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Autore: vannagio    28/07/2012    14 recensioni
Jane Foster capì il vero significato dell’espressione Seme della Discordia una mattina afosa di luglio.
[Affetta da Shipping compulsivo, partecipo all'iniziativa del forum « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jane Foster, Thor
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'E se Thor fosse tornato prima?'
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Per la serie…
“Quando vannagio vaneggia!”



Il Seme della Discordia




Jane Foster capì il vero significato dell’espressione Seme della Discordia una mattina afosa di luglio.
Si trovava nella sua nuova e grandissima casa di Thompson, che aveva comprato grazie al suo nuovo e stratosferico stipendio, che riscuoteva ogni mese grazie al suo nuovo e prestigioso lavoro all’osservatorio, che aveva ottenuto grazie all’influenza e all’intervento dello SHIELD.
Più precisamente stava rassettando la cucina - dove per rassettare si intende infilare a casaccio i piatti e le tazze della colazione nella lavastoviglie -, quando scovò, dietro la scatola dei cereali, in una piccola fessura formatasi tra le piastrelle del muro e il ripiano della cucina, una piantina. Come avesse fatto a non accorgersene prima, visto che la scatola dei cereali non stava sempre lì - o forse sì: non era mai stata una tipa ordinata… ma in fondo, quale scienziato lo era? -, questo Jane non lo sapeva.
Jane sapeva soltanto che quella piantina era un vero e proprio piccolo miracolo. Quanta pazienza aveva dovuto avere il seme, finito lì chissà come, nell’aspettare il momento e le condizioni opportune per germogliare e attecchire. Quanta solerzia e buona volontà, poi, aveva dovuto mettere la piantina nel sollevare le piastrelle, uscire fuori e crescere fiera e robusta.
Jane si sentì un po’ in colpa, quando la strappò.
Cinque giorni dopo, però, la piantina era di nuovo là, più fiera e robusta di prima. Jane strabuzzò gli occhi, incredula, poi fece spallucce e la strappò una seconda volta. Ma la piantina doveva essere parecchio cocciuta, e avere anche delle ottime radici, perché spuntò una terza volta, e una quarta, e una quinta, sempre più velocemente, sempre più forte e legnosa. Alla decima volta, una piastrella si scollò e saltò via. A quanto pareva, la piantina non aveva alcuna intenzione di farsi sradicare dalla cucina di Jane.
L’undicesima volta, Thor era lì con lei per uno dei loro weekend romantici.
«Non è possibile!».
«Dimmi quale problema ti affligge, Jane. Ed io me ne occuperò».
Lei gli indicò la piantina - che ormai assomigliava più a un piccolo bonsai - e Thor imprecò a mezza voce.
«La sorte non è stata delicata nei tuoi confronti, Jane».
Jane aggrottò la fronte. «Che intendi?».
«Quella è un’Jdra-nir. Noi asgardiani la chiamiamo come il mostro che si rigenera, perché ogni volta che qualcuno prova a sradicarla, lei cresce il doppio più velocemente e più grande di prima. Le sue radici anche il triplo».
Jane fece un rapido calcolo, e sbiancò in viso. «Oh. Mio. Dio».
«Dobbiamo abbattere il muro, Jane. Se la lasciamo prosperare, si propagherà per tutta la casa, e allora non ci saranno più speranze per la tua dimora. L’Jdra-nir è una creatura infida e subdola».
«Come ha fatto una pianta di Asgard ad arrivare nella mia cucina, scusa!».
«I suoi semi viaggiano col vento e le sue alette riescono a impigliarsi ovunque. L’Jdra-nir è in grado di resistere a qualsiasi condizione, anche la più impervia». Thor abbassò lo sguardo, dispiaciuto. «In vero, cara Jane, credo sia colpa mia, l’avrò portata qui a mia insaputa».
Jane sospirò. «È inutile piangere sul latte versato. Pensiamo, piuttosto, a come procedere».
Thor annuì. «Prendo il Mjolnir».
Non tutti i mali vengono per nuocere, si dice.
Be’, c’era sicuramente un aspetto positivo nel fatto che una pianta asgardiana avesse deciso di distruggerle la casa: Thor Il Muratore. Jane stava sorseggiando il suo caffè e intanto contemplava sognante i muscoli delle braccia e della schiena di Thor, che sotto la pelle sudata e sporca di cemento si contraevano e rilassavano con un ritmo quasi ipnotico, a seconda di cosa lui stesse facendo: sollevare i mobili della cucina come cuscini di piume per spostarli in soggiorno, ad esempio, o abbattere il muro a colpi di Mjolnir. Thor si fermò un attimo, per scostarsi i capelli fradici di sudore dal viso e asciugarsi la fronte con il bicipite.
«Vuoi qualcosa da bere?».
Lui le rivolse quel suo sorriso ampio e sincero, che gli accendeva gli occhi rendendoli più azzurri del cielo. «Un po’ d’acqua sarebbe davvero cosa gradita, grazie».
Prese la bottiglia dal frigo e andò da lui, stando attenta a non inciampare nei calcinacci e nelle radici che si erano accumulati sul pavimento. Jane non aveva potuto fare a meno di emettere un’esclamazione di stupore, quando aveva visto quanto intricata fosse la trama di radici che l’Jdra-nir aveva tessuto dentro il suo muro. Sarebbe stato impossibile estirparla senza quell’intervento drastico: era troppo radicata, troppo ben attecchita.
«Prego».
Jane gli porse la bottiglia e Thor se la scolò tutta di un fiato, con la testa buttata all’indietro, mentre rivoletti di acqua gli scendevano giù dal collo e ruscellavano sui quegli addominali da urlo. E Jane era lì che ammirava quell’opera d’arte di muscoli, polvere e sudore, dicendosi che Darcy aveva ragione, Thor era proprio un gran figo, che lei non aveva mai avuto un ragazzo così, che probabilmente nessuno sulla Terra aveva mai avuto un ragazzo così, che lei era una ragazza veramente fortunata, anzi no, lei era La Ragazza Fortunata, al diavolo Donald Blake e tutti gli uomini che aveva avuto e che l’avevano accusata di amare più le sue ricerche che loro… quando qualcosa, nel suo cervello, scattò.
Si ricordò di una scenetta alla quale aveva assistito, senza dedicarle troppa attenzione, qualche mese prima. L’aveva rimossa del tutto e non riusciva a capire come mai le fosse tornata in mente proprio in quel momento. Con un Thor mezzo nudo che le sorrideva di fronte e prometteva cose molto… molto.
All'epoca, Thor era appena tornato ad Asgard per fermare Loki e l'Agente Coulson, come promesso, aveva mandato due dei suoi scagnozzi, l'Agente Mason e l'Agente McCallan, per restituirle le attrezzature che le erano state sottratte in nome dello SHIELD.

«Non riesco a credere che tu lo abbia invitato davvero a uscire, Greg. Quel tizio ha stronzo scritto sulla fronte, stai commettendo un grosso errore».
«Non cominciare, Bree. Jeffrey è un bravo ragazzo. Lo sapevi che nel fine settimana fa volontariato al canile? E che una volta al mese va alla mensa dei poveri a distribuire zuppa calda?».
«E tu lo sapevi che Jack Lo Squartatore era un medico e che probabilmente curava i bambini malati tra un omicidio e l’altro? E poi non capisco cosa ci trovi in lui».
«È bello da star male. E quando sorride gli si forma una fossetta sulla guancia destra che… che c’è?».
«Queste sono motivazioni per scoparsela, una persona, non per costruirci un progetto di vita. Poi saresti tu il gay concreto e serio tra noi due? Rispondi sinceramente alla mia domanda, Greg. Perché ti piace Jeffrey?».
«Io… io non lo so».

«Jane? Jane!».
Sbatté le palpebre più volte, fin quando non si rese conto di essersi imbambolata a fissare il centro del petto marmoreo di Thor. Lui le mise due dita sotto il mento e la costrinse a sollevare il viso in modo che potesse guardarlo negli occhi. Occhi che sorridevano maliziosi. «Io sono qui».
Lei sorrise meccanicamente.
Ma ormai era troppo tardi: il suo personale Seme della Discordia era germogliato. La domanda “Perché mi piace Thor?” si era piantata nel suo cervello, insieme alla frase “No, per i bicipiti non è una risposta”, e si stava rapidamente espandendo, proprio come le radici dell’Jdra-nir, in cerca di una risposta.
Che purtroppo tardava ad arrivare.
«Le tue membra hanno bisogno di una pausa, mi sembri stanca», le fece notare Thor.
«Oh, ehm. Sì, lo credo anche io. Adesso vado a distendermi un attimo…».
Thor la attirò a sé e la circondò in un abbraccio spaccaossa con le braccia poderose. Catturò le sue labbra in un bacio mozzafiato, che le fece dimenticare qualsiasi altro dettaglio insignificante, compreso il suo nome. Poi Thor la prese in braccio e la condusse in camera da letto. Jane decise che per un po’ poteva mettere la scatola di cereali davanti alla domanda che la tormentava e fare finta che non esistesse.
Quando, però, si svegliò nel suo letto, nuda e deliziosamente indolenzita, con Thor che le ronfava a fianco, si accorse che qualcuno aveva spostato la scatola dei cereali e che la domanda saltellava nel suo cervello più arzilla che mai, per farsi vedere e rompere i così detti con la sua petulanza. E continuò ad assillarla anche nei giorni successivi. Più lei cercava di dimenticarla, di ignorarla, di estirparla, di strapparla via dal suo cervello, più La Domanda cresceva, diventava forte e ingombrante.
Poi La Domanda si moltiplicò, proprio come l’Jdra-nir, e Le Domande divennero due.
«Thor, posso chiederti una cosa?».
Lui, con un mattone sotto braccio e il piccone nell’altra mano, annuì.
«Mi chiedevo… ecco… perché ti piaccio? Cioè, insomma…».
Thor aggrottò la fronte. «É una domanda insolita».
Jane giocherellò un po’ con la bretella della salopette che aveva indossato per aiutare Thor nell’opera di distruzione. «No, niente. Era una curiosità. Cioè, tu sei un dio ed io una semplice mortale. Insomma, cosa vedi in me di così speciale? Voglio dire… oh, al diavolo! Lascia stare, fai finta che non abbia detto nulla».
Thor lasciò cadere mattone e piccone per terra, le andò incontro con passo sicuro e predatore. Le prese il viso tra le mani, sporcandole le guance di polvere grigia e guardandola dritta negli occhi. E Jane ci credette davvero, che lui fosse sul punto di dirle qualcosa di profondissimo, che avrebbe risposto a La Domanda Numero Due. Da lì a trovare La Risposta a La Domanda Numero Uno, poi, il passo sarebbe stato brevissimo. Jane si sentiva già più leggera e sollevata, era solo una sciocca, non poteva mettere in dubbio i suoi sentimenti per Thor per colpa di una stupida piantina aliena.
«Perché tu… sei tu. Perché sei Jane. Non voglio nessun’altra».
Una volta Darcy le aveva prestato uno di quei libri che le piacevano tanto - quelli in cui tizie bellissime, sposate con decrepiti miliardari, si innamoravano perdutamente di giardinieri col fisico di Vin Diesel o quelli in cui nobildonne inglesi tradivano la loro nazione per i bicipiti oleati di scozzesi in kilt -, assicurandole che fosse veramente bello. “Bello bello bello, troppissimo” erano state le parole esatte di Darcy. Jane non aveva voluto offenderla, così le aveva dato il beneficio del dubbio. Arrivata alla frase in cui l’eroe muscoloso e prestante diceva “Ti amo, Melanie. Perché sei tu. Perché sei Melanie” era scoppiata a ridere.
Adesso le veniva solo da piangere.
Stiracchiò le labbra e Thor ricambiò il sorriso, fiducioso e ingenuo come un bambino di cinque anni. Jane si alzò sulle punte dei piedi e gli sfiorò le labbra con le sue.
«Ehm. Io... vado a prendere una boccata d’aria. Se hai bisogno di qualcosa, chiamami».
Dovette fare violenza su se stessa per non mettersi a correre.
Thor era un maledetto personaggio da libro Harmony. E anche lei. E la loro unione, se così si poteva chiamare, come in qualsiasi libro Harmony, era fondata sul nulla. Era questa l’amara e cruda verità.
Jane si sedette sui gradini del portico e per la frustrazione si prese la testa tra le mani.
Avrebbe tanto voluto addormentarsi per poi risvegliarsi e non ricordare nulla di quegli ultimi giorni. Era stata così bene con Thor, prima che il Seme della Discordia si piantasse nel suo cervello. Tanto sesso, qualche volo in braccio a Thor sotto la luna, weekend romantici, buon cibo, risate… non avrebbe potuto fare più quelle cose con la stessa spensieratezza di prima, non ora che La Domanda esigeva La Risposta.
«Qualcosa ti turba».
Jane sollevò lo sguardo. Thor la fissava serio dall’alto della sua imponente statura. Era sempre così, con lui. Non faceva mai domande, le sue erano sempre affermazioni.
«No, sono solo… pensierosa».
L’espressione corrucciata di Thor si sciolse in un sorriso abbacinante e Jane, nonostante i suoi cattivi pensieri, non poté fare a meno si sorridere a sua volta. Thor sedette accanto a lei. Aveva portato con sé due bottiglie di birra, le stappò entrambe con i denti e gliene allungò una.
«È tempo di brindare».
«A cosa?».
«Alla vittoria di Thor di Asgard e Jane di Midgard sull’Jdra-nir».
«Mi sembra giusto».
Le bottiglie tintinnarono l’una contro l’altra.
Il tempo di bere un piccolo sorso e Thor si era già scolato mezza bottiglia. Rimasero in silenzio a fissare il paesaggio desolato che circondava la casa. Tirava un vento forte, che spazzava il terreno secco, sollevando piccoli mulinelli di polvere, e che piegava i rami di quei pochi alberi che ancora resistevano al caldo estivo.
«Non ci avevo mai fatto caso, prima. Il vento sulle chiome degli alberi è come la mano sulle corde di un’arpa».
Jane si voltò sbalordita verso Thor, che contemplava con espressione pensierosa gli alberi. «Non ti facevo un tipo poetico».
Thor le rivolse un’occhiata confusa. «Poetico?».
«Be, sì… è una frase molto bella».
Thor si limitò a stringersi nelle spalle. «Io sono un guerriero, Jane. Non sono bravo con le parole. Mi limito a guardare, e a dire quello che sento. Guarda le chiome degli alberi. Guarda come vibrano, come ondeggiano avanti e indietro, sembrano seguire una melodia. Le corde dell’arpa di mia madre danzano allo stesso modo sotto le sue dita. Niente di poetico, Jane, solo una semplice constatazione».
Perché sei tu. Perché sei Jane.
Una semplice constatazione.

Tutto sommato, la risposta alla Domanda Numero Due non era così male.
Thor era fatto così. Era un uomo buono, un uomo semplice. Guardava il mondo che lo circondava con gli occhi schietti e privi di malizia di un bambino. Per lui l’erba era verde, il sole giallo e il cielo azzurro. Si poteva ridere o piangere, e in entrambi i casi doveva esserci un perché, ma se non si aveva voglia di parlarne andava bene lo stesso. Se c’era un problema, andava risolto. E se non c’era una soluzione, allora si ricominciava da capo per trovarla. La famiglia veniva prima di tutto, e le si voleva bene sempre, qualsiasi cosa fosse accaduta. Non era in grado di simulare o mentire: Thor era così come appariva, tanto alto imponente e biondissimo quanto buono.
E tutto questo, a Jane, piaceva. Piaceva… molto.
Anche La Domanda Numero Uno aveva trovato la sua risposta.
«Stai sorridendo».
«Sì».
Thor annuì. «Bene».
Jane si alzò e protese la mano verso Thor. «Andiamo? C’è un muro da ricostruire. Però questa volta ti aiuto sul serio, eh?».
«Thor, Dio del Tuono, Figlio di Odino, non ha bisogno di aiuto, ma avrebbe tanto piacere che tu lo baciassi».
Jane ridacchiò e alzò gli occhi al cielo. Poi le labbra calde e salate di Thor la zittirono.
Quella sera la radio dava una canzone romantica, parlava di amori che durano fino alla fine del tempo e di gente pronta ad aspettare milioni di anni per amore. Thor chiese a Jane di concederle un ballo e lei acconsentì. Si mossero impacciati tra i calcinacci, le mani di Jane sembravano piccolissime e sottili come stuzzicadenti dentro quelle callose e enormi di Thor. Jane indossava la salopette e niente sotto, c’era troppo caldo e non si respirava, ma quando la prima bretella cadde lungo la spalla e Thor lasciò un bacio sulla sua clavicola, Jane sentì brividi freddi correrle lungo la schiena e la pelle d’oca arricciarsi sulla nuca.
Il giorno dopo, tra le macerie e le radici raggrinzite, Jane trovò un fiorellino bianco. I petali puntellati di rosso erano un po’ sgualciti e il gambo piegato in un’angolazione anomala. Probabilmente lo avevano calpestato senza accorgersene. Thor le spiegò che era il fiore dell’Jdra-nir: ne fioriva soltanto uno per ogni pianta, un solo fiore per un solo seme. Nonostante la pericolosità dell’Jdra-nir, era considerato di buon auspicio trovare quell’unico fiore così raro. Allora Jane lo conservò tra le pagine di un libro di mitologia norrena. Quando fu essiccato, lo incorniciò e lo appese al muro della cucina.
L’avrebbe aiutata a ricordare che perfino dal Seme della Discordia può germogliare un bellissimo fiore.







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Note autore:
Questa one-shot è stata scritta in risposta alla sfida di KumaCla (pairing: Thor/Jane Foster; uno o più prompt a scelta tra: Non si è mai lontani abbastanza per trovarsi - Baricco, Oceano mare; La separazione e la morte sono atroci. Però un amore che non sembri l'ultimo della vita, per una donna non è che un inutile passatempo - Banana Yoshimoto, Kitchen; I will love you till the end of time | I would wait a million years | promise you'll remember that your mine - Lana del Rey, Blue Jeans;).
Per la coppia Thor/Jane Foster provo una sorte di odio/amore. Nel film è stata caratterizzata molto male, a mio parere: non si capisce perché diavolo si amino, questi due. Da qui la mia voglia matta di leggere tante Thor/Jane, perché, come ogni brava fanwriter, quando c’è una mancanza nell’opera originale, vado a rifugiarmi nel fandom. Il punto è che nel fandom in questione le Thor/Jane Foster si contano sulle dita di una mano.
L’Agente Greg Mason e l’Agente McCallan-Chiamatemi-Bree sono due miei OC, che potete trovare nel terzo capitolo di questa mia raccolta. Grazie alle mie sexy beta-assistenti, Dragana e OttoNoveTre, che come al solito mi aiutano e mi rassicurano.
E grazie a tutti voi, che siete ancora qui e mi seguite.
A presto, vannagio






Crack, fanon o canon? Slash, Het, Threesome?
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