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Autore: Dearly Beloved    26/07/2012    2 recensioni
" [...] …Cos’è il vuoto che sento, e perché mi è così familiare?
Torno presto. Forse risolverò qualcosa, o forse niente. Chissà.
Non aspettarmi. [...]"
[DantexLady] [VergilxDante]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Dante, Vergil
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ieri come oggi, oggi come domani.


Respiri appena percettibili spezzavano il silenzio nella camera di hotel.
Il cielo andava schiarendosi e dalla grande imposta socchiusa penetravano spifferi freschi che accarezzavano la pelle accaldata del giovane regalandole una sensazione di benessere. Il compagno, invece, era coperto dal lenzuolo leggero, e teneva la testa appoggiata sul petto dell’altro. Era stato il movimento regolare di quest’ultimo a farlo assopire.
Dante Sparda si era addormentato come un cucciolo innocente accoccolato sul petto del fratello.

‘Adorabile’ non era certo un aggettivo che potesse essere usato in riferimento alla sua persona, eppure Vergil non trovava altro modo per definirlo in quel momento.
Era quasi l’alba, e il più anziano dei due eredi di Sparda non era riuscito a chiudere occhio per tutta la notte. Dopo troppo tempo, finalmente, stava di nuovo bene, e non aveva intenzione di far finire quel momento perfetto addormentandosi; sapeva che al suo risveglio Dante avrebbe anche potuto non essere più al suo fianco, oppure magari avrebbe voluto parlarne, e quello, oh, quello sarebbe stato molto peggio.
Respirava piano per non rovinare l’atmosfera, ripercorrendo con la mente tutti gli eventi che l’avevano portato a fare l’amore con un altro uomo nella una squallida stanza di un hotel a tre stelle.
Sentiva che era sbagliato, sentiva che aveva mandato a farsi fottere allegramente tre anni di terapia… e sentiva anche i due fanali cerulei del fratello puntati addosso.
“Buongiorno” sussurrò sorpreso, ricevendo in risposta un timido bacio sul labbro inferiore. Dante adesso guardava fisso un punto imprecisato della stanza con sguardo vacuo.
“Devi andare, non è vero?” sussurrò Vergil con un sorriso triste.
“Speravo di poter restare qui ancora un po’” rispose il minore con voce assente.
“Non ti sto dicendo di andartene adesso”.
A quelle parole il minore affondò il viso nell’incavo del collo dell’altro, per nascondere le guance lievemente imporporate.
Vergil gongolò: Dante appena sveglio era quanto di più remissivo, e carino, e stuprabile al mondo. Niente a che vedere con lo spaccone insopportabile con il quale era abituato ad avere a che fare.
“Ho nostalgia di quando potevo darti il buongiorno ogni mattina…” iniziò il minore, ma d’un tratto s’interruppe e iniziò a passare le dita tra i capelli lisci e sottili, una volta tanto liberi dal gel, dell’altro.
“Ma sì, bando ai sentimentalismi, tanto lo sai che mordo dopo le undici.”
Anche Dante sentiva che sarebbe scoppiato dalla felicità da un momento all’altro.
Erano quattro anni che non si vedevano, un lasso di tempo troppo lungo nel quale avrebbero dovuto dimenticarsi a vicenda, e al cui termine sarebbe dovuto tornare tutto a posto.
“Perché lei?” chiese Vergil facendo scorrere lentamente le dita sul collo del fratello.
“Lei aveva bisogno di me, e io di lei” disse sicuro.
“Perché non me?” chiese di nuovo il maggiore, con una punta di durezza nella voce.
Perché, aveva chiesto. Meritava una risposta, Dante lo sapeva, e iniziò a fissare il tetto pensando che non c’era nessuna risposta da dargli. Gli era sfuggito qualcosa, il passaggio più importante.
“Dicevano che era giusto così.”
Sì. Solo stupida, banale convenzione. Tutti sapevano, da sempre, ma facevano finta di non vedere. Poi un giorno la realtà si era mostrata per quel che era agli occhi di mamma e papà… e allora amici, conoscenti, parenti, e perfino sconosciuti s'erano improvvisati psicologi.
E dire che nessuno si era mai interessato di loro, prima. Erano sono cagnolini ammaestrati, che ai tea pomeridiani si facevano ammirare nella loro prestanza dagli invidiosi che da sempre cercavano di trovare una qualche pecca in quegli atteggiamenti così composti e perfetti.
Dante e Vergil apparivano magnifici, sempre. Uno con il suo fascino di anticonformista, l’altro dai modi freddi e pacati. Sembravano guardare il mondo da una dimensione a parte: la loro, così splendida e lucente, così perfetta e inarrivabile. Così vuota, ad uno sguardo più attento.
I signori Sparda li esibivano come bei quadri, mozzafiato a prima vista, tanto da far svenire chiunque li guardasse.
Ma erano solo ragazzi, e nei loro occhi di ghiaccio si celava l’amarezza di quella perenne finzione.
Dante e Vergil avevano solo imparato a colmare vicendevolmente l’esistenza vuota dell’altro con la propria.


“Voi gemelli avete un rapporto molto profondo, in fin dei conti non avete mai avuto altri amici…” aveva detto mamma Eva con le mani che tremavano e la voce incerta “Ma siete ancora dei ragazzi in preda agli ormoni…! E siete fratelli! Vi rendete conto di che sciocchezza state commettendo!? Cosa diranno gli altri di noi!? È un crimine contro natura! Saremo lo zimbello di tutti!”
Vergil aveva pianto tanto. Povero. Urlava “Non siamo dei mostri! Madre! Padre!”.


Il signor Sparda, poi, un giorno, aveva fatto i bagagli e se n’era andato. “Quelli non sono figli miei!” diceva.
Vergil aveva smesso di mangiare, e mamma Eva aveva iniziato a piangere ogni notte, abbracciando il cuscino del marito, in quel letto troppo grande. Non dormiva più, e al mattino, con gli occhi azzurri un tempo dolci e vivaci che adesso erano invece impassibili e cerchiati da occhiaie profonde, passava davanti ai figli come davanti a degli estranei.

Sparda tornò un anno dopo per i funerali di Eva, anche se non riconobbe nel viso pallido di quella vecchia donna nella bara la giovane e bella consorte. In cuor suo, la colpa di tutto fu sempre dei figli.
Non gli passò neppure per l’anticamera del cervello di aver abbandonato la donna che amava e di aver così contribuito alla sua morte prematura. Sparda era così egocentrico da non riuscire a capire la vera gravità delle sue azioni. Così per gli anni a venire, continuò a ferire, pensando di fare il bene di coloro che aveva intorno.

Dante fu mandato dagli zii. Qualsiasi espediente era buono per allontanarlo dal fratello.
Vergil era ormai troppo debole per muoversi da casa. Tutti cercavano di trattarlo con la maggiore delicatezza possibile e di curarlo. Senza Dante accanto i suoi disturbi alimentari erano aumentati, e il diciassettenne continuava a perdere peso. I domestici gli volevano bene, sebbene il giovane si chiudesse sempre più in sé stesso. Solo due parole rimbombavano nella sua testa, ancora e ancora, all’infinito: “Voglio Dante”.

“Perché non ti trovi una bella ragazza?” gli chiedeva la cugina risistemandosi il fondotinta.
Dante sbuffava, guardandosi allo specchio di quella che gli era stata data come camera fingendo di non vedere il suo riflesso, ma quello del fratello.
La bionda cercava contatto disperatamente: l’aiutava a sistemarsi la cravatta, si offriva di portargli gli asciugamani mentre lui era nella vasca da bagno, per non parlare di tutte quelle volta che lo prendeva per il braccio senza mollarlo per ore intere. Agli occhi di lui risultava solo pateticamente tenera, con i suoi atteggiamenti da femme fatale, volti a provocare in lui emozioni ben diverse dalla compassione.
L’incesto doveva essere un vizio di famiglia, pensava Dante.
“Una come te, Trish? Pft.” e puntualmente usciva dalla stanza senza voltarsi a guardarla. La ragazza rivolgeva alla porta che il ragazzo si era chiuso alle spalle un sorriso dolce-amaro, pensando a tutte quelle volte che l’aveva sentito dal bagno bisbigliare il nome del fratello tra i gemiti e i singhiozzi, e constatando che per lei Dante era davvero irraggiungibile.

Dante tornò a casa solo dopo otto mesi di prigionia, pensando che il peggio era stato superato, e con una voglia disperata di vedere il gemello.
Loro padre non aveva fatto spargere la voce della loro relazione, per evitare lo scandalo. I domestici erano cambiati quasi tutti. “Secondo me il vecchio li ha fatti fuori!” aveva sghignazzato Vergil. Gli unici testimoni delle loro notti d’amore erano i muri, adesso. Ma forse loro padre avrebbe demolito pure quelli, pur di dimenticare.
Dovettero passare altri tre mesi perché il minore trovasse di nuovo il coraggio di unire le sue labbra a quelle del fratello.
Si ripromisero di essere più discreti, questa volta.

Vergil soffriva di forte anemia, era denutrito ed aveva carenze di proteine. Sparda colse la palla al balzo, e il maggiore fu prontamente spedito in una clinica a Londra dove sarebbe stato curato al meglio, e trattenuto per più tempo possibile. La verità si mostrò cruda agli occhi dei gemelli: sarebbe andata avanti per sempre così. Non ci sarebbe mai stato per loro un modo per stare insieme. Ma speravano ancora.
Dante e Vergil riuscivano a parlare telefonicamente per non più di una o due volte al mese, e Vergil faceva di tutto per guarire in fretta, e tornare a casa. Nessuno dei medici si aspettava che fosse così collaborativo.

Dante l’aveva trovata a bucarsi in stato di semi incoscienza nel sottoscala, in alcuni locali deserti della scuola.
“Perché fai una cosa simile?!” le aveva gridato in faccia dopo averle strappato di mano la siringa “Ti ammazzerai, lo sai?!”. Lei aveva alzato gli occhi etero - cromatici e lo aveva fissato con disprezzo. “Fatti i cazzi tuoi, figlio di papà”.
Quelle furono le prime parole che gli rivolse, prima di scoppiare in lacrime. Dante la guardava esterrefatto, e provò ad abbracciarla, venendo respinto con decisione.
“Sei infelice?” azzardò.
“Sei proprio insistente!” aveva detto lei tra un singhiozzo e l’altro. “Tu sei il classico signorino abituato ad essere servito e riverito da tutti, è questo che si dice in giro di te. Magari a te piace, ma a me questa vita di merda ha rotto il cazzo.”
“Hai ragione, non sono ‘cazzi miei’ Signorina Buone Maniere” aveva detto poi alzandosi e dandole le spalle “Non risolverai niente così, sappilo. Distruggerai solo quel che ti resta, ma che brava.” Aggiunse poi battendo le mani sarcasticamente prima di congedarsi. Non serviva che si trattenesse ancora, aveva già compiuto la buona azione quotidiana.

A me questa vita ha rotto il cazzo.
Dante non pensò ad altro che a quelle parole, quella notte, rigirandosi nel letto.
Fu la prima volta che i suoi pensieri non furono pieni esclusivamente di Vergil. Perché quella ragazza aveva ragione, era giunta l’ora di darci un taglio. Sia per lui, che per lei.
E anche per Vergil.

“Parto” le aveva detto prendendola per il braccio e trascinandola in un punto isolato del giardino durante la ricreazione.
“Buon viaggio”.
Dante aveva scrollato la testa e aveva sbuffato. “Non hai capito. Io parto e tu vieni con me.”, in un tono che non ammetteva repliche. In risposta lei si scrollò bruscamente il braccio di lui di dosso “Tu sei più fatto di me! Ma sei impazzito, forse!? T-tu hai una famiglia, hai qualcosa per cui restare-!”
“Mary Morgan, orfana di madre e il cui padre naturale è stato condannato alla pena di morte dopo un attentato terroristico, adottata quando aveva sei anni da una famiglia, uhm, ricca da far schifo-”
"Ma che bravo, hai imparato il mio curriculum a memoria” rise lei nervosamente.
“Senti dolcezza,” Dante prese un respiro profondo e si passò una mano tra i capelli “direi che ti è andata fin troppo bene nella vita, dato che adesso potresti vivere in uno scatolone da imballaggio accanto a un cassonetto dell’immondizia, ma sei comunque insoddisfatta perché la tua esistenza è vuota come la mia. Tu cerchi di riempire il vuoto con la tua roba, fantastico, ognuno ha il suo modo di farlo. Io sto con mio fratello, giusto per intenderci, quindi chi sono per criticare? Ma forse ho trovato un modo più salutare per entrambi di farlo, andiamo via e ricominciamo.” Terminò sorridendo nel modo più falso di cui era capace.
“…e a proposito di salutare, io me ne vado, ciao ciao.” Fece lei fulminandolo con lo sguardo e voltandogli le spalle.
“Alle due di notte alla stazione. Ti aspetto lì.”
“Non ci sarò.”
“Ci sarai.”

A Vergil.
Sto partendo.
In realtà volevo raggiungerti in Inghilterra, ma ho capito che non posso. Vergil, com’è che è cominciato tutto? È davvero il non poter stare insieme la vera causa della nostra infelicità? Cos’è che ci ha spinto a desiderarci a vicenda? …Cos’è il vuoto che sento, e perché mi è così familiare?
Torno presto. Forse risolverò qualcosa, o forse niente. Chissà.
Non aspettarmi.

Comunque tuo,
ieri come oggi, e oggi come domani,
Dante.

La calligrafia tremante tradiva l’intenzione di sembrare sicuro di sé.
Nascose la lettera nel terzo cassetto della scrivania nella camera del fratello, e uscì dalla stanza.

“’fanculo” aveva detto la ragazza non appena il suo sguardo aveva incrociato quello dell’altro, per poi puntarlo verso il pavimento. “Che ti dicevo, io, Signorina Buone Maniere?” aveva detto lui sghignazzando, e lei gli aveva prontamente pestato un piede. La valigia di Mary era leggera, aveva portato lo stretto indispensabile. Trish si sarebbe portata dietro un sacco di roba, in quella stessa situazione, e il paragone con la cugina lo fece sorridere. La persona che aveva di fronte sembrava così diversa dalle altre donne, il suo sguardo poteva scavarti fino in fondo alle viscere, fino a toccarti l’anima.
Prese la sua valigia con un movimento galante e salì sul treno. “Ho già fatto i biglietti.”
“Uao. Sei organizzato, è davvero la prima volta che scappi?” fece lei ammirata.
“Sono un uomo dalle mille risorse.”
“Come ti chiami?” gli chiese imbarazzata.
“Dante” rispose ammiccando. Le porse la mano, e lei l’afferrò titubante. “D’oggi in poi il passato non ci riguarda più, quindi vediamo di trovare un altro nome per te.”
Mary storse il naso. “Scegli te, il mio nome non ha importanza.”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo e sospirò.
“Okay, Lady.”
Salirono sul treno. “Me ne potevi trovare uno un po’ meno schifoso, però. Da dove ti è uscito?”
“Boh, mi è venuto di chiamarti così.”

“Hai le rotelle fuori posto.”
“Anche tu. Piuttosto, hai portato un po’ della tua droga?”
“No, da oggi smetto” affermò con convinzione.
“Peccato, volevo provare anch’io.”
“Che fai, sfotti?”
“No, no, ero serissimo!”



Si erano incontrati dopo quattro anni, al funerale di un vecchio disgraziato. Mai nulla più dei funerali aveva unito e separato la famiglia Sparda.
Un padre aveva rivisto i figli e la moglie, ad un funerale. E poi aveva perso per sempre l’affetto dei primi.
Ora, due fratelli si ritrovavano di fronte alla bara aperta del padre, e si apprestavano a lasciarsi di nuovo, stavolta senza la speranza di poter avere un’altra occasione.

Dante baciò per un’ultima volta la testa di Vergil.
“Adesso mi sa che devo andare sul serio” disse triste.
“Beh, che aspetti? Non ti aspetterà per sempre.”
“La amo davvero.”
Vergil si scostò e sorrise “Lo so.”
A seguire, minuti interi di silenzio, un silenzio dolce-amaro, pieno di rimpianti e ricordi lontani, forse. Un silenzio che metteva anche una lapide sulla parola Passato, e che faceva da requiem a quella che era stata una sorte troppo ingiusta. Quella stessa sorte che alla fine aveva portato alla soluzione migliore.
“Mi ha fatto piacere rivederti, fratello.”
“Sono contento che tu stia bene adesso, Vergil.”
Dante uscì dalla stanza con il cuore a pezzi, dopo essersi ricomposto, senza più rivolgere una parola all’altro.
Sapeva che appena tornato a casa, il posto nel quale era giusto che stesse, qualcun altro avrebbe pensato ad aggiustarlo.






La vostra Notturna Melodica (??) è tornata, dato che mentre scrivo sono le 5:08 e devo ancora andare a dormire -w-
Domattina, ovvero tra un po’ (ò_o) ho il secondo appuntamento con la sarta per la mia tunica dell’Organizzazione XIII. Che dire? <3 yaaaaay, cosplay~ Non illudetevi, non sarò né Xion né Larxene.
E lo so che sono una ragazza, ma fa niente, sarò fighissim(a)o lo stesso :’33
(probabilmente nessuno di voi starà capendo di che sto parlando, ma okay -w- <3)
Alla signora Giovanna -la suddetta sarta
- non dispiacerà mica se dormicchio ancora mentre prende le misure ~
Dunque. Dovrò essere in piedi tra tre ore. Ma so che non ve ne sta fregando :’) dovevo dirlo, perché sono così felice (anche se dal polpettone tragico che ho scritto non si direbbe) che non riesco a chiudere occhio, sul serio. Mi metterei a ballare, se non fosse che al piano di sotto ci sono i miei che dormono.
Ehi, però :’) vedrò il sole sorgere, e questo mi ispira tanto romanticismo ~
Allora, che dire sulla creatura che è venuta fuori dalla testa di una ragazza troppo assonnata ma anche troppo felice per dormire perché farà il primo cosplay della sua vita e blablabla? :D
Assolutamente nulla.
C’è la cara Sick che ha il diritto di dedica (??) su tutte le yaoi che scrivo
, naturalmente, e poi Jenov-ehm (NO, AHAHAHAH), Zerothekiller dato che a lei piace lo yaoi~
Non fa ridere, cara, lo so ;_;  ma tu mi hai dedicato un capitolo bellissimo e dovevo sdebitarmi. L’ho fatto davvero volentieri, credimi :’33 spero solo che non sia così terribile çAç
DETTO QUESTO.
Voialtri che avete letto ‘sta roba. Recensite. Vi supplico.
Se vi è piaciuta, o se non vi è piaciuta… mi basta conoscere i vostri pareri, vanno bene anche tre parole di commento.
~ Passate al lato dei lettori leali e pieni di entusiasmo che recensiscono, abbiamo i biscottini :°D (??)
Ci tengo, sul serio.

Scusate, l’ora mi fa sclerare.
Magari per qualche ora poi dormo, chissà.
Se non mi fate sapere che ne pensate mi arrabbio, e poi… il Sitar è quasi interamente fatto di polistirolo, ma vi giuro che fa male lo stesso ^o^
A presto!



Dearly B.

   
 
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