne ero troppo convinta, 
diciotto anni e un macigno che m’opprime lo stomaco, questo m’aveva donato il caro mondo.
“Andiamo a fare i biglietti?”
L’amico fece cenno di si con il capo e afferrò la giacca che aveva appeso al piolo delle scale la notte precedente.
“Che biglietti?”
La mia voce s’assottiglio una volta che gli sguardi della stanza si riversarono su di me.
Rayder s’avvicino al tavolo di legno e afferro un biscotto.
“Torniamo presto”
Mi scompigliò i capelli come era solito fare quando voleva tenermi al sicuro da qualcosa.
M’aveva sempre visto come la sorellina da proteggere, la piccola a cui tutti dicevano di no pur di salvaguardare la sua salute. E dopo che i nostri genitori gli lasciarono il comando di certo la situazione non migliorò. Si sentiva responsabile d’ogni mia scappatella, d’ogni brutto voto e d’ogni parolaccia portata in quella casa. Per questo cercavo d’impegnarmi, sia a scuola che quando riuscivo a stare con lui, ci provavo. 
Il vicinato aveva sempre avuto un occhio di riguardo per noi, 
era insolito vedere fratello e sorella avventurarsi in un altro stato, lontano da tutti e da tutto quello che c’era sempre stato familiare. 
Le campagne, l’odore di barbecue.
Da una manciata di anni era tutto diverso, ci ritrovavamo li, un po’ per bisogno un po’ perché era giusto cosi. Le prime settimane non osavo mettere piede fuori casa, mi sentivo a disagio in quel paesaggio che pareva tutto tranne che familiare. Decine di case con le facciate uguali ricoprivano l’intero isolato.  Rayder diceva che vivere nel rimpianto non avrebbe certo reso più facili le cose, questo era il suo modo per voltare pagine, per ricominciare da zero in un paese che ci dava l’opportunità d’avere carta bianca per riscrivere da capo la nostra storia. 
Con la mano destra accarezzo il leggero strato di moquette che ricopre l’intera scala bianca che da sull’ ingresso. La nuova casa non è grande come la precedente, ma contiene i ricordi d’una vita, quelli che nemmeno un volo di sola andata può spazzar via. 
Infondo la presenza di Robert era soltanto un pretesto.
Non m’infastidiva realmente trovarlo a dormire nella camera degli ospiti,
vedere i suoi capelli castani far capolino ogni mattina dal piccolo sotto scala.
La sua indifferenza nei miei confronti, si quella non la riuscivo a mandarla giù.
Sentivo contorcersi lo stomaco, mi capitava sempre quando non venivo accettata.
Fin da bambina la mia ostinazione di piacere a tutti m’aveva portato ad essere ciò che realmente non ero. Mi domandavo se sarei mai riuscita ad incontrare qualcuno che avesse apprezzato la vera Giulia, quella che fin da troppo tempo era nascosta sotto delle lenti a contatto color del cielo, era stata la mia migliore amica anni fa a farmele provare. Da quel momento mostrare i miei veri occhi era simbolo di debolezza, l’ossessione che qualcuno potesse vedermi per strada senza quei fari azzurri mi tormentava l’anima. 
Mi ricordo che mamma mi chiedeva sempre se andasse tutto bene ma qualsiasi fosse stata la mia risposta vedevo nel suo sguardo la paura che potessi sgretolarmi, che quel mondo m’avrebbe portato all’ autodistruzione. 
Non eravamo mai stati una famiglia felice, questo no.
Ma avevamo visto tempi migliori, quando eravamo ancora insieme i problemi che oggi c’affliggono erano smorzati dal calore d’una famiglia, dal sapere che tornando a casa c’era qualcuno pronto ad abbracciarti mentre si accollava le tue preoccupazioni, i tuoi timori.
La porta sibilò lentamente.
Erano già tornati, come avevano promesso. 
  
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