Capitolo
primo
Il racconto di Elena sulla sua visita alla prigione
fece rabbrividire Bonnie, oltre a farla sentire tremendamente in colpa.
Un suo amico era imprigionato, nelle grinfie di
torturatori senza scrupoli convinti di rappresentare la giustizia, e lei
credeva di avere il diritto di stare male? Avrebbe dovuto pensare solo a
salvarlo, eppure quando a metà del racconto aveva sentito un rumore al piano
superiore non era riuscita a non domandarsi cosa stesse facendo Damon. Aveva
avvertito una forte scarica di emozioni quando il vampiro le era passato
accanto e sapeva bene che non era un buon segno.
“Lo stai
facendo di nuovo, ti vuoi concentrare su Stefan?” si rimproverò, e tornò ad
ascoltare Elena. La bionda era in piedi su un piccolo sgabello, mentre Lady
Ulma le si affaccendava attorno per prendere le misure che le servivano, e
raccontava ciò che era accaduto nella prigione con gli occhi ricolmi di lacrime
e i lineamenti contratti in un’espressione di eroico coraggio –Stava molto
male, ma credo… credo che stia un po’ meglio ora. Sono riuscita a fargli bere
un po’ di Black Magic e mi è sembrato che avesse effetto. Anche il dottor
Meggar ha detto che probabilmente è stato utile… può resistere un po’ più a
lungo ora, ma non sopporto di dover aspettare tutto questo tempo. Se solo ci
fosse un altro modo per entrare nel palazzo di
Bloddeuwedd senza aspettare la festa, mi sembra che manchi un’eternità.-
sospirò, mentre scendeva dallo sgabello –Non ce la faccio più a stare qui senza
fare niente, vorrei fare qualcosa subito.-
-Oh, assolutamente no!- esclamò Lady Ulma, allarmata,
guardando prima Elena e poi le altre due ragazze –Non dovete fare niente di
simile. Sarà già abbastanza pericoloso girare per la casa con un invito, ma
entrarci senza permesso sarebbe un suicidio.-
-E se noi morissimo, chi salverebbe Stefan?- rincarò
la dose Meredith, pratica come sempre –Dobbiamo fare le cose senza fretta, in
modo da essere sicure di farle bene. Nel frattempo decideremo come agire una
volta entrati nel palazzo…- dal piano di sopra provenne uno schianto, come
qualcosa che si frantumava a terra. Bonnie sobbalzò, mordendosi il labbro.
Elena abbassò lo sguardo, sospirando. Meredith invece alzò gli occhi verso il
soffitto –Avevo pensato che potremmo chiedere a Damon se c’era modo di ottenere
una pianta del palazzo di Bloddeuwedd, ma immagino che sia meglio aspettare un
altro momento.-
-Credo anche io.- commentò Elena –Se non gli passerà
abbastanza in fretta, gli parlerò io.-
Bonnie si morse la lingua per evitare di commentare
mentre Meredith e Lady Ulma annuivano.
“Lui farebbe
tutto per Elena e lei ne è perfettamente consapevole, di cosa ti stupisci?”
quel giorno, la sua coscienza era più fastidiosa del solito, così per farla
tacere disse senza pensarci la prima cosa che le venne in mente –Ma Misao non
ha parlato di una sala da ballo? La festa si terrà lì, immagino: sarà di sicuro
nascosta benissimo, ma non dovremo girare tutto il palazzo, giusto?-
Meredith ed Elena si voltarono speranzose verso Lady
Ulma, cercando una conferma, ma la donna scosse il capo –Non credo che sia così
semplice, purtroppo. È un palazzo davvero enorme e credo che ci sia più di una
sala da ballo. Non conosco questa Misao, ma i kitsune sono furbi, non avranno
nascosto qualcosa di importante in un posto che tutti possono raggiungere.-
-Non mi sembrano così furbi, visto che ci hanno dato
degli indizi.- commentò Meredith, stringendosi nelle spalle. Per un breve
istante regnò il silenzio e fu Lady Ulma a romperlo, rivolgendosi alla rossa
–Vieni, Bonnie, tocca a te.-
La ragazza obbedì e salì sullo sgabello, raggiungendo
a stento l’altezza di Elena, e cercò di stare ferma mentre la padrona di casa
le prendeva le misure segnandole su un quadernetto dalle pagine ingiallite.
Tuttavia era piuttosto nervosa e finì che Lady Ulma dovette più volte
ricordarle che non doveva muoversi.
***
Damon si guardò attorno, il respiro lievemente
affannato. Una sedia di legno era stata l’unica vittima della sua rabbia, e ora
giaceva a pezzi sul pavimento di marmo chiaro della grande stanza. Il vampiro
era in piedi, le braccia lungo il corpo e le mani strette in due pugni talmente
serrati che avrebbero potuto frantumare la maggior parte degli oggetti che
aveva attorno.
Sentiva che al piano inferiore qualcuno aveva
nominato il suo nome, ma non era abbastanza calmo da riuscire a concentrarsi su
cosa stavano dicendo. Sarebbe potuto scendere e coglierli di sorpresa,
spuntando dal nulla proprio mentre parlavano di lui, ma prima doveva riuscire a
tranquillizzarsi.
E doveva mangiare, decise.
Sapeva che Elena detestava l’idea che si cibasse del
sangue dei servitori, ma in quel momento non poteva importargliene di meno.
Voleva solo mangiare, recuperare le
forze necessarie a chiudere fuori tutte quelle insopportabili emozioni umane
che lo bombardavano da ogni lato fin da quando aveva visto Stefan. Non poteva
fingere di non capire cos’era: senso di colpa. Un sentimento che non si
addiceva a un vampiro potente come lui, così uscì dalla stanza sforzandosi di
non sbattere la porta per cercare una soluzione a quell’insopportabile
sensazione.
Individuò immediatamente quattro servitori e li
studiò da lontano con occhio critico.
Due erano
uomini: sarebbero andati bene in tempi di magra, ma potendo scegliere preferiva
le donne, così vagliò le altre due. Una era una ragazzina, troppo giovane per i
suoi gusti, ma la quarta era assolutamente perfetta. Doveva avere vent’anni,
lunghi capelli biondi e occhi scuri: non ricordava chi fosse, ma era lì e
lavorava per lui, quindi aveva tutto il diritto di prelevarle un po’ di sangue.
Attese che si separasse dagli altri e l’occasione
arrivò prima di quanto sperasse.
Vide la giovane serva avviarsi lungo il corridoio a
sinistra rispetto alla sua stanza e la seguì con gli occhi accesi dal piacere
della caccia.
Quando furono in un corridoio abbastanza isolato
smise di muoversi silenziosamente e fece sentire alla ragazza il rumore dei
suoi passi. Lei si voltò, sobbalzando –Padron Damon… buongiorno.- lo salutò,
tranquillizzandosi. Il vampiro non rispose, limitandosi a sorridere mentre le
si avvicinava con passo deciso. La giovane capì subito le intenzioni del vampiro
e d’istinto indietreggiò, ma era stata una schiava abbastanza a lungo da sapere
che il morso di un vampiro era più doloroso se si lottava, così cedette
immediatamente e un istante dopo Damon le teneva ferma la testa mentre i suoi
canini si preparavano a perforarle il collo.
***
Quando ebbero finito di prendere le misure, Elena
annunciò che avrebbe parlato da sola con il dottor Meggar: voleva tornare a
trovare Stefan il più presto possibile e questa volta voleva essere preparata
ad aiutarlo il più efficacemente possibile, aveva spiegato. Meredith era
rimasta con Lady Ulma e così Bonnie, rimasta sola, si trovò ad avviarsi verso
il piano superiore.
“Non ti farà
nemmeno entrare nella stanza, cosa pensi di fare?”
-Oh, vuoi stare zitta per una volta?-
“Ti rendi conto
che se qualcuno ti vedesse parlare da sola ti prenderebbe per pazza, vero?”
Bonnie sbuffò, salendo gli ultimi scalini. Ora anche
la sua stessa coscienza la maltrattava, era arrivata a livelli
sorprendentemente bassi.
Raggiunse la stanza di Damon, ma trovò la porta
aperta. Accigliandosi fece per sbirciare all’interno, ma prima che potesse
riuscirci avvertì una voce che richiamò la sua attenzione.
Era abbastanza sicura di aver sentito il nome del
vampiro che cercava, così si diresse verso il punto da cui proveniva la voce. Un
corridoio laterale, un po’ isolato rispetto al resto della casa, e fiocamente
illuminato, al fondo del quale scorse due figure indistinte.
Strinse gli occhi per vedere meglio e il respirò le
si bloccò nel petto –No!- esclamò, senza
nemmeno rendersene conto.
Damon era al fondo del corridoio e non era solo. Con
lui c’era una ragazza, una serva, e lui la teneva bloccata contro il muro. Sentendo
la voce di Bonnie, il vampiro si voltò verso di lei. Davanti agli occhi
sbarrati di Bonnie, la scena apparve come il fotogramma di un orrido film:
Damon aveva i canini allungati e gli occhi erano come due pozze nere, accecati
dalla fame e da qualcosa che la rossa non riuscì a comprendere, ma non c’erano
tracce di ferite sul collo della serva e questa consapevolezza svegliò qualcosa
in Bonnie.
Mossa da un coraggio che non credeva di possedere, si
avvicinò ai due –Damon… no!-
-Sono un vampiro. Perché nessuno di voi se lo vuole
mettere in testa?- ringhiò Damon, ma lasciò la presa sulla ragazza –Ho bisogno di cibarmi.- sibilò a denti
stretti.
-Certo che… certo che ne hai bisogno.- concordò
Bonnie.
-Bene. Quindi sparisci, e tieni la bocca chiusa.-
sbottò Damon, afferrando di nuovo la serva che emise un lieve singhiozzo.
-No, non puoi prendere il suo sangue. Lei non c’entra
nulla!- protestò la rossa, chiedendosi da dove fosse spuntata quella
testardaggine. E quel coraggio: da quando si permetteva di parlare a Damon in
quel modo?
Il vampiro sbuffò, esasperato –Cosa proponi di fare,
allora?- domandò con sarcasmo.
-Ci… ci penso io.- disse Bonnie, in un mormorio tanto
lieve che solo Damon, con il suo udito da vampiro, riuscì a sentirla.
E quelle parole lo colpirono.
-Cosa, Uccellino?- domandò, avvicinandosi a lei di un
passo –Ho capito bene quello che stai… proponendo?-
Bonnie deglutì, sentendo distintamente le proprie
guance tingersi di rosso –Sì, hai capito. Ora lasciala andare…- aggiunse, in
una buffa via di mezzo tra un ordine e una supplica che in un altro momento
avrebbero fatto sorridere Damon. Il vampiro si rivolse alla serva, che sembrava
non avere chiara la situazione –Sparisci. Torna a fare il tuo lavoro, senza
metterti a chiacchierare con nessuno, anzi…- la guardò negli occhi e Bonnie
capì che la stava Influenzando –Dimenticati di questa ultima mezz’ora.-
-Sì, padron Damon.- rispose la ragazza con voce
assente, per poi allontanarsi a passo lento e regolare. Damon portò i suoi
occhi di pece sulla rossa, che arrossì ancora di più –A…allora?- riuscì a
balbettare, sforzandosi di non distogliere lo sguardo.
-Fammi capire bene. Tu vorresti che io prendessi il
tuo sangue?-
-Esatto.- confermò Bonnie, cercando di tenere la
testa alta e di non far tremare la voce. Cosa che non le riuscì, ovviamente.
Non mentre Damon la guardava con quello sguardo scrutatore.
Senza una parola, il vampiro le fece segno di
seguirlo e si avviò lungo il corridoio. Bonnie obbedì e in pochi istanti giunsero
davanti alla stanza che poco prima aveva trovato vuota: la luce del sole rosso
filtrava debolmente attraverso i pesanti tendaggi, una sedia giaceva scomposta
a terra e la giacca scura di Damon era stata malamente buttata in un angolo.
Bonnie entrò per prima e lui la seguì, chiudendosi la
porta alle spalle. Senza voltarsi, Bonnie prese tra le mani i riccioli ribelli
scoprendo il collo niveo e chiuse gli occhi, in attesa. Un istante dopo avvertì
i movimenti di Damon: si fermò a pochi millimetri da lei, sfiorandole la
schiena con il torace solido, e le sue mani le scivolarono lungo le braccia.
Mordendosi il labbro, Bonnie si impose di non
muoversi. Damon le accarezzò le braccia con le dita gelide e la ragazza
rabbrividì, avvertendo ogni minimo movimento del vampiro. Lui la fece
appoggiare al suo petto e un istante dopo sentì le sue labbra sulla pelle
sensibile del collo.
Bonnie trattenne il respiro, in attesa del dolore che
non giunse, sostituito da un sussurro che la rossa riuscì a stento ad udire –Vattene,
sciocco pettirosso.-
***
Nakian seguì lo schiavo del suo ospite fino ad una
grande porta scura, decorata di elaborati alabastri d’argento.
Il suo ospite l’aveva sistemato in una stanza all’ultimo
piano del suo grande palazzo, dov’era rimasto per la notte e per metà della
mattinata: aveva iniziato a pensare che si fosse dimenticato di lui quando era
arrivato un giovane schiavo, annunciando che era atteso.
La porta si aprì e si trovò in una stanza imponente,
dai soffitti alti sostenuti da colonne intarsiate di un metallo scuro e luccicante.
Il suo ospite era seduto su un grande trono nero, avvolto in un mantello di
velluto: il cappuccio, tirato a coprire la testa, creava sul volto un ombra che
nascondeva i suoi lineamenti. Gli occhi rossi, però, brillavano nell’oscurità
come rubini insanguinati. Davanti a lui c’era un altro uomo, un vampiro alto e
muscoloso, con il pallido torace nudo e un mantello color cobalto allacciato al
collo con una spilla d’oro.
-Ecco Nakian, il nostro informatore.- lo accolse il
padrone del palazzo, osservandolo –Tra poche ore accompagnerai Castiel alla
proprietà che il vampiro che cerchiamo ha acquistato. E bada bene, niente
scherzi.- lo avvertì –Sai che posso punirti con estrema facilità.-
Nakian deglutì, più che per le parole in sé per il
tono con cui erano state pronunciate. Come se il suo ospite assaporasse già il
dolore che gli avrebbe provocato –Non farò nulla di stupido, Signore.-
-Meglio per te.- disse l’altro –Castiel entrerà da
solo, tu aspettalo fuori. Quando uscirà, se le tue informazioni si riveleranno
esatte, ti darà la tua ricompensa.- concluse, per poi congedarlo –Ora vattene.
Uno schiavo ti porterà il pranzo.-
____________Il mio angolino
Eeeeed ecco il nuovo
capitoletto. Lo so, lo so, nulla è stato svelato, non picchiatemi :P
Voglio ringraziare
tutti quelli che hanno commentato, messo la storia nelle preferite, nelle
ricordate e nelle seguite *-* quindi… grazieeeeee!
Non credo che
aggiornerò sempre a questa velocità (giusto per non farvi illusioni) ma
prometto che farò del mio meglio!
Oooora, spero che vi
piaccia e che abbiate voglia di lasciare un segno della vostra lettura, che è
sempre graditissimo ùù
Baci a tutte!!
Jane