Benvenuti, nuovi e
vecchi lettori.
Mi accingo a presentarvi
la mia nuova fanfiction, la mia prima Longfic.
Ovviamente spero di
riuscire a terminarla, in quanto tutti i miei precedenti tentativi (non
presenti qui su EFP) non hanno avuto buon esito.
Tutto ha inizio anni
prima della formazione del Team 7, ma che presto rivedrete
all’opera.
L’apparizione di una
ragazzina sconosciuta alle porte di Konoha sconvolgerà la
vita di un nostro
famosissimo Jonin dai capelli argentei.
Perché si trovava
lì?
Perché non ricordava nemmeno il proprio nome?
Sta a voi scoprirlo,
seguendo la mia storia. È un onore per me presentarvela
rivisitata, poiché in
precedenza era effettivamente scritta molto superficialmente.
In ogni capitolo
risponderò una a una le recensioni lasciatemi, quindi non
deludetemi xD
Buona lettura!
Alla Scoperta Del Passato
Capitolo 1: L'Avventura Ha Inizio!
Macchie smeraldine si muovono lentamente sul terreno, ombra dei raggi solari che passano tra le fronde fruscianti degli alberi.
Alberi dalla grande
chioma,
alti più di una cinquantina di metri, si ergono sopra di me,
mentre il
venticello mi spettina i capelli.
Non riconosco questo
posto.
Non ho alcun ricordo
di
quello che è accaduto.
Mi sono semplicemente svegliata, distesa in questo posto, con la testa vuota.
La luce che trapela tra le chiome degli alberi mi acceca gli occhi tanto fastidiosamente che li richiudo.
Non ho le forze per
alzarmi.
Mi sento sfiancata.
Non avverto la
presenza
né
delle gambe né delle braccia, eppure, stranamente provo
dolore proprio in
quelle stesse parti del corpo.
Per di più non so neppure perché mi dolgano tanto.
La testa mi scoppia,
un
emicrania atroce mi impedisce quasi di pensare.
Riapro gli occhi, ma riesco a mala pena ad tenerli aperti, e fisso in alto, stesa come sono tra i fili d'erba fresca e la polvere del sentiero.
Da lontano, il cinguettio degli uccellini mi raggiunge le orecchie. Tutta la natura sembra svegliarsi con me, per riprendere il suo corso come ogni mattina.
Ma percepisco poco
lontano,
i rumori di città che rapidamente di mescolano al verso
degli uccelli e al
frusciare dei rami. Le prime voci che coraggiosamente si insinuano nel
silenzio, e invece che sussurrare per paura di svegliare qualcuno si
sovrappongono ai primi rumori di campanelli dell’entrata dei
negozi appena
aperti…
Provengono tutti
dalla
stessa direzione, ma con questo mal di testa non saprei proprio dire
precisamente da dove. Forse dalla mia destra, forse nella direzione in
cui è
rivolta la mia testa…
Con orecchio attento, percepisco l’avvicinarsi di passi leggeri, di una persona, seguiti dall’arrivo di un odore dolce e rilassante.
-Ma che diavolo…?-
Una voce. I passi si fanno più veloci, e corrono nella mia direzione.
-Ehi piccola, tutto bene?-
Un viso compare nel mio campo visivo limitato. Incrocio lo sguardo con un occhio color petrolio, e noto con stupore che l’altro è invece coperto da un coprifronte del villaggio della foglia. Il tutto contornato dal fatto che il suo viso è completamente coperto da una maschera che lo fa rassomigliare ad un bandito del vecchio west, come si vedono nei film.
-Chi sei?- Gli
chiedo,
guardandolo con occhi appena socchiusi per limitare il fastidio che mi
provoca
la luce del mattino.
Nonostante io abbia dormito per non so quanto, sento la stanchezza pesarmi ancora sulle palpebre.
Il suo sguardo è ancora fisso nei miei occhi, senza darmi una risposta.
-Perché sei qui?- Mi domanda poi.
Io non rispondo, ma scuoto il capo in segno di diniego. Non ne ho la più pallida idea del motivo per il quale sono qui!
All’improvviso il ragazzo mi tira su per le spalle e, passandomi un braccio sotto le ginocchia, mi prende in braccio. È molto alto. Oppure io sono molto piccola in confronto a lui. Non lo so. Quanti anni ho? E chi diavolo sono?
-Ora vieni con me, vediamo di capire come mai ti trovi qui…- dice, sorridendomi in modo molto dolce.
Lo osservo
più
attentamente, mentre mi porta in città.
Come ho fatto a non
notare
prima questo portone ENORME? Mah, caliamo un velo pietoso.
Evitando questi
pensieri
che prima o poi mi avrebbero portato a definirmi un’idiota,
continuo il mio
esame del ragazzo: porta i capelli in uno strano ciuffo argenteo che
gli copre
parte del coprifronte sulla parte destra del volto. Mentre camminiamo
tra le
vie del villaggio vedo tante persone intente a spazzare di fronte alle
proprie
case, che chiacchierano ridendo tra loro, e che si preparano a
cominciare
un’altra giornata lavorativa.
Sorrido leggermente, senza un motivo preciso.
-Senti, perché porti la maschera?- Chiedo al ragazzo in un secondo momento, rompendo il silenzio creatosi tra noi.
Lui abbassa lo sguardo verso di me.
-È una storia lunga.-
Mi sorride ancora. Ma questa volta non è completamente sincero come lo era il sorriso di poco fa. Dà l’impressione di essere più forzato, per non dar segno di tristezza. Simile ad una maschera di cera, indossata per non far trasparire i veri sentimenti che in realtà si vivono dentro.
-Soffri così tanto da non volerlo far vedere?-
Il suo unico occhio visibile si spalanca con stupore. È inutile fare quella faccia! Sarò anche piccola ma non sono così scema da non notarlo!
-Che bambina acuta che sei, piccola.-
I lati della bocca gli si distendono dolcemente, ma allo stesso tempo un’ombra malinconica gli si posa su quell’unica iride corvina a me visibile.
-Sai, una volta qualcuno mi ha detto che il dolore si può quietare solo procurandoti il suo contrario, ovvero l’affetto. Tu trovalo, e vedrai che la tua malinconia si placherà, in un modo o nell’altro.-
Le parole che mi
escono
dalle labbra sono come una secchiata d’acqua gelida che mi
colpisce la faccia.
Non so perché l’ho detto, mi è venuto spontaneo: non so nemmeno da dove sia saltato fuori! Sono una bambina e riesco a concludere pensieri da poeta colto.
Dopo un paio di
minuti di
silenzio, riprendiamo a parlare, come se nulla fosse.
-Allora, vuoi vedere il mio volto?-
Io lo guardo e sorrido smagliante. Ha capito tutto.
-Se a te va…- Dico semplicemente, tentando di non fargli pesare la mia enorme curiosità.
Pian piano, il ragazzo si porta la mano al viso, prendendo tra le dita l’orlo della maschera. La fa scivolare lungo il naso, lungo le labbra, lungo il mento, e la sistema sul collo.
Un viso nuovo si forma sotto i miei occhi.
-Già. Come pensavo.- Mi lascio scappare dalle labbra.
-Cosa pensavi?- Mi chiede, risistemandosi in un secondo la maschera.
Non lo capisce, eh?
-Pensavo che saresti stato molto meglio a viso scoperto. Ed infatti…-
Lui mi fissa, con un sorriso quasi rassegnato, ma allo stesso tempo… incuriosito?
-Perché fai quella faccia?-
-Sei una bambina singolare…-
Mi zittisco. Capisco
cosa
vuole dire. Anche io mi ritengo una ragazzina tutta da scoprire.
Prima di tutto
dovrei
scoprire come mi chiamo, e in seguito cercare qualsiasi altra
informazione che
già non sappia su di me. Ovvero tutto.
Se sapessi tutto ciò che mi sono domandata dal momento esatto in cui mi sono risvegliata con la testa vuota, a quest’ora non sarei di certo qui tra le braccia di un tizio che non so neanche come si chiama.
-Ehi, qual è il tuo nome?- Chiedo, rompendo di nuovo il silenzio.
-Kakashi. Kakashi Hatake. Tu invece?-
-Ehm…
ecco
io… -
Improvvisamente lo sento rimbombare nella testa: Ginevra.
Ginevra. Ginevra…
-Credo di chiamarmi… Ginevra…-
-Hai un cognome?-
-Molto probabilmente sì. Ma purtroppo in questo momento non lo ricordo. Sembra che io abbia perso la memoria, per qualche motivo sconosciuto. Mi spiace di non poterti essere d’aiuto.-
Una nuvola solca il
cielo
coprendo il sole, che oramai non primeggia più sul villaggio
come 20 minuti fa.
Le persone che hanno preparato il mercato sono costrette a sloggiare, a
causa
del temporale in arrivo.
Un lampo. Un tuono.
-Hai paura dei temporali?-
Scuoto la testa,
sorridendo
e guardando il cielo.
-Li adoro.-
Sono una specie di ragione di vita, per me. I fulmini che squarciano il cielo quando piove sono come ossigeno per il mio corpo. Tutte le volte che si avvicina il brutto tempo, e con lui le tempeste, il mio corpo si elettrizza.
Comincio a ricordare
le mie
caratteristiche più profondamente. Bene…
-Oh, sempre più singolare!- Esclama, deviando la camminata verso una casa color ocra; apre velocemente la porta con un colpo del piede. Non era stata chiusa a chiave. Anzi, non aveva proprio la serratura…
-E ora curiamoti dall’immobilità!- Dice, posandomi sul divano al centro della stanza. E’ tutto abbastanza malmesso qua dentro, e appese al muro stanno molte foto. Ritraggono ragazzi giovani, sui tredici anni circa. Ninja.
-Allora, senti il mio tocco qui?- Mi chiede, tastandomi l’avambraccio destro.
Scuoto la testa in diniego.
-Qui?-
Mi tasta il braccio.
-Neanche.- Gli rispondo.
Le due dita affusolate scivolano sulla mia spalla.
-Ora si…- Esclamo, prima che potesse rifarmi la stessa domanda una terza volta.
Con il pollice preme in un punto alla giuntura del braccio. In pochi secondi mi riapproprio della sensibilità alla mano destra.
Fa lo stesso con la sinistra, trovando anche lì un punto specifico per riportarmi l’arto in azione.
-E ora faccio io…- Dico, afferrandomi una gamba. Alla caviglia destra premo un nervo, e alla sinistra anche, riuscendo in un attimo a muovere gli arti inferiori.
Mi alzo in piedi.
Ok, non ho idea di come abbia fatto a curarmi le gambe da sola, ma almeno ora cammino da sola.
Perché i movimenti mi vengono spontanei? Ci sto capendo poco che niente in tutto quello che è successo, dannazione!
A quanto pare sono esperta di arti curative, in cui non serve il chakra.
-Allora,-
Un fulmine squarciò il cielo, seguito in pochi secondi dal suo tuono.
-I legamenti sono a posto. I muscoli anche. L’elasticità è normale.- Faccio un ponte all’indietro, poggiandomi sulle mani, e catapultandomi dall’altra parte.
-Forza Gin-chan. Impegnati!-
Una voce profonda, ma amichevole.
-Io ci metterò tutta me
stessa. Tutto il resto sta nel
fulmine!-
Le mie parole mi stupiscono.
-Gin. Tu SEI il fulmine!-
Mi cedono le gambe. Cado sulle ginocchia. Cosa diavolo era questo? Un ricordo?
-Ehi, stai bene?-
Kakashi mi
raggiunge,
aiutandomi a rimettermi in piedi.
Forse è
meglio se mi
riposo
un altro po’, prima di cominciare le ricerche su chi sono.
Non sono ancora pronta per affrontare quello che mi aspetta. Qualunque cosa esso sia. Prima devo stare in pace con me stessa.