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Autore: Panda_chan    25/07/2012    4 recensioni
Dall’unica luce accesa al piano terra Sakura desunse che Sasuke doveva essere incredibilmente riuscito nell’intento di mettere a dormire i loro pargoli, così, per non fare rumore, si sfilò le scarpe fuori dalla porta e girò piano la chiave nella toppa cercando di attutirne il cigolio.
Una volta entrata depositò la borsa in ingresso e le calzature nella scarpiera; poi sottovoce sillabò “Sono a casa.”
Raggiunse il soggiorno, e vi trovò Sasuke semisdraiato sul divano, ma non era solo come si era aspettata.
Accovacciata su di un cuscino stava nel suo pigiama rosa una bimba di circa sei anni con capelli scuri e grandi occhi neri sul viso dalla pelle chiara.
Forse Sasuke non era proprio riuscito
del tutto nell’intento di mettere a letto i bambini, concluse Sakura con un sospiro un po’ divertito, un po’ esasperato.
“Mamma!” esclamò la bimba appena la vide.
“Ti stavo asp-”
“Mikoto,
ti prego” la interruppe Sasuke sottovoce, perentorio. “Dato che è tardi e almeno i tuoi fratelli si sono degnati di addormentarsi, vedi di non svegliarli.”
“Ti stavo aspettando!” concluse la bimba, stavolta sussurrando, e ignorando deliberatamente il commento di suo padre.
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Ciao a tutti!
Questa shot  nasce dal mio amore sviscerato per il Piccolo Principe, unito ad una strana demenza che mi ha spinto, rileggendo il favoloso libretto, a ricollegare qualche frase ad alcune ben note vicende di Naruto – ovviamente la presenza del libro nella storia è una licenza poetica, dato che non mi pare che Kishomoto abbia mai citato Saint-Exupéry. XD
Intendiamoci, questa non vuole essere un’interpretazione di quanto contenuto nel Piccolo Principe, anche perché sono personalmente convinta che contenga troppe cose troppo vere per poter avere una sola interpretazione.
Diciamo che è un piccolo omaggio. :3
Le citazioni in corsivo ovviamente provengono direttamente dal testo e non mi appartengono; chi avesse letto il libro probabilmente le riconoscerà, chi non l’avesse letto non si preoccupi perché direi che non compromettono la comprensione della storia.
Spero che la lettura sarà gradevole, e come sempre ringrazio a chi si cimenterà nell’impresa. :D



Vite passate, bimbe insonni e storie speciali

 

I turni in ospedale erano sempre spossanti, ma quando cadevano di venerdì sera e si concludevano a mezzanotte passata rischiavano di indurre seriamente Sakura a riconsiderare la propria professione.
Sfinita, dopo essere uscita dal grande edificio bianco che spandeva le luci delle sue centinaia di finestrelle nel cielo blu scuro, con passo sostenuto ma un po’ strascicato si diresse verso casa.
Anche Sasuke aveva dovuto ammettere che vivere nel bel mezzo di un quartiere disabitato e considerato maledetto non sarebbe stato molto salutare per i loro figli, quindi si erano trasferiti in una grande villetta vicina al centro di Konoha, presso cui arrivò nell’arco di circa venti minuti.
Dall’unica luce accesa al piano terra Sakura desunse subito che Sasuke doveva essere incredibilmente riuscito nell’intento di mettere a dormire i loro pargoli, così, per non fare rumore inutile, si sfilò le scarpe appena fuori dalla porta e girò piano la chiave nella toppa cercando di attutirne il più possibile il lieve cigolio.
Una volta entrata depositò la borsa in ingresso e le calzature nella scarpiera; poi sottovoce sillabò “Sono a casa.”
Raggiunse il soggiorno, e vi trovò Sasuke semisdraiato sul divano, ma non era solo come si era aspettata.
Accovacciata a terra, su di un grande cuscino, stava nel suo pigiama rosa una bimba di circa sei anni con capelli scuri raccolti in due treccine ormai sfatte e grandi occhi neri sul viso dalla pelle chiara.
Forse Sasuke non era proprio riuscito del tutto nell’intento di mettere a letto i bambini, concluse Sakura con un sospiro un po’ divertito, un po’ esasperato.
“Mamma!” esclamò la bimba appena si avvide della sua presenza. “Ti stavo asp-”
“Mikoto, ti prego” la interruppe Sasuke sottovoce, perentorio.  “ Dato che è tardi e almeno i tuoi fratelli si sono degnati di addormentarsi, vedi di non svegliarli.”
“Ti stavo aspettando!” concluse la bimba, stavolta sussurrando, e ignorando deliberatamente il commento di suo padre.
Sakura sorrise, sedendosi accanto a Sasuke e prendendo la bambina in braccio.
“Allora con gli altri sei riuscito nell’intento? Mi congratulo, a dire il vero pensavo che li avrei trovati tutti alzati.”
Sasuke soffocò uno sbadiglio.
“Itachi e Shisui non hanno fatto storie. Con i gemelli è stato un po’ più complicato, ma poi si sono infilati sotto le coperte anche loro. L’unica che non ne ha voluto sapere è stata la piccola peste.” concluse, lanciando a Mikoto uno sguardo severo.
“Non avevo sonno, volevo aspettare la mamma.” fu la tranquillissima replica.
Mikoto non temeva in alcun modo i rimproveri di suo padre, che fossero blandi o furiosi.
Di certo se sgridata per un comportamento sbagliato si sentiva in colpa, ma era talmente consapevole della sua posizione di cocca di papà, in famiglia, che il vero e proprio timore, ben conosciuto da tutti e quattro i suoi fratelli più grandi, era per lei entità astratta.
“Ma ora mi hai aspettato, io sono tornata ed è ora di dormire anche per te, signorina” intervenne Sakura tirandole scherzosamente una treccina. “Dai la buonanotte a papà e andiamo insieme di sopra.”
Mikoto si arrampicò sul divano fino a raggiungere le ginocchia di Sasuke, che ricevette il suo bacio e le pizzicò un fianco strappandole una risatina sommessa, poi tornò da sua madre e si lasciò prendere in braccio.
Qualche minuto dopo era sotto le sue coperte ben rimboccate, con i capelli scuri sciolti sul cuscino e i suoi peluche intorno, ma mentre Sakura le accendeva la piccola luce per la notte, le sussurrò “Però io non ho ancora sonno.”
“Adesso è davvero tardi, amore, e anche se domani non devi andare all’Accademia devi riposare.”
“Ma no, per favore.”
Sakura si sedette di fianco a lei sul letto, osservandola.
“E che cosa vorresti fare, a quest’ora?”
“Potresti raccontarmi una storia.”
“E che storia vuoi sentire?”
“La storia di papà.”
Sakura rimase zitta un momento, interdetta.
“La storia di papà?”
“Sì. La storia del mio papà. Mi dicono tutti che ha avuto una storia difficile, ma io non ho ancora capito bene quale sia.”
Sua madre tacque, per un momento.
“E che cosa vorresti sapere?” chiese poi con dolcezza alla bambina.
“Le solite cose le so” le rispose prontamente Mikoto. “Danzo e i consiglieri che ordinano allo zio di uccidere la famiglia perché voleva ribellarsi, papà che cresce solo, il sennin-serpente che lo vuole con sé. Poi so che se ne è andato. E basta. Perché papà non ne parla volentieri.”
Sakura le accarezzò una guancia con tenerezza.
“Non ne parla volentieri perché non gli piace ripensarci.”
“Ma se n’è andato davvero?”
“Sì, davvero.”
“E perché?”
“Il perché è un po’ complicato da spiegare, tesoro.”
“Ma tu puoi raccontarmelo lo stesso. Come se mi raccontassi una favola.”
Sakura sospirò con un sorriso incerto.
“Per favore.” Mikoto continuava a guardarla negli occhi, assumendo un cipiglio imperioso, che non nascondeva del tutto una certa urgenza.
Un piccolo Sasuke con tratti appena più delicati.
Sakura optò per una strada breve.
“Papà se ne è andato perché voleva diventare più forte. È andato da un maestro potente e ha lasciato qui me e lo zio Naruto per questo. Poi ha incontrato lo zio Itachi. Hanno combattuto ma lo zio era molto malato, e quindi non ha potuto sopravvivere. Il papà allora è andato con un lontano parente che gli ha fatto credere delle cose sbagliate e insieme hanno mosso guerra a Konoha. Ma noi abbiamo vinto e papà ha deciso di tornare, alla fine. Ed ora è qui.”
La bambina prese in silenzio la frettolosa spiegazione della madre, dandole ad intendere di non essere convinta ma, magnanimamente, di accontentarsi.
Rigirandosi tra le dita un vecchio dinosauro di peluche assunse un’espressione pensierosa.
“Tu gli volevi bene da quando eri piccola.” concluse poi.
“Sì.” confermò Sakura, con dolcezza.
“Ma perché non sei riuscita a tenerlo qui, allora?”
Ancora una volta Sakura rimase interdetta e non seppe cosa risponderle.
Voltò gli occhi per la stanza pensando a qualcosa da dire. Lo sguardo si posò su un piccolo libro dalla copertina chiara sul comodino di sua figlia.
“Prendi quel libro, tesoro.” le disse. “L’hai letto?”
“Sì.” Rispose Mikoto. “anche se non sono sicura di aver capito tutto.” aggiunse imbronciata.
“Oh, non preoccuparti. È un libro vecchio, sai, l’ho letto anche io quando ero piccola, e anche io quando ho finito la storia avevo la sensazione di aver capito molto meno di quello che c’era davvero scritto.”
La bimba si tirò seduta e afferrò il libretto dal comodino, sfogliandolo alla luce dell’abat-jour.
“Il Piccolo Principe è così carino.” commentò a bassa voce mentre osservava il piccolo disegno di un bimbo biondo. “Somiglia un po’ allo zio Naruto da piccolo, solo che lui ha questa strana lunga giacca verdina con l’interno rosso invece della tuta arancione.”
Sakura ridacchiò. “Hai ragione.”
“Però io ti avevo fatto una domanda.” riprese Mikoto, seria e compunta. “Il libro cosa c’entra?”
“Sei proprio come il Principe, tu, piccola. Non lasci mai perdere una domanda dopo che l’hai pronunciata.”
“Già. E perché quindi non hai tenuto qui il papà prima che se ne andasse? Non ci sei riuscita?”
Sakura guidò le mani di sua figlia a sfogliare le pagine, fino a che raggiunse quella che cercava.
“Ecco.” Le indicò una riga precisa. “Leggi.”
‘Non sapevo come toccarlo, come raggiungerlo… Il paese delle lacrime è così misterioso.’ Oh… Qui è quando il Piccolo Principe è triste e il Narratore non sa come fare per farlo tornare a sorridere.” disse Mikoto.
“Già. Era proprio così, vedi. Il papà era molto, molto triste. Era un Piccolo Principe nel paese delle lacrime, anche se a vederlo non l’avresti mai detto. E io ero come il Narratore. Potevo toccarlo, potevo anche abbracciarlo, potevo parlargli. Ma non sapevo come arrivare nel suo paese delle lacrime, e allora se anche parlavo lui non credeva a quello che gli dicevo.”
“E perché non ci credeva?”
“Perché… Si sentiva talmente solo da non riuscire a fidarsi degli altri, e spesso preferiva non ascoltarli.”
“Ma perché era triste?”
“Perché era rimasto da solo. Aveva perso le persone a cui più voleva bene, tutta la sua famiglia, e questo lo rendeva davvero tristissimo. Sarebbe come se tu perdessi me, papà, tutti i tuoi fratelli, in un colpo solo.”
“Credo che allora sarei molto triste anche io.”
“Infatti.” Confermò Sakura, spostando una ciocca scura dalla guancia della bambina.
“Però non ha molto senso, mamma.” Riprese Mikoto, sempre con un lieve broncio.
“Che cosa non ha senso, tesoro?”
“Se lui era triste perché si sentiva solo, non aveva molto senso tenere lontane le altre persone che gli volevano bene.”
Una cosa strana, forse a metà tra uno sbuffo e un sospiro, soffiò tra le labbra di Sakura.
Riprese il libro dalle mani della bambina, e cercando di non far frusciare troppo le pagine cercò un altro capitolo.
Quando l’ebbe trovato riconsegnò il volumetto alla figlia e le sussurrò “Prova a leggere anche qui.”
Il pianeta appresso era abitato da un ubriacone.   
Questa visita fu molto breve, ma immerse il piccolo principe in una grande malinconia.   
«Che cosa fai? » chiese all'ubriacone che stava in silenzio davanti a una collezione di bottiglie vuote e a una collezione di bottiglie piene.  
«Bevo» rispose, in tono lugubre, l'ubriacone.
   
«Perché bevi? » domandò il piccolo principe.   
«Per dimenticare», rispose l'ubriacone.   
«Per dimenticare che cosa?»  s'informò il piccolo principe che cominciava già a compiangerlo.   
«Per dimenticare che ho vergogna», confessò l'ubriacone abbassando la testa.   
«Vergogna di che?» insistette il piccolo principe che desiderava soccorrerlo.   
«Vergogna di bere! » e l'ubriacone si chiuse in un silenzio definitivo.   
Il piccolo principe se ne andò perplesso.’
Mikoto terminò di sillabare mantenendo anche lei un’aria alquanto perplessa.
“Questa è una delle parti che non ho capito”, aggiunse. “Mi sembra proprio senza senso. Perché una persona dovrebbe bere per dimenticarsi  la vergogna di bere?”
“E perché una persona dovrebbe allontanare le altre persone per cercare rifugio dal dolore della solitudine?” le chiese a sua volta Sakura.
Mikoto rimase in silenzio, apparentemente molto concentrata.
In effetti non doveva essere facile per una bimba di sette anni circa comprendere un garbuglio simile.
“Quello che io voglio dire, e che il Piccolo Principe vuole dire, è che spesso non c’è senso nelle nostre azioni. A volte non sappiamo cosa scegliere  e come comportarci per stare meglio, e ci cacciamo in situazioni da cui non possiamo uscire da soli, eppure l’unica cosa che riusciamo a fare è continuare a comportarci sempre nello stesso modo. A volte lo facciamo perché non troviamo una soluzione, a volte perché non abbiamo la forza di cercarla, a volte perché non ci speriamo più, a volte perché invece ci auguriamo che la soluzione ci cada tra le mani. Ma in ogni caso è come cadere in un vortice d’acqua in cui ti sembra di annegare, e capita che l’unica soluzione possibile paia quella di nuotare ancora più giù. Oppure, semplicemente, a volte pensiamo di potercela cavare, e invece non è così.”
La piccola Uchiha si beveva ogni singola parola con i grandi occhi neri puntati in quelli della madre, come se il contatto visivo potesse trasmetterle una spiegazione aggiuntiva.
Quando sua madre terminò la frase strinse più forte il consunto dinosauro di peluche e sospirò.
“E il papà perché lo faceva?”
“Credo che pensasse, e volesse dimostrare, che poteva farcela da solo in ogni situazione, che poteva essere forte. Guarda” e riprese il libretto, leggendo stavolta lei stessa. “ ‘
«Tu sarai lontano e delle bestie non ho paura. Ho i miei artigli.» E mostrava ingenuamente le sue quattro spine’. È andata esattamente così, con papà. Come con la Rosa del Piccolo Principe, che fingeva con lui di essere forte. Voleva dimostrare a se stesso e agli altri di avere degli artigli taglienti e terribili, invece allora era triste, e solo, e aveva solo spine. Facevano anche male, a volte, ma rimanevano pur sempre solo spine.”
“Non penso di aver capito, mamma.” ammise Mikoto.
Sakura sorrise con tenerezza.
“Non importa che tu capisca, non adesso almeno. Avrai tempo per queste cose così complicate. E poi, come ti ho detto, a volte anche per le persone grandi è difficile capire.”
“Ma io voglio capire adesso.” sussurrò la bimba, più a se stessa che alla madre.
La donna produsse uno sbuffo condiscendente, riconoscendo in sua figlia l’inconfondibile testardaggine del padre nel voler arrivare fino in fondo, sempre.
Mikoto parve profondamente assorta nei suoi pensieri per un po’, e rimase in silenzio, gli occhi chiusi.
Proprio quando Sakura aveva iniziato a sistemare le lenzuola, credendola addormentata, Mikoto riaprì gli occhi arzilla come prima. “Mamma.” chiamò.
“Sì, amore.” Fece Sakura, nascondendo a stento uno sbadiglio e l’esasperazione.
“…Però io lo so che papà aveva un bruttissimo carattere.” sfiatò saputa sottovoce, presumibilmente per lo scrupolo di non farsi sentire da Sasuke. “So che oltre a non volere la compagnia degli altri a volte si comportava da presuntuoso, che rispondeva sgarbatamente, che non aiutava volentieri nemmeno gli amici, o così pareva. Quindi tu…” si interruppe timorosa. “Come faceva a piacerti? Come hai potuto inseguirlo per tutto quel tempo, senza stancarti mai?” concluse.
Sakura aveva ancora in mano il libro che avevano letto insieme fino a quel momento.
Aveva voglia di riporlo, stanca com’era, e di imporre a sua figlia di mettersi giù, ora, e dormire, ché di risposte quella sera ne aveva avute a sufficienza.
Ma Mikoto la guardava con una sete di sapere che andava oltre la semplice curiosità, così lei non riuscì a dirle nulla ma poté solo guardarla per qualche secondo, sospirando.
Dopotutto la bambina era cresciuta con il mito di suo padre, ma poi, quando era stata abbastanza grande da capire, qualcuno con un paio di frasi sbagliate su Sasuke quel mito l’aveva fatto seriamente traballare, ed ora lei aveva bisogno di ricostruirlo. E probabilmente non vedeva modo migliore per vederlo risorgere di sentirsi dire da sua madre perché per lei Sasuke era stato, e rimaneva, così speciale.
Quell’ultima illuminazione fece cedere Sakura, che si risolse a riaprire il libretto.
Era incredibile come sembrasse esserci tra quelle righe una frase in risposta per ogni domanda; certo bisognava estrarle un po’ dal contesto della storia, ma rimanevano comunque di una profondità stupefacente.
“Quindi tu vuoi sapere che come poteva piacermi papà, mh?” le sussurrò, con un’occhiata complice. Scartabellò tra i capitoli ancora per un minuto, poi le lesse un’altra frase. “ ‘
«Se qualcuno ama un fiore di cui esiste un solo esemplare in milioni e milioni di stelle, questo basta a farlo felice quando lo guarda. E lui si dice: ‘Il mio fiore è là in qualche luogo.’»’
Mikoto la guardò con vaga sufficienza.
“Questo spiega il come, non il perché, mamma.” soffiò.
“Se fai un po’ di attenzione spiega anche il perché, tesoro.  Da quando ero piccola ho guardato il papà e ho visto una persona come nessun’altra. Certo aveva, e ha, i suoi difetti, ma la sua bravura, il suo sangue freddo, la sua caparbietà, l’indipendenza forzata che sopportava, tutti questi aspetti mi facevano pensare che non ce ne fosse un altro in tutto l’universo come lui. E lui io lo volevo per me, perché mi affascinava, e lo ammiravo.”
“Ma poi hai continuato ad ammirarlo anche dopo, quando se n’è andato e ha fatto quelle… Cose brutte?”
“Sì, tesoro. Ho continuato. Magari non proprio ad ammirarlo, perché potevo capire anche io che aveva fatto delle cose sbagliate, e che anche il mio modo di ammirarlo quando ero piccola era stato sbagliato. Però diciamo che anche sforzandomi più che potevo non sono riuscita a pensare che quelle cose brutte fossero sufficienti perché lui smettesse di... Essere il mio fiore. Capivo che non avrebbe dovuto agire in quel modo, capivo che il Villaggio era nel giusto a voler punire papà, però io non riuscivo a smettere di sperare, sai. Le cose brutte non bastavano a dissuadermi. Diciamo che in questo ero un pochettino caparbia anche io, ecco.” concluse Sakura ridacchiando.
“Già.” anche Mikoto ridacchiò, ma finalmente dovette fare i conti con uno sbadiglio, che venne sì prontamente soffocato ma non per questo sfuggì allo sguardo allenato di sua madre.
“E adesso dormi davvero, signorina, perché è proprio tardissimo.”
Un ultimo bisbiglio della bimba.
“Mamma… Papà adesso non se ne va più, vero?”
Per un istante infinitesimale il dubbio di un tempo si risvegliò negli occhi verdi della donna, ma fu rapidamente messo a tacere con una sicura e matura consapevolezza.
“No, amore. Non se ne va.”
Sakura le rimboccò nuovamente le coperte e ripose il libretto sul comodino, accanto alla lucetta che rimaneva accesa per la notte, poi diede un bacio a sua figlia e accertandosi che lei fosse veramente intenzionata a dormire uscì dalla stanza socchiudendo la porta.
Sfinita, vide che in soggiorno la luce era stata già spenta, quindi si diresse automaticamente verso la camera che condivideva con Sasuke.
Senza fare rumore, dato che lui era già a letto, entrò nel bagno e si preparò per la notte, per poi raggiungerlo sull’agognato materasso con un udibile sospiro di sollievo.
Stava giusto per assopirsi già dopo qualche minuto immersa nel buio ristoratore quando sentì un sussurro scocciato di Sasuke, che evidentemente aveva aspettato fino a quel momento giusto per essere certo di disturbarla mentre prendeva sonno – adorabile.
“Quel libretto dovrebbero darlo agli inceneritori, e tu dovresti essere chiusa in qualche galera.”
Il tono sostenuto era ben udibile anche nel suo parlare sottovoce.
“E perché, di grazia, Uchiha?”
“Una cosa così piena di melensaggini e una madre così pronta ad assecondarle non dovrebbero legalmente poter esistere.”
“Quella cosa ha aiutato questa madre a salvarti la faccia davanti a tua figlia, amore, quindi non sono ammesse lamentele. E poi credevo fossi troppo stanco e intontito dalle sue chiacchiere di questa sera per poterti fermare ad origliare. E che, in ogni caso, dato il tono melenso del discorso, non ti importasse.”
Lo sbuffo seccato di suo marito suggellò l’uno a zero per lei.
“Ormai mi aveva tolto il sonno, e visto che non facevate altro che confabulare tanto valeva sentire cosa aveste di tanto importante da dirvi.”
“Certo”, sussurrò Sakura con condiscendenza. “Comunque aveva bisogno di parlare un po’ di questa storia, non lo dava a vedere ma ne era un po’ turbata. Aveva bisogno di essere rassicurata.”
“Cosa che tu sei stata ben felice di fare.”
“Già.”
Cadde un po’ di silenzio, tanto che Sakura sospettò che lui si fosse addormentato. Sbagliandosi.
“E comunque… La linea femminile di questa famiglia ha un’evidente tendenza alla sindrome dell’abbandono. Paranoiche.”
Dal momento che se l’aspettava, Sasuke incassò la gomitata senza fiatare – anche perché quel colpo ben piazzato della sua signora il fiato gliel’aveva tolto tutto – e si rigirò dall’altra parte dandole le spalle, imperioso.
Si addormentarono fingendo di tenersi il muso, sereni.

 

 

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Grazie a chi ha letto e a chi lascerà un parere.
Alla prossima! :3
Panda

 

  
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