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Autore: Shee    11/02/2007    3 recensioni
...E ora capiva che quel qualcosa che non aveva compreso precedentemente non lo avrebbe mai compreso, che non aveva un nome e che non lo avrebbe mai conosciuto. Ma sapeva, che era con lui, che non quell'ignoto le faceva più paura. Solo con lui. Solo lui..."
Song-fic sulle note di "Eppure sentire (un senso di te)" di Elisa.
[Gohan/Videl]
Genere: Malinconico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gohan, Videl
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ed eccomi pure qui! dopo aver sconfinato in Harry Potter, Ufo Baby, Card Captor Sakura ed addirittura Buffy sono arrivata pure qui! Qualche giorno dopo aver pubblicato l'ultimo capitolo di "ragazza ideale?!". certo avevo promesso che avrei scritto, ma forse non ci si aspettava che avrei scritto qualcosa su Dragon Ball xDxD
Ebbene lo ammetto, assieme a mio fratello, che per la prima volta sta guardando Dragon Ball, mi sono ri-appassionata. E come era sempre stato sono pazza di Gohan... il MIO Gohan. Ma siccome il mio Gohan nella serie ha la bellissima e simpaticissima Videl, che mi sta, ahimé, simpatica, e che lo rende assolutamente, superbamente adorabile... beh ho scritto una Gohan/Videl... che forse è la mia coppia preferita... assieme a Chichi(altro mio personaggio preferito)/Goku... che dire... sono adorabili (di più Gohan però!)
Allora, è dal punto di vista di Videl ed è dolce e un po' malinconica, forse.
E' una song-fic, e la canzone è di Elisa "Eppure sentire (un senso di te)" che è stupenda... se avete la possibilità di ascoltarla vi prego di farlo, mentre leggete,perchè io l'ho scritta ascoltandola e rende l'atmosfera, altrimenti imperfetta della fanfiction, assolutamente perfetta. Quindi è un consiglio sentito che vi dò.
Non ho nient'altro da dire... se non... ditemi cosa ne pensate!

 

 

A un passo dal possibile

A un passo da te

 

Con gli occhi spalancati, nascosti tra le braccia avvolte alle ginocchia, che piegate erano vicine al petto. I capelli corti le ricadevano sulle braccia, accarezzandole leggermente, mentre rifletteva, immobile sul letto rifatto.

Cos’era quel qualcosa che non andava? Che sentiva rimescolarsi dentro? Cos’era quel sorriso che le riecheggiava nei pensieri? Quel sorriso dolce, gentile, sincero che continuava a sentire sotto la pelle?

 

Paura di decidere

Paura di…me

 

Era così cambiata ultimamente. Si sentiva diversa, anche se magari gli altri non vedevano nulla di diverso. Molto probabilmente era qualcosa di troppo profondo per essere percepito dagli occhi distratti degli altri. Solo lui. Soltanto lui ne aveva fatto cenno. Con uno sguardo preoccupato ed affettuoso. Aveva immaginato un suo abbraccio e aveva immaginato di poter sorridere con lui di tutte quelle cose stupide.

Aveva immaginato una sua carezza, e aveva sentito qualcosa nel suo petto sobbalzare, e un sospiro farsi largo. Aveva chiuso gli occhi. Sentendo dentro tutto quello che solo lui le aveva portato. Solo lui.

Ora, sola nella sua camera, sentiva le sue parole ripetersi all’infinito, vedeva i suoi gesti sfiorarla come onde del mare, sentiva il suo respiro assente colmarla e svuotarla ad ogni fiato.

Ed aveva paura.

Non riusciva a controllare quelle emozioni. Non riusciva a comprenderla a fondo. Non era sicura di poter dar loro un nome. Aveva paura che svanissero. Che rimanessero lì, ignote, ed incontrollabili.

Aveva paura di perdere quel respiro nuovo che l’aveva percorsa a fianco a lui. Paura di non poter mai vedere quel sorriso come suo, di non poter mai percepire quel respiro caldo e vicino, di non poter mai bearsi di una sua carezza. Aveva paura che tutto scomparisse. Aveva paura che tutto quello che lei sognava fosse riservato ad altre. Aveva paura della sua magia su di lei, aveva paura di non sapere cosa lui ne avrebbe fatto, una volta che lei gli avesse porto il suo cuore.

Perché dentro di lei sapeva. Sapeva che era il cuore quel qualcosa che le si incendiava nell’immaginare un suo contatto. Sapeva ormai che lui era la sua aria. E sarebbe morta senza.

Sapeva ormai che lui era il suo sole. Senza la vita si sarebbe estinta.

Sapeva ormai che lui era l’unico che potesse farle provare certe cose. Sapeva che era solo lui, ormai. Solo lui.

 

Di tutto quello che non so

Di tutto quello che non ho…

 

Si alzò dal letto, senza averlo deciso e si accostò alla finestra, scrutando il buio avanzare ed avvolgere tutte le cose con il suo manto, ascoltò la sua stanza sprofondare nel buio, senza riuscire ad accendere la luce. C’erano molte stelle in cielo, e la luna faceva appena capolino dall’orizzonte, dietro le colline. Guardò la piccola vallata verde, poco più in là della strada alberata dove stava casa sua, diventare sempre di un verde più cupo, ma sempre un bel verde di fine primavera. Respirò a fondo quell’aria che, probabilmente, solo lei riusciva percepire. Quel suo profumo che solo ora identificava come suo, quel profumo che nessuno avrebbe attribuito a lui, quel profumo che nessuno avrebbe percepito, a parte lei. Con le fronte poggiata sul vetro fresco permise ad una lacrima di scendere. Per quella paura. Per quell’amore. Per lui. Per lei.

E sentì ancora la sua carezza, immaginaria, consolarla. Il capo scivolò, chinandosi di più, mentre i capelli si arruffavano al contatto con il vetro, scaldato dal suo respiro.

La lacrima cadde a terra mentre serrava le palpebre, sconfitta da quell’immenso che sentiva nei polmoni, vinta da quell’emozione che la trascinava nella luce e nel buio.

Sarebbe bastato solo averlo lì con lei. Coi suoi sorrisi, col suo rossore, con i suoi imbarazzi, con la sua gentilezza e con la sua forza. Sarebbe bastato soltanto lui.

Lui che premesse l’interruttore della luce, privandola di quel buio che ora la avvolgeva quasi completamente.

 

Eppure sentire

Nei fiori tra l’asfalto

Nei cieli di cobalto c’è

 

Staccò di colpo la mano che aveva strisciato contro il vetro, lasciandovi impronte calde ed umide, e con le dita strizzò gli occhi. Sollevò la testa, e vide il vento, anche lui sembrava appartenergli, agitare gli alberi davanti a lei. Strinse i pugni e chiuse gli occhi.

La voce di suo padre la raggiunse come da lontano, richiamandola per la cena. Lei mormorò che sarebbe scesa subito. Ma nel sistemarsi i capelli arruffati di fronte allo specchio della sua camera, vide gli occhi arrossati, sofferenti.

 

Eppure sentire

Nei sogni in fondo ad un pianto

Nei giorni di silenzio c’è

 

Ma scendendo le scale la sua direzione era un’altra.

Passò di fronte alla porta della sala da pranzo dove suo padre aveva già cominciato a mangiare. Non lo guardò neanche, certa che l’avrebbe fermata. Aprì la porta e se la richiuse alle spalle.

Il quartiere era deserto ed un silenzio particolare l’avvolgeva. Dalla finestre aperte sentiva il rumore di posate, di televisioni accese, schiamazzi di bambini che giocavano, ascoltava il vento accarezzare l’erba delle aiuole e pattinare le fronde dei giovani alberi che nascondevano un poco alla vista la vallata sottostante, un foglio di giornale stava volteggiando qualche centimetro sopra l’asfalto e vicino ai suoi piedi alcuno violette si nascondevano dalla brezza estiva, al limitare dell’asfalto.

Ma era il silenzio che lei respirava.

Respirò fino in fondo, chiudendo gli occhi. Lo sentiva. I polmoni pieni dell’aria che anche lui respirava.

Lanciò uno sguardo e una lacrima ai piccoli fiori violacei che si affacciavano sul grigio della strada, rivolse quindi gli occhi chiari alla curva della strada, delimitata da un piccola spazio verde di fili d’erba e da alberelli disposti in un’ordinata fila, dietro il verde rigoglioso e bluastro della sera nella valle.

 

Un senso di te…

mmm…

C’è un senso di te…

mmm…

 

Il blu delle sue iridi scintillò di decisione e la porta alle sue spalle, che si apriva con qualche parola di perplessità e rimprovero di suo padre, fu il segnale che la scosse.

Serrò le palpebre ormai bagnate di lacrime e scotendo la testa in una debole negazione cominciò a correre, sempre più forte, per la strada deserta, contro vento.

Semplicemente, quella brezza, la stava accarezzando con più foga, con più ardore, con più dolcezza, facendo volare via le lacrime e l’immagine di quei fiori che sarebbero stati schiacciati da un’auto o che sarebbero stati colti dal bambino pestifero dei vicini.

La sua irregolare corsa aumentò di velocità, rabbiosa e stanca.

Il blu dei suoi occhi si incontrò col viola della sera, su nel cielo, e un leggero sorriso le rinfrescò le labbra che troppo erano state serrate quella notte. 

 

Eppure sentire

Nei fiori tra l’asfalto

Nei cieli di cobalto c’è…

 

Abbassò un po’ la testa e i capelli le coprirono la visuale, fastidiosi e ridenti, ma non chiuse gli occhi, vedeva la curva che dava sul dolce pendio della collina avvicinarsi, e con lei quel qualcosa che non aveva ancora compreso, che andava ingrossandosi con un fiume in piena, alle sue rapide. Si morse le labbra per non urlare la sua libertà, quelle parole che lottavano per uscire, quei gesti che sentiva nel cuore di dover fare e di voler ricevere. Attenta a non gridare che era lui l’unico. Solo lui.

 

Eppure sentire

Nei sogni in fondo ad un pianto

Nei giorni di silenzio c’è…

 

Calpestò l’erba verde ed umida, spingendosi avanti, chiuse gli occhi e percepì il pendio cominciare, all’ultimo passo piegò un po’ le gambe e si spinse verso l’alto. Sollevandosi appena prima della staccionata bianca, tenne chiusi gli occhi, sentendo il vento spingerla ancora più in alto, con le sue mani sicure e calde. Un suo soffio. Un’emozione che le impediva quasi di prendere fiato, che sentiva mozzarsi in petto, con quelle parole che ora come mai avrebbe voluto gridargli. A lui ed al mondo.

Il suo amore.

 

Un senso di te…

mmm…

C’è un senso di te…

mmm…

Un senso di te…

 

Il vento si calmò, lasciandola respirare più liberamente, in alto, sopra la vallata. aprì gli occhi per guardarsi attorno, scoprendo di essersi allontanata parecchio da casa sua in pochissimo tempo. O forse era stato molto. Non riusciva a comprenderlo. Perse un po’ di quota mentre si voltava, dando le spalle alla terra ed osservando le stelle sopra di lei, che sembravano brillare con un unico scopo, che sembravano conoscerla, che sembravano sorriderle. La luna invece, grande ed immobile, sembrava sfidarla a cercare la felicità. E sia.

Sentì improvvisamente qualcosa colpirla, con forza, quasi. Una forza che mai aveva sperimentato, una grandezza i sensazioni, un’immensità di vita. Si voltò di colpo, scorgendo giusto sotto di lei un ragazzo allenarsi, per il pendio di una collinetta, sulla quale cima stava una casupola.

Senza rifletterci, senza darsi tempo di cancellare i segni evidenti di quelle emozioni, di quelle lacrime, una stava ancora impigliata alle sue ciglia, scese in picchiata sul moro, travolgendolo e strappandogli un grido spaventato nel cadere a terra con lei sopra.

 

C’è un senso di te…

mmm…

 

<< stai bene?>> gli chiese, in un sussurro lieve, mentre le gote le si tingevano di rosso.

<< credo di essere ancora tutto intero >> rispose quello puntando i gomiti muscolosi a terra e alzando il capo verso di lei, la sua espressione si accigliò un poco, aprì la bocca e la richiuse, cambiando idea << che ci fai sopra di me? >> lei si ritrasse di colpo ma alzandosi con lei, quello la afferrò per un braccio prima che si alzasse in piedi. Rimasero seduti l’uno di fronte all’altra, più vicini di quanto fossero mai stati, lei in ginocchio, che fissava la sua mano avvolta sul suo polso, e lui con le gambe incrociate e l’espressione dolce e preoccupata sul viso.

Le lasciò il braccio e si sporse per asciugarle con il pollice della mano sinistra quella lacrima che ora si era divisa dalle sue sopraciglia e le aveva bagnato la gota.

<< che succede? >> le chiese infine. Videl aprì la bocca e la richiuse, tremante. Rapita dal contatto con le dita di lui, che ancora non si erano staccate dal suo volto, rapita dai suoi tratti così belli, dalla sua vicinanza, dal suo respiro che sentiva chiaramente, dai suoi occhi neri che brillavano di quell’emozione che anche lei, era certa, facesse brillare i suoi occhi chiari.

Sollevò la mano sinistra sotto i suoi occhi incerti e carezzò una guancia, poi con la punta della dita sfiorò un piccolo taglio sulla gota, lo sentì tremare e lo vide arrossire, mentre con gli occhi le porgeva una domanda.

 

A un passo dal possibile

A un passo da te

 

Spostò la mano sui suoi capelli, e lo attirò più vicino, senza riuscire a staccare gli occhi dai suoi.

Poi, per la prima volta, rivolse uno sguardo di desiderio alle sue labbra, che pallide, non facevano altro che chiamarla per nome, anche immobili. Inerme, arresa alle proprie passioni, si lasciò trasportare dall’istinto che le diceva di avvicinarsi. Non ne ebbe il tempo, fu lui a sfiorarle le labbra con le proprie, per poi lasciarla avvicinare di più, entrambi con più decisione, entrambi con più forza.

Quando si divisero si rese conto che non sentiva più il bisogno di urlare al mondo quelle parole, e che neanche sarebbe stato necessario dirle a lui, che, con la fronte sulla sua, le sussurrò quelle due parole che lei sentiva ormai nella pelle, nella bocca, nelle labbra, nello sguardo, nel cuore, nell’aria.

E ora capiva che quel qualcosa che non aveva compreso precedentemente non lo avrebbe mai compreso, che non aveva un nome e che non lo avrebbe mai conosciuto. Ma sapeva, che era con lui, che quell'ignoto non le faceva più paura. Solo con lui. Solo lui.

Il suo Gohan.

*..Fine..*

Sono autolesionista a quanto pare... l'ultima frase potevo pure risparmiarmela ç__ç va buò...

Non è molto originale, nevvero? Beh ditemi... è da buttare nella spazzatura?

Un Bacione per essere arrivati qua giù... e un grazie enorme!

  
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