Snow
(Hey Oh).
Privatamente
diviso da un
mondo così indeciso, e non c’è nessuno
posto dove andare.
(Snow
(Hey oh); Red Hot Chili Peppers)
C’era un periodo
dell’anno, durante l’inverno, in cui la foschia
della città si faceva ancora
più torbida, quando nevicava, e l’atmosfera
cominciava a rasentare il set di un
film horror di basso livello, coi fumogeni scadenti.
Si formava un
primo velo di neve e il paese si immobilizzava in attesa che il livello
salisse, paralizzando tutto in quei giorni eccezionali in cui il mare
cambiava
odore e il bagnasciuga si tingeva di un niveo bianco, confondendosi con
la
schiuma delle onde che morivano.
La corrente cominciava
ad andare e venire, così come il riscaldamento e i noiosi
pomeriggi davanti
alla televisione e alle repliche con Rock Hudson e Doris Day.
E scendeva come
una sorta di nebbia sugli animi, rendendoli più pigri e poco
reattivi, eppure
così attenti alle cose più superflue, che nelle
realtà di tutti i giorni
sparivano.
Daniele non sapeva
mai spiegarsi il perché del comportamento mutevole delle
persone in quei
giorni. Però se lo domandava sempre, giocando coi pensieri
alla luce di una
lampada da lettura, mentre fuori il bianco dilagava, sospirando, e il
dolce far
nulla occupava anche l’ultimo spazio scolastico che lo teneva
impegnato.
Se lo chiedeva
anche in quel momento, seduto al riparo tra due distributori automatici
sotto
la pensilina dell’autobus.
Nevicava ancora,
aveva dimenticato l’ombrello e il cappello e le orecchie gli
bruciavano da
morire, così come le nocche che si ostinava a sfregare
contro il tessuto dei
jeans, all’altezza delle ginocchia, ma non gli andava di
rialzarsi. Brutta cosa
la pigrizia da neve.
Era brutto anche
il fatto che lui fosse lì in quel momento anziché
nascosto da un piumone fino
alle orecchie.
Sussultò quando
sentì il cellulare vibrare nella tasca interna della giacca
e l’espressione si
sollevò, le labbra nascoste da una sciarpa spelacchiata.
Forse se non si
fosse mosso l’avrebbe notato quel leggero fruscio alle sue
spalle e invece la
sua schiena si chinò, le sue movenze un po’ goffe
per via della posizione
rannicchiata gli permisero di andare ad infilarsi le mani sotto la
giacca.
Tirò
giù la zip e
uno gelido spiffero serpeggiò dentro.
Rabbrividì,
vistosamente (e rumorosamente), leggendo il messaggio appena arrivato e
le
spalle si rilassarono, mentre un lieve colore passeggero andava a
riscaldargli
un po’ il viso.
Richiuse il
display e sollevò la testa all’indietro,
incrociando due occhi nocciola
familiari e una capigliatura castana scarmigliata dal vento.
<< Marco.
>>
<< Ehi. Che
fai qui tutto solo? >>
Daniele alzò le
spalle, senza smettere di guardarlo, per quanto la posizione
estremamente
scomoda glielo permettesse.
<< Il
riscaldamento è rotto, meglio qui, dentro è
peggio. >> Rispose dopo un
po’.
<< Non hai
freddo? >>
<< No, da
qui esce l’aria calda. >>
Indicò le ventole
al suo fianco e vide l’altro sporgersi verso di lui,
allungando una mano per
controllare personalmente.
<< Tu
guarda...>>
<< Che fai
qui?>> Daniele non smetteva di guardarlo negli occhi,
resistendo
stoicamente con il collo piegato in quella posizione innaturale a detta
dell’altro, che già si era stancato a stare
piegato con le mani sulle
ginocchia.
<< Ti
cercavo. Tuo fratello non mi risponde. >>
<<
Così hai
pensato bene di venire a scassare a me. >>
<<
Già >
<< Posso
farti una domanda? >>
<<
Dimmi.>>
<< Ma ce
l’hai un lavoro? >>
Marco non rispose,
semplicemente lo guardò inespressivo, segno che la
conversazione non
necessitasse nemmeno di essere portata avanti e il suo interlocutore
gli
restituì lo stesso sguardo.
<< Al
momento non ne ho bisogno. >>
<< Ma quindi
sei ricco? >>
<<
Più o
meno. >>
<< Sei
raccomandato? >>
<<
Esattamente.>>
Il tono di Marco
s’incrinò leggermente mentre scavalcava il muretto
che li divideva per
accomodarsi accanto a lui. L’aria si smosse e si
riscaldò, invece di creare una
folata più fredda. Daniele si schiacciò
istintivamente dalla sua parte e il
ragazzo accanto a lui si chinò a guardarlo, in mancanza di
meglio da fare.
<< Ce
l’hai
una caramella? >> gli chiese Daniele senza azzardarsi ad
alzare la testa.
Marco rovistò
nelle tasche per una buona manciata di minuti prima di tirar fuori un
oggetto
informe dalla carta stropicciata.
<<
È mou. Va
bene lo stesso? >>
<<
Sì.
>> Daniele la ingollò all’istante e
prese a districare la carta
appiccicaticcia, tirando poi fuori uno stuzzicadenti.
Marco seguiva i
suoi movimenti con la coda dell’occhio, troppo stanco
– e immotivato – anche
solo per scoccargli un’occhiata decente. Lo sentì
miagolare e, curioso, si
decise a dedicargli un po’ di attenzione.
<< La carta
è caduta per terra. Ora non attacca
più.>> Spiegò Daniele dopo aver
notato
il suo sguardo << Ne hai un'altra? >
Marco batté le
palpebre e senza aggiungere niente cacciò una carta di una
gomma da masticare
che aveva sputato da qualche parte.
<< Ti serve
solo la carta, no? >>
Daniele annuì
alla
constatazione e ricominciò a trafficare fino a che il suo
capolavoro fu
completo. Marco non poté credere di aver sprecato una
caramella mou per una
tale idiozia. Ma la noia faceva brutti scherzi.
<< Ti piace?
>>
<< Una
bandierina? Ti ho concesso una caramella per una bandierina. Con uno
stuzzicadenti usato per giunta. >>
Daniele non
sembrò
rimanerci particolarmente male, ma decise di nascondere ugualmente il
manufatto, saggiamente.
<< Scusami
se ho mangiato la tua ultima caramella. >>
<< Lascia
stare. >>
Marco si decise a
fare qualcosa, accorgendosi che la conversazione cominciava a toccare
picchi di
idiozia al limite dell’assurdo.
<< Si vedono
bene le stelle, però. >>
Per qualche oscuro
motivo cominciarono a fissare il cielo col naso
all’insù, alla ricerca di
chissà cosa di preciso.
<<
Chissà
che roba è. >> Aggiunse dopo qualche minuto di
silenzio in cui i loro
nasi erano diventati due stalattiti sporgenti.
<<
Cassiopea. >>
<< Dove?
>>
<<
Lì.
>> Daniele gli si avvicinò un po’,
tentando di fargli seguire la linea
immaginaria del suo indice in quell’infinito.
<< La vanitosa regina sul
suo trono. >> come se potesse veramente riuscire a
capirci qualcosa.
<< Siete
intimi, eh? >> Scherzò Marco.
<< Niente di
che, giusto un’avventura. Ma siamo rimasti amici.
>> Stette al gioco
l’altro.
<< Vi vedete
spesso? >>
<< Ogni
tanto. >>
<< Chi sa
quanti segreti le avrai raccontato. >>
Non sembrò una
frase ammiccante, suonò più come una
constatazione, che rischiò di concludere
il discorso.
<< Non
molti, dopotutto. >>
<< Fa
freddo. >> Esordì Marco.
<< Dici, io
non lo sento. >>
<<
Perché la
ventola e grossa quanto te e ti arriva tutto il calore. Non ti vergogni
a
sedici anni ad essere ancora così basso? >>
<< E tu non
ti vergogni a diciannove anni a non avere ancora un lavoro?
>>
Marco fece per
ribattere a tono ma si fermò e concluse con un
<< Touchè. È un anno
sabbatico comunque.>>
<< Quanto
sei raccomandato. >>
<< Fottiti.
Tu piuttosto, studiare no? >>
<< Sono le
undici e mezzo. >>
Marco sembrò non
carpire appieno il senso dell’ultima constatazione e la cosa
cadde lì, tra gli
ultimi accenni intermittenti del lampione malandato di fronte a loro.
Morì
qualche istante dopo e rimasero nella penombra.
<< Ha smesso
di nevicare. >>
<<
Già.
>>
<< Per
quanto ancora hai intenzione di restare qui fuori? >>
Daniele alzò le
spalle, in risposta continuò a fissare dritto davanti a se.
Marco lo imitò
poco dopo.
<< Domani
facciamo un pupazzo di neve? >>
<< Dio, hai
quasi vent’anni. >>
<< La neve
non ha età. >>
<< Come i
Kinder Pinguì? >>
<< Come i
Kinder Pinguì. Di quelli non mi stancherò mai.
>>
<< Adesso mi
hai fatto venir voglia. >>
<< Dani, fa
freddo. >>
<< Ho fame.
>>
<< Taci.
>>
Una folata di
vento gelido costrinse Daniele a stringersi ancora di più
nelle spalle.
<< Hai
freddo? >> Gli chiese Marco.
<< No.
>>
<< Allora,
lo facciamo il pupazzo? >>
<< Domani
mattina, va bene? >>
<< Okay!
>> Marco s’illuminò e
tornò a guardare davanti a lui con aria ebete.
Daniele sorrise, appena. Il lampione sopra di loro si accese per un
istante e
dopo ricadde nel buio, veloce quanto bastò per far
sussultare il più piccolo.
<< Credevo
fosse un lampo. Sarebbe un guaio
se
cominciasse a piovere ora. >>
<<
Perché?
Ho l’ombrello. >>
<< Certo.
Stiamo tutta la notte qui sotto la pioggia tra due distributori e un
ombrellino. >>
<< Dai, lo
facciamo? >>
<< Marco, ti
pagano per dire queste cazzate? >>
<< Non
ancora, ma presto cominceranno.>>
<< Wow,
è un
modo per farmi capire che lavoro vuoi fare? >>
Marco lo guardò
di
sbieco senza rispondere e Daniele non trovò un motivo per
staccargli gli occhi
di dosso. Era tanto che non lo vedeva dopotutto. Anche troppo rispetto
agli
standard, abituato com’era ad avercelo sempre in mezzo ai
piedi per casa tra
suo fratello, le pizze e la play station.
Gli arrivò una
leggera spinta dal più grande subito dopo, in ritardo
rispetto alle sue
precedenti affermazioni. Un sorriso birichino, forse un po’
velato.
<< Beh,
adesso devo andare. Il Grande Capo mi ha fatto stare fin troppo.
>>
Daniele seguì le
sue labbra, mentre parlava e poi si spostò sui suoi occhi,
rammaricato.
<< Di
già?
>>
<<
Sì.
Comunque...bella la scusa del riscaldamento rotto.>>
Daniele sorrise,
nascondendo un po’ di imbarazzo, anche se non sa bene a che
cosa sia dovuto.
<< Comunque
scusami. >> Aggiunse Marco.
<< Mh? Per
cosa? >>
<< Lo
sai...per la macchina, per tuo fratello...per tutto.>>
<< Lascia
stare. Se non fosse stato per te adesso l’avrei io
quell’auto orribile.
>>
<< No.
>>
Marco si alzò,
Daniele alzò la testa per continuare a seguirlo –
sempre e comunque – con lo
sguardo.
<< Non
l’avresti tu. Fidati. >>
Gli sguardi si
fecero d’improvviso seri, proprio mentre la luce del lampione
moribondo lì
accecò a intermittenza prima di continuare a fare il suo
lavoro di sempre.
E Marco già non
c’era più.
Daniele portò gli
occhi alla base di quel lampione dove un manifesto con i volti di Marco
e suo
fratello e un mazzo di fiori gli rispedirono lo stesso sguardo curioso.
Lo
stesso stupido lampione un po’ ricurvo che nel giro di una
notte gli aveva
portato via una macchina, un fratello e la persona che amava.
Ora doveva pensare
ad un’altra buona scusa per tornare lì a
chiacchierare con le ombre dei morti.
Ah, già. Avrebbe
avuto un pupazzo di neve da fare l’indomani mattina.
Il giorno dopo,
la
neve si sciolse tutta.
Angolo
Autrice:
Lo
so. L’ennesima one
shot con l’ennesimo finale a cazzo. Perdono.
Questa
stavolta non è
dedicata a nessuno, ma la mia campagna di sensibilizzazione sugli
incidenti
d’auto ormai sta condizionando l’intera produzione.
Nella speranza di far
morire meno personaggi possibile, mi ritiro nei miei alloggi, ma non
senza la solita
raccomandazione di stare attenti quando si è alla guida di
qualsiasi mezzo.
*i
ciclisti si toccano il
pacco*.