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Autore: poison_pen    26/07/2012    6 recensioni
L'ombra si fermò a metà percorso, inclinando la testa incuriosita e sfiorandosi il mento.
«Che succederà quando smetteremo?» sussurrò il ragazzo-meraviglia, fissando il suo peggior nemico.
«Noi non smetteremo mai, Robin.»

Il ritorno di una vecchia conoscenza, nuovi nemici da affrontare e una serie di inquietanti esperimenti, sono gli ingredienti di questa nuova avventura.
Questa storia la considero la mia più grande sfida, finora. E' il mio regalo per chi ha sperato in un mio ritorno. Giuro che riuscirò a finirla, giuro.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Bonjour!

Non so quanti di voi si ricordano ancora di me. Sono sparita mesi fa, senza dare spiegazioni a nessuno di voi. Ho abbandonato tutte le mie storie. TUTTE. Da parte mia, vorrei tanto scrivere una giustificazione esemplare e commovente per tale scelta, ma forse è meglio dire le cose come stanno: in questi mesi ho perso la voglia di fare qualsiasi cosa. Il motivo ha un nome. Un nome proprio di persona. Non sto tanto ad approfondire, perché francamente mi vergogno di quanto accaduto.

Ora pare che si sia tutto risolto. Ho ritrovato il piacere di scrivere, anche se temo che, almeno per i primi tempi, risentirà del profondo rancore provato durante questi mesi. Lo dico senza mezzi termini: ho bisogno di essere violenta, ora come ora, ma non mi va di prendere a randellate le gengive del primo che incrocia la mia strada. Per cui scelgo di trasmettere ciò che sento attraverso la scrittura. Ergo, non aspettatevi che vi alleggerisca la pillola. Voglio crudeltà, tradimento e menzogne in questa storia. Certo, non mancheranno anche momenti di tenerezza, risate ed amicizia.

In ogni caso, inserirò un prudente rating arancione, onde evitare spiacevoli rimproveri. Io vi ho avvertiti, attenti a proseguire.

 

Fatta questa premessa, veniamo a noi.

Prima di iniziare, vorrei farvi alcune comunicazioni: riprenderò presto “Crystal Palace”, con nuovi capitoli e nuove situazioni. Non posso dire lo stesso per “Confidence”, purtroppo. Sento che le idee per quella storia si sono esaurite, quindi preferisco cancellarla, piuttosto che lasciarla ammuffita lì, con due capitoli scritti. Chissà, un giorno potrei pure riprenderla. I capitoli precedenti sono nel computer ed io ho il tremendo vizio di non buttare via mai niente. Bah, non so. Vi farò sapere.

 

Solo ora mi accingo a parlare di questa mia nuova fanfiction. Avevo molte cose da dire, cavolo.

Questo racconto è il simbolo della mia rinascita. Dentro c'è tutto: amore, sesso, sangue, malvagità, potere, personaggi vecchi e personaggi nuovi.

Preciso che i caratteri dei Titans potrebbero subire delle lievi modifiche e trasmettere un senso di maturità più marcato. Tuttavia, mi impegnerò solennemente, affinché nella fanfiction si respiri al contempo quell'aria comica e spensierata che, in parte, ci ha fatto amare questo meraviglioso cartoon.

La storia è ambientata dopo la sconfitta di Trigon, ovvero in seguito al finale della quarta stagione. La quinta stagione non ho avuto occasione di vederla, perciò mi baserò su quanto ho appreso nelle stagioni precedenti. Mi permetto solo di sfruttare un piccolo dettaglio dell'ultima stagione: Robin e Stella stanno già insieme.

Nella narrazione userò i nomi originali dei personaggi (es. Stella aka Starfire, Corvina aka Raven, ecc) e dei luoghi (es. Titans Tower, Main Ops Room), mentre nei dialoghi userò i nomi italiani.

Scriverò interamente in corsivo i flashback ed i sogni. Inoltre, la storia non sarà narrata dal punto di vista di un particolare personaggio, ma userò punti di vista molteplici.

Si parte in media res, ovvero senza preamboli. Vi prego di esprimere le vostre perplessità e di farmi notare eventuali miei strafalcioni nelle recensioni, che, non smetterò mai di dirlo, sono sempre gradite.

Non so voi, ma io nutro grande fiducia per questo mio lavoro. Certo, ho tenuto conto di un eventuale fiasco, ma confido che non vi faccia nauseare a tal punto.

Vi lascio, finalmente, alla lettura.

 

poison_pen

 

 

 

 

Disclaimers: The Teen Titans, nomi, luoghi e personaggi appartengono interamente alla Warner Bros Animation e alla DC comics. Alcuni dei personaggi usati sono stati creati dall'autrice poison_pen, pertanto, in caso di plagio, si prega di contattare questo utente.

Questo racconto (purtroppo) è frutto della fantasia della sottoscritta.

 

 

 

 

 

 

 

 

Teen Titans - Mutant Crush

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non era colpa sua.

La sua mente rigettava il desiderio di lanciarsi su di lui, mentre il suo corpo urlava ardentemente il contrario.

Lo scricchiolio alle sue spalle lo fece voltare di scatto e un diretto rischiò di frantumargli il naso. Voleva coglierlo di sorpresa e, tutto sommato, ci era riuscito. Gli bastò indugiare un istante di più, per essere sfiorato da quelle nocche taglienti.

Immaginò il suo viso, arroccato da quella maschera di latta, con un sorriso scomposto.

Si passò la lingua sullo spacco, avvertendo quel sapore ferroso che tanto odiava.

Sembrava un graffietto di poco conto, ma era capace di erodere con la stessa intensità di un largo squarcio in pieno petto.

Lui sapeva benissimo che tipo di bruciore era quello. Era lo stesso che avvertiva tutte le volte che si trovava al suo cospetto. Proveniva dall'interno e bastava un taglietto per risvegliarlo.

C'era solo un modo per farlo smettere.

Così il sangue grumoso sulla guancia diventava il pretesto per ricominciare a combattere.

Da quanto tempo si conoscevano?

Da molto. E mai una volta avevano trovato un raccordo tra le loro intenzioni.

Nonostante la pioggia fitta, l'aria sapeva solo di polvere, di sangue, di astio. Il clangore delle campane riempiva quelle lunghe pause di contemplazione reciproca, ma era incapace di sovrastare i loro ansiti.

Da quanto tempo combattevano?

Non lo ricordava. Non c'era stato un inizio e, francamente, non credeva che ci sarebbe stata una fine.

L'incedere dei suoi passi era scandito dallo strascichio della ghiaia.

Dove si trovavano?

Si guardò intorno, per un attimo. Quei suoni tetri che tentavano di insinuarsi tra i due nemici provenivano da un campanile.

Un campanile... a Jump City?

Che importava dove si trovavano, infondo. Si erano rincontrati. E si odiavano più di prima.

Robin digrignò i denti vistosamente. Tremava senza avere freddo, senza avvertire la fatica di una battaglia interminabile. Tremava, perché i suoi muscoli pulsavano ormai ossessi.

Voleva massacrarlo. Niente era più importante.

Le braccia ondeggiarono più vivacemente, quando il ragazzo-meraviglia abbassò i pugni e li portò all'altezza dei fianchi.

L'ombra si fermò a metà percorso, inclinando la testa incuriosita e sfiorandosi il mento.

«Che succederà quando smetteremo?» sussurrò il ragazzo-meraviglia, fissando il suo peggior nemico.

«Noi non smetteremo mai, Robin.» La voce arrochita si fece strada tra le ceneri squassate dal vento. Qualcosa aveva preso fuoco, ma Robin non riuscì a capirne la provenienza.

Che importanza aveva, d'altronde.

Distolse lo sguardo, contrariato, fissando un punto indefinito di quel luogo. Forse non erano a Jump City. Non c'era niente intorno a loro, a parte una torretta che si stanava sopra le loro teste. Erano arrivati là sotto a suon di pugni e calci. Le campane, intanto, avevano smesso di suonare.

«Se non fossimo buono e cattivo, forse...»

«Non dirlo.»

Sorrise amaro, compiaciuto di quell'interruzione. «Cosa saremmo allora?»

«Immagino gente qualunque, in un tempo qualunque, in un posto qualunque.»

«Non puoi negare che sarebbe andata diversamente, però.»

Un'esplosione improvvisa lo destabilizzò. L'incedere dei passi riprese di nuovo, più velocemente, e Robin non ebbe il tempo di capire da che direzione provenivano.

Slade gli inflisse una poderosa spallata, gettandolo sul cumulo di detriti alle sue spalle. Il colpo subìto lo fece gemere dal dolore. La mano, che si mosse quasi istantaneamente all'impatto, non fece in tempo ad arrivare alla cintura, perché fu subito bloccata dal piede dell'uomo. Guardò in alto, con il labbro inferiore intrappolato tra i denti: la torretta era sparita; era crollata sulle loro teste, probabilmente.

L'ombra tese il braccio e fece cadere il telecomando per attivare il detonatore sul petto del ragazzo-meraviglia. Poi estrasse una pistola dal nulla e gliela puntò dritta in fronte. Robin era allibito: Slade non era mai stato incline alle banalità. Un proiettile in mezzo agli occhi sembrava una morte troppo scenica per i suoi gusti. L'esplosione, sì, poteva accettarla, rientrava decisamente nel suo stile. Ma una pistola? Slade non seguiva canoni così tradizionali. Forse era quello il motivo per cui i loro scontri non erano mai giunti ad una fine.

Fino a quel momento.

«Sì, Robin. Forse sì.»

Strizzò gli occhi dietro la mascherina ed attese l'inevitabile.

 

 

Bang!

 

 

Starfire gli posò un bacio, prima sulla guancia e poi sulle labbra. Dopo rimase distesa su un fianco ad osservarlo. Di nuovo. Sembrava dormire profondamente, ma era altrettanto probabile che la stesse guardando anche lui. Forse. Con quella maschera sul viso, non poteva mai saperlo. A volte capitava che la cogliesse di sorpresa, cingendola con un abbraccio improvviso. Altre volte, invece, stava delle ore a guardarlo dormire, senza che succedesse nulla. Era tutto un mistero quel ragazzo. Le sue azioni erano del tutto imprevedibili.

E forse era proprio quello che amava di lui.

Capì di averlo svegliato quando Robin oscillò con la testa, mugugnando qualcosa di incomprensibile. Starfire non seppe spiegarsi il perché, ma c'era qualcosa di preoccupante in quei farfugli.

Poteva aver sognato Slade? Di nuovo?

Non succedeva da due mesi, ovvero dall'ultima volta in cui Cyborg aveva rivelato la posizione del ciminale. Il radar aveva segnalato la sua presenza all'interno dell'impianto fognario della città e i Titans si erano immediatamente recati sul posto, sotto l'ordine impetuoso di Robin. Raggiunta la zona, però, il segnale del rivelatore si era fatto sempre più debole, fino a svanire completamente. A nulla era servito cercare in quel labirinto senza un riferimento stabile. Una volta tanto, i Teen Titans erano tornati alla T-Tower a bocca asciutta. E quella stessa notte Robin si era svegliato di soprassalto, urlando. Anche quella volta Starfire era accanto a lui e vano fu il tentativo del ragazzo di dissimulare l'accaduto. Era stato costretto a raccontarle di averlo sognato.

Sarebbe successa la stessa cosa in quel momento? Starfire sperava di no.

Robin volse il capo verso di lei, con aria interrogativa.

«Stella...»

Non fu capace di trattenersi e gli fece quella domanda senza preamboli. «Lo hai sognato, vero?»

«Sì. Come fai a saperlo?»

«Lo immaginavo. Immaginavo che sarebbe tornato nei tuoi incubi.» bofonchiò.

Robin prese ad accarezzarle una guancia, abbozzando un sorriso. Starfire rivolse uno sguardo alla stanza, perdendosi nel firmamento che avvolgeva entrambi. Era sempre stato fin troppo facile indovinare cosa la turbasse. Anche questa volta sentiva che non avrebbe fatto eccezione.

Il ragazzo le sfiorò ancora una volta il viso, scostandole qualche ciocca.

«Finché si trova nella mia testa, non farà del male a nessuno.»

«A nessuno.» ripeté freddamente. «Robin, tu non fai parte di quel “nessuno”. Sono preoccupata per te. E se avessi assunto un altro di quei reagenti che ti inducono a vederlo ovunque? Io non voglio ripetere quell'esperienza1

«E non la ripeterai. Sono solo incubi, Stella.» la rassicurò.

«Quale è il confine tra incubo e ossessione, Robin?»

Starfire si coprì la bocca, per evitare di singhiozzare. Aveva ancora in mente l'immagine raccapricciante del ragazzo, del suo ragazzo che, ghermendola per un braccio, le chiedeva come aveva potuto farsi sfuggire uno Slade inesistente. No. Non si sarebbe ripetuto. Non l'avrebbe sopportato.

«Ti preoccupi troppo. Piuttosto» Robin cambiò completamente tono di voce. «Che ci fai nella mia stanza?»

Aveva ancora lo sguardo perso nel vuoto. «Come se non lo sapessi. Quello che faccio sempre.»

«Ovvero?»

Starfire sperò che non vedesse le sue guance arrossate. «Ti guardo.»

«Immagino l'orrendo spettacolo.» disse ironico, grattandosi il capo. «In questo momento avrò la faccia tutta sconquassata.»

«Sul mio pianeta è una profonda dimostrazione di affetto. Dicono che se la giovane Tamariana riesce ad incidere il suo nome sul petto dell'amato senza svegliarlo, i due sono destinati ad amarsi per sempre.»

«Incidere...?» Starfire immaginò il suo viso contrarsi in una smorfia disgustata. Non era la prima volta che aveva quella reazione.

«Sì, certo. Ma non credo che ci riuscirò mai con te. Non posso nemmeno darti un bacio senza svegliarti.»

«Ehm... credo di aver sentito abbastanza sulla tradizione Tamariana, per oggi.»

Risero entrambi e poi, senza un perché, lei si voltò e gli posò un secondo e casto bacio sulle labbra. Aveva bisogno di un contatto con lui e non riteneva così urgente coglierne il motivo. Si amavano. Semplicemente si amavano, anche se non sapevano da quanto tempo. La possibilità di esprimerlo l'avevano da sei mesi, ovvero da quando si erano baciati per la prima volta. Baciati per davvero. Da quel momento tutto si era sbloccato con una semplicità disarmante. Non c'era stata alcuna dichiarazione ufficiale, nessuna frase insulsa del tipo “Da ora ci penso io a te” o “Io e te stiamo insieme adesso”. Era diventato tutto naturale: tenersi per mano, sorridersi e accarezzarsi. Anche Raven, Cyborg e Beast Boy non si erano sorpresi di quanto era successo; evidentemente aspettavano quel momento da tempo.

Robin si sporse in avanti, cingendole il fianco con un braccio. Starfire sapeva bene cosa volesse dire quel gesto. E non si sottrasse.

«Ehi, ho un'idea. Perché non seguiamo un po' la tradizione terrestre stanotte?» alluse Robin maliziosamente.

Starfire non aveva mai capito a fondo l'utilità di quell'azione senza il fine di concepire. Robin aveva provato a spiegarglielo più di una volta, ma le riusciva difficile apprendere una concezione diversa dalla propria. Nonostante l'amore fosse una delle colonne portanti di Tamarian, quell'atto era sempre stato visto come semplice fecondazione. Invece i Terrestri erano propensi a vederlo come un'occasione per conoscersi, per divertirsi insieme, senza impegni costringenti, come un figlio. Il fine era l'appagamento reciproco; se c'era quello, le aveva detto il ragazzo-meraviglia, c'era amore.

«Robin, sei sicuro? Insomma, hai appena sognato...»

Ma il ragazzo la attirò a sé, senza che potesse finire di parlare.

Sì, in fondo era piacevole lasciarsi andare a passioni carnali con l'unico ragazzo che lei avesse mai amato. Lui glielo aveva insegnato. E lei aveva imparato qualcosa di nuovo. Qualcosa di bello, da condividere unicamente con lui. E non importava che fosse un uso Terrestre, Tamariano o Gordoniano. Importava amarsi. Stare insieme. Per sempre.

 

 

«Ti squilla il braccio.»

Raven indicò l'arto lampeggiante di Cyborg. Con l'altra mano stringeva la sua tazza di cereali integrali. Ancora non aveva iniziato a mangiare. Si era limitata a sedersi, lanciando più volte un'occhiata all'immenso padiglione della Main Ops Room4. Quella mattina Beast Boy non era ancora arrivato e forse era proprio per questo che nella stanza regnava un imbarazzante quanto inusuale silenzio.

L'uomo alzò il capo, con gli occhi strabuzzanti. Era talmente concentrato a mangiare, che non si era accorto della chiamata.

«Chi può essere alle sette del mattino?» domandò, con la bocca ancora piena delle sue abituali uova strapazzate.

Sfiorò con un dito il sensibilissimo schermo – o “brillante esempio di tecnologia miniaturizzata”, come diceva lui stesso – e avvicinò la bocca per rispondere.

«Pronto? Ehi, pronto? Chi parla?»

Guardò la ragazza dall'altra parte del bancone della cucina con aria interrogativa. Non si sentiva niente, al di fuori di un flebile sibilo.

Cyborg sbuffò esasperato. «Se questo è uno scherzo, non è divertente.» bofonchiò.

Lei continuava a guardarlo accigliata. «Non avrai mica paura.» lo incalzò.

Come si era accorto più volte negli ultimi tempi, il robot avvertì un certo tono sbeffeggiante, quasi divertito, da parte della sua cupa amica; ma non se ne sorprese.

Erano successe talmente tante cose, in quei mesi, che l'uomo faceva fatica a ricordarsi come fosse la vita in casa Titans, prima di esse. Sicuramente Starfire e Robin rappresentavano la vera novità, ma quei baci audaci che i due piccioncini si scambiavano in pubblico non potevano certo far sfuggire ad un tipo riflessivo come lui altri cambiamenti più latenti. Raven sorrideva di più; la scomparsa definitiva di Trigon le aveva regalato serenità. L'aspetto era rimasto lo stesso: il blu restava sempre il suo colore preferito e i capelli lunghi erano spariti con la stessa facilità con cui erano apparsi2. BB, invece, era più impacciato e distratto del solito. E Cyborg il motivo lo conosceva fin troppo bene. Per il resto, quel burlone non sarebbe mai cambiato. Al robot, tutto sommato, faceva piacere. Era divertente, infondo, farsi scherzi e insultarsi a vicenda, per poi tornare a chiamarsi “amico” o “fratello” come se nulla fosse successo.

«Paura?» rispose burbero. «Non dire sciocchezze. Sono solo infastidito. Sono tre giorni che ricevo queste chiamate anonime.»

La ragazza alzò un sopracciglio. «Chiamate anonime? Non sono un'esperta di computer, ma credo che per un maniaco della tecnologia come te sia facile rintracciare il mittente.»

Raven assaggiò per la prima volta la sua tazza di cereali. Poi si sollevò il cappuccio del suo mantello, come se si vergognasse di farsi vedere mentre mangiava.

«Non ne vale la pena. Sappiamo entrambi chi è il colpevole.»

La ragazza annuì. Anche lei lo aveva capito. Era prevedibile, infondo. «Oh, sì. Quello che mi sorprende è il fatto che tu non abbia ancora fatto niente per vendicarti.»

Cyborg sollevò il piatto, senza che lo avesse pulito dai residui di uova, come al suo solito, e si alzò dal tavolo. Superò il bancone in pochi passi, portandosi al lavandino, ancora stracolmo di piatti sporchi. La sera prima era toccato a Beast Boy assumere il compito di lavarli. Se ne era evidentemente dimenticato, come al suo solito.

«Cara Corvina, la vendetta è un piatto che va servito freddo.» affermò con orgoglio, sfregando le dita sul davanzale in alluminio, dove solitamente Starfire trascorreva il suo tempo libero. «Se io agissi subito, il responsabile sarebbe pronto a ricevermi. La mia strategia è semplice: lasciarlo cuocere nel suo brodo, fino a quando... BAM!»

Il rumore del piatto che si infrangeva contro il lavandino invase la stanza. Raven continuò imperterrita a mangiare i suoi cereali e, tra un cucchiaiata e l'altra, seguiva con lo sguardo l'amico. «Una parte della vendetta è già compiuta. Quel piatto non faceva parte di quella sua assurda collezione di stoviglie con le facce degli eroi dei fumetti?»

Cyborg placò di botto il suo entusiasmo. «Oh... forse.»

Diede un'occhiata al lavandino. Gli altri piatti sporchi non avevano subito danni, ma il mento possente di Crimson Chin3 si era frammentato in tre pezzi. Al povero omone rosso non poteva capitare una fine peggiore.

L'uomo ringhiò vistosamente. «Ma perché quell'idiota non sta più attento a dove mette le sue cianfrusaglie?» farfugliò, prendendo due pezzi e facendoli combaciare.

«Vuoi una mano?» Raven si avvicinò con la sua ciotola ormai vuota e, al contrario dell'amico, la poggiò delicatamente sul microonde vicino.

«Magari.»

I frammenti che il robot aveva in mano si librarono in aria e, senza alcuno sforzo, furono ricomposti. Crimson Chin tornò a sorridere con quel suo acciglio di sfida senza alcun supporto aggiuntivo, come colla o scotch.

«Che te ne pare?» domandò Raven.

Cyborg, per una volta, dovette mettere da parte il suo orgoglio: la magia gli aveva salvato le chiappe cibernetiche più volte di quanto immaginava. Era così aberrante ammettere una cosa del genere, specie se a parlare era un uomo di scienza come lui.

«Niente male.»

Si specchiò più volte, soffermandosi sugli occhi ridenti del supereroe. La porta automatica della Main Ops Room si aprì in quel mentre, mostrando un Beast Boy ancora assonnato. Il suo sguardo inebetito significava solo una cosa: nottataccia. La sera prima aveva annunciato di voler trascorrere un'intera notte parcheggiato al computer, a mangiare patatine al formaggio e a guardare film. Cyborg aveva fatto a meno di chiedergli il motivo, sicuro che fosse inesistente, ma gli aveva caldamente raccomandato di lavare i piatti. Ovviamente non era stato ascoltato.

«Ecco il nostro terzo moschettiere! Cos'è, non hai dormito?»

«Come se non lo sapessi.» gli rispose stizzito il ragazzo verde, guardandosi intorno. «Ehi, Stella e Robin hanno deciso di trascorrere la giornata tra le lenzuola?»

«E chi glielo impedisce.» intervenne Corvina. «Sono state tre settimane di tutto riposo.»

«Le più belle della mia vita.»

Beast Boy prese un sacchetto di patatine dalla credenza. Raven gli lanciò un'occhiata disgustata; non aveva mai tollerato il fatto che si trangugiassero schifezze sin dalle prime luci del mattino. Cyborg non avrebbe esitato a darle ragione, se non avesse avuto anche lui quel vizietto, seppur sporadico.

Il giovane sospirò. «Riuscite a crederci, amici? Siamo qui, nella T-Tower, a goderci una simpatica colazione per la ventunesima volta di fila, senza che quel fastidioso allarme ci interrompa.» affermò, indicando l'oggetto che più di una volta era stato il protagonista degli incubi di tutti i Titans.

Si voltò verso Raven, con finta aria sognante e una poltiglia di patatine nella bocca.

«Sarebbe il tempo giusto per trascorrere una giornata al parco, come ai vecchi tempi.»

«Sì, io ci sto.» disse entusiasta il robot.

«Io passo, ho delle cose da fare.»

La guardò esterrefatto. «Ma come “passi”? Oh, andiamo. Rimani a casa con i piccioncini, col rischio di contrarre il diabete? Abbiamo bisogno di aria, Corvina. Non vorrai farmi uscire solo con Cyborg.»

«Perché? Ti annoi solo con me?»

Beast Boy restò impalato, non sapendo cosa rispondergli. Evidentemente aveva capito quanto le sue intenzioni fossero palesi. E forse si era anche reso conto dell'intenzionale tono provocatorio di Cyborg. Il robot sorrise soddisfatto: era dolce il sapore della vendetta. Quella vendetta dai tratti sottili, atta ad essere consumata in più fasi.

Il giovane si rivolse a lui: «Q-quello che intendo dire è... sì, dai... amico, abbiamo bisogno di una presenza femminile per raffreddare i bollenti spiriti.»

«Raffreddare i bollenti spiriti.» ripeté la ragazza, accigliata.

«Nel caso ci venisse in mente di fare qualcosa di incredibilmente stupido ed irresponsabile.»

Come se non avesse parlato, Raven superò il ragazzo e il bancone della cucina e si diresse alla porta. Beast Boy la seguì con lo sguardo, fissandola con aria interrogativa. Fu in quel momento che Cyborg notò come la punta delle sue orecchie si era leggermente colorata di rosso. Capì che tutte le sue ipotesi erano fondate: l'amore in casa Titans aveva contagiato anche il ragazzo verde, nonostante cogliesse continuamente l'occasione per disprezzarlo.

«In tal caso, mi auguro disponiate di un buon autocontrollo. Divertitevi.»

Lasciò la Main Ops Room. Erano rimasti in due: Beast Boy, con le sue patatine croccanti, e Cyborg, il quale era tentato di fargli delle domande scomode sulla sua presunta cotta per Raven.

«Allora siamo solo io e te, a quanto pare, amico mio.» disse il robot.

«Sì. Il tempo di finire di mangiare e sloggiamo da questo posto melenso.»

 

 

L'incedere dei passi di Raven la accompagnò per tutto lo spoglio corridoio, fino ad incrociare Starfire. Vide la rossa librare nella sua direzione, a velocità sostenuta, fino a fermarsi di botto.

«Oh, buongiorno Corvina.» la salutò, con un tono meno entusiasta del solito.

«Ciao Stella.»

Raven fece una pausa, fissando la sua amica. Non poté non notarlo. Aveva un'aria abbastanza turbata, come se le fosse capitato qualcosa.

«Qualcosa non va?» domandò, inclinando leggermente il capo.

Starfire, in un primo momento, indugiò nel risponderle. Non sembrava tanto convinta di voler parlare. A dirla tutta, sembrava quasi volesse liquidarla, per stare un po' da sola. Il che non era necessariamente un male. La capiva, infondo. Anzi, nessuno, in quella torre, poteva capirla meglio di lei.

«Se non vuoi parlarne, non insisto.»

«Oh, no no.» esclamò la rossa, agitando le mani. «Non è niente. Stavo pensando. Ero in quella fase dove la mente vaga per conto suo, mentre tu cammini.»

«Capisco.»

Rimasero entrambe a fissarsi. Quella situazione sembrava mettere Starfire a disagio. Forse la giornata non era iniziata bene per lei, ma Raven preferì non infierire con altre domande. Distolse lo sguardo ed oltrepassò la ragazza in silenzio, con l'intenzione di lasciarla riflettere per conto proprio. Quando ormai fu di spalle, Starfire pronunciò il suo nome.

«Corvina.» la chiamò.

Lei girò solo il capo, sorpresa, continuando a mostrare la schiena. «Sì?»

La rossa chiuse gli occhi un istante; sul suo viso si palesò una smorfia combattuta. «Secondo te io, a volte, mi preoccupo troppo?»

«Cosa?» domandò confusa, voltandosi completamente dalla sua parte.

Starfire, nel dubbio, ripeté di nuovo la domanda, stavolta più convinta. «Secondo te io, a volte, mi preoccupo troppo?»

Quella domanda suonò nella sua mente come una richiesta di rassicurazione. Qualunque fosse il motivo del turbamento, era palese che si trattasse del ragazzo mascherato e calzamagliato. Del resto, la stanza di Robin era proprio in quel corridoio e Starfire non poteva che provenire da lì.

Raven si ricordò del discorso che Beast Boy aveva fatto poco prima sulle lenzuola. Ci aveva azzeccato, a quanto pare.

Forse avevano litigato, cosa che in sei mesi di relazione non si era mai verificata. E forse Starfire voleva usare la sua risposta come pretesto per arrogarsi la ragione. Raven, però, non aveva intenzione di intervenire in quelle questioni private.

«Cosa scegli? Ciò che ti piacerebbe sentire o la verità?» l'apostrofò con freddezza.

«La verità, immagino.»

Per un attimo pensò al modo più indolore di dirglielo. «Temo di sì.»

Starfire smise di librarsi in aria. «Oh, lo sapevo.» piagnucolò, poggiandosi in punta di piedi sul pavimento. «Devo smetterla di tediarlo in quel modo.» sussurrò.

Si riferiva a Robin, evidentemente.

«Stella, credo sia normale che una ragazza si preoccupi per il suo ragazzo. Anche se non ho alcuna esperienza al riguardo, io osservo molto e posso dirti che non sei l'unica.»

Le sorrise amaramente, come se fosse compiaciuta da tale constatazione. Raven arrossì leggermente, accortasi di essersi lasciata sfuggire qualcosa di troppo. Non era molto rassicurante come immagine una ragazza taciturna che, nella coltre del suo silenzio, quasi spiava la gente, nei suoi innumerevoli atteggiamenti.

«Insomma,» aggiunse, guardandola nei suoi occhi verde smeraldo. «Robin farebbe lo stesso per te se ti vedesse in questo stato.»

«Tu dici?»

Annuì.

«Grazie.»

Sorrise. Il primo sorriso che traspariva gioia, quella mattina. Il sorriso di una ragazza profondamente innamorata. Raven ricambiò, provando a simulare lo stesso entusiasmo; cosa che non le riuscì. Abbozzò una smorfia ridente, non perdendo quell'espressione perennemente accigliata.

Starfire si librò in aria, come prima. Buon segno. Una parte della sua serenità era stata recuperata e Raven era felice che il merito fosse suo.

«BB e Cyborg sono in cucina?»

«BB ha proposto una giornata al parco. Temo che a quest'ora siano già andati via.»

«Sul serio? Potevano aspettarci, così andavamo tutti insieme.»

Stafire non se ne era accorta, ma quell'osservazione trasmise alla ragazza un senso di inquietudine che non provava da tempo. Si chiese da quanto tempo i Titans non facessero qualche attività insieme, che non fosse prendere a cazzotti i cattivi. Non le sarebbe dispiaciuto mangiare una pizza da Pizza Corner4, come ai vecchi tempi. Anche andare al parco, fermarsi sotto un albero e leggere un libro, mentre gli altri giocavano a football, non sarebbe stata una cattiva idea, in fin dei conti. L'importante era andarci insieme e non per prevenire un probabile diabete, causato dai due piccioncini della T-Tower.

«Possiamo raggiungerli più tardi.» propose Raven.

«Oh, no. Dovevano invitarci. Sarebbe scortese.» commentò la rossa. «Sai, forse è meglio così. Potrei approfittarne e fare qualcosa con Robin. Qualcosa che si fa in due, tra fidanzati.»

Sì, perché era proprio quello il problema. Fidanzati. Per la prima volta, da quando Robin e Starfire stavano insieme, Raven provò quasi disprezzo per quella parola. Se i Teen Titans avevano perso la loro integrità, lo dovevano in parte ai loro ormoni impazziti.

Ormoni impazziti...?

«Oh, scusami Corvina.» cinguettò Starfire. «In questo modo rimarresti sola. Ah, che stupida.» aggiunse, battendosi la fronte con il palmo della mano. «Puoi unirti a noi, naturalmente. Anzi, io ti invito ufficialmente a trascorrere la giornata in nostra compagnia.»

«Stella, non è necessario invitarmi ufficialmente. Non siamo in un ristorante.» le fece notare. «Comunque ho delle cose da fare. Magari un'altra volta.»

Raven non era solita usare delle scuse. Quando sosteneva di avere da fare, diceva sempre la verità. E i Titans lo sapevano bene, per questo Starfire, dal canto suo, non insistette una seconda volta.

«Certo.» le sorrise. «Beh, senti» aggiunse. «Vado a fare colazione. Grazie per la chiacchierata.»

Raven annuì. Forse stava traendo conclusioni affrettate o forse stava semplicemente esagerando con la storia dello stare insieme; anzi, dello stare tutti insieme. Infondo, i Teen Titans avevano condiviso tanti momenti in gruppo, per diversi anni, mentre Robin e Starfire avevano scoperto l'amore soltanto da sei mesi. Era troppo presto per giudicare la situazione. Erano ancora all'inizio, in quella fase dell'amore in cui esistono solo due persone, mentre il resto del mondo sparisce. Col tempo, sarebbe tornato tutto alla normalità.

Almeno, così sperava.

 

 

Quella mattina un leggero strato di nebbia offuscava l'orizzonte. Il prato che ricopriva l'intero Central Park era ancora bagnato e l'aria sapeva di terriccio. In lontananza, si udivano i rombi del traffico cittadino, accalcato ad uno dei tanti semafori della zona. Pochi erano i clacson, a quell'ora, perché nessuno aveva fretta di recarsi in ufficio.

Beast Boy aveva insistito per andare nella parte più lontana dalla strada e ciò aveva significato camminare più del previsto. Quando si fermarono, il ragazzo verde si voltò per osservare il panorama: la zona, costeggiata da alcuni pini, era completamente deserta. Ad una certa distanza, la nebbia interrompeva gradatamente la vista, mostrando solo le forme di qualche cespuglio. Era come se fossero isolati dal mondo, lontani da tutto e da tutti.

Specie dalle smancerie, la cui frequenza, ultimamente, era notevolmente aumentata, di un eroe in calzamaglia e di una Tamariana ancora in piena fase adolescenziale.

Sì, certo, Beast Boy voleva bene ad entrambi ed era felice che fra loro fosse sbocciato l'amore, ma era proprio necessario che fossero sempre così avvinghiati?

Per evitare di fare la figura del bigotto invidioso, non aveva mai fatto notare quanto quelle effusioni gli dessero fastidio, ma in quei giorni aveva avvertito più del solito la necessità di scappare da quel posto per alcune ore.

Vedere quei ragazzi innamorati e felici, al contrario suo, innamorato ed infelice, gli trasmetteva un'immensa malinconia.

E di questo Cyborg se ne era accorto. Quello zuccone aveva capito tutto fin dal principio. Beast Boy ne era sicuro. E quella giornata al parco era una buona occasione per il robot per strappargli una confessione, sempre ammesso che il ragazzo verde non vuotasse il sacco prima.

Cyborg poggiò le cibarie sotto un albero vicino. Non si erano parlati molto, durante il tragitto, ma non c'era da preoccuparsi. Avrebbero presto recuperato.

«Ehi, BB.» Il robot si gettò all'ombra dell'albero e portò le mani dietro alla nuca. «Sai che hai avuto proprio un'ottima idea? Ho l'impressione che mi farò un sonnellino qui sotto.»

«Cosa? Oh, andiamo, amico. Non siamo venuti qui per poltrire. Siamo venuti qui per fare un po' di movimento, per giocare a football e, se abbiamo fortuna, anche per rimorchiare qualche bella ragazza.»

«Hn.» mugugnò Cyborg, guardandolo sottecchi, con un sorriso beffardo. «Hai scelto un bell'orario per venire a rimorchiare.»

«D'accordo.» sbuffò il ragazzo. «Forse adesso non ci sarà nessuno, ma più tardi il parco si riempirà di pollastrelle e tu mi darai ragione.»

Il robot si strofinò il naso, ridacchiando tra sé.

«Pollastrelle.» scimmiottò.

«Mi spieghi che cosa c'è da ridere?»

Cyborg si mise a sedere e frugò nel minibar che amorevolmente si era portato dietro. Dentro c'erano almeno sei tipi di bibite gassate. Ne afferrò una e tolse il tappo con una leggera pressione.

«Non credo che la pollastrella sia il tipo di volatile che ti interessa in questo momento.» diede un sorso a quella che sembrava un'aranciata. «Se capisci ciò che intendo.»

Glielo doveva concedere. Quella frecciatina gliel'aveva servita su un piatto d'argento. Poco male, ciò non faceva altro che confermare le certezze del ragazzo verde, ma mai avrebbe ammesso con tanta facilità quella sua...

Sbandata.

Cotta.

Almeno un po' di resistenza doveva opporla. Ne andava della sua dignità. E figurarsi se un essere infantile come Beast Boy metteva da parte l'orgoglio, senza avere una buona ragione.

«Amico, sei tremendo in versione fico-convinto.» l'apostrofò.

«Fico-convinto? Solo perché, tra una frase e l'altra, ho dato un sorso a questa?» chiese, alzando la bottiglia.

«Sì, Cyborg, facevi paura.»

Il ghigno che il robot aveva poco prima, divenne un sorriso pacato. Si levò in piedi ed afferrò il pallone da football. Alla torre lo stava quasi per dimenticare, ma fortunatamente Beast Boy glielo aveva ricordato, sebbene all'ultimo momento.

«Bene, campione, hai vinto tu. Prova a rubarmi palla. E la scimmia saltatrice stavolta non vale.»

Il ragazzo verde fece una smorfia offesa. «Nemmeno l'orsetto lavatore?»

«Soprattutto.» scandì l'amico.

Il robot si mise in posizione, con le gambe aperte e le spalle strette, pronto a riceverlo. Entrambi strizzarono gli occhi quasi contemporaneamente, come segno di sfida, e Beast Boy, preso dall'adrenalina, si lanciò sull'amico di peso.

 

 

Quei due scherzi della natura stavano giocando come due normali adolescenti, ignari degli sguardi esterrefatti che si erano attirati.

Per tutto il tempo in cui li aveva pedinati, si era messo a contare quanta gente si era voltata alla loro presenza.

L'omino e l'omone avevano vantato ben trentaquattro fan. Sessantotto occhi che li avevano scrutati con ammirazione, mista ad un senso di inquietudine.

Un numero piuttosto consistente, considerata l'ora improponibile in cui erano usciti.

Dal vivo Cyborg sembra ancora più grande. Sarebbe capace di schiacciarmi con un piede.

Con quelle mani, il robot mi stritolerebbe.

Quando ci sono i Titans in giro, i guai non tardano ad arrivare.

Oh, cazzo. Non mi fido di quel ragazzino. Metà umano e metà bestia. Potrebbe attaccarmi. Meglio allontanarsi.

Disgustoso.

Nonostante le imprese eroiche, che da sempre contraddistinguevano i Teen Titans dai cattivi, la gente era spaventata perfino da loro.

Era proprio vero: gli umani non avrebbero mai potuto accettare i diversi, nemmeno se si presentavano come buoni. Gli umani preferivano la mediocrità, all'unicità, la conformazione, alla distinzione. Tutto il resto era da discriminare. Da giudicare.

«Marcus?» la voce proveniva dall'auricolare senza fili che aveva all'orecchio.

Il ragazzo premette il pulsante posto al lato, per rispondere, senza distogliere lo sguardo da Beast Boy, che per l'ennesima volta stava cercando di placcare Cyborg.

«Sono sul posto.» sussurrò con voce atona.

«Bene.» scandì l'altro, con aria soddisfatta. «Che mi dici degli altri?»

«Fallene è in posizione, sopra la T-Tower. Suo fratello è davanti alla Banca di Pèrez4.» tirò su un sospiro, per smorzare la tensione. «E' tutto pronto.»

«Ti sento un po' troppo nervoso, Marcus.»

«Nervoso?» il ragazzo ghignò. «Sì, può darsi. Dopotutto sto per incontrare delle celebrità.»

«Non sottovalutare i Titans.» la voce si fece più grave. «Loro sono più risoluti di quel che sembrano.»

Marcus si rimise in piedi e scostò dalla cappa buona parte dei pezzettini d'erba che si erano depositati sopra. «Da quel che so, anche loro hanno delle debolezze.»

«Non fare l'arrogante.» lo rimproverò. «Sfruttare le debolezze altrui non è così semplice. Bisogna avere un certo tempismo, per fare un modo che sortiscano un certo effetto.»

«Tempismo.» ripeté. «Che sia la volta la buona?»

«Limitati a fare il messaggero, per il momento. Non prendere iniziative personali.»

Il tono brunito della voce lo convinse. Per quella mattina, avrebbe solo eseguito degli ordini, anche se non nascondeva che la cosa gli lasciava un po' di amaro in bocca. Aveva sempre creduto che essere il braccio destro portasse dei vantaggi, invece si era sbagliato. Essere Marcus non era tanto diverso da essere Fallene, l'ultima arrivata. Lui, in più, aveva solo il compito di coordinare la squadra, in caso di fallimento. Ma, finora, le loro operazioni non erano mai fallite.

Bel senso di potere.

Tutto sarebbe filato liscio anche oggi.

«Avrai presto le tue soddisfazioni, Marcus.» aggiunse, per rassicurarlo. «Tu vuoi il potere, vero?»

Il ragazzo ghignò, ancora.

«E lo avrai. Stare dalla mia parte porta sempre dei vantaggi. Non saresti quello sei, se non fosse stato per me.»

A quelle parole, quel ghigno mutò in un sorriso pacato.

«Quando posso cominciare?» chiese Marcus, dall'apparecchio.

«Quando vuoi.»

Il ragazzo premette di nuovo il pulsante, per chiudere la conversazione. Tolse l'auricolare dall'orecchio e, prima di metterlo in tasca, fissò con insistenza quella S stilizzata, che faceva da decorazione.

Il simbolo della sua rinascita.

Guizzò lo sguardo verso i due eroi. Beast Boy, con una mano, era riuscito a far sgusciare la presa del robot, facendo rotolare il pallone nella sua direzione.

Quando si parlava di tempismo.

Marcus sospirò e, in tutta tranquillità, si avviò verso il pallone.

 

 

 

 

 

NOTE

1. Nell'episodio “Ossessione”, della terza serie, vediamo un Robin visionario, indotto ad incontrare il suo acerrimo nemico ovunque. Nonostante lui sostenga che Slade stesse cercando di annientarlo, alla fine si scopre che la colpa delle sue visioni è di una tossina che il ragazzo-meraviglia aveva ingerito mentre contemplava la maschera di Slade, in momento di “nostalgia”.

2. Si veda il finale della quarta stagione. Raven con i capelli lunghi è stato un trauma, per quanto mi riguarda.

3. Omaggio a Crimson Chin, il supereroe dal mento possente, comparsa perenne del cartone “Due Fantagenitori”.

4. In questo caso, i luoghi sono originali della serie.

  
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