Scorgere
il fulmine
L’Anno
del Nostro Signore, 1209. Un rambichino germogliato sulle chine
presso St.Malo, istmo a nord della Francia, dacquata da acque marine
intaccate
dall’imbatto agostino.
Il mio ammanto di
allora: salma arsente, villi biondaurati e mammoli, occhi toncè
e interscopia precinta nei di essi pupille. Sentii parlare della
Guerra dei Bovini, di come King Jonh stia passando in secondo piano e
Re Filippo II, nostro sovrano, stesse poco a poco aggredendo sempre
più i nemici del Regno Francese. Quando chiesi a mio padre il
perché della guerra, egli poggiò il bisegolo sul
tavolo, mi affissò negli occhi alcuni istanti e mi disse, con
contenutismo, di poter carminare i miei peccati con badalucchi e
scaramucce, di poter definitivamente ramazzare il male e essere
baccalare per la mia umanità. Intravidi le sue parole, sebbene
ponzassi il più possibile di apparirgli avveduto.
Di
allora, oggi mentovo soprattutto la torbida invetriata. Ritto, io
fui, su quella sabbia umetta, e le madonnine di cui erano imbambolati
i perfetti gemelli crollavano e si baciavano con l’acqua
piovana.
Prima di allora, vissi con mio padre e mia madre nei
pressi dei Vitigni Lionesi. Decidemmo di trasferirci a St. Malo per
aggarbarci del mare, ormai stuccati dal bouquet scombuiatosi con i
guazzi delle distillerie, come diceva papà mentre sbottava in
riso. Voleva conoscere L'infini
de la mer. La
sua famiglia fu tutta di cultori
mai trasferitisi in aree
marittime o terre straniere.
Mio padre subornò il nonno, o
così mi apostrofò, quando ci riunivamo tutti quanti, la
sera, attorno il e nel solo sarpare, il suo pizzicore appetito era
quello di mettere in morso le sue priorità rispetto a quelle
paterne.
L’apantropia di mio padre, per il solo nonno, per
me era impensabile e fecciosa: io non avrei mai contraddetto mio
padre, e quel cruccio fu una novità spernata.
Non c’era
messeraggine nel nostro sangue, eravamo successori di gente pratica e
razionale, per la quale avanti a tutto c’era solo eimanerme.
Per me, però, mistero e fantasia circondavano il mare
proprio come i vigneti circondavano la terra in cui vissi durante la
mia infanzia.
Il primo giorno a St.Malo: la prima volta con
innanzi gli occhi il grande blu; il primo assaggio del sale
marittimo... amarissimo; il primo ascolto attento del chicchiriare
dei gabbiani; sembra fosse stata un esperienza costruttiva, ed
infatti lo fu: cagnoscere sensualmente era un esperienza
galvanizzante.
Dopo aver incontrato i nostri vicini, ci stabilimmo
sulla costa definitivamente in una masseria modesta.
Mia madre,
sin da subito, mi premonì di non occorrere troppo la spiaggia,
soprattutto quando c’erano i cavalli, capaci di risucchiare
marocchi enormi. Un giorno vidi una conchiglia curiosa vicino gli
scogli, come incastonata stesso nella roccia: non la toccai, in
rispetto dell’abitante di quell’abituro calcedonio e
piombato.
Rimasi a vederlo tutto il giorno, aspettando l’uscita
del suo abitante.
Dovetti ritirarmi per il buio, ed il mattino
dopo tornai lì nuovamente, per accogliere l’ospite di
quel guscio. Trasfumò, la conchiglia. Forse, le onde l’avevano
silurata a tal punto da obbligarla ad inabissarla per il dolore
provato, pensai.
Mi rattristò non vederla più,
perché era una compagnia assai curiosa, quella casetta
naturale.
I
giorni proseguirono tranquilli, finché, durante la kermesse
domenicale, quando tutti noi eravamo riuniti nella piazza della
città, a festare per lo splendore di Dio, io stornai per
alcuni istanti per attingere l’acqua al pozzo, e lì
visai l’avviatura di tutto.
Neanche ridondava terreno,
quell’essere. Era sbillacco e gemeva arrontolato, mutilato del
braccio sinistro e con moltissime ingiurie sanguinolente su tutto il
corpo, dei profondi .
Ma non parve ristarsi nella sua
passeggiatura sul tappeto rubeo.
Io addietravo lentamente, a da
quella fontana di sangue, temendo per la mia vita, nonostante egli
stesse per morire e suo desiderio fosse quello di essere aiutato, era
evidente. Stavo per voltarmi e fuggire, quando mi feci coraggio e
decisi, finalmente, di aiutarlo a reggersi per poterlo accompagnare
dal dottore del villaggio.
Ero ancora a pochi passi da lui,
quando questi ebbe uno spasmo e crollo a terra. Non capii subito. Poi
vidi la freccia conficcata nella sua schiena. I banditi, a cavallo!
Io corsi il più velocemente possibile, senza voltarmi. Non ho
ricordi chiari di quegli istanti successivi, ricordo solo di essermi
nascosto tra alcuni arbusti, e, fortuitamente,
i banditi o non
tennero conto di quell’insignificante bambino nascostosi,
oppure non mi videro. La strage, però, io la vidi: iniziarono
con l’incendiare con le frecce incendiarie le case di paglia,
per poi trucidare chiunque con le loro spade. Parevano quei gargoyles
di cui mia madre mi raccontava prima di mandarmi a letto.
Non
ebbi l’arditezza di lippare a premonire i paesani, concorsi
nella piazza del paesello. Ormai, era troppo tardi: la meria, ormai,
divampava. Pareva terreno erbito debbiante.
Rimasi inconfessato
nel cespuglio per tutta la notte.
Non riuscii nemmeno ad
acciocchirmi, i gemiti di uomini e donne, baionettati dalle lame e
dai dardi, giunsero alle mie orecchie e moschettonavano il . Il
mattino dopo, ecco innanzi a me un atterrimento orribile: gli
sbricchi e escomiati, ma nessuno, nel villaggio, eccetto il codardo,
fu risparmiato.
Ero desolato per quella mia vigliaccheria, eppure
persistevo, egoisticamente, nella ricerca dei miei genitori,
controllando, cinicamente, uno ad uno, i cadaveri dei miei
compaesani.
“Je
suis désolé.”
Guardai
dietro di me e vidi un uomo alto, con lunghi capelli argentei e occhi
severi che mi fissavano. Con se portava una spada enorme, pareva la
Durandal della leggenda. Era ricoperto da sangue e frattaglie umane.
Era stato lui a condurre la strage?
Sembrava di no, però.
Non aveva intenzioni ostile, me ne accorsi. Quelle frattaglie
dovevano essere i resti dei banditi.
Prima di mancare, mi parve di
sentirlo parlare.
“Vos
parents ont été tués. Je ne peux pas commencer à
faire des excuses.”
Mi
risvegliai vicino sulla spiaggia, con questo guerriero, adesso
completamente candido, quasi fosse stata solo una visione quella
messe di budella, seduto accanto a me. Ebbi l’affanno.
Iniziò
a piovere. Il mio alito era ben visibile. Mi alzai e subito corsi
verso il paese, mentre l’uomo rimase a guardarmi.
Raggiunsi
casa mia, o meglio, la pila di cenere dove una volta c’era
stata casa mia. Urlai fino a sentire il mio eco vicino le
colline.
L’uomo dalla claymore mi raggiunse dopo alcuni
minuti, mi fissò, privo di emozioni... Lo volevo arrabbiato...
Volevo provasse i miei stessi sentimenti. Nei suoi occhi, solo
mestizia.
“Garçon…vous
voulez la vengeance?”
Accennai,
gli occhi ardevano. Cammino al di sopra dei cadaveri... afferrò
una specie di lama, la rimosse dalla schiena di una delle vittime e
me la porse.
“Pratique
avec ceci. Je reviendrai dans six ans à ce rivage et si vous
êtes prêt…je vous prendrai.”
Svenni
un altra volta, ma questa volta non per mia debolezza, ma per
induzione esterna, come se qualcuno mi avesse colpito dietro la nuca.
Quando mi risvegliai, le mie mani erano insanguinate.
Mi convinsi
ad essere coraggioso e a non lasciare quella spada, non so se per
paura o per rabbia. Ormai ero un orfano e dovevo cercare qualcuno che
mi accudisse. Fu mia zia Alphonsine ad occuparsi di me. Era una
lontana parente a cui non ero mai stato introdotto, e fu strano, per
me, crescere tra nobili. Mi abituai quasi subito ai precetti
nobiliari... dopo tutto, non avevo altro luogo dove andare.
Non
mi importava quale fosse la mia dimora, purché avessi
rincontrato l’uomo dai capelli argentei una seconda volta.
Zia Alphonsine era molto altezzosa con me, affermava della
nostra messeraggine e richiedeva un comportamento adeguato,
considerava mio padre un traviato e se non fosse direttosi a St.Malo,
mai sarebbe avvenuta quella disgrazia. Mi bendò le mani per
via dei tagli procurati dalla spada con la quale mi allenato
costantemente, quella “spada barbarica di tua scelta”.
Quando parlava utilizzava un inglese erudito ed esigette che
l’imparassi anch’io. Quella fu solo una parte del mio
cilizio, siccome insisteva anche sul mio essere erede della famiglia
Fortescue e sulle mie responsabilità da tale. Per me, non
significava nulla.
Volevo vedere quell’uomo, quindi
resistetti.
Per non parlare poi della casa, opulenta e sciocca.
Leggere libri su libri per comprendere i mali del mondo... quale
uggia.
Un giorno, chiesi a mia zia di imparare la scherma.
Lei
rifiutò categoricamente, data la pericolosità della
pratica e per la guerra in corso. Insistetti così tanto che
alla fine cedette e, sebbene mi rimproverò di essere identico
a mio padre, un vero e proprio bastiancontrario, mi auspicò a
impararla per bene, se davvero ci tenevo tanto. Fu per me una
sorpresa quando riavetti in mano quella spada che mi fu tolta lo
stesso giorno in cui ero arrivato assieme a lei nella sua dimora.
Il
primo giorno alla scuola locale di scherma era pieno di nobili della
mia età, e nessuno sembrava ascoltare seriamente le lezioni.
Un korous mi si porse innanzi e si meravigliò di avere
innanzi a se il figlio del Fortescue rinnegato, in segno di sfida. Io
semplicemente affermai di essere il figlio di quel “rinnegato”
con estrema serietà, mentre tutti gli altri alunni
ridacchiavano tra loro.
L’adone mi chiese di porgli la mia
spada, la analizzò, mi disse che non era adatta alla scherma
ma, se proprio dovevo imparare ad usarla, conveniva iniziare
immediatamente. La classe mi rideva dietro per quella spada inusuale
che mi portavo sempre appresso.
Il mio maestro mi esortò a
continuare e, con lui come mentore, mi allenai tutti i giorni.
Divenni tanto abile da disarmare con estrema facilità
qualunque mio pari. Uno dei miei pari mi convinse ad usare una
fioretto, invece che quella specie di zweihander di cui avevo
perfezionato l’uso con una sola mano. Il mio maestro, in
quell’istante, avendo risposto lui in vece mia, mi insegno un
concetto fondamentale: mai criticare l’arma del nemico, perché
qualunque sia, il nemico penserà ad uccidere e basta. Il
maestro mi porse un fioretto qualunque e sfidai il secondo migliore
del corso: dovetti abituarmi allo spadino, assai più leggero e
delicato, ma riuscii comunque a disarmare con estrema facilita il mio
avversario.
Da allora, nessuno si lamentò più di
quella mia enorme spada usata con una sola mano. Per due anni
continuai a praticare sotto la guida del mio istruttore e per conto
mio, nelle stalle di mia zia.
Stesso mia zia constatò
quanto fossi determinato a perfezionare l’uso di quella spada,
e comprese anche di dover desistere dal farmi crescere come il nobil
damo a cui tanto teneva. Insisteva, comunque, sullo studiare la
religione ed avere fede nel Signore Iddio.
La sua fede nel
Signore era tale che io non compresi come fosse stato possibile che
la mia famiglia si fosse unita nei momenti più difficile,
tanto erano idiosincratici i rapporti tra il “rinnegato”
e gli altri membri.
Durante i miei studi, quando non ero ad
esercitarmi con la zweihander, studiavo la storia e, tra il ricordare
una determinata data o un determinato evento, poco a poco venivo a
conoscenza dei dettagli, aggiornati continuamente dai monaci del
convento, sulle numerose guerre del passato, delle tattiche adottate
– il Muro di Scudi adoperato dalle maggiori forze militari dei
tempi antichi e dai moderni húskarlar
per disarcionare cavalieri e proteggersi dalle frecce incombenti,
l’incudine e martello di Alessandro Magno con le sue
falangarchie e le sue ipparchie, i Tironi romani usati per distrarre
la fanteria nemica, mentre i Munifex, solitamente astati, lanciavano
i loro Pilum
per pressare il nemico –, i papi eletti, le malattie e le
carestie che hanno colpito le nostre terre e così via.
Quante
nozioni mi inculcai nella testa, e mi trovai a pregare per coloro che
sopravvissero alle guerre passate e per coloro che sopravvivevano
alla Guerra dei Bovini. Quasi mi dimenticai per un anno intero della
Guerra a causa della devozione agli studi e al mio Signore. Quando
lessi di come Attila fu fermato da Leo I°, con il solo uso della
favella, gioii. Non mi stavo imbigottendo: era grazie alla religione
se riuscii a sopportare meglio il dolore per la perdita dei miei
genitori, col tempo. Baciavo continuamente la croce intorno il mio
collo, per confortarmi. Decisi di combattere non per vendetta, ma per
la Giustizia. Avrei combattuto i demoni stellari, il male, il
Diavolo. Fossero stati uomini o succubi... sarebbero stati attecchiti
dalla Giustizia come una saetta. Lo giurai a me stesso, alla mia
spada e a Dio.
Quando raggiunsi i sedici anni, mi ero allenato in
almeno tre scuole di scherma diverse, e sviluppai anche il mio stile
di combattimento personale. Fu allora che mi ricordai della promessa
di quell’uomo dai capelli argentei. Tornai sulle coste di
St.Malo, e nuovamente pioveva. Durante la mia visione del mare,
mantenevo una mano il fioretto e nell’altra la zweihander
ricevuta da lui. Guardai oltre l’infinito del mare e affissai
la tempesta, i lampi e le onde. Ricordai i fulmini colpire le onde e
come i miei occhi paressero condurre tuoni e saette. Il promettitore
incontrato sei anni or sono, finalmente, giunse.
Non era
invecchiato a quanto sembrava e la sua spada brillava sotto la
pioggia.
Mi chiese se fossi lì per vendetta: gli risposi di
no, perché ero li per la Giustizia. Mi sorrise e porse la
spada in basso, in segno di sfida. Reciprocai e porsi la mia spada
verso di lui in tutta risposta.
Il fioretto sarebbe stato
spettatore della mia prima vera battaglia.
In realtà, la
battaglia terminò prima di cominciare: mi trovai disarmato e
genuflesso innanzi i piedi dell’eburneo. L’arma con la
quale avevo inibito tutti gli avversari... tutte le manovre complesse
con cui mi difendevo, i contrattacchi, gli stocchi offensivi... tutte
le conoscenze, inutili, innanzi quell’uomo.
Gli chiesi se
non ero pronto, ma lui rispose che ero stato superbo, e mi avvertì
di condurre le mie gesta per la Giustizia con il cuore, non con le
azioni del mio avversario. Si voltò. Bizzarro, quando spiovve
nello stesso istante in cui egli pronunciò il suo nome e mi
invitò a seguirlo, per diventare un vero paladino della
Giustizia.
Accettai immediatamente.
“Dieu,
par votre grace, m'a laissé devenir comme Foudre pour votre
Justice, Amen.”