Ciao
a
tutti!
Questa
shot nasce dal mio
amore sviscerato per
il Piccolo Principe, unito ad una
strana demenza che mi ha spinto, rileggendo il favoloso libretto, a
ricollegare
qualche frase ad alcune ben note vicende di Naruto –
ovviamente la presenza del
libro nella storia è una licenza poetica, dato che non mi
pare che Kishomoto
abbia mai citato Saint-Exupéry. XD
Intendiamoci,
questa non vuole essere un’interpretazione di quanto
contenuto nel Piccolo Principe,
anche perché sono personalmente
convinta che contenga troppe cose troppo vere per poter avere una sola
interpretazione.
Diciamo che
è un piccolo omaggio. :3
Le citazioni
in corsivo ovviamente provengono direttamente dal testo e non mi
appartengono;
chi avesse letto il libro probabilmente le riconoscerà, chi
non l’avesse letto
non si preoccupi perché direi che non compromettono la
comprensione della
storia.
Spero che la
lettura sarà gradevole, e come sempre ringrazio a chi si
cimenterà nell’impresa.
:D
Vite
passate, bimbe insonni e storie speciali
I
turni in
ospedale erano sempre spossanti, ma quando cadevano di
venerdì sera e si
concludevano a mezzanotte passata rischiavano di indurre seriamente
Sakura a
riconsiderare la propria professione.
Sfinita,
dopo essere uscita dal grande edificio bianco che spandeva le luci
delle sue
centinaia di finestrelle nel cielo blu scuro, con passo sostenuto ma un
po’
strascicato si diresse verso casa.
Anche Sasuke
aveva dovuto ammettere che vivere nel bel mezzo di un quartiere
disabitato e
considerato maledetto non sarebbe stato molto salutare per i loro
figli, quindi
si erano trasferiti in una grande villetta vicina al centro di Konoha,
presso
cui arrivò nell’arco di circa venti minuti.
Dall’unica
luce accesa al piano terra Sakura desunse subito che Sasuke doveva
essere
incredibilmente riuscito nell’intento di mettere a dormire i
loro pargoli,
così, per non fare rumore inutile, si sfilò le
scarpe appena fuori dalla porta
e girò piano la chiave nella toppa cercando di attutirne il
più possibile il
lieve cigolio.
Una volta
entrata depositò la borsa in ingresso e le calzature nella
scarpiera; poi
sottovoce sillabò “Sono a casa.”
Raggiunse il
soggiorno, e vi trovò Sasuke semisdraiato sul divano, ma non
era solo come si
era aspettata.
Accovacciata
a terra, su di un grande cuscino, stava nel suo pigiama rosa una bimba
di circa
sei anni con capelli scuri raccolti in due treccine ormai sfatte e
grandi occhi
neri sul viso dalla pelle chiara.
Forse Sasuke
non era proprio riuscito del tutto
nell’intento di mettere a letto i bambini, concluse Sakura
con un sospiro un
po’ divertito, un po’ esasperato.
“Mamma!”
esclamò la bimba appena si avvide della sua presenza.
“Ti stavo asp-”
“Mikoto, ti prego”
la interruppe Sasuke
sottovoce, perentorio. “
Dato che è
tardi e almeno i tuoi fratelli si
sono degnati di addormentarsi, vedi di non svegliarli.”
“Ti stavo
aspettando!” concluse la bimba, stavolta sussurrando, e
ignorando
deliberatamente il commento di suo padre.
Sakura
sorrise, sedendosi accanto a Sasuke e prendendo la bambina in braccio.
“Allora con
gli altri sei riuscito nell’intento? Mi congratulo, a dire il
vero pensavo che
li avrei trovati tutti
alzati.”
Sasuke
soffocò uno sbadiglio.
“Itachi e
Shisui non hanno fatto storie. Con i gemelli è stato un
po’ più complicato, ma
poi si sono infilati sotto le coperte anche loro. L’unica che
non ne ha voluto
sapere è stata la piccola peste.”
concluse, lanciando a Mikoto uno sguardo severo.
“Non avevo
sonno, volevo aspettare la mamma.” fu la tranquillissima
replica.
Mikoto non
temeva in alcun modo i rimproveri di suo padre, che fossero blandi o
furiosi.
Di certo se
sgridata per un comportamento sbagliato si sentiva in colpa, ma era
talmente
consapevole della sua posizione di cocca di papà, in
famiglia, che il vero e
proprio timore, ben conosciuto da tutti e quattro i suoi fratelli
più grandi,
era per lei entità astratta.
“Ma ora mi
hai aspettato, io sono tornata ed è ora di dormire anche per
te, signorina”
intervenne Sakura tirandole scherzosamente una treccina. “Dai
la buonanotte a
papà e andiamo insieme di sopra.”
Mikoto si
arrampicò sul divano fino a raggiungere le ginocchia di
Sasuke, che ricevette
il suo bacio e le pizzicò un fianco strappandole una
risatina sommessa, poi
tornò da sua madre e si lasciò prendere in
braccio.
Qualche
minuto dopo era sotto le sue coperte ben rimboccate, con i capelli
scuri
sciolti sul cuscino e i suoi peluche intorno, ma mentre Sakura le
accendeva la
piccola luce per la notte, le sussurrò
“Però io non ho ancora sonno.”
“Adesso è
davvero tardi, amore, e anche se domani non devi andare
all’Accademia devi
riposare.”
“Ma no, per
favore.”
Sakura si
sedette di fianco a lei sul letto, osservandola.
“E che cosa
vorresti fare, a quest’ora?”
“Potresti
raccontarmi una storia.”
“E che
storia vuoi sentire?”
“La storia di
papà.”
Sakura
rimase zitta un momento, interdetta.
“La storia
di papà?”
“Sì. La
storia del mio papà. Mi dicono tutti che ha avuto una storia
difficile, ma io
non ho ancora capito bene quale sia.”
Sua madre
tacque, per un momento.
“E che cosa vorresti
sapere?” chiese poi con
dolcezza alla bambina.
“Le solite
cose le so” le rispose prontamente Mikoto. “Danzo e
i consiglieri che ordinano
allo zio di uccidere la famiglia perché voleva ribellarsi,
papà che cresce
solo, il sennin-serpente che lo vuole con sé. Poi so che se
ne è andato. E
basta. Perché papà non ne parla
volentieri.”
Sakura le
accarezzò una guancia con tenerezza.
“Non ne
parla volentieri perché non gli piace ripensarci.”
“Ma se n’è
andato davvero?”
“Sì,
davvero.”
“E perché?”
“Il perché è
un po’ complicato da spiegare, tesoro.”
“Ma tu puoi
raccontarmelo lo stesso. Come se mi raccontassi una favola.”
Sakura
sospirò con un sorriso incerto.
“Per
favore.” Mikoto continuava a guardarla negli occhi, assumendo
un cipiglio
imperioso, che non nascondeva del tutto una certa urgenza.
Un piccolo
Sasuke con tratti appena più delicati.
Sakura optò
per una strada breve.
“Papà se ne
è andato perché voleva diventare più
forte. È andato da un maestro potente e ha
lasciato qui me e lo zio Naruto per questo. Poi ha incontrato lo zio
Itachi.
Hanno combattuto ma lo zio era molto malato, e quindi non ha potuto
sopravvivere. Il papà allora è andato con un
lontano parente che gli ha fatto
credere delle cose sbagliate e insieme hanno mosso guerra a Konoha. Ma
noi
abbiamo vinto e papà ha deciso di tornare, alla fine. Ed ora
è qui.”
La bambina
prese in silenzio la frettolosa spiegazione della madre, dandole ad
intendere
di non essere convinta ma, magnanimamente, di accontentarsi.
Rigirandosi
tra le dita un vecchio dinosauro di peluche assunse
un’espressione pensierosa.
“Tu gli
volevi bene da quando eri piccola.” concluse poi.
“Sì.”
confermò Sakura, con dolcezza.
“Ma perché
non sei riuscita a tenerlo qui, allora?”
Ancora una
volta Sakura rimase interdetta e non seppe cosa risponderle.
Voltò gli
occhi per la stanza pensando a qualcosa da dire. Lo sguardo si
posò su un
piccolo libro dalla copertina chiara sul comodino di sua figlia.
“Prendi quel
libro, tesoro.” le disse. “L’hai
letto?”
“Sì.”
Rispose Mikoto. “anche se non sono sicura di aver capito
tutto.” aggiunse
imbronciata.
“Oh, non
preoccuparti. È un libro vecchio, sai, l’ho letto
anche io quando ero piccola,
e anche io quando ho finito la storia avevo la sensazione di aver
capito molto
meno di quello che c’era davvero scritto.”
La bimba si
tirò seduta e afferrò il libretto dal comodino,
sfogliandolo alla luce
dell’abat-jour.
“Il Piccolo
Principe è così carino.”
commentò a bassa voce mentre osservava il piccolo
disegno di un bimbo biondo. “Somiglia un po’ allo
zio Naruto da piccolo, solo
che lui ha questa strana lunga giacca verdina con l’interno
rosso invece della
tuta arancione.”
Sakura
ridacchiò. “Hai ragione.”
“Però io ti
avevo fatto una domanda.” riprese Mikoto, seria e compunta.
“Il libro cosa
c’entra?”
“Sei proprio
come il Principe, tu, piccola. Non lasci mai perdere una domanda dopo
che l’hai
pronunciata.”
“Già. E
perché quindi non hai tenuto qui il papà prima
che se ne andasse? Non ci sei
riuscita?”
Sakura guidò
le mani di sua figlia a sfogliare le pagine, fino a che raggiunse
quella che
cercava.
“Ecco.” Le
indicò una riga precisa. “Leggi.”
“ ‘Non sapevo come
toccarlo, come
raggiungerlo… Il paese delle lacrime è
così misterioso.’ Oh… Qui
è quando
il Piccolo Principe è triste e il Narratore non sa come fare
per farlo tornare
a sorridere.” disse Mikoto.
“Già. Era
proprio così, vedi. Il papà era molto, molto
triste. Era un Piccolo Principe
nel paese delle lacrime, anche se a vederlo non l’avresti mai
detto. E io ero
come il Narratore. Potevo toccarlo, potevo anche abbracciarlo, potevo
parlargli. Ma non sapevo come arrivare nel suo paese delle lacrime, e
allora se
anche parlavo lui non credeva a quello che gli dicevo.”
“E perché
non ci credeva?”
“Perché… Si
sentiva talmente solo da non riuscire a fidarsi degli altri, e spesso
preferiva
non ascoltarli.”
“Ma perché
era triste?”
“Perché era
rimasto da solo. Aveva perso le persone a cui più voleva
bene, tutta la sua
famiglia, e questo lo rendeva davvero tristissimo. Sarebbe come se tu
perdessi
me, papà, tutti i tuoi fratelli, in un colpo solo.”
“Credo che
allora sarei molto triste anche io.”
“Infatti.”
Confermò Sakura, spostando una ciocca scura dalla guancia
della bambina.
“Però non ha
molto senso, mamma.” Riprese Mikoto, sempre con un lieve
broncio.
“Che cosa
non ha senso, tesoro?”
“Se lui era
triste perché si sentiva solo, non aveva molto senso tenere
lontane le altre
persone che gli volevano bene.”
Una cosa
strana, forse a metà tra uno sbuffo e un sospiro,
soffiò tra le labbra di
Sakura.
Riprese il
libro dalle mani della bambina, e cercando di non far frusciare troppo
le
pagine cercò un altro capitolo.
Quando
l’ebbe trovato riconsegnò il volumetto alla figlia
e le sussurrò “Prova a
leggere anche qui.”
“ ‘Il pianeta
appresso era abitato
da un ubriacone.
Questa visita fu molto breve, ma
immerse il piccolo principe
in una grande malinconia.
«Che cosa fai? »
chiese all'ubriacone che stava in silenzio
davanti a una collezione di bottiglie vuote e a una collezione di
bottiglie
piene.
«Bevo» rispose, in tono lugubre, l'ubriacone.
«Perché bevi?
» domandò il piccolo principe.
«Per dimenticare»,
rispose l'ubriacone.
«Per dimenticare che
cosa?» s'informò
il piccolo principe che cominciava
già a compiangerlo.
«Per dimenticare che ho
vergogna», confessò l'ubriacone
abbassando la testa.
«Vergogna di che?»
insistette il piccolo principe che
desiderava soccorrerlo.
«Vergogna di bere!
» e l'ubriacone si chiuse in un silenzio
definitivo.
Il piccolo principe se ne
andò perplesso.’ ”
Mikoto terminò di sillabare
mantenendo anche lei un’aria alquanto perplessa.
“Questa è una delle parti che
non ho capito”, aggiunse. “Mi sembra proprio senza
senso. Perché una persona
dovrebbe bere per dimenticarsi la
vergogna di bere?”
“E perché una persona dovrebbe
allontanare le altre persone per cercare rifugio dal dolore della
solitudine?”
le chiese a sua volta Sakura.
Mikoto rimase in silenzio,
apparentemente molto concentrata.
In effetti non doveva essere
facile per una bimba di sette anni circa comprendere un garbuglio
simile.
“Quello che io voglio dire, e
che il Piccolo Principe vuole dire, è che spesso non
c’è senso nelle nostre
azioni. A volte non sappiamo cosa scegliere e
come comportarci per stare meglio, e ci
cacciamo in situazioni da cui non possiamo uscire da soli, eppure
l’unica cosa
che riusciamo a fare è continuare a comportarci sempre nello
stesso modo. A
volte lo facciamo perché non troviamo una soluzione, a volte
perché non abbiamo
la forza di cercarla, a volte perché non ci speriamo
più, a volte perché invece
ci auguriamo che la soluzione ci cada tra le mani. Ma in ogni caso
è come
cadere in un vortice d’acqua in cui ti sembra di annegare, e
capita che l’unica
soluzione possibile paia quella di nuotare ancora più
giù. Oppure,
semplicemente, a volte pensiamo di potercela cavare, e invece non
è così.”
La piccola Uchiha si beveva ogni
singola parola con i grandi occhi neri puntati in quelli della madre,
come se
il contatto visivo potesse trasmetterle una spiegazione aggiuntiva.
Quando sua madre terminò la
frase strinse più forte il consunto dinosauro di peluche e
sospirò.
“E il papà perché lo faceva?”
“Credo che pensasse, e volesse
dimostrare, che poteva farcela da solo in ogni situazione, che poteva
essere
forte. Guarda” e riprese il libretto, leggendo stavolta lei
stessa. “ ‘«Tu
sarai lontano e delle bestie non ho
paura. Ho i miei artigli.» E mostrava ingenuamente le sue
quattro spine’. È
andata esattamente così, con papà. Come con la
Rosa del Piccolo Principe, che
fingeva con lui di essere forte. Voleva dimostrare a se stesso e agli
altri di
avere degli artigli taglienti e terribili, invece allora era triste, e
solo, e
aveva solo spine. Facevano anche male, a volte, ma rimanevano pur
sempre solo spine.”
“Non penso
di aver capito, mamma.” ammise Mikoto.
Sakura
sorrise con tenerezza.
“Non importa
che tu capisca, non adesso almeno. Avrai tempo per queste cose
così complicate.
E poi, come ti ho detto, a volte anche per le persone grandi
è difficile
capire.”
“Ma io voglio capire
adesso.”
sussurrò la bimba, più a se stessa che alla madre.
La donna produsse uno sbuffo
condiscendente, riconoscendo in sua figlia l’inconfondibile
testardaggine del
padre nel voler arrivare fino in fondo, sempre.
Mikoto parve profondamente
assorta nei suoi pensieri per un po’, e rimase in silenzio,
gli occhi chiusi.
Proprio quando Sakura aveva
iniziato a sistemare le lenzuola, credendola addormentata, Mikoto
riaprì gli
occhi arzilla come prima. “Mamma.”
chiamò.
“Sì, amore.” Fece Sakura,
nascondendo a stento uno sbadiglio e l’esasperazione.
“…Però io lo so che papà
aveva
un bruttissimo carattere.” sfiatò saputa
sottovoce, presumibilmente per lo
scrupolo di non farsi sentire da Sasuke. “So che oltre a non
volere la
compagnia degli altri a volte si comportava da presuntuoso, che
rispondeva
sgarbatamente, che non aiutava volentieri nemmeno gli amici, o
così pareva.
Quindi tu…” si interruppe timorosa.
“Come faceva a piacerti? Come hai potuto
inseguirlo per tutto quel tempo, senza stancarti mai?”
concluse.
Sakura aveva ancora in mano il
libro che avevano letto insieme fino a quel momento.
Aveva voglia di riporlo, stanca
com’era, e di imporre a sua figlia di mettersi
giù, ora, e dormire, ché di risposte
quella sera ne aveva avute a sufficienza.
Ma Mikoto la guardava con una
sete di sapere che andava oltre la semplice curiosità,
così lei non riuscì a
dirle nulla ma poté solo guardarla per qualche secondo,
sospirando.
Dopotutto la bambina era
cresciuta con il mito di suo padre, ma poi, quando era stata abbastanza
grande
da capire, qualcuno con un paio di frasi sbagliate su Sasuke quel mito
l’aveva
fatto seriamente traballare, ed ora lei aveva bisogno di ricostruirlo.
E
probabilmente non vedeva modo migliore per vederlo risorgere di
sentirsi dire
da sua madre perché per
lei Sasuke
era stato, e rimaneva, così speciale.
Quell’ultima illuminazione fece
cedere Sakura, che si risolse a riaprire il libretto.
Era incredibile come sembrasse
esserci tra quelle righe una frase in risposta per ogni domanda; certo
bisognava estrarle un po’ dal contesto della storia, ma
rimanevano comunque di
una profondità stupefacente.
“Quindi tu vuoi sapere che come
poteva piacermi papà, mh?” le sussurrò,
con un’occhiata complice. Scartabellò
tra i capitoli ancora per un minuto, poi le lesse un’altra
frase. “ ‘«Se qualcuno ama un fiore di cui esiste
un solo esemplare in milioni e
milioni di stelle, questo basta a farlo felice quando lo guarda. E lui
si dice:
‘Il mio fiore è là in qualche
luogo.’»’ ”
Mikoto la
guardò con vaga sufficienza.
“Questo
spiega il come, non il perché, mamma.”
soffiò.
“Se fai un
po’ di attenzione spiega anche il perché, tesoro. Da quando ero piccola ho
guardato il papà e ho
visto una persona come nessun’altra. Certo aveva, e ha, i
suoi difetti, ma la
sua bravura, il suo sangue freddo, la sua caparbietà,
l’indipendenza forzata
che sopportava, tutti questi aspetti mi facevano pensare che non ce ne
fosse un
altro in tutto l’universo come lui. E lui io lo volevo per
me, perché mi
affascinava, e lo ammiravo.”
“Ma poi hai
continuato ad ammirarlo anche dopo, quando se n’è
andato e ha fatto quelle…
Cose brutte?”
“Sì, tesoro.
Ho continuato. Magari non proprio ad ammirarlo, perché
potevo capire anche io
che aveva fatto delle cose sbagliate, e che anche il mio modo di
ammirarlo
quando ero piccola era stato sbagliato. Però diciamo che
anche sforzandomi più
che potevo non sono riuscita a pensare che quelle cose brutte fossero
sufficienti perché lui smettesse di... Essere il mio fiore.
Capivo che non
avrebbe dovuto agire in quel modo, capivo che il Villaggio era nel
giusto a
voler punire papà, però io non riuscivo a
smettere di sperare, sai. Le cose
brutte non bastavano a dissuadermi. Diciamo che in questo ero un
pochettino
caparbia anche io, ecco.” concluse Sakura ridacchiando.
“Già.” anche
Mikoto ridacchiò, ma finalmente
dovette fare i conti con uno sbadiglio, che venne sì
prontamente soffocato ma
non per questo sfuggì allo sguardo allenato di sua madre.
“E adesso
dormi davvero, signorina,
perché è
proprio tardissimo.”
Un ultimo
bisbiglio della bimba.
“Mamma… Papà
adesso non se ne va più, vero?”
Per un
istante infinitesimale il dubbio di un tempo si risvegliò
negli occhi verdi
della donna, ma fu rapidamente messo a tacere con una sicura e matura
consapevolezza.
“No, amore.
Non se ne va.”
Sakura le
rimboccò nuovamente le coperte e ripose il libretto sul
comodino, accanto alla
lucetta che rimaneva accesa per la notte, poi diede un bacio a sua
figlia e
accertandosi che lei fosse veramente intenzionata a dormire
uscì dalla stanza
socchiudendo la porta.
Sfinita,
vide che in soggiorno la luce era stata già spenta, quindi
si diresse
automaticamente verso la camera che condivideva con Sasuke.
Senza fare
rumore, dato che lui era già a letto, entrò nel
bagno e si preparò per la
notte, per poi raggiungerlo sull’agognato materasso con un
udibile sospiro di
sollievo.
Stava giusto
per assopirsi già dopo qualche minuto immersa nel buio
ristoratore quando sentì
un sussurro scocciato di Sasuke, che evidentemente aveva aspettato fino
a quel
momento giusto per essere certo di disturbarla mentre prendeva sonno
– adorabile.
“Quel
libretto dovrebbero darlo agli inceneritori, e tu
dovresti essere chiusa in qualche galera.”
Il tono
sostenuto era ben udibile anche nel suo parlare sottovoce.
“E perché,
di grazia, Uchiha?”
“Una cosa
così piena di melensaggini e una madre così
pronta ad assecondarle non dovrebbero
legalmente poter esistere.”
“Quella cosa ha aiutato
questa madre a salvarti la faccia
davanti a tua
figlia, amore, quindi non sono
ammesse lamentele. E poi credevo fossi troppo stanco e intontito dalle
sue
chiacchiere di questa sera per poterti fermare ad origliare. E che, in
ogni
caso, dato il tono melenso del discorso, non ti importasse.”
Lo sbuffo
seccato di suo marito suggellò l’uno a zero per
lei.
“Ormai mi
aveva tolto il sonno, e visto che non facevate altro che confabulare
tanto
valeva sentire cosa aveste di tanto importante da dirvi.”
“Certo”,
sussurrò Sakura con condiscendenza. “Comunque
aveva bisogno di parlare un po’
di questa storia, non lo dava a vedere ma ne era un po’
turbata. Aveva bisogno
di essere rassicurata.”
“Cosa che tu
sei stata ben felice di fare.”
“Già.”
Cadde un po’
di silenzio, tanto che Sakura sospettò che lui si fosse
addormentato.
Sbagliandosi.
“E comunque…
La linea femminile di questa famiglia ha un’evidente tendenza
alla sindrome
dell’abbandono. Paranoiche.”
Dal momento
che se l’aspettava, Sasuke incassò la gomitata
senza fiatare – anche perché
quel colpo ben piazzato della sua signora il fiato
gliel’aveva tolto tutto – e si
rigirò dall’altra parte dandole le spalle,
imperioso.
Si
addormentarono fingendo di tenersi il muso, sereni.
**********
Grazie
a chi
ha letto e a chi lascerà un parere.
Alla
prossima! :3
Panda