Crack, fanon o
canon? Slash, het o threesome?
GOD SAVE THE SHIP!
I
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Sguardi,
alcool e regali
di
slice
Tsunade
si accasciò sulla panchina con la mente intorpidita e gli
occhi socchiusi, sbuffò e un ciuffo molesto si mosse
leggermente. Il libro che aveva sulle gambe era inquietante e
affascinante allo stesso tempo e, nonostante lei vedesse in quel modo
molti dei libri di medicina su cui studiava, e quindi non fosse una
novità, ogni volta si rendeva conto che qualcosa in quelle
righe non le permetteva di perdere concentrazione. Le succedeva
infatti di trovarsi esausta dopo ore di studio che le erano volate in
capitoli così pregni e istruttivi.
Per lei era usuale
starsene ore a sedere da qualche parte con un libro interessante in
mano, ma da quando il suo desiderio di studiare l'arte medica si era
tradotto in lezioni, libri e pratica su vari animaletti, le sembrava
di non aver mai letto davvero; quelle righe le rimanevano impresse
con una facilità sconvolgente, le sembrava così
importante, sapere ogni singola virgola, che la sua attenzione
vacillava solo alle urla di Jiraiya. E solo per impedire ad
Orochimaru di fargli troppo male, decideva di alzarsi e dividerli. In
genere bastava la sua presenza a sedare la baruffa.
“Che
cosa c'è?” alzò la testa dalla spalliera della
panchina e puntò gli occhi sul viso pallido del suo compagno
di squadra.
Orochimaru le rimandò uno sguardo placido, poi
si sedette accanto a lei senza proferire verbo. Gli occhi si spinsero
su quelle frasi, treni di parole che potevano salvare vite, e per un
po' ci furono solo occhi gialli che scorrevano da una parte all'altra
della pagina, il viso sempre più inclinato e l'attenzione
quasi palpabile.
“Non mi ero mai accorta, prima, del tuo
interesse per la medicina,” Tsunade arricciò il
naso.
Orochimaru aveva iniziato a girarle intorno, con quello
sguardo sfuggente, quando lei era partita con il piano di studi. Il
suo interesse per gli animali l'aveva quasi spinta a credere che lui
sarebbe un giorno diventato un veterinario, magari di una branca
insolita, uno specialista, dal momento che pareva molto più
interessato ad invertebrati striscianti che a cani e gatti. Poi aveva
scoperto il brillio in quegli occhi quando gli lasciava leggere
qualche tomo che lei aveva già ampiamente sviscerato e allora
era stato chiaro che lui apprezzasse l'arte medica quanto lei.
A
tal proposito gli porse un altro libro, estratto dalla piccola borsa
accanto a lei, sulla panca.
“Ecco, l'ho finito,”
disse.
Lui lo prese e, mentre leggeva il titolo, le sue mani già
erano pronte ad aprirlo.
“Sai,” proseguì
Tsunade, “nessuno ti proibirà di diventare medico, se è
questo che vuoi.”
“Abbiamo già un ninja medico,
nella nostra squadra,” replicò lui, senza staccare gli
occhi dalla prefazione.
“Non credo ci sia un limite, in ogni
caso potremmo trovare un sostituto...”
Lo disse per
scioglierlo dal suo rigido ruolo nel team, per mostrargli possibilità
che lui magari non aveva preso in considerazione. Tsunade credeva che
sarebbe stato ingiusto costringerlo a deviare i suoi interessi solo
perché anche lei amava la medicina. Ma, poco dopo, tutti i
suoi pensieri furono occupati dall'idea di aver detto un'eresia:
quegli occhi la trafissero con un inquietante moto d'odio.
“Ragazzi!
Ragazzi!” urlò Jiraiya, correndogli incontro.
Tsunade
mosse la testa verso di lui, sobbalzando leggermente, e solo dopo un
attento sguardo verso l'altro componente del team riuscì a
ricordarsi di chiudere la bocca.
L'espressione di Jiraiya si fece
seria quando, una volta vicino, scorse il volto del compagno. Di
riflesso Tsunade si voltò nuovamente verso di lui.
Orochimaru
la stava ancora fissando, questa volta con uno sguardo che lei poté
solo definire strano.
“Stai facendo la cacca?” gli
chiese Jiraiya, meritandosi tutta l'attenzione di entrambi e un paio
di sopraccigli alzati.
“È... È stata colpa
mia, credo di non essermi spiegata bene,” disse la ragazza,
senza dare peso alle parole dell'altro.
Orochimaru la guardò
ancora per un momento, poi raccolse il libro e si incamminò
per il viale, allontanandosi con la schiena dritta e i capelli neri
che vi dondolavo al ritmo dei suoi passi calmi.
Tsunade rimase a
guardarlo sparire, svoltare in una traversa sul fondo della strada,
con espressione stranita.
“Tsunade! Tsunade!” riprese
Jiraiya, muovendosi, colorato e rumoroso, com'era uso fare. “Tu
sai che giorno è domani? Lo sai, vero? Certo che lo sai!”
Ma
la kunoichi aveva ancora gli occhi puntati all'orizzonte,
perplessa.
“Tsunade, sono quiiii!” disse lui,
spostando con un dito il viso della ragazza verso di sé,
“Pronto? Sono Jiraiya, ricordi? Capelli bianchi, occhi
profondi, labbra sensuali, ricordi adesso? Ecco, sappi che domani,
avrai l'onore di festeggiare la ricorrenza della nascita di... tutta
questa perfezione!” lo disse indicandosi dappertutto, “Non
sei contenta?”
“No, nemmeno un po': il tuo compleanno
mi farà perdere ore di studio e di sonno, come se non bastasse
dovrò passare il pomeriggio a cercare uno stupido regalo che
comunque non mi renderà soddisfatta perché non hai
bisogno di nient'altro che del tuo ego,” chiuse il libro e si
voltò un momento per recuperare la borsa, prima di
alzarsi.
“Ma io ho pensato anche a questo! Ti rivelerò
qual è il miglior regalo che tu possa farmi...” e
puntellò le mani sulla panchina, volgendo il viso all'insù,
verso di lei, con occhi chiusi e labbra sporgenti.
Tsunade sbuffò
solo, si voltò verso il punto in cui era sparito Orochimaru,
ma, nel portare l'attenzione al suo imbecillissimo compagno di
squadra, inciampò nei suoi occhi. Jiraiya era
sorprendentemente serio, in quel momento. La scrutò, facendole
venire in mente le poche volte in cui aveva notato quello sguardo,
mai rivolto a lei, bensì sempre a persone che non potevano più
osservare i suoi progressi, la sua crescita, e ad un passato che lei
non conosceva a fondo, in cui non intendeva scavare senza
permesso.
Lui si portò in piedi, in silenzio, e s'incamminò
verso casa. Poi alzò un braccio, aprì la mano
agitandola in segno di saluto, e le lanciò un
incomprensibilmente allegro “Ci vediamo!”.
Tsunade
scosse il capo, sempre più confusa.
“Dai,
su, cos'hai, mal di pancia? Tsunade è un'ottima ninja e una
brava persona, non la guardare come se volessi vivisezionarla,”
disse, prima di spingersi un dango in bocca.
“Cosa ci fai
qui?”
“Insomma, è così bella e
aggraziata e allo stesso tempo così forte...”
“Sì,”
rispose, lui, accomodante, “ma perché sei qui?”
“...Poi,
senti, diciamocela tutta, non è che anche senza quello sguardo
tu non sia proprio mai mai mai inquietante, ecco,” disse
Jiraiya, gesticolando.
“Cosa c'entra?”
Orochimaru
aggrottò la fronte all'espressione di ovvia indignazione del
compagno.
“Mi spaventi tutte le pupe! Allora, se magari
domani sera sorridessi un pochino, lievemente, eh, perché a
volte sei più inquietante che da serio, ma se tu sorridessi un
pochino potresti arruffare le vesti di quella ragazzina seria che ti
guarda sempre. Che ne dici?” La
ragazzina che anche tu guardi sempre, con quello sguardo lì,
avrebbe voluto aggiungere, senza beccarsi una pedata e un sibilante
insulto.
L'altro lo guardò con attenzione per qualche
istante e, dopo aver deciso che a modo suo era davvero serio, annuì
piano, con convinzione.
“Verrò, ma non sorriderò
per sentirmi dire quanto sono bello in kimono.”
Jiraiya
scosse il capo, sempre meno incredulo man mano che negli anni
prendeva coscienza del carattere del compagno, ma ancora sempre
troppo scosso dalla rivelazione che per qualcuno abbondanti seni,
fianchi stretti e occhi brillanti non fossero qualcosa di così
allettante.
“Va bene, va bene, però promettimi che
smetterai di usare quello sguardo con Tsunade!”
Orochimaru
abbassò la testa e gli occhi per non fissare quelli del suo
interlocutore.
“Ok, almeno promettimi che ti impegnerai a
non farlo, mh?”
Lui annuì, brevemente.
Tsunade
aveva passato il pomeriggio nei negozi, accompagnata dalla vocetta
della figlia degli Yamanaka che continuava ad urlarle di donare al
suo amore segreto delle rose rosse. Solo dopo svariate occhiatacce e
innumerevoli tentativi di scrollarsela di dosso, le sfuggì un
cazzotto che mandò in frantumi il vaso di fiori che la
ragazzina aveva in mano. Non aveva mirato che a spaventarla e il
sorriso di quella mocciosetta, accompagnato dalla sua petulante voce
che la informava su quanto le donne si scaldassero in fretta per i
loro amori, la fece desistere, portandole una dolce e assuefacente
rassegnazione.
“Forse basterebbe qualcosa di dolce,”
provò, parlando più a se stessa che alla nanetta
attaccata ai suoi piedi come un pezzo di carta igienica.
“Insisto
nel dire che le rose rosse lo faranno sciogliere,” disse con
un'aria terribilmente maliziosa per la sua età.
“Oh,
sono sicura che Jiraiya si scioglierebbe il nodo dei pantaloni per
molto meno,” sorrise, contenta dell'espressione incerta sul
viso della fastidiosissima pargoletta.
Proseguì, senza
aspettarla, verso la vetrina successiva e si fermò davanti ad
un kit medico, standard, in bella mostra nella farmacia del
villaggio.
“Che romantico...” sbuffò la
nana.
Tsunade era già con un piede all'interno quando lei
piagnucolò che le vecchie generazioni avrebbero ucciso il
romanticismo e al suo arrivo, con quel ragazzo figo con le braccia
forti che aveva visto il giorno prima - lo aggiunse ormai già
a porta chiusa - non ci sarebbe stato più niente da
fare.
All'interno, la fila raggiungeva la metà della stanza
e le commesse erano indaffarate, c'era un bel movimento là
dentro e la kunoichi aveva sempre apprezzato quel via
vai.
“Tsunade-san.”
Venne salutata da uno sbadiglio
e ricambiò con un breve inchino.
“Yoshino non c'è,
Shikaku, è inutile che ti guardi intorno,” chiocciò
la nanetta, lì a fianco.
Shikaku Nara sbuffò a lungo
prima che venisse il suo turno, spostando il peso da una gamba
all'altra, apparentemente infastidito da tutto, proprio tutto, e poi
consegnò due scatole di unguenti alla commessa.
Tsunade
rimase perplessa da quella rivelazione, più perché non
credeva che la Yamanaka fosse in grado di leggere quel quoziente
intellettivo, che per altro. Tuttavia una volta comprato il suo kit
aveva già la mente proiettata verso altre questioni.
“Dove
vai? Quello è per te, vero? Non regalerai una cosa che piace a
te ad uno che non se ne farà di niente, giusto? Insomma, è
l'abc...”
“Di cosa?” sputò Tsunade,
seccata, “credi che non lo sappia, credi che non sia già
abbastanza nervosa? Lo sai cosa vuol dire avere in squadra Orochimaru
e Jiraya? No che non lo sai, te lo dico io: è come avere a che
fare con due punte d'iceberg, procedi con la paura che un qualsiasi
errore possa farti affondare. E sai cosa c'è? Adesso andrò
là dentro,” voleva indicare un negozio a caso, ma senza
guardare non si accorse di aver indicato l'unico spiazzo della strada
che comprendesse solo una panchina e un lampione, “e comprerò
la prima cosa sotto i miei occhi!”
Si voltò subito e,
lasciando la ragazzina in mezzo alla strada, si diresse verso uno dei
due negozi ai lati dello spiazzo, stizzita.
Quel kimono in vetrina
sembrava sufficientemente adatto, e la cosa che le faceva più
rabbia era che tutto sarebbe stato adatto perché in realtà
niente di quello che aveva visto lo era.
Il
freddo di novembre faceva pensare all'inverno, ma l'atmosfera di
quella festa, anche vista da fuori il locale, pareva volerli
riportare tutti all'estate e ai suoi continui festeggiamenti. La
musica filtrava dalle finestre chiuse e dalla porta, che ogni tanto
si apriva per far entrare o uscire persone che lei non conosceva
affatto. Ma quanti amici aveva Jiraiya? Sorrise, pensando a
quell'emerito imbecille e alla sua esuberanza. Il pacco tra le sue
mani era troppo leggero per tutta quella vitalità, per quel
cuore così grande. Tsunade lo sapeva che fare lo spavaldo
aiutava Jiraiya a liberarsi di pensieri cupi, scomodi, che altrimenti
lo avrebbero costretto allo stesso silenzio in cui nuotava
Orochimaru. Lo sapeva che c'era molto di più e che non si
doveva scavare nemmeno tanto. Sapeva che si meritava tutta quella
gente a festeggiarlo.
“Quanti amici ha Jiraiya?”
Lei
si voltò di scatto trovando un profilo altero, una voce bassa
e capelli lunghi, neri come il buio.
“Pare che solo noi non
vediamo quello che è... Invece non è così! Io lo
vedo! E tu?”
Si chiese se Orochimaru fosse la persona giusta
a cui fare quella domanda, ma il suo dubbio durò molto poco
visto che l'altro annuì, quasi solenne, in quella sua perenne
compostezza.
“Orochimaru,” lo chiamò per
ottenere la sua attenzione, “non volevo sminuire il tuo ruolo
nel nostro team, vorrei solo che tu facessi quello che ami di più...
Non dovresti permettere a nessuno di ostacolarti o di decidere per
te.”
Tsunade si ricorderà questa frase nell'avvenire,
quando avrà fatto irruzione in un laboratorio e lui l'avrà
ripetuta in risposta ai perché della voce spezzata di Jiraiya;
ovviamente ignara, in quel momento, le sembrò giusto
spronarlo.
“Tieni...”
Lui si era perso
a guardarla in un modo strano, quasi quanto quello del giorno
precedente, ma poi si era nuovamente voltato verso
le luci e gli schiamazzi provenienti dal locale. Dopo si era
trovato in mano una scatola, un kit, spoglio di carta regalo e con un
fiocco sopra.
“È Jiraiya che compie gli anni,”
ribatté serio, osservando la scritta rossa sulla
confezione.
“Lo so, è solo per invogliarti a prendere
la decisione migliore per te, e non per il team.”
Ed ecco
quello sguardo strano del giorno prima, quegli occhi diventavano
magnetici alle volte e Tsunade aprì bocca per dire qualcosa
poiché avvertiva la necessità di rompere
quell'incantesimo, ma Jiraiya fu più veloce di lei.
“Oh,
siete qui, non sapevo che... Stai di nuovo facendo quello sguardo da
pazzo, Orochimaru!” aveva il suo tono da
non-so-cosa-stia-succedendo-qui e ciò serviva esattamente a
coprire che non fosse affatto stupido. Tsunade non fu felice di aver
riconosciuto quel comportamento.
“Ehy! È il mio
compleanno, Tsunade, non il suo!” piagnucolò.
Poi ci
fu del trambusto e delle voci femminili chiamarono il
festeggiato.
“Ahn... Devo proprio andare, ma entrate e
bevete qualcosa alla mia salute, arrivo subito!”
Jiraiya era
già lontano, sparito tra le braccia di una ragazzina bionda,
dalla pelle chiara.
“Che idiota!” Tsunade sbatté
un piede in terra e il locale tremò leggermente.
“Vieni,”
disse Orochimaru, inaspettatamente, “andiamo a bere alla sua
salute e sul suo conto.”
La compagna si congratulò
con lui per l'idea geniale.
Poche
persone erano rimaste a chiacchiera nel locale, doveva essere molto
tardi. Tsunade lo pensò con la stessa calma di un lago di
montagna, osservando il suo bicchiere mezzo vuoto con la testa
poggiata sul bancone.
“Credi che dica sul serio quando dice
che sono bella?”
Orochimaru appoggiò la fronte sul
suo polso e il bicchiere vuoto gli sfuggì dalle mani.
“Secondo
me lo dice a tutte...” mormorò lei, in un monologo da
sbronza triste.
“Ehy!”
Entrambi tirarono su la
testa di scatto come se qualcuno avesse colpito un gong nelle ore
calde del dopo pranzo, quando la sonnolenza decide per te dove andare
ad accasciarti, per quei cinque minuti che diventeranno un paio
d'ore.
“Ragazzi!” urlò ancora Jiraiya,
chiaramente alticcio. “Oh, sveglia! Balliamo!”
“Vado
a ballare a casa, dopo aver vomitato,” concesse Orochimaru,
fuori dal suo elemento.
“Ma dai! Che guastafeste!” lo
rincorse la voce del compagno.
“Tsunade deve dirti
qualcosa...” rantolò lui prima di uscire di scena.
La
kunoichi a quell'affermazione aveva tirato nuovamente su la testa con
tanta velocità da sbilanciarsi e Jiraiya ebbe solo il tempo di
vedere le sue gambe per aria, appena voltato. Si precipitò ad
aiutarla, chiedendole un paio di volte se stesse bene, senza ricevere
risposta.
“Sto bene!” ringhiò Tsunade, alla
terza volta, scansandolo di malo modo.
“Che modi, ma che
hai? Cosa devi dirmi?”
“Niente! Che dovrei dirti?”
Il
festeggiato aggrottò la fronte, allargando le braccia.
“Non
lo so, pare che Orochimaru sappia un sacco di cose su di te, vogliamo
parlare del fatto che al mio compleanno lui ha ricevuto un regalo e
io no?”
Tsunade si guardò intorno, perplessa, poi
adocchiò un signor nessuno, svenuto supino su una panca del
ristorante, con il kimono addosso. Lo indicò.
“Eccolo
lì, il tuo regalo...” biascicò, sulla scia di una
risata mal trattenuta.
Aveva previsto che si sarebbe messo a
ridere, che l'avrebbe spintonata, aveva previsto anche un sacco di
altri scenari, ma non si sarebbe mai aspettata di vederlo andar via.
Probabilmente Jiraiya sorrideva troppo, quelli accanto a lui
semplicemente si dimenticavano di ciò che aveva passato, di
quello che aveva visto, si dimenticavano del peso del suo cuore a
forza di vederlo così leggero. Si era rimproverata spesso per
questa sua mancanza. Si reputava migliore di quelle persone, più
vicina a lui e, nonostante l'idiozia galoppante che spesso lo
accompagnava, era contenta di esserlo.
Non era il momento giusto,
tutto qui, si disse, mentre un moto di stizza le cresceva nel petto e
le gambe iniziarono a muoversi da sole, per raggiungerlo.
“Cosa?
Che c'è?” gli urlò, sapendo che il suo carattere
impetuoso non gli avrebbe permesso di ignorarla.
“C'è
che conosco quello sguardo!” urlò infatti lui mentre si
voltava per puntargli un dito contro.
Lei si guardò
intorno, confusa, poi si indicò il petto.
“Non il
tuo, sai benissimo di cosa parlo!”
La confusione doveva
essere palese sul suo viso perché lui proseguì in una
malformata spiegazione delle sue.
“Sai perché
Orochimaru è così leggibile? Perché è
nevrotico e schematico come tutti i nevrotici: ha uno sguardo cupo
per ogni circostanza, ha una smorfia per ogni monosillabo non
pronunciato e non ci si sbaglia mai.”
“Questo perché
tu lo osservi molto, ti assicuro che non è così
leggibile per gli altri...” s'intromise lei.
“Lo sai
cosa cerco di dire: tant'è vero che lui, per avere il suo
regalo, non deve andare a spogliare uno sconosciuto!”
“Sei
ingiusto, tu sei sparito per tutta la serata!”
“Non
sono sparito, ero al tavolo dietro di voi, non mi hai visto perché
eri occupata a fare brindisi con lui e...”
Tsunade sospirò,
stanca.
“Fammi capire bene, sei geloso, per caso?” poi
mise le mani sui fianchi.
“Sì! Sì che lo
sono!”
Ah. Avrebbe voluto dire, sconvolta. Non che
non sapesse che lui aveva un debole per le ragazze, ma, appunto,
credeva che una valesse l'altra.
“Ma sai che c'è? non
me ne frega niente di te e Orochimaru, io un giorno ti sposerò
lo stesso!” e si voltò, con impeto, barcollò
leggermente e si diresse a mani tese verso un albero per poi
proseguire lungo la strada, probabilmente diretto verso casa.
Tsunade
scoprì di avere la gola secca e la fronte aggrottata, si
scoprì le sopracciglia molto in alto e le mani sudate, un
sacco di cose di cui prese coscienza dopo un ragionevole momento di
stasi, quando Jiraiya era lontano abbastanza da sembrare una
macchiolina. Le pareva di aver già visto quella scena, come un
libro vecchio o una vita precedente. Aveva il petto caldo e la testa
leggera e, anche se non era certa di non poter attribuire tutto
all'alcool, c'era qualcosa di romantico nell'aria che la fece sentire
preziosa per una persona speciale. Persona che barcollava reggendosi
ad ogni sorta di appiglio per non cadere indecorosamente. Gli corse
dietro, stranita dai suoi stessi pensieri.
“Jiraiya!
Jiraiya...” lo chiamò finché lui non decise di
fermarsi ad aspettarla.
Decelerò fino a fermarsi con
un'andatura da passeggiata, accanto a lui.
“Me lo
prometti?”
“Cosa?”
“Mi prometti che un
giorno mi sposerai lo stesso?”
Jiraiya aprì la bocca
senza sapere bene cosa dire, poi annuì riacquistando sicurezza
e un'espressione un po' meno idiota.
“Certo!”
“Vuoi
il mio regalo?” disse lei, sorridendo.
“Nh... Non
avertene a male, ma quel tizio...”
Si bloccò
nell'osservazione dei suoi inequivocabili gesti. Lei china in avanti,
verso di lui, con gli occhi chiusi e le guance rosse, sporse le
labbra leggermente in fuori.
Jiraiya sorrise, quando ormai era già
ad occhi chiusi a sua volta, con la fronte appoggiata contro quella
della compagna.
“Buon compleanno, Jiraiya.”
Owari
Ahn...
Prima è passato un merlo, uno di quelli che parla,
evidentemente, perché mi è sembrato che gracchiasse
“Ooc! Ooc!” a intervalli regolari “Ooc! Ooc!”
e con un tono anche piuttosto indignato.
A parte i merli, non è
comica, 'sta roba... Quindi è per questo che è stata
scartata dalla sfida in favore della precedente “Gelosia”,
sapevatelo. Non è niente, in realtà, non so come
definirla, odio dover mettere generi e avvertimenti, non so mai un
cavolo!
“Ooc! Ooc! Ooc!”
Stupido uccellaccio...
I personaggi e i luoghi non mi appartengono e non c'è lucro.