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Autore: Fallin    25/07/2012    1 recensioni
Due ragazzi, tanta neve, tanti ricordi per parlare e tanti motivi per tacere. Leggermente Slash, ma giusto un po'.
"Domani facciamo un pupazzo di neve?"
"Dio, hai quasi vent'anni."
"La neve non ha età."
"Come i Kinder Pinguì?"
"Come i Kinder Pinguì. Di quelli non mi stancherò mai."
"Adesso mi hai fatto venir voglia"
"Dani, fa freddo."
"Ho fame."
"Taci"
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Snow (Hey Oh).

Privatamente diviso da un mondo così indeciso, e non c’è nessuno posto dove andare.

(Snow (Hey oh); Red Hot Chili Peppers)

C’era un periodo dell’anno, durante l’inverno, in cui la foschia della città si faceva ancora più torbida, quando nevicava, e l’atmosfera cominciava a rasentare il set di un film horror di basso livello, coi fumogeni scadenti.

Si formava un primo velo di neve e il paese si immobilizzava in attesa che il livello salisse, paralizzando tutto in quei giorni eccezionali in cui il mare cambiava odore e il bagnasciuga si tingeva di un niveo bianco, confondendosi con la schiuma delle onde che morivano.

La corrente cominciava ad andare e venire, così come il riscaldamento e i noiosi pomeriggi davanti alla televisione e alle repliche con Rock Hudson e Doris Day.

E scendeva come una sorta di nebbia sugli animi, rendendoli più pigri e poco reattivi, eppure così attenti alle cose più superflue, che nelle realtà di tutti i giorni sparivano.

Daniele non sapeva mai spiegarsi il perché del comportamento mutevole delle persone in quei giorni. Però se lo domandava sempre, giocando coi pensieri alla luce di una lampada da lettura, mentre fuori il bianco dilagava, sospirando, e il dolce far nulla occupava anche l’ultimo spazio scolastico che lo teneva impegnato.

Se lo chiedeva anche in quel momento, seduto al riparo tra due distributori automatici sotto la pensilina dell’autobus.

Nevicava ancora, aveva dimenticato l’ombrello e il cappello e le orecchie gli bruciavano da morire, così come le nocche che si ostinava a sfregare contro il tessuto dei jeans, all’altezza delle ginocchia, ma non gli andava di rialzarsi. Brutta cosa la pigrizia da neve.

Era brutto anche il fatto che lui fosse lì in quel momento anziché nascosto da un piumone fino alle orecchie.

Sussultò quando sentì il cellulare vibrare nella tasca interna della giacca e l’espressione si sollevò, le labbra nascoste da una sciarpa spelacchiata.

Forse se non si fosse mosso l’avrebbe notato quel leggero fruscio alle sue spalle e invece la sua schiena si chinò, le sue movenze un po’ goffe per via della posizione rannicchiata gli permisero di andare ad infilarsi le mani sotto la giacca.

Tirò giù la zip e uno gelido spiffero serpeggiò dentro.

Rabbrividì, vistosamente (e rumorosamente), leggendo il messaggio appena arrivato e le spalle si rilassarono, mentre un lieve colore passeggero andava a riscaldargli un po’ il viso.

Richiuse il display e sollevò la testa all’indietro, incrociando due occhi nocciola familiari e una capigliatura castana scarmigliata dal vento.

<< Marco. >>

<< Ehi. Che fai qui tutto solo? >>

Daniele alzò le spalle, senza smettere di guardarlo, per quanto la posizione estremamente scomoda glielo permettesse.

<< Il riscaldamento è rotto, meglio qui, dentro è peggio. >> Rispose dopo un po’.

<< Non hai freddo? >>

<< No, da qui esce l’aria calda. >>

Indicò le ventole al suo fianco e vide l’altro sporgersi verso di lui, allungando una mano per controllare personalmente.

<< Tu guarda...>>

<< Che fai qui?>> Daniele non smetteva di guardarlo negli occhi, resistendo stoicamente con il collo piegato in quella posizione innaturale a detta dell’altro, che già si era stancato a stare piegato con le mani sulle ginocchia.

<< Ti cercavo. Tuo fratello non mi risponde. >>

<< Così hai pensato bene di venire a scassare a me. >>

<< Già >>

<< Posso farti una domanda? >>

<< Dimmi.>>

<< Ma ce l’hai un lavoro? >>

Marco non rispose, semplicemente lo guardò inespressivo, segno che la conversazione non necessitasse nemmeno di essere portata avanti e il suo interlocutore gli restituì lo stesso sguardo.

<< Al momento non ne ho bisogno. >>

<< Ma quindi sei ricco? >>

<< Più o meno. >>

<< Sei raccomandato? >>

<< Esattamente.>>

Il tono di Marco s’incrinò leggermente mentre scavalcava il muretto che li divideva per accomodarsi accanto a lui. L’aria si smosse e si riscaldò, invece di creare una folata più fredda. Daniele si schiacciò istintivamente dalla sua parte e il ragazzo accanto a lui si chinò a guardarlo, in mancanza di meglio da fare.

<< Ce l’hai una caramella? >> gli chiese Daniele senza azzardarsi ad alzare la testa.

Marco rovistò nelle tasche per una buona manciata di minuti prima di tirar fuori un oggetto informe dalla carta stropicciata.

<< È mou. Va bene lo stesso? >>

<< Sì. >> Daniele la ingollò all’istante e prese a districare la carta appiccicaticcia, tirando poi fuori uno stuzzicadenti.

Marco seguiva i suoi movimenti con la coda dell’occhio, troppo stanco – e immotivato – anche solo per scoccargli un’occhiata decente. Lo sentì miagolare e, curioso, si decise a dedicargli un po’ di attenzione.

<< La carta è caduta per terra. Ora non attacca più.>> Spiegò Daniele dopo aver notato il suo sguardo << Ne hai un'altra? >>

Marco batté le palpebre e senza aggiungere niente cacciò una carta di una gomma da masticare che aveva sputato da qualche parte.

<< Ti serve solo la carta, no? >>

Daniele annuì alla constatazione e ricominciò a trafficare fino a che il suo capolavoro fu completo. Marco non poté credere di aver sprecato una caramella mou per una tale idiozia. Ma la noia faceva brutti scherzi.

<< Ti piace? >>

<< Una bandierina? Ti ho concesso una caramella per una bandierina. Con uno stuzzicadenti usato per giunta. >>

Daniele non sembrò rimanerci particolarmente male, ma decise di nascondere ugualmente il manufatto, saggiamente.

<< Scusami se ho mangiato la tua ultima caramella. >>

<< Lascia stare. >>

Marco si decise a fare qualcosa, accorgendosi che la conversazione cominciava a toccare picchi di idiozia al limite dell’assurdo.

<< Si vedono bene le stelle, però. >>

Per qualche oscuro motivo cominciarono a fissare il cielo col naso all’insù, alla ricerca di chissà cosa di preciso.

<< Chissà che roba è. >> Aggiunse dopo qualche minuto di silenzio in cui i loro nasi erano diventati due stalattiti sporgenti.

<< Cassiopea. >>

<< Dove? >>

<< Lì. >> Daniele gli si avvicinò un po’, tentando di fargli seguire la linea immaginaria del suo indice in quell’infinito. << La vanitosa regina sul suo trono. >> come se potesse veramente riuscire a capirci qualcosa.

<< Siete intimi, eh? >> Scherzò Marco.

<< Niente di che, giusto un’avventura. Ma siamo rimasti amici. >> Stette al gioco l’altro.

<< Vi vedete spesso? >>

<< Ogni tanto. >>

<< Chi sa quanti segreti le avrai raccontato. >>

Non sembrò una frase ammiccante, suonò più come una constatazione, che rischiò di concludere il discorso.

<< Non molti, dopotutto. >>

<< Fa freddo. >> Esordì Marco.

<< Dici, io non lo sento. >>

<< Perché la ventola e grossa quanto te e ti arriva tutto il calore. Non ti vergogni a sedici anni ad essere ancora così basso? >>

<< E tu non ti vergogni a diciannove anni a non avere ancora un lavoro? >>

Marco fece per ribattere a tono ma si fermò e concluse con un << Touchè. È un anno sabbatico comunque.>>

<< Quanto sei raccomandato. >>

<< Fottiti. Tu piuttosto, studiare no? >>

<< Sono le undici e mezzo. >>

Marco sembrò non carpire appieno il senso dell’ultima constatazione e la cosa cadde lì, tra gli ultimi accenni intermittenti del lampione malandato di fronte a loro. Morì qualche istante dopo e rimasero nella penombra.

<< Ha smesso di nevicare. >>

<< Già. >>

<< Per quanto ancora hai intenzione di restare qui fuori? >>

Daniele alzò le spalle, in risposta continuò a fissare dritto davanti a se.

Marco lo imitò poco dopo.

<< Domani facciamo un pupazzo di neve? >>

<< Dio, hai quasi vent’anni. >>

<< La neve non ha età. >>

<< Come i Kinder Pinguì? >>

<< Come i Kinder Pinguì. Di quelli non mi stancherò mai. >>

<< Adesso mi hai fatto venir voglia. >>

<< Dani, fa freddo. >>

<< Ho fame. >>

<< Taci. >>

Una folata di vento gelido costrinse Daniele a stringersi ancora di più nelle spalle.

<< Hai freddo? >> Gli chiese Marco.

<< No. >>

<< Allora, lo facciamo il pupazzo? >>

<< Domani mattina, va bene? >>

<< Okay! >> Marco s’illuminò e tornò a guardare davanti a lui con aria ebete. Daniele sorrise, appena. Il lampione sopra di loro si accese per un istante e dopo ricadde nel buio, veloce quanto bastò per far sussultare il più piccolo.

<< Credevo fosse un lampo. Sarebbe un guaio se cominciasse a piovere ora. >>

<< Perché? Ho l’ombrello. >>

<< Certo. Stiamo tutta la notte qui sotto la pioggia tra due distributori e un ombrellino. >>

<< Dai, lo facciamo? >>

<< Marco, ti pagano per dire queste cazzate? >>

<< Non ancora, ma presto cominceranno.>>

<< Wow, è un modo per farmi capire che lavoro vuoi fare? >>

Marco lo guardò di sbieco senza rispondere e Daniele non trovò un motivo per staccargli gli occhi di dosso. Era tanto che non lo vedeva dopotutto. Anche troppo rispetto agli standard, abituato com’era ad avercelo sempre in mezzo ai piedi per casa tra suo fratello, le pizze e la play station.

Gli arrivò una leggera spinta dal più grande subito dopo, in ritardo rispetto alle sue precedenti affermazioni. Un sorriso birichino, forse un po’ velato.

<< Beh, adesso devo andare. Il Grande Capo mi ha fatto stare fin troppo. >>

Daniele seguì le sue labbra, mentre parlava e poi si spostò sui suoi occhi, rammaricato.

<< Di già? >>

<< Sì. Comunque...bella la scusa del riscaldamento rotto.>>

Daniele sorrise, nascondendo un po’ di imbarazzo, anche se non sa bene a che cosa sia dovuto.

<< Comunque scusami. >> Aggiunse Marco.

<< Mh? Per cosa? >>

<< Lo sai...per la macchina, per tuo fratello...per tutto.>>

<< Lascia stare. Se non fosse stato per te adesso l’avrei io quell’auto orribile. >>

<< No. >>

Marco si alzò, Daniele alzò la testa per continuare a seguirlo – sempre e comunque – con lo sguardo.

<< Non l’avresti tu. Fidati. >>

Gli sguardi si fecero d’improvviso seri, proprio mentre la luce del lampione moribondo lì accecò a intermittenza prima di continuare a fare il suo lavoro di sempre.

E Marco già non c’era più.

Daniele portò gli occhi alla base di quel lampione dove un manifesto con i volti di Marco e suo fratello e un mazzo di fiori gli rispedirono lo stesso sguardo curioso. Lo stesso stupido lampione un po’ ricurvo che nel giro di una notte gli aveva portato via una macchina, un fratello e la persona che amava.

Ora doveva pensare ad un’altra buona scusa per tornare lì a chiacchierare con le ombre dei morti.

Ah, già. Avrebbe avuto un pupazzo di neve da fare l’indomani mattina.

Il giorno dopo, la neve si sciolse tutta.

Angolo Autrice:

Lo so. L’ennesima one shot con l’ennesimo finale a cazzo. Perdono.

Questa stavolta non è dedicata a nessuno, ma la mia campagna di sensibilizzazione sugli incidenti d’auto ormai sta condizionando l’intera produzione. Nella speranza di far morire meno personaggi possibile, mi ritiro nei miei alloggi, ma non senza la solita raccomandazione di stare attenti quando si è alla guida di qualsiasi mezzo.

*i ciclisti si toccano il pacco*.

  
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