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Autore: GWatcher    24/07/2012    5 recensioni
Forse, ci si può abbandonare totalmente ad una persona solo quando non la si conosce realmente.
Un omaggio al mio eroe preferito, al vampiro che è stato - ed è tutt'ora - il mio più grande punto di riferimento.
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Angel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ti vedo di nuovo.

Sono circa le due di notte quando, all’improvviso, vedo un’ombra flettersi da lontano.

Vedo qualcuno comparire sulla cima di un grattacielo, proprio di fronte al mio appartamento.

Poggiato sul rialzo della finestra, fumo ed osservo la stessa identica scena.

Sono solo un ragazzo.

Fumo, perché mi aiuta a distrarmi e a non pensare. A quello che non ho, a quello che ho perso, a quello che potrei avere.

Poi vedo te. Quasi allo stesso orario, sempre solo.

Passano i minuti, ti guardo, la sigaretta si consuma. Ne accendo un’altra.

Non lo capisco. Perché solo? Ho sempre pensato che tu meritassi tutto, tranne che la solitudine.

Ma io sono solo un ragazzo, e mi limito a guardare.

Osservi il cielo scuro, come se ogni volta ci fosse qualcosa di nuovo da scoprire, qualcosa che la notte prima ti sei perso.

So cosa fai. So cosa sei.

In tanti anni, sono cambiato. Ho saputo scegliere quali siano le persone giuste per me, quali evitare, e altre che non meritano nemmeno la mia parola.

Posso sembrare presuntuoso, lo so, perché tutti meritano almeno una parola, ma è così. Io sono così, non posso cambiarlo.

Poi ci sono le persone come te. Persone che non conosco, che non ho mai sentito, ma che mi limito a vedere. Sono quelle che meritano tutte le mie parole, tutte quelle che conosco. Perché?

Posso percepire il tuo dolore, posso percepire quello che provi. Stai soffrendo, perché se così non fosse non saresti lì, solo, proprio come lo sono io, adesso.

Non posso dire di comprenderti, perché non conosco la tua vita, nemmeno il tuo nome, e ti direi una bugia. Però, posso dirti ben altre verità.

E’ da tanto che ti vedo, ti osservo. Non lo so perché, in verità non capisco nemmeno il motivo per cui ultimamente la notte non dormo.

Ma giurerei su ogni cosa di averle viste. Le zanne. Le tue.

Come posso spiegarmelo? Los Angeles non è quella che viene mostrata in televisione, ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di diverso dietro tutte le luci abbaglianti e le immagini colorate. Ed avevo ragione.

Ma non posso pensare che esistono persone con le zanne.

Vampiri.

Eppure, sono sicuro di averle viste, in più di un’occasione.

Ma sai ciò che mi ha colpito di più? Non mi sono spaventato, non ho temuto che potessi essere un pericolo. E credo sia una cosa talmente stupida… ma nemmeno tanto se ci ripenso.

Quello che avvertiamo verso gli altri è strettamente personale. Io posso amare una persona mentre altri possono odiarla, o addirittura temerla.

Allora mi sono detto: perché dovrei fingere una paura dove non c’è? Non è anche un mio diritto esprimere ciò che sento? Che provo?

Poi mi sono accorto di aver pensato una cosa ancora più assurda.

Io sento. Io provo.

Verso una persona che non conosco, con cui non ho mai parlato, ma solo limitato ad osservare, da lontano. Com’è possibile?

Ho pensato che stessi dando di matto. Che io, infelice come sono, stessi facendo affidamento verso altre persone, probabilmente immaginarie.

Ed era così. Lo è tutt’ora. Io faccio affidamento su di te. Su due metri di oscurità.

Come si può basare la fiducia e il rispetto su una figura tanto misteriosa?

Sei ancora un mistero per me, e forse è proprio questo il punto. Forse, amico, è questo il motivo per cui non riesco a dimenticare il tuo volto, forse ci si può abbandonare totalmente ad una persona solo quando non la si conosce realmente.

Ma tu sei molto altro che un abbandono. Tu sei un inizio.

Sento dei respiri. Non sono i tuoi, perché sei troppo lontano, ma non sono nemmeno i miei. E’ la mia ragazza, che si rigira tra le coperte e mi vede contemplare la luna.

Non sa che, in realtà, sto contemplando te.

Mi chiede di tornare a letto, ed io la rassicuro, sorridendo, e dicendo che farò così.

E’ molto dolce, spero che non mi spezzi il cuore, come le persone tendono a fare.

Mi volto di nuovo verso l’esterno, e lo fai anche tu, adesso ti vedo di spalle.

 

Ricordo di qualche sera fa, quando, ancora una volta, ti ho visto, ma a soli pochi metri, ed oserei dire in azione.

Effettivamente non ho ben capito ciò che stessi facendo.

Stavo camminando per le strade della vecchia metropoli e, d’improvviso, da un vicolo, sentii uno stridulo urlo. Era una donna, almeno lo compresi dall’intensità delle corde vocali. Non dovevo avvicinarmi, non dovevo perseguire quel suono.

Era sbagliato che io lo facessi. Ci sono tanti pericoli in questa città, soprattutto di sera, quando il buio cala e le tenebre invadono ogni cosa.

C’era solo la luce del lampione, fioca, illuminava un breve tratto di strada.

Non resistetti, forse per puro protagonismo, seguii quel suono raccapricciante, che sentivo ripetersi ininterrottamente, ogni volta più forte.

Scorsi la testa nel vicolo, e vidi la scena.

Un uomo bruto, dalla corporatura minuta ma, a quanto pare, potente, teneva stretta una ragazza bruna, abbastanza bassa.

Trovai tutto ciò indecente, e maledettamente ingiusto. Vedevo quei volti scorrermi davanti, tutto succedeva così velocemente, e pensai all’inferno che quella donna stava provando in quel momento.

Un pensiero veloce andò anche al piacere perverso di quel bruto. Che schifezza.

Non potevo crederci. Decisi di avvicinarmi per aiutare la vittima, anche se avevo tanto sperato che lei stessa trovasse la forza di mollargli un calcio nelle palle.

Anche se le mie probabilità di vittoria erano piuttosto basse. Anche se io ero solo un ragazzo.

Corsi verso di loro, alzai la voce, ricevetti insulti, tesi la mano e poi… arrivò un’ombra, avvolta in un lungo giaccone nero, che si confondeva perfettamente con l’oscurità.

Non so come, davvero, non lo so proprio, ma io ti riconobbi. Sapevo che quello eri tu, in un modo o nell’altro lo sentivo, senza dubbi.

Nella mia mente riaffiorarono ricordi: tutte le volte che, alla finestra, ero rimasto lì ad osservarti.

E non ci mettesti molto. Prendesti quel gran figlio di puttana per il braccio, e lo sbattesti con violenza contro il muro. Vidi del sangue, delle lacrime, delle urla, dei canini…

Era quasi impossibile riconoscerli in mezzo a tutto quel trambusto, ma io riuscii a vederli, nonostante il buio ed una lieve miopia.

Vedevo altra violenza davanti ai miei occhi, ed una cosa mi colpì particolarmente: tu ti fermasti. Non lo uccidesti, non lo massacrasti ancora. Perché?

Forse perché quello zotico non reagiva, e non si reggeva in piedi. Forse perché non volevi fare il lavoro sporco davanti a dei testimoni. Forse perché… sei un eroe.

Solo in quel momento l’ho capito. Ne ho avuto la conferma, amico misterioso.

Quando i canini scomparvero, tu guardasti la ragazza dritta negli occhi, e lei, ancora scossa, tremava. Si portò le mani al volto, nascondendolo, probabilmente afflitta dalla vergogna e dalla disperazione.

O almeno così mi parve.

E fu lì, che davvero mi stupisti. Mi spiazzasti completamente.

Ti avvicinasti a lei, liberasti il suo viso dalle mani. Il tuo sguardo era fisso, irremovibile.

La donna non riusciva neanche a sostenerlo.

Che scenario pazzesco, in una giornata qualunque di una vita qualunque. Mi sembrava tutto così surreale.

E tu, cosa facesti? Avvicinasti lentamente la tua bocca al suo orecchio, e cominciasti a sussurrare qualche parola. Qualche parola che io non conoscerò mai.

Ma parole magiche, suppongo. Perché la povera smise quasi di piangere.

Solo qualche minuto prima aveva sentito la presenza di quell’uomo invaderla dentro e fuori. Ma subito dopo arrivasti tu, con i tuoi pugni potenti e i tuoi sguardi penetranti, e almeno una piccola parte di quel dolore sembrava già passata.

Nel casino, io, ancora una volta, ero rimasto a guardare.

 

Quella sera, riuscii ad intravedere anche il tuo aspetto, per poco tempo. Vidi solo dei lineamenti, ma perché mi parevano perfetti?

E che cos’è la perfezione? Come posso rispecchiarla in un individuo che non conosco, che ho visto raramente, neanche con precisione. Ho avvistato parte del suo volto, e basta.

Ricordo che ero molto confuso. Non sapevo cosa fare, cosa dire, se raccontare qualcosa dell’accaduto.

No, gli altri non avrebbero potuto capire. Non avrebbero mai compreso tutte le emozioni che io avevo provato in quel momento. Anche perché, a dire il vero, non le avevo comprese bene nemmeno io.

In quel momento, volevo parlarti. Volevo dirti tante cose, tutte importanti, ma temevo di non riuscirci. Temevo che tu non mi avresti ascoltato. Insomma, perché avresti dovuto? Chi ero io per meritare la tua attenzione?

 

Nel turpiloquio dei miei pensieri, mi chiedo se abbia un senso ostinarmi ad ammirarti, e ritrarti come un valoroso eroe.  

Beh, sì, ce l’ha, un senso. Me lo disse il mio professore di filosofia, ed io non lo scorderò mai.

‘Tutto ha un senso, ogni cosa a questo mondo ha un senso, bisogna solo trovarlo. Perché, a volte, questo è più velato e indecifrabile, ma non impercettibile’.

Gli studi… tutti i miei pensieri vanno addietro, e si perdono in una dolce melanconia.

Ricordo della famosa materia dei pensieri, delle giornate passate a studiare sui libri, dei pomeriggi persi in preda all’esaurimento, delle chiacchiere, degli amici sempre presenti, della matematica incomprensibile.

 E di una frase in particolare, ancora una.

‘La solitudine è il destino di tutte le grandi menti, un destino a volte deplorato, ma sempre scelto come il minore di due mali’.

Solo ricordando ciò, ho capito davvero la tua identità. Almeno, ho tentato di farlo.

Ho cercato un’intuizione più ragionevole, tra tante, e alla fine ho scelto la congettura più logica ai miei occhi.

Perché fai questo, perché sei solo, perché io ti ammiro tanto in modo irrazionale.

L’ho capito, sai. Ho capito chi sei.

Mi sembra così stupido dirlo, ma devo. Perché se non lo pronuncio, non ci credo.

“Sei un angelo. Un angelo custode con le zanne”.

 

E’ finito un altro pacchetto di sigarette. E’ incredibilmente tardi. E tu non ci sei più.

Scendo dal rialzo della finestra. Chiudo, perché il vento è freddo e penetrante.

Spero che nel tuo giaccone nero tu non senta freddo.

Guardo un’ultima volta Los Angeles, avvolta dall’oscurità.

Torno a letto, dove un corpo caldo mi attende. Confido nel fatto che, un giorno, anche tu troverai un corpo caldo che ti abbracci, ti consoli, e ti renda felice.

Perché… potrà essere assurdo, ma non conoscendoti, io so. So che te lo meriti.

So che tu meriti tutte le cose belle di questo mondo.

Buonanotte, Angel.

Chissà se un giorno saprò mai il tuo nome.


  
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