"Pensiero Vivente" di Monique Namie
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Vi
siete mai chiesti come mai alcuni sogni si realizzano e altri vengono
persi nel
corso della vita e dimenticati? Ora cercherò di spiegarvelo
raccontandovi come
sono nato e come ho rischiato di svanire nel nulla durante un attimo di
sfiducia verso il Fato.
Prima
di tutto dovete sapere che i sogni sono anzitutto pensieri, e che
esiste
un
luogo in ogni città del mondo in cui i pensieri prendono
forma e iniziano a
muoversi in modo autonomo animati da una forza misteriosa. Questo luogo
può
essere un campo incolto, un terreno coperto d’asfalto, un
giardino, un lago, le
fondamenta di un palazzo in costruzione, una zona industriale,
ecc… Ogni angolo
è buono purché vi sia il presupposto fondamentale
per l’aggregazione delle
particelle della materia ignota: cioè un minimo di fantasia.
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È
una notte
estiva di luna piena nel mezzo di un
giardino, precisamente sotto il
tetto bianco di quella che mi sembrerà successivamente la
brutta copia
di un monoptero, ovvero un antico tempietto circolare. Uno di quegli
edifici
che i greci consideravano tra i più sacri e importanti in
assoluto, e che i
romani presero in prestito dai greci per abbellire le viuzze lastricate
e
interrompere la monotonia della città.
Dunque,
al momento la prima cosa che avverto è il vento che inizia
ad alzarsi
trasportando la polvere e staccando le foglie ancora verdi dagli alberi
e
questo miscuglio di polvere e foglie danzanti al chiaro di luna appare
un po’
come uno spettacolo pirotecnico di faville ardenti.
All’inizio
è un tripudio di luci e suoni tintinnanti, di voci ridenti e
frenetiche che
sembrano giungere da ogni direzione. Poi le sei colonne di marmo che mi
circondano acquistano nitidezza e assieme ad esse compaiono delle
vecchie
lanterne rosse spente, dimenticate lì da chissà
quanto
tempo. Appeso alle travi in
alto, assieme alle lanterne, è posto uno scaccia-spiriti in
metallo argentato.
Pian
piano acquisto sensibilità in tutto il corpo, allora mi alzo
e istintivamente
porto le mani sul tessuto che mi ricopre: scopro così di
indossare un elegante
vestito principesco di colore blu scuro - che con la poca luce appare
quasi
nero -. I bordi delle maniche e le rifiniture della giacca sono dorate,
mentre la fascia trasversale, che dalla spalla sinistra
finisce nel
fianco destro, è di blu più chiaro.
Non
mi sorprendo più di tanto per l’abito, ma trovo
piuttosto inusuale il fatto che
la mia aggregazione si sia compiuta in un monoptero. È un
luogo che nasconde in
sé una vasta gamma di simbologie e di significati disparati
quindi, per mia
sfortuna, la faccenda si fa subito seria e alquanto complicata.
Sarei
potuto nascere dalla polvere di un camino spento, dalla nebbia che si
alza
dalla strada dopo un acquazzone, dal fango lungo la riva di un fiume.
In
ciascuno di questi casi non avrei avuto problemi a identificare almeno
parzialmente il carattere del mio ideatore, ma così non
è stato e devo cercare
di farmene una ragione.
Abbandono
momentaneamente le mille congetture che mi si prospettano alla mente e
decido
che la cosa migliore da fare al momento è muoversi
di lì e iniziare
l’esplorazione: attraverso così lo spazio verde e
giungo di fronte a quella che
è una maestosa villa antica. La debole luce lunare distorce
i veri colori delle
pareti esterne che mi appaiono di un inverosimile arancione scuro.
Senza
preoccuparmi dell’orario e del fatto che ci possono essere
delle persone in
casa, raggiungo il portico sostenuto da travi in legno e arrivo alla
porta.
C’è
una cosa importante che non bisogna sottovalutare: ogni mia azione,
ogni mio
desiderio è deciso in modo indiretto da colui o colei che mi
ha creato. Io sono
un suo pensiero e la cosa sconvolgente è che se questa
persona smette - anche
solo inconsciamente - di pensare a me, smetterei d'esistere.
Praticamente
se ora
mi trovo a voler entrare dentro questa villa non è un caso,
ma la reazione
plausibile della materia ignota che forma il caos dell'universo.
Molti
non avranno capito a cosa mi riferisco. Molti altri si chiederanno come
sono
venuto a conoscenza di questa cosa. È il mio ideatore che mi
ha attribuito
quest’esperienza, io non posso far altro che fidarmi di
quello che sento. Se
può aiutarvi a capire meglio, questa sensazione
può essere definita quasi come
un “sesto senso”, ma non ha nulla a che vedere con
esso, perché è molto più
forte ed estremamente più certa di un presentimento.
Mi
sorprendo ancora fermo ad osservare il grande portone in legno della
villa; se sono arrivato fino a qui tanto vale trovare un modo
per entrare.
All'inizio cerco di forzare l’uscio ma deve essere bloccato
dall’interno,
allora batto tre colpi.
Silenzio.
Batto
altri tre colpi e qualcuno accende una luce: la vedo filtrare dalla
soglia della
porta.
Dei
passi lenti si avvicinano.
«Chi
è?» chiede la
voce di una ragazza.
Mi prende
alla sprovvista e non so cosa rispondere. Il mio pensatore non mi ha
ancora
dato la consapevolezza di un nome, poi mi torna in mente che indosso
l’abito di
un principe, allora mi faccio più sicuro e rispondo.
«Sono
un principe.»
«C’è
nessuno?» continua
lei come se non mi avesse udito.
Qualche
attimo dopo sento un movimento metallico dietro la porta e
l’uscio si apre
appena. Una ragazza dagli occhi scuri e i capelli castani che
le incorniciano il viso sbircia dalla fessura e poi spalanca
completamente il
portone per assicurarsi che non vi sia nessuno.
A
primo avviso penso possa trattarsi di una domestica. In ogni caso sono
già
pronto a scusarmi per l'orario e il trambusto sfoderando
un'espressione dispiaciuta e nel contempo affabile: qualcosa
di talmente
ben riuscito che avrei potuto esser degno di un Premio Oscar. Tutta
fatica
sprecata. Qualche istante prima di aprir bocca, mi rendo conto che
il suo
sguardo mi attraversa e va oltre. Come in un flash capisco che le
persone
normali non possono né vedermi né sentirmi, nello
stesso momento mi sorge la
certezza che solo il mio pensatore può accorgersi di
me.
La
faccenda prende in questo modo un piega inaspettata e mi lascia
spiazzato.
Entro
nella villa un attimo prima che la ragazza richiuda la porta; mi
rifugio in un
angolo della sala d'ingresso e sto rannicchiato a pensare.
Vicino
a me c’è un braciere. La tenue luce del carbone
incandescente svela l’esistenza
di un grande specchio proprio davanti a me: quella è la
prima volta che mi vedo
riflesso. Ho i capelli biondi, gli occhi verdi, la linea
delle labbra è
sottile, la pelle liscia priva di imperfezioni. Credo di avere circa
vent’anni.
Colto da un fugace attimo di autoironia sorrido a me stesso e penso che
il mio
ideatore - chiunque esso sia - ha buon gusto in fatto di estetica. Dopo
una
manciata di secondi distolgo lo sguardo: restare ancora fermo
lì a guardarsi in
uno specchio non ha senso, decido di riposare un po’ fino
all’alba. Il giorno seguente avrei
iniziato la mia ricerca per scoprire la vera identità del
mio ideatore.