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Autore: Carnifinde_    24/07/2012    1 recensioni
Non è nel potere degli uomini decidere di cancellare il ricordo di qualcuno – o qualcosa – dalla propria vita, solamente per il fatto che la sua memoria gli arreca dolore. Semplicemente perché prima o poi li verrà a cercare. E se non lo farà nei sogni, lo farà nei ricordi.
Eppure con lui è stato amore a prima vista; ogni qualvolta lui lo desideri, sarò sempre molto lieta di accogliere il caro, vecchio, fedele Barakkas.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era stato ritrovato in una cassa di legno.

Una cassa che a stento riusciva a contenere la stazza di quell’enorme ammasso di pelo nero e folto che era Barakkas.
All’età di otto anni cominciai a passeggiare per svago. O per meglio dire, per svagarmi dalla realtà; ma questa è un’altra storia. Ormai si trova, marcescente, in qualche sperduto angolo della mia memoria.
Durante una  delle mie solite passeggiate per i campi dietro casa, anni or sono notai quello che era stato un secondo utero per Barakkas. La cassa era malridotta, il legno di cui era fatta era marcio, mangiato dai tarli e ricoperto di muschio. Era nascosta fra le felci e le ortiche che nei pressi dei boschi crescevano a iosa ai lati dei sentieri, e che talvolta, se trascurate, finivano per inondarli del loro verde e delle loro spine.
Nonostante l’involucro non fosse un bijou, quello che rinvenni al suo interno risultò essere, anni dopo, il tesoro più grande che avessi mai avuto.
Non ero solita inoltrarmi nel folto del bosco da sola, perciò mi accontentavo di osservarlo dall’esterno con la speranza che un giorno i fantasmi che mi occupavano la testa se ne sarebbero andati, e mi avessero permesso di varcarne la soglia per poi assaporarne i più intimi segreti.
Dall’interno della cassa proveniva un muggolio sottomesso, che mi spinse ad avvicinarmi. All’inizio ero abbastanza riluttante, il pensiero di ritrovarmi davanti una nutria mi metteva la pelle d’oca.
Vinsi la paura. Anche perché non sapevo cosa fosse una nutria: me l’ero immaginata come uno scoiattolo.
Adoravo gli scoiattoli…
Avvicinandomi, il cuore cominciò a battere all’impazzata.
«Chissà se le nutrie si lasciano accarezzare» pensai.
Scostai le erbacce che ricoprivano parte di quello che d’ora in poi chiamerò l’utero. La mia imprudenza mi fece procurare qualche arrossamento dovuto alle punture d’ortica, ma questo non mi fermò: ero decisa a scoprire come fosse fatta una nutria.
Cominciai a picchiettare contro l’utero, con la speranza che qualche movimento al suo interno mi assicurasse che l’animaletto fosse ancora lì. (E come poteva scappare?)
Sembrava reagire ai picchiettii, così decisi di tirarlo fuori solo perché mi era simpatico.
Cercai una qualsiasi porticina o apertura che potesse permettergli di uscire dall’utero. Appena trovai qualcosa che somigliava vagamente ad un gancio arrugginito, tirai con tutte le mie forze per poter conoscere meglio il mio nuovo amico. Dopo aver fallito una discreta quantità di tentativi e, dopo che la mia forza e la mia pazienza si stavano esaurendo, trovai a terra un pezzo di legno robusto con il quale mi adoperai ad aprire quella maledetta cassa.
Finalmente sentii qualcosa scattare e, al culmine della felicità, aprii la porticina.
Mi allontanai immediatamente, forse per l’inquietudine di cosa avrei potuto trovarvi all’interno, forse per poter ammirare meglio ciò che ne sarebbe saltato fuori.
Pian piano, nell’ombra dell’utero, un’ombra ancor più nera stava avanzando verso l’uscita.
Allora vidi i suoi occhi per la prima volta. O almeno, un occhio solo, perché l’altro era chiuso. E quell’unico occhio che potei vedere era cisposo di pus.
Quindi l’animale capì di essere al sicuro e venne allo scoperto.
Era un mucchio d’ossa ricoperto dai suoi stessi escrementi e da uno strato di pelo nero, pieno di chiazze spelate che facevano infezione. Se ne stava immobile e mi guardava col suo occhio scrutatore.
Convenni che era il cagnolino più bello del mondo.

  
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