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Autore: furetchen90    27/07/2012    0 recensioni
Leggetela e godete.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Scorgere il fulmine

L’Anno del Nostro Signore, 1209. Un rambichino germogliato sulle chine presso St.Malo, istmo a nord della Francia, dacquata da acque marine intaccate
dall’imbatto agostino.
Il mio ammanto di allora: salma arsente, villi biondaurati e mammoli, occhi toncè e interscopia precinta nei di essi pupille. Sentii parlare della Guerra dei Bovini, di come King Jonh stia passando in secondo piano e Re Filippo II, nostro sovrano, stesse poco a poco aggredendo sempre più i nemici del Regno Francese. Quando chiesi a mio padre il perché della guerra, egli poggiò il bisegolo sul tavolo, mi affissò negli occhi alcuni istanti e mi disse, con contenutismo, di poter carminare i miei peccati con badalucchi e scaramucce, di poter definitivamente ramazzare il male e essere baccalare per la mia umanità. Intravidi le sue parole, sebbene ponzassi il più possibile di apparirgli avveduto.
Di allora, oggi mentovo soprattutto la torbida invetriata. Ritto, io fui, su quella sabbia umetta, e le madonnine di cui erano imbambolati i perfetti gemelli crollavano e si baciavano con l’acqua piovana.
Prima di allora, vissi con mio padre e mia madre nei pressi dei Vitigni Lionesi. Decidemmo di trasferirci a St. Malo per aggarbarci del mare, ormai stuccati dal bouquet scombuiatosi con i guazzi delle distillerie, come diceva papà mentre sbottava in riso. Voleva conoscere
L'infini de la mer. La sua famiglia fu tutta di cultori
mai trasferitisi in aree marittime o terre straniere.
Mio padre subornò il nonno, o così mi apostrofò, quando ci riunivamo tutti quanti, la sera, attorno il e nel solo sarpare, il suo pizzicore appetito era quello di mettere in morso le sue priorità rispetto a quelle paterne.
L’apantropia di mio padre, per il solo nonno, per me era impensabile e fecciosa: io non avrei mai contraddetto mio padre, e quel cruccio fu una novità spernata.
Non c’era messeraggine nel nostro sangue, eravamo successori di gente pratica e razionale, per la quale avanti a tutto c’era solo eimanerme.
Per me, però, mistero e fantasia circondavano il mare proprio come i vigneti circondavano la terra in cui vissi durante la mia infanzia.
Il primo giorno a St.Malo: la prima volta con innanzi gli occhi il grande blu; il primo assaggio del sale marittimo... amarissimo; il primo ascolto attento del chicchiriare dei gabbiani; sembra fosse stata un esperienza costruttiva, ed infatti lo fu: cagnoscere sensualmente era un esperienza galvanizzante.
Dopo aver incontrato i nostri vicini, ci stabilimmo sulla costa definitivamente in una masseria modesta.
Mia madre, sin da subito, mi premonì di non occorrere troppo la spiaggia, soprattutto quando c’erano i cavalli, capaci di risucchiare marocchi enormi. Un giorno vidi una conchiglia curiosa vicino gli scogli, come incastonata stesso nella roccia: non la toccai, in rispetto dell’abitante di quell’abituro calcedonio e piombato.
Rimasi a vederlo tutto il giorno, aspettando l’uscita del suo abitante.
Dovetti ritirarmi per il buio, ed il mattino dopo tornai lì nuovamente, per accogliere l’ospite di quel guscio. Trasfumò, la conchiglia. Forse, le onde l’avevano silurata a tal punto da obbligarla ad inabissarla per il dolore provato, pensai.
Mi rattristò non vederla più, perché era una compagnia assai curiosa, quella casetta naturale.

I giorni proseguirono tranquilli, finché, durante la kermesse domenicale, quando tutti noi eravamo riuniti nella piazza della città, a festare per lo splendore di Dio, io stornai per alcuni istanti per attingere l’acqua al pozzo, e lì visai l’avviatura di tutto.
Neanche ridondava terreno, quell’essere. Era sbillacco e gemeva arrontolato, mutilato del braccio sinistro e con moltissime ingiurie sanguinolente su tutto il corpo, dei profondi .
Ma non parve ristarsi nella sua passeggiatura sul tappeto rubeo.
Io addietravo lentamente, a da quella fontana di sangue, temendo per la mia vita, nonostante egli stesse per morire e suo desiderio fosse quello di essere aiutato, era evidente. Stavo per voltarmi e fuggire, quando mi feci coraggio e decisi, finalmente, di aiutarlo a reggersi per poterlo accompagnare dal dottore del villaggio.
Ero ancora a pochi passi da lui, quando questi ebbe uno spasmo e crollo a terra. Non capii subito. Poi vidi la freccia conficcata nella sua schiena. I banditi, a cavallo! Io corsi il più velocemente possibile, senza voltarmi. Non ho ricordi chiari di quegli istanti successivi, ricordo solo di essermi nascosto tra alcuni arbusti, e, fortuitamente,
i banditi o non tennero conto di quell’insignificante bambino nascostosi, oppure non mi videro. La strage, però, io la vidi: iniziarono con l’incendiare con le frecce incendiarie le case di paglia, per poi trucidare chiunque con le loro spade. Parevano quei gargoyles di cui mia madre mi raccontava prima di mandarmi a letto.

Non ebbi l’arditezza di lippare a premonire i paesani, concorsi nella piazza del paesello. Ormai, era troppo tardi: la meria, ormai, divampava. Pareva terreno erbito debbiante.
Rimasi inconfessato nel cespuglio per tutta la notte.
Non riuscii nemmeno ad acciocchirmi, i gemiti di uomini e donne, baionettati dalle lame e dai dardi, giunsero alle mie orecchie e moschettonavano il . Il mattino dopo, ecco innanzi a me un atterrimento orribile: gli sbricchi e escomiati, ma nessuno, nel villaggio, eccetto il codardo, fu risparmiato.
Ero desolato per quella mia vigliaccheria, eppure persistevo, egoisticamente, nella ricerca dei miei genitori, controllando, cinicamente, uno ad uno, i cadaveri dei miei compaesani.

“Je suis désolé.”

Guardai dietro di me e vidi un uomo alto, con lunghi capelli argentei e occhi severi che mi fissavano. Con se portava una spada enorme, pareva la Durandal della leggenda. Era ricoperto da sangue e frattaglie umane. Era stato lui a condurre la strage?
Sembrava di no, però. Non aveva intenzioni ostile, me ne accorsi. Quelle frattaglie dovevano essere i resti dei banditi.
Prima di mancare, mi parve di sentirlo parlare.

“Vos parents ont été tués. Je ne peux pas commencer à faire des excuses.”

Mi risvegliai vicino sulla spiaggia, con questo guerriero, adesso completamente candido, quasi fosse stata solo una visione quella messe di budella, seduto accanto a me. Ebbi l’affanno.
Iniziò a piovere. Il mio alito era ben visibile. Mi alzai e subito corsi verso il paese, mentre l’uomo rimase a guardarmi.
Raggiunsi casa mia, o meglio, la pila di cenere dove una volta c’era stata casa mia. Urlai fino a sentire il mio eco vicino le colline.

L’uomo dalla claymore mi raggiunse dopo alcuni minuti, mi fissò, privo di emozioni... Lo volevo arrabbiato... Volevo provasse i miei stessi sentimenti. Nei suoi occhi, solo mestizia.

“Garçon…vous voulez la vengeance?”

Accennai, gli occhi ardevano. Cammino al di sopra dei cadaveri... afferrò una specie di lama, la rimosse dalla schiena di una delle vittime e me la porse.

“Pratique avec ceci. Je reviendrai dans six ans à ce rivage et si vous êtes prêt…je vous prendrai.”

Svenni un altra volta, ma questa volta non per mia debolezza, ma per induzione esterna, come se qualcuno mi avesse colpito dietro la nuca. Quando mi risvegliai, le mie mani erano insanguinate.
Mi convinsi ad essere coraggioso e a non lasciare quella spada, non so se per paura o per rabbia. Ormai ero un orfano e dovevo cercare qualcuno che mi accudisse. Fu mia zia Alphonsine ad occuparsi di me. Era una lontana parente a cui non ero mai stato introdotto, e fu strano, per me, crescere tra nobili. Mi abituai quasi subito ai precetti nobiliari... dopo tutto, non avevo altro luogo dove andare.
Non mi importava quale fosse la mia dimora, purché avessi rincontrato l’uomo dai capelli argentei una seconda volta.

Zia Alphonsine era molto altezzosa con me, affermava della nostra messeraggine e richiedeva un comportamento adeguato, considerava mio padre un traviato e se non fosse direttosi a St.Malo, mai sarebbe avvenuta quella disgrazia. Mi bendò le mani per via dei tagli procurati dalla spada con la quale mi allenato costantemente, quella “spada barbarica di tua scelta”.
Quando parlava utilizzava un inglese erudito ed esigette che l’imparassi anch’io. Quella fu solo una parte del mio cilizio, siccome insisteva anche sul mio essere erede della famiglia Fortescue e sulle mie responsabilità da tale. Per me, non significava nulla.
Volevo vedere quell’uomo, quindi resistetti.
Per non parlare poi della casa, opulenta e sciocca. Leggere libri su libri per comprendere i mali del mondo... quale uggia.
Un giorno, chiesi a mia zia di imparare la scherma.
Lei rifiutò categoricamente, data la pericolosità della pratica e per la guerra in corso. Insistetti così tanto che alla fine cedette e, sebbene mi rimproverò di essere identico a mio padre, un vero e proprio bastiancontrario, mi auspicò a impararla per bene, se davvero ci tenevo tanto. Fu per me una sorpresa quando riavetti in mano quella spada che mi fu tolta lo stesso giorno in cui ero arrivato assieme a lei nella sua dimora.
Il primo giorno alla scuola locale di scherma era pieno di nobili della mia età, e nessuno sembrava ascoltare seriamente le lezioni.
Un korous mi si porse innanzi e si meravigliò di avere innanzi a se il figlio del Fortescue rinnegato, in segno di sfida. Io semplicemente affermai di essere il figlio di quel “rinnegato” con estrema serietà, mentre tutti gli altri alunni ridacchiavano tra loro.
L’adone mi chiese di porgli la mia spada, la analizzò, mi disse che non era adatta alla scherma ma, se proprio dovevo imparare ad usarla, conveniva iniziare immediatamente. La classe mi rideva dietro per quella spada inusuale che mi portavo sempre appresso.
Il mio maestro mi esortò a continuare e, con lui come mentore, mi allenai tutti i giorni. Divenni tanto abile da disarmare con estrema facilità qualunque mio pari. Uno dei miei pari mi convinse ad usare una fioretto, invece che quella specie di zweihander di cui avevo perfezionato l’uso con una sola mano. Il mio maestro, in quell’istante, avendo risposto lui in vece mia, mi insegno un concetto fondamentale: mai criticare l’arma del nemico, perché qualunque sia, il nemico penserà ad uccidere e basta. Il maestro mi porse un fioretto qualunque e sfidai il secondo migliore del corso: dovetti abituarmi allo spadino, assai più leggero e delicato, ma riuscii comunque a disarmare con estrema facilita il mio avversario.
Da allora, nessuno si lamentò più di quella mia enorme spada usata con una sola mano. Per due anni continuai a praticare sotto la guida del mio istruttore e per conto mio, nelle stalle di mia zia.
Stesso mia zia constatò quanto fossi determinato a perfezionare l’uso di quella spada, e comprese anche di dover desistere dal farmi crescere come il nobil damo a cui tanto teneva. Insisteva, comunque, sullo studiare la religione ed avere fede nel Signore Iddio.
La sua fede nel Signore era tale che io non compresi come fosse stato possibile che la mia famiglia si fosse unita nei momenti più difficile, tanto erano idiosincratici i rapporti tra il “rinnegato” e gli altri membri.

Durante i miei studi, quando non ero ad esercitarmi con la zweihander, studiavo la storia e, tra il ricordare una determinata data o un determinato evento, poco a poco venivo a conoscenza dei dettagli, aggiornati continuamente dai monaci del convento, sulle numerose guerre del passato, delle tattiche adottate – il Muro di Scudi adoperato dalle maggiori forze militari dei tempi antichi e dai moderni
húskarlar per disarcionare cavalieri e proteggersi dalle frecce incombenti, l’incudine e martello di Alessandro Magno con le sue falangarchie e le sue ipparchie, i Tironi romani usati per distrarre la fanteria nemica, mentre i Munifex, solitamente astati, lanciavano i loro Pilum per pressare il nemico –, i papi eletti, le malattie e le carestie che hanno colpito le nostre terre e così via.
Quante nozioni mi inculcai nella testa, e mi trovai a pregare per coloro che sopravvissero alle guerre passate e per coloro che sopravvivevano alla Guerra dei Bovini. Quasi mi dimenticai per un anno intero della Guerra a causa della devozione agli studi e al mio Signore. Quando lessi di come Attila fu fermato da Leo I°, con il solo uso della favella, gioii. Non mi stavo imbigottendo: era grazie alla religione se riuscii a sopportare meglio il dolore per la perdita dei miei genitori, col tempo. Baciavo continuamente la croce intorno il mio collo, per confortarmi. Decisi di combattere non per vendetta, ma per la Giustizia. Avrei combattuto i demoni stellari, il male, il Diavolo. Fossero stati uomini o succubi... sarebbero stati attecchiti dalla Giustizia come una saetta. Lo giurai a me stesso, alla mia spada e a Dio.
Quando raggiunsi i sedici anni, mi ero allenato in almeno tre scuole di scherma diverse, e sviluppai anche il mio stile di combattimento personale. Fu allora che mi ricordai della promessa di quell’uomo dai capelli argentei. Tornai sulle coste di St.Malo, e nuovamente pioveva. Durante la mia visione del mare, mantenevo una mano il fioretto e nell’altra la zweihander ricevuta da lui. Guardai oltre l’infinito del mare e affissai la tempesta, i lampi e le onde. Ricordai i fulmini colpire le onde e come i miei occhi paressero condurre tuoni e saette. Il promettitore incontrato sei anni or sono, finalmente, giunse.
Non era invecchiato a quanto sembrava e la sua spada brillava sotto la pioggia.
Mi chiese se fossi lì per vendetta: gli risposi di no, perché ero li per la Giustizia. Mi sorrise e porse la spada in basso, in segno di sfida. Reciprocai e porsi la mia spada verso di lui in tutta risposta.
Il fioretto sarebbe stato spettatore della mia prima vera battaglia.
In realtà, la battaglia terminò prima di cominciare: mi trovai disarmato e genuflesso innanzi i piedi dell’eburneo. L’arma con la quale avevo inibito tutti gli avversari... tutte le manovre complesse con cui mi difendevo, i contrattacchi, gli stocchi offensivi... tutte le conoscenze, inutili, innanzi quell’uomo.
Gli chiesi se non ero pronto, ma lui rispose che ero stato superbo, e mi avvertì di condurre le mie gesta per la Giustizia con il cuore, non con le azioni del mio avversario. Si voltò. Bizzarro, quando spiovve nello stesso istante in cui egli pronunciò il suo nome e mi invitò a seguirlo, per diventare un vero paladino della Giustizia.
Accettai immediatamente.

“Dieu, par votre grace, m'a laissé devenir comme Foudre pour votre Justice, Amen.”



  
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