Questa non è una poesia, ma bensì una riflessione molto
complicata (almeno per me, scrittrice).
Il tutto si svolge in una dimensione
quasi finta, fatta di sfumature nere, in cui mi trovo a dover affrontare
entrambe le mie personalità, una riflessa in uno specchio e l'altra che mi urla
nella testa. La discussione è colma delle paure e tensioni che vivo da qualche
anno, del dolore che mi ritrovo a dover sopportare e a tutto ciò che si può
provare di spiacevole.
Le parti scritte in corsivo sono quelle della mia
personalità più fragile, che non ha mai avuto spazio nella mia vita, se non per
alcuni anni addietro.
Quelle colorate rappresentano la voce dei miei dolori e
affanni, che da molti anni mi perseguitano, sempre appostati dietro l'angolo,
pronti a farmi lo sgambetto.
Il resto, scritto normalmente, è la mia
personalità dominante: fredda, riflessiva e malinconica, che prevale in ogni
situazione.
Vi lascio alla lettura di questo componimento
malato.
Black Wolf.
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Il buio di questa strana stanza, quasi
rassicurante, e il silenzio perpetuo, scandito dolcemente dal respiro che mi
esce debole dalle labbra socchiuse.
Allungo una mano verso la lampadina al
neon, sopra lo specchio, coperto da una specie di protezione in plastica
bianca.
Non voglio farlo…so che c'è qualcosa oltre quel buio che mi
accoglie…so che non devo accendere quella maledetta luce, distruggerà la
concentrazione momentanea del mio mondo e brucerà i miei occhi per alcuni
istanti che mi parranno infiniti.
Lo schiocco secco dell'interruttore
sembra schernirmi in un eco impertinente.
La luce tremola, giallastra e
morta, si accende e si spegne come in un film horror… tutto sembra fermarsi,
andare a rallentatore.
Perché non si accende? Perché continua questa
dolorosa attesa? Non sono curiosa di natura, ma quello che c'è oltre la cortina
nera mi attrae.
Il tremolante lume si stabilizza e la sua luce sbiadita
mi acceca… le pupille si restringono velocemente, troppo celermente, provo quasi
dolore, e rimango accecata per molto, nonstante i miei occhi siano celati sotto
le palpebre.
Una copertura così sottile di pelle che può schermare il nostro
occhio da fonti di luce troppo intensi… che meravigliosa invenzione.
Quando
mi riprendo, sono stordita ma vedo quello che sta accadendo…
Il lavandino
bianco, sotto lo specchio, è ricolmo di sangue, che cola lento sul pavimento
inesistente, e tra il vischioso liquido rubino si percepiscono la presenza ed il
barluccichio di forbici appuntaite e lamentte taglienti.
Cosa succede?
Voglio spegnere la luce, o per lo meno chiudere gli occhi e scappare lontana da
tutto questo… ma non ci riesco! Perché mi tieni ancora qui? Di chi è il sangue?
Chi si è tagliato?
Lo sguardo si alza.
Davanti a me vi è il grande
specchio quadrato… un riflesso o una realtà?
No, è tutto vero.
Una
giovane… capelli bianchi lunghissimi, che escono dalla superficie vetrosa per
immergersi direttamente nel sangue.
Le sue mani sono immerse nel lavandino e
sembrano giocherellare felici in mezzo a quelle pericolose lame.
Il suo viso
si alza e mi guarda…
So chi è… basta, basta! Tutto questo è solo uno
scherzo di cattivo gusto… adesso chiuderò cli occhi e mi sveglierò tra le tende
bordeaux del mio letto.
Io non posso essere quella!!
Io impazzisco… non
sono pazza… basta… allontanatela!
Voglio urlare… basta!
Continuo a
guardarla, impassibile… lei mi osserva, impassibile!
Guardo quella strana me
stessa riflessa nello specchio… non ho paura, non mi fa ribrezzo… non sento
nulla di spiacevole, se non la solita triste malinconia, e un sospiro sulle
labbra.
E' sciupata, morta e sangue ovunque…
Ride… forse sente male nel
ridere…
Vuole saltarmi al collo, e uccidermi, ma soffre.
Che malattia la
prende? Quale segreto nasconde in quegli occhi malvagi?
Trema, nello spasmo
della risata.
Alza le mani verso di me, bianche, scarne, morte e ovunque
sangue…
Cosa vuole? Perché mi vuole? Io non sono sua! E' malata ed il suo
cuore è putrescente… allontanati mostro!
Nel sangue dovremmo
affogarti…
Ride più forte, forse ha sentito l'altra me… è squassata nel
corpo da un tremore malsano, e il vetro stesso dello specchio vibra, pronto a
rompersi.
Volta i polsi verso di me… la pelle è lacera, come morsicata a
forza, senza provare un minimo di dolore in quell'atto.
Alcune vene pendono
inermi dai polsi, simili a lunghe liane sanguigne, tendini e ossa sono messe a
nudo, oltre la carne massacrata, quasi masticata crudelmente… quale dolore
indescrivibile per quella creatura.
Silenzio… nienete risate e tremori, solo
il ticchettio irregolare del sangue nel lavandino.
Ho aquietato la voce
dentro la mia testa e parlo con l'altra me stessa.
- Cosa vuoi da
me?
Quello che tu stessa vuoi da me, no!
La sua
voce, afona e straziante, rimbomba pazzamente attorno… non ho paura!
Sento
solo il suo stesso male, la sua sofferenza e il vuoto.
Guarda quella che sono, sorella mia!
Io non sento niente… solo tu percepisci quello che dovrebbe essere
il dolore!
Ma qui non c'è nient, né bene né male, né dolore o piacere… solo
calma e vuoto… molto vuoto!
Ride più forte, stridula… la sua voce è
pazza e piena di amarezze, fatta di soli dolori muti, costretti in un corpo
maciullato da ogni maledizione scagliata negli anni.
- Perché, nonstante
respiri l'aria dei morti, continui a camminare nella terra dei vivi?
I morti hanno imparato ad apprezzarmi più dei vivi… e ricordo alle
persone, che stanno su questa terra, quanto dolore può esistere.
Lei
continua a fissarmi con quei suoi occhi spenti, ricolmi di tanta disperazione da
far accapponare la pelle, i polsi rivolti verso di me, come a ricordarmi una
sorte imminenete, uguale alla sua.
- Da cosa dipende il tuo dolore?
Mi
guarda stranita, come se non si fosse mai aspettata una domanda simile… forse
era convinta che non avrei cercato di scavare in qualche recondito recesso della
sua pazza mente.
Lacrime… lacrime che non ho mai pianto!
E che ora… solamente ora, mi ritrovo a versare su un lago di sangue… e quel
sangue continua a fluire sempre dai miei polsi, in una danza infinita che non si
ferma mai.
La sua voce è strana, lontana e lamentosa; forse ho
percepito anche una sfumatura triste nella sua voce impertinente.
Abbassa
lentamente la testa, quasi a volerla immergere nel sangue, contenuto nel
lavandino, e osserva la sua immagine sulla superficie.
Mi hanno spezzato il cuore… E tu, sorella mia, sembri parlare di
perdono, ma come si può perdonare chi ha fatto male… così tanto
male?
- Ogni cosa può essere perdonata se seguita da una buona causa.
Un leggero sorriso sfiora le labbra di quella fragile e, allo stesso tempo,
imponente figura, che si erge nuovamente davanti a me… l'altra mia parte
recalcita impazziata all'interno della mia testa, come a voler uscire
prepotentemente.
- Allora perché non dai sfogo alle tue lacrime?
Sai, sorella mia… quando il tuo cuore è diventato di pietra, per
il troppo dolore, allora non c'è lacrima amara che possa lenire la tristezza….
Quando il tuo pensiero è tramutato in un contorto ammasso di incertezze,
dispiaceri ed amarezze, non c'è parola dolce, che possa illuminare il rifiuto….
E quando anche, infine l'anima, sarà marcia, a tal punto da non poter più dare
consigli, nessuna gentilezza, lacrima o dolore, nulla più può intaccare
l'oscurità che prende.
- Nulla di tutto ciò può accadere!
Quanto tempo credi che ti rimanga? Tutto è inesorabilmente perso!
Il tempo, le cose, le persone… tutto è inesorabilmente perso.
Mi chino
sul lavandino, incurante dell'urlo schifiltoso della mia parte fragile, che mi
ha quasi fracassato la testa, ho sorseggiato quel sangue rubino, e baciato i
polsi laceri dell'altra mia parte.
- continua a soffrire per il mio bene,
sorella.
Ella mi sorride maligna, alza entrambi i polsi e scrive, in grandi
lettere sanguigne, il mio nome sulla superficie vetrosa dello specchio.
Ricordati che io ti stò a spettando… e non tarderai molto a
raggiungermi.
La luce si spegne, non c'è il tremolio, il ronzio
confuso del neon, la ragazza dai capelli bianchi e i polsi maciullati, è
scomparso il lavandino ricolmo di sangue, lamette e forbici, la parte fragile si
è aquietata.
Ora c'è solo il buio di questa strana stanza, quasi
rassicurante, e il silenzio perpetuo, scandito dolcemente dal respiro che mi
esce debole dalle labbra socchiuse, per non farmi scordare quello che ho appena
visto.