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Autore: Leah Malfoy    28/07/2012    0 recensioni
[LAVORI IN CORSO. (Questa storia rimarrà sospesa fino al 16 settembre, i capitoli saranno revisionati e continuerò a postare dopo la data indicata.)]
''...Doveva partire, doveva prendere quel maledetto treno che l'avrebbe portato lontano da me. Abbracciò Davide che piangeva vicino a me.
-Prenditi cura della mamma mentre io non ci sono.
-Papà, mi mancherai tanto.
Lo osservai mentre baciava sulla fronte Davide, nostro figlio, e in quel momento pensai che non avevo ancora trovato il tempo per dirgli che aspettavo due gemelli.
Lui gli sorrise e mi guardò. Sentii le gambe cedere e per poco non caddi a terra. Le lacrime continuavano a rigare le mie guance.
-Non piangere, tornerò.
Momorai un debole Sì e lo baciai...''
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Passammo quasi tutto il pomeriggio in giro per negozi senza concludere nulla : non c'era niente di bello; o i vestiti erano talmente corti da sembrare dei top per bambine o erano troppo sbrilluccicosi. Alcuni erano lunghi fino alle caviglie e altri avevano talmente tanta stoffa che chiamarli vestiti da sera era un'esagerazione, assomigliavamo più a una tunica per suore.
Dopo l'ennesimo giro in un negozio senza risolvere niente, ci sedemmo su una panchina vicino alla stazione.
Beatrice si allontanò da me per andare a comprare il gelato al chiosco dall'altra parte della strada.
Nonostante fosse metà maggio, il sole era già caldo e dopo aver corso a destra e a sinistra per negozi, eravamo entrambe accaldate.
Mi guardai intorno, dalla stazione stava uscendo un numeroso gruppo di ragazzi, sembrava che non finissero più.
Osservai quella marea di ragazzi e uomini; con uno zaino in spalla e una sigaretta tra le labbra, parlavano e ridevano tra di loro. Mi persi ad osservarli, ce n'erano di alti e di bassi; biondi, mori e anche qualcuno con i capelli rossi.
Tutti con un fisico asciutto da far invidia a un palestrato.
Alcuni indossavano una semplice canottiera bianca mettendo in mostra i muscoli delle braccia e la pelle abbronzata, altri avevano tatuaggi sulle braccia che spuntavano dalle maniche delle magliette.
Camminavano con un'eleganza impressionante; le spalle dritte e il mento leggermente in sù, si muovevano sicuri e quasi all'unisono mostrando con orgoglio la piastrina dell'esercito che pendeva dal collo di ognuno di loro.
Gli ultimi che uscivano tenevano sotto braccio o strette a sè delle ragazze, delle donne che in tutti quei mesi erano rimaste con la paura di non rivederli più.
Eccoli lì, pensai, i nostri soldati.
Beatrice tornò con due gelati e per poco non me ne rovesciò uno addosso.
- Bea.. Fai attenzione!
Lei mi guardò un po' spaesata.
- Oh scusami!
Presi il mio cono al pistacchio e iniziai a leccarlo.
- Certo che sono tutti dei gran fighi, tu che ne dici?
Scrollai le spalle.
- Sì, ce ne sono di carini.
Assunse un'aria sognante mentre mangiava il suo gelato.
- Chissà che combineremo questa sera.. Non vedo l'ora!
Scossi la testa, poveri noi, se il mondo fosse popolato da ragazze come lei, si farebbe festa dal mattino alla sera.
- Mi spieghi come facciamo ad andare se non abbiamo neanche un cavolo di vestito!?
- Isabella! Stai tranquilla, proprio poco fa ci pensavo e ho avuto un'idea.
- Ho paura, non dirmi che in questa idea ci sono io che devo supplicare mia sorella per avere uno dei suoi vestiti succinti per andare a un compleanno.
Lei scoppiò a ridere.
- Uffa, quella volta era una questione di vita o di morte... Anche questa volta però, questa sera è più importante di quel cavolo di compleanno.
La guardai scettica, non avrei mai più chiesto a mia sorella un suo vestito, vabbè che ne aveva una cabina armadio piena però erano un po' troppo.. Osè.
- Dai, sentiamo quest'idea!
Beatrice si sistemò meglio sulla panchina e mi guardò.
- In uno dei tanti programmi di moda che guardo, una volta dicevano che se non hai la più pallida idea di cosa indossare, devi iniziare dalle scarpe perchè se trovi le scarpe il gioco è fatto..
- E che senso ha cercare le scarpe per prime?
Lei sbuffò.
- Non mi interrompere comunque, stavo dicendo che dobbiamo cercare le scarpe. Pensa se trovassimo un vestito che ci piace tantissimo ma poi non troviamo le scarpe? Prima prendiamo le scarpe così poi ci faremo venire in mente dove trovare un vestito adatto.
Mi guardò tutta sorridente in attesa della risposta.
- Non sono tanto convinta della tua idea ma va bene, cerchiamo queste scarpe!
- Bene bene! Pensiamo a un negozio di scarpe..
Riguardai mentalmente tutti i negozi di scarpe in cui ero andata; troppo costoso, scarpe da vecchia, troppo scadente, troppo da tipe di strada, troppo da bimbe, troppo elegante, troppo..
- Ci sono!
L'urlo di Beatrice mi fece trasalire.
La guardai in attesa.
- Sai quel negozietto piccolo piccolo, sempre disordinato dove una volta abbiamo incontrato il prof di filosofia che comprava le scarpe alla moglie?
Ci pensai un attimo.
- Ah sì, ce l'ho presente.. Ma è dall'altra parte della città e sono già le cinque e mezza, riusceremo a comprare tutto prima delle sette?
- Sì, ce la faremo, basta essere determinate e vedrai che arriveremo anche in anticipo a quella festa!
Ci alzammo dalla panchina e dopo una lunga camminata arrivammo davanti al piccolo negozietto di scarpe.
Sopra la porta d'ingresso c'era appesa una targhetta con la scritta ''La Maison du Plateau'' rosa, ornata da marghetite e scarpette bianche.
Beatrice aprì la porta ed entrando nel negozio ci accolse un tintinnare di campanelli.
C'erano solo un paio di donne che giravano tra le varie scarpiere.
Ovunque ti giravi, trovavi scarpe.
- Bea, come facciamo a trovare un paio di scarpe tra tutte queste?
Beatrice scrollò le spalle. Molto confortante. Il solo pensare al probabile numero di scarpe esposte mi procurava uno strano mal di testa, non ci badai più di tanto e mi avvicinai a uno scaffale con scarpe provviste di tacco, non esageratamente alto.
Ne trovai subito un paio blu notte che potevano andar bene: tacco 10 abbastanza sottile, chiuse in punta, avevano tanti filettini grigio chiaro che salivano fino alla caviglia per terminare con un fiocco di stoffa viola.
Mentre osservavo la scarpa, una commessa di mezz'età mi si avvicinò.
- Oh, hai fatto un'ottima scelta, questo paio di scarpe è magnifico, se potessi, le indosserei tutti i giorni!
- Salve, ha proprio ragione, sono bellissime!
- Isaaa! Guarda cos'ho trovato.
La voce di Bea si espanse in tutto il locale seguita dalla padrona che mi raggiunse carica di scarpe.
- Guarda un po', nell'altro stanzino c'è la promozione 3x2, meglio approfittarne! Ci sono delle scarpe davvero stupende!
Le sorrisi, la solita spendacciona!
- Ho già trovato queste e me ne sono innamorata.
Lei afferrò le scarpe che avevo scelto. Se le rigirò tra le mani e me le riconsegnò.
- Sai, sono proprio belle e poi quel blu scuro.. il tacco a spillo..
- Bea! Non è un tacco a spillo!
-.. ti slancia così tanto che io in confronto a te sembrerò una nanetta.
Scossì la testa per allontanare le sue parole prive di un qualsiasi senso logico e mi avvicinai alla casa insieme alla commessa.
Dopo venti minuti passati a convincere Bea che non avrebbe mai usato un paio di scarpe giallo canarino perchè quel colore sarebbe stato in voga il giorno in cui gli asini avrebbero iniziato a volare, uscimmo dal negozietto cariche di borse.
Il mio cellulare iniziò a suonare, guardai Beatrice che continuava a camminare tranquilla.
- Beaaa! Aspetta un attimo che mi stanno chiamando!
Lei si voltò verso di me e si fermò.
Sospirai appoggiando le borse sul marciapiede e risposi al cellulare.
< Bella, a che ora arrivi a casa? >
Dal tono che aveva usato sembrava preoccupata.
< Ciao mamma, questa sera posso uscire con Bea e poi rimango a casa sua? Tanto domani è domenica e non c'è la scuola. >
Attesi incrociando le dita di una mano, dopo un attimo mi arrivò la sua risposta.
< Non puoi fare un altro giorno? Questa sera viene Marina a casa, vuoi mica lasciare che Stefano si annoi da solo? >
Figuriamoci, adesso tira fuori questa scusa.
< Ma ormai Bea mi ha già preparato tutto e sua mamma era contenta di ospitarmi. >
< Le dici che ti fermi un'altra volta, anzi, chiamo io Carla e le dico di venire a cenare da noi così vi divertite voi giovani. >
Sbuffai, ci mancava solo che chiamasse la mamma di Beatrice, avrebbe sicuramente scoperto che le avevo appena detto una bugia.
< Mamma, ti prego! >
< Ti prego niente, Bella! cosa fa il povero Stefano tutto solo? >
Esasperata all'ennesima potenza, riempii i polmoni di aria e cercai di calmarmi.
< Sai che mi stai solo facendo perdere del tempo prezioso? Per questa sera sto da Bea e la prossima volta sto a casa. Punto e basta, non discutiamo che ho altro di meglio da fare! >
Come mi aspettavo, mia madre chiuse la comunicazione senza ribattere. La questione era chiusa, adesso dovevo solo sperare che lei non chiamasse la madre di Bea.
Infilai il cellulare nella tasca dei pantaloni, presi in mano le borse e raggiunsi Beatrice che mi aspettava poco più in là con gli occhi incollati a una vetrina.
Chissà cosa sta guardando, pensai e la risposta mi si presentò davanti non appena raggiunsi la vetrina del negozio.
Tally Wejil.
Il negozio più frequentato della città; il negozio numero uno per le ragazze della città; il negozio in cui, se non portavi taglie da anoressica, ti squadravano dall'alto in basso come se fossi vestita di stracci.
Solo che, dovevo ammetterlo, vendeva vestiti molto belli.
Beatrice mi guardò e dal suo sguardo capì che aveva addocchiato un centinaio di vestiti che le piacevano.
- Allora, chi era al telefono?
Scrollai le spalle.
- Mia madre. Voleva sapere a che ora tornavo a casa e mi ha anche ricordato la cena con la madre di Stefano allora io le ho detto che dormivo a casa tua e che tua mamma era contenta di ospitarmi e lei mi ha detto che l'avrebbe chiamata per invitarla a cena a casa. Ho chiuso la discussione dicendo che uscivo con te, punto e basta.
Bea alzò le sopracciglia.
- Cavolo, che casino! Pensa se invitava a cena mia madre!
Sorrisi.
- E poi, io quello stronzo non lo voglio più vedere.
- Oh brava, questo è lo spirito giusto! Dai, prendiamoci questo vestito e la finiamo qui che poi dobbiamo prepararci!
Entrammo nel negozio e una commessa troppo magra ci venne incontro.
- Ciao ragazze, posso aiutarvi?
- No, grazie.
Rispose Bea, la solita educata. Mi afferrò un polso e mi trascinò nell'angolo dei vestiti. Non c'era molta scelta ma io ne individuai subito uno che si abbinava perfettamente con le scarpe.
- Hei Bea, che ne dici di questo?
Glielo mostrai.
- Molto bello, provalo così vedi come ti sta e poi, sicuramente sarà perfetto con le scarpe che hai comprato.
Entrai in camerino e lo provai.
Spostai la tenda e mi guardai allo specchio.
Lungo fino a metà coscia, grigio con riflessi più scuri, aveva una fascia sotto il seno azzurra e la gonna cadeva morbida lungo i fianchi, senza metterli troppo in evidenza. Era fatta di un tessuto molto leggero simile al tulle e aveva molte pieghe verticali.
- Isa, sei stupenda!
Guardai Bea che, a sua volta indossava un vestito rosa antico simile al mio, fatta eccezione per la schiena che era totalmente scoperta fino alla cortissima gonna. - Anche tu Bea! Sai, mi sento proprio bella con questo vestito però voglio toglierlo, avrò tutta la serata per godermelo!
Bea scoppiò a ridere.
- Sempre se qualcuno non te lo toglie prima.
Scossi la testa esasperata, possibile che fossero tutti irrecuperabili? Nel mio piccolo, nutrivo un barlume di speranza, magari qualcuno si poteva ancora salvare.
Tornai nel camerino e mi cambiai.

Aspettai che Bea avesse finito e insieme andammo a pagare alla cassa, appena fuori dal negozio guardai l'ora.
Le sette e dieci.
- Bea, dobbiamo sbrigarci, sono già le sette e dieci.
Lei spalancò la bocca.
- Oddio, ma è tardissimo! Dobbiamo correre!
Attraversammo la città cariche di borse, ci facevamo spazio tra la folla urlando e le persone si spostavano spaventate dal nostro comportamento. Forse qualcuno chiamò la polizia; era comprensibile, sembrava che avessimo svaligiato un negozio e ce la davamo a gambe.
Iniziai a ridere per l'assurdità dei miei pensieri, fregandomene di cosa avrebbe pensato la gente che si allontanava non appena ci vedeva.
Due pazze scappate dal manicomio, ecco cosa sembravamo.
Ma il picco massimo della pazzia, lo raggiunsi grazie a Bea che correva poco lontanto da me, si girò indietro per vedere se c'ero ancora e dopo avermi sorriso, aumentò la velocità della corsa scontrandosi con un passeggino (fortunatamente vuoto) e finì a terra sparpagliando i suoi acquisti tutt'intorno.

La guardai e lei iniziò a ridere. La raggiunsi e tra una risata e l'altra riuscii a raccogliere le borse e la mia migliore amica a terra.
Nel frattempo la proprietaria del passeggino ci guardava con un cipiglio severo e per nulla divertita da quella scenetta ci rimproverò.
Le chiesi scusa e insieme a Bea ricominciai a correre, ormai eravamo vicine a casa.
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.
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Arrivammo alla festa che erano già passate le nove di sera e il parchetto intorno alla palestra era gremito di persone.
Appena entrai nella palestra, tutta la sicurezza di essere all'altezza dell'evento, mi abbandonò e mi ritrovai a pensare che infondo, ero ancora in tempo per scappare. Mi ritornarono in mente le parole di Stefano, la mia autistima già bassa stava proprio calando di molto.
Riempii i polmoni d'aria e li svuotai prima di fare il grande passo ed entrare nel locale.
Il luogo della festa era la palestra del Centro Ginnasti della città che per l'occasione era stata svuotata completamente fatta eccezione per le travi che erano state posizionate accanto ai muri come panche per sedersi.
Era molto più luminosa del solito e al soffitto, insieme alle luci, erano appesi tanti festoni e dei palloncini.
In un angolo, dietro un lungo bancone con delle sedie intorno, qualche ragazzo si affacendava servendo drink ai presenti.
Senza l'attrezzatura dei ginnasti la palestra era molto spaziosa; su una parete l'enorme specchio rifletteva le sagome delle persone sulla pista da ballo e sembrava non finisse più.
Beatrice, stretta nel suo abitino rosa antico muoveva la testa a ritmo di musica.
Un'altra cosa che mi ricorderò per sempre di quella sera, era la musica.
Non era la solita musica classica da coppie di anziani che ballano la domenica e non era neanche la musica che si sente in discoteca, era un insieme di vari generi.
Musiche moderne, canzoni degli anni passati, canzoni in voga in quella primavera si alternavano a musiche latino americane. Le persone si scatenavano un po' e poi tornavano canzoni moderne, un po' di classiche e ancora latino americane, per tutta la sera i soldati ballarono insieme alle loro donne sulla pista abbandonandola per pochi istanti al fine di procurarsi una bibita e poi riprendere il ballo.
Dopo essermi soffermata un po' troppo sulla pista, osservai meglio ciò che mi circondava.
Qua e là, vicino al tavolo del buffet, intorno alla pista da ballo, accanto alle finestre, sopra le panche, capannelli di soldati chiacchieravano animatamente sulle ultime novità in campo di armi e strategie di guerra.
La maggior parte di quegli uomini indossava l'uniforme altri, forse soldati di prima linea, indossavno un semplice completo nero o blu. Tutti molto eleganti e impeccabili nei loro vestiti, sembravano tranquilli e spensierati come se in quelle poche ore vivessero la loro gioventù passata.
- Isa andiamo a bere qualcosa?
Guardai Bea e con un cenno di assenso la seguii mentre si faceva spazio tra le persone.
Appena ci avvicinammo al bancone dei drink un uomo o meglio, un ragazzo cresciuto troppo in fretta, ci squadrò dall'alto in basso con un sorrisino malizioso.
- Hei ragazze, volete da bere?
Bea, con un sorriso che andava da un orecchio all'altro, si sedette accanto a lui.
- Oh certo, siamo qui per questo!
E rise insieme a lui.
Siamo appena arrivate e Bea ha già fatto conquiste, pensai.
Risi anch'io ma non con loro, risi per quello che avevo appena pensato.
Un ragazzo dietro al bancone ci chiese cosa prendevamo.
Il soldato accanto a Bea ordinò una birra.
- E per le signorine..?
- Per me un Cosmopolitan.
- Per me una birra, grazie.
Sapendo che io e i drink alcolici eravamo molto amici, optai per una semplice birra evitando così di ubriacarmi come una pivellina alla prima bevuta.
Bea, come al solito, puntava sempre agli alcolici per poi lamentarsi il giorno dopo che non ricordava nulla.
Rimasi un po' in disparte dopo che arrivò da bere intanto Bea si intratteneva scherzando e ridendo come un'oca con il soldato.

Dopo la terza birra, tentai di alzarmi dallo sgabello per sgranchirmi le gambe ma appena misi i piedi a terra l'intero locale iniziò a girarmi intorno, cercai di rimanere in piedi e con una mano strinsi il bordo dello sgabello. Aspettai un po' prima di muovere qualche passo verso la pista da ballo, Bea si accorse del mio attimo di smarrimento e interruppe l'allegra conversazione con il soldato per stringermi una mano intorno al polso.
- Isa? Stai bene?
La guardai un po' disorientata ma mi ripresi subito.
- Sì, sì, non ti preoccupare, vado un po' a ballare e se poi non ci incontriamo più chiamami o mandami un messaggio.
- Ok però non bere più che se ti ubriachi e io non sono con te va a finire che non ti trovo.
Sorrisi.
- Va bene mamma! A dopo allora.. - Guardai il soldato amico di Beatrice e lo salutai. -.. Ciao.
Mi allontanai senza aspettare una risposta e mi avvicinai agli angoli della pista, era piena di coppiette ma, mischiate tra loro, c'erano anche qualche ragazza sola e qualche soldato in cerca di una preda.
Forse le birre che avevo bevuto mi avevano reso un po' ubriaca infatti mi ritrovai in mezzo alla pista a ballare seguendo la musica senza rendemene conto e ballai anche un lento con una ragazza poco più grande di me.
Dopo un tempo che mi parve un'infinità, mi allontanai dalla pista con la testa che girava un po' e guardai al bancone del bar, Beatrice e il soldato non c'erano più, sicuramente saranno usciti, pensai.
Mi avvicinai a un angolino vuoto accanto a una finestra e mi sedetti per terra, ero un po' accaldata per aver ballato e il giramento di testa era sparito lasciando spazio a un mal di testa, lo stesso mal di testa che mi veniva quando alzavo un po' troppe volte il gomito.
Mi abbandonai completamente contro il muro e chiusi gli occhi sperando in una scomparsa immediata del mal di testa.
Dopo qualche secondo o forse minuto, qualcuno si sedetto vicino a me. Cercai di capire chi fosse attraverso gli occhi chiusi: missione impossibile, sentivo solo un braccio caldo coperto da una stoffa leggera che sfiorava la mia spalla scoperta.
- Non ti diverti?
Una voce maschile mi raggiunse, una voce profonda, da ragazzo a fine adolescenza.
Sorrisi senza aprire gli occhi, volevo ancora aspettare.
- Altrochè, forse ho esagerato un po' con il bere.
Rise.
Dio, che risata stupenda; pensai.
Chissà se mi osservava o se guardava le persone che ballavano.
- Sei venuta qua da sola?
Il suo tono era calmo, inspirai cercando di percepire il suo profumo. Odore di tabacco e.. menta? No, forse liquirizia. E poi c'era qualcosa di fresco nel suo profumo, forse la brezza della sera che si era infilata tra i suoi vestiti quando era uscito a fumare.
- No, ero con una mia amica ma l'ho persa di vista quando sono andata a ballare.
- Quindi sei.. sola?
Usò un tono velato da una sorta di insicurezza.
Con gli occhi chiusi era più semplice riconoscere le emozioni.
- Sì.
- Davvero?
Sembrava sorpreso.
Questa volta mi limitai ad assentire muovendo la testa.
- Quanti anni hai?
Sorrisi e decisi che avrei aperto gli occhi alla risposta.
- Quanti me ne daresti?
Non aprii gli occhi, cavolo, parlare così era molto più semplice.
Lo sentì sospirare e mi decisi.
Aprii gli occhi lentamente, il mal di testa era passato e le luci del locale mi accecarono per qualche istante.
Lo guardai con la coda dell'occhio, lui aveva lo sguardo perso nella stanza.
Lo osservai in quei pochi secondi che mi rimanevano.
Aveva la divisa e sicuramente era un ufficiale anche perchè sulla giacca blu che aveva sistemato a terra accanto a sè portava un paio di medaglie, i capelli erano neri e corti, il tipico taglio militare, sembrava abbronzato dato il colore scuro della pelle e aveva una piccola cicatrice vicino al sopraciglio destro.
Indossava una camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti e dal taschino sul petto spuntava un pacchetto di sigarette e un accendino. Il colletto della camicia era tirato su, proprio come usavano portarlo i ragazzi.
Tornai a guardargli il viso cercando di capire di che colore aveva gli occhi ma non ci riuscii. Il naso perfettamente dritto, la mandibola ben pronunciata e gli zigomi alti gli conferivano un'aria da duro, chissà com'era realmente.
- Secondo me hai..
Improvvisamente si girò verso di me e si bloccò.
Lo guardai negli occhi.
Aveva gli occhi verdi, un verde molto chiaro, un verde smeraldo.
Occhi di un ragazzo in cui gioventù e spensieratezza erano sparite da tanto tempo, sostituite dagli orrori della guerra, quello guerra che forgiava il carattere di tutti i giovani timidi e insicuri che si arruolavano per il volere dei genitore o per loro personale desiderio di servire la patria.
Occhi spenti, privi della stessa luce dei loro coetanei estranei ai campi di guerra.
Osservai meglio quegl'occhi verdi e vi lessi dentro stupore.
Era sorpreso, ma perchè? Avrei pagato miliardi per sapere cosa gli passò nella testa appena vide i miei occhi.
Sorrise, distolse lo sguardo dal mio e tornò a guardare la pista.
Passarono pochi secondi che mi sembrarono infiniti prima che lui parlasse di nuovo.
- Non immaginavo avessi degli occhi così belli...
Mi guardò di nuovo.
- ... come la proprietaria.
E lasciò vagare lo sguardo sul mio corpo.
Sorrisi e sentii le guancie calde, sicuramente ero arrossita per quel semplice complimento e pensare che non era la prima volta, molte persone trovavano belli i miei occhi azzurri.
- Grazie.
- Comunque, tornando a prima, secondo me non hai più di vent'anni.
Mi guardò e sorrise. Rimasi quasi abbagliata da quel sorriso così perfetto e così splendente.
- Tu quanti ne hai?
Rimase interdetto dalla mia domanda, se credeva che gli avessi detto la mia età si sbagliava di grosso anche se, qualcosa dentro me combatteva per farmi sputare fuori i miei diciassette anni.
- Fra un paio di mesi ne compio ventiquattro.
Sgranai gli occhi, non ero preparata a quella confessione.
Sette anni in più.
E dopo che saprà la mia età, si alzerà con una scusa e non lo vedrò più, pensai.
Mi rabbuiai e tornai a guardare la pista.
- Tutto a posto?
Mormorai un flebile sì senza staccare gli occhi dalla pista.
- Sono troppo vecchio per te?
La sua voce così vicina al mio orecchio e il suo fiato che sfiorò il mio collo mi provocarono una scarica di brividi sulla schiena. Mi voltai verso di lui e lo ritrovai a meno di un palmo dal viso.
Era troppo vicino.
Incrociai il suo sguardo divertito.
Aprii la bocca per parlare ma non uscì nessun suono così la richiusi e inspirai, pessima mossa, il suo profumo riempì i miei polmoni e mi fece girare la testa, possibile che un estraneo mi facesse questo effetto?
Deglutii inutilmente perchè la saliva era scomparsa e avevo la gola secca.
Abbassai lo sguardo, leggermente imbarazzata e osservai le mie mani che tenevo intrecciate in grembo.
- Forse sono io quella troppo giovane.
Scoppiò a ridere.
- Per la miseria, non credo tu abbia dodici o tredici anni.
Risi anch'io un po' sollevata.
- Non ne ho tredici.. Ma neanche venti.
- Okay, vuoi giocare? Allora, io ho ancora due tentativi a disposizione, se non mi avvicino neanche di un anno alla tua età rimarrò tutta la sera con questa incognita ma se invece mi avvicino, tu mi dici quanti anni hai.. ci stai?
- Affare fatto.
Gli strinsi la mano tesa verso la mia. Lui mi guardò bene poi disse
- Diciannove?
Sorrisi.
- No.
Sperai che puntasse più in basso, giusto per non ammazzare la poca autostima che avevo.
Si fece più pensieroso e mi guardò negl'occhi, nei suoi vidi passare un lampo di allegria.
- Quattordici?
Scoppiai a ridere e lui insieme a me.Gli tirai un pizzicotto sul braccio.
- Non esagerare! Sembro così piccola?
- No, ma hai detto che non ne hai nè tredici nè venti e io ho optato per i numeri vicini.
Scossi la testa ancora sorridente.
- Ho diciassette anni.
Confessai velocemente prima di ripensarci. Lui sorrise ancora.
- L'avevo immaginato... non sei poi troppo giovane, in fondo hai solo sette anni in meno di me..
Alzai un sopraciglio e riascoltai quelle parole, un momento..!
- Tu mi stai dando della vecchia!
Scoppiò a ridere e io lo riempii di pizzicotti e schiaffetti.
Iniziai a ridere anch'io, mentre cercavo di pizzicarlo, lui mi faceva il solletico. Lottammo per qualche istante finchè non mi ritrovai tra le sue gambe con i polsi bloccati da una sua mano e il viso a pochi centimetri da lui.
Provai ad allontanarmi ma ero completamente bloccata.
Lo guardai negli occhi, avevo le guancie arrossate per la piccola lotta e anche per l'imbarazzo creato dalla posizione in cui mi trovavo, poi mi si accese una lampadina nel cervello e pian pianino mi avvicinai alle sue labbra.
Chiusi gli occhi e sperai che il mio piano funzionasse.
Le nostre labbra si sfiorarono e pregai Dio di non farmi perdere la lucidità data la vicinanza con lui.
Appena sentii la stretta ai polsi allentarsi, aprii gli occhi di scatto e mi staccai da lui. Mi alzai il più in fretta possibile e, dopo averlo guardato un'ultima volta, scappai fuori dalla palestra.
Lui, un po' stordito dalle emozioni quesi provate, si alzò e recuperò in poche falcate la distanza che ci divideva.
- Aspetta che ti raggiungo e poi vedi!
Lo guardai in piedi, era proprio alto.
Non ci pensai due volte e corsi velocemente per quel poco che i tacchi mi permettevano lasciando dietro a me la scia del mio profumo alla pesca e il suono della mia risata che eccheggiava nel buio del parco.
Lui imprecò a mezza voce e scoppiò a ridere, ora nel parco due risate si mischiavano tra loro svegliando gli scoiattoli e gli echi delle loro corse spaventavano gli uccelli che, ancora addormentati, abbandonavano gli alberi sbattendo furiosamente le ali, uno di questi, forse un gufo, sentendo tutto quel trambusto si alzò in volo e per poco non sbattè contro di me.
Mi fermai e urlai terrorizzata e il povero gufo scappò lontano ugualmente terrorizzato.
Dopo un attimo, due braccia forti mi circondarono e la mia schiena aderì a un petto caldo.
Entrambi con il respiro affannato non parlammo finchè il battito dei nostri cuori non si regolarizzò e mi rilassai contro quel petto caldo.
Lui si piegò in avanti e appoggiò la guancia vicino al mio orecchio.
- Se fossi vecchia, non correresti così veloce!
Mi girai per tiragli un altro buffetto sul braccio ma la sua risata mi contagiò. Chiusi gli occhi e risi insieme a lui. Era da tanto tempo che non mi divertivo così insieme ad un ragazzo.
- Perchè volevi baciarmi?
Mi appoggiai al suo petto.
- Io non bacio gli sconosciuti.
Silenzio.
Un silenzio troppo lungo.
Alzai la testa e lui si abbassò verso di me. Mi sfiorò il collo con il suo respiro e mi baciò più volte, molto lentamente. Le sue labbra calde si appoggiavano alla mia pelle e si spostavano sempre più su, mordicchiò il lobo del mio orecchio e io pensai che avrei potuto sciogliermi se continuava così.
L'aria intorno a noi si riempì dei miei sospiri e dei suoi baci.
- Giusto, io sono un estraneo.. Non so neanche il tuo nome.. Mi chiamo Alexander.
Sussurrò al mio orecchio con voce roca.
Cercai di rispondere ma i suoi baci continuavano a mandarmi in confusione, dubitai di ricordarmi il mio nome.
Presi un grande respiro e parlai o meglio, mormorai.
- Isabella. Isa per gli amici.
Sorrise, mentre baciava la mia mandibola avvicinandosi sempre di più alla mia bocca.
- Non ti chiamano Bella?
- No, perchè io non glielo permetto, solo i miei possono chiamarmi così.
- E io? Posso chiamarti Bella?
Scrollai le spalle.
Rimasi ad ascoltare il rumure dei suoi baci.
- Se ti piace di più, a me va bene.
Era arrivato al bordo delle mie labbra, chiusi gli occhi sperando che la tortura finisse, non ce la facevo più. Il piccolo assaggio che avevo avuto di lui mi aveva fatto impazzire e se non mi baciava l'avrei stuprato.
- Bella, se ti bacio, correrai lontano da me?
Deglutii.
- No.
Le sue labbra trovarono subito le mie già dischiuse che accolsero quel bacio tanto agognato da quando ci eravamo conosciuti.
In quel momento provai tante sensazioni tutte insieme, credetti di conoscere Alexander da una vita, come se fossi stata una sua lontana amica che dopo anni ritorna da lui; lui non approfondì il bacio, per essere un bacio tra due quasi estranei era già abbastanza e per me era sufficente. Si staccò da me e appoggiò la sua testa sulla mia tenendo gli occhi chiusi. Gli accarezzai il petto e sentii il suo cuore battere forte, proprio come il mio. I nostri cuori battevano insieme e veloci, con lo stesso ritmo di due cavalli al galoppo.
Il vento della notte mi fece finire i capelli in faccia, Alexander aprì gli occhi e con una mano mi portò i capelli indietro scoprendomi il viso e le guance un po' arrossate per l'aria fresca e per le emozioni appena provate.
La luna piena, silenziosa spettatrice e unica testimone di quel bacio, quella sera illuminava il buio tra gli alberi del parco e pennellava d'argento i nostri profili.
Lo vidi sorridere alla luce della luna.
- Questo non doveva succedere, vero?
Le sue parole mi colpirono a fondo, aveva proprio ragione, io non ero andata a quella festa per innamorarmi.
- Già, ma ormai non si può più tornare indietro, giusto?
Lo guardai piena di speranza.
- Giusto.
Mi strinse fra le sue braccia e dondolò un po' sul posto portandosi dietro il mio corpo.
- E mi ritrovo a fare da papà.
Scoppiai a ridere e lo guardai negli occhi.
- No, per carità! Uno basta e avanza.
Pensai a mio padre, chissà cosa stava facendo. Probabilmente era intento a discutere di politica o dell'economia del paese insieme al padre di Stefano.
Un'altra volta Stefano.
Guardami Stefano, guarda cosa sto facendo. Conoscendoti so che mi immaginerai a rotolarmi avvinghiata a soldato in un letto sporco con le lenzuola rattoppate di un decadente Motel. Guarda invece dove sono: in un parco alla luce della luna con un ragazzo spensierato.
- Facciamo un giretto.
Sciolse l'abbraccio e io protestai riluttante all'idea di allontanarmi da quelle calde e forti braccia.
- Non ti lamentare Bella, appena troviamo un posto per stare seduti ti abbraccio di nuovo, va bene?
Sbuffai e borbottai un sì. Mi avvicinai a lui e gli presi la mano. Iniziammo a camminare in silenzio, quel silenzio per nulla imbarazzante e pieno di parole non pronunciate ad alta voce. Dopo un po' di strada trovammo uno spiazzo con delle giostre e panchine.
Alexander si avvicinò a una panchina un po' nascosta da dei pini e si sedette appoggiando entrambe le braccia sullo schienale e distendendo le gambe davanti a sè. Rimasi in piedi accanto a lui e incrociai le braccia sotto al seno.
- Dai siediti.
Si spostò un po' sulla panchina e mi sedetti vicino a lui, il contatto delle gambe nude con il freddo metallo della panchina mi fece rabbrividire e Alexander mi prese tra le sue braccia facendomi sedere sulle sue gambe.
- Così va meglio?
- Sì, grazie.

- Raccontami qualcosa di te. Lisciai le pieghe del vestito e alzai le spalle.
- Non credo che la mia vita sia così interessante.
Alexander sbuffò.
Nella mia testa si accese una lampadina.
- Perchè non mi racconti tu, qualcosa?
- Va bene, chiedimi cosa vuoi.
Ci pensai su un attimo.
- Quando ti sei arruolato nell'esercito?
- Ti dispiace se fumo?
- No, fai pure.
Prese una sigaretta dal pacchetto e l'accese, fece un tiro e mandò giù il fumo.
- Mi sono arruolato quando avevo sedici anni, non avevo voglia di studiare. Ero stato bocciato due volte e mio padre mi aveva dato un ultimatum: o andavo a lavorare con lui in fabbrica o mi arruolavo, pensava che arruolandomi avrei rigato dritto e così, appena mi diedero una licenza, tornai a casa e litigai con mio padre perchè io volevo continuare nell'esercito e lui voleva che lavorassi.
- A fine licenza tornai nell'esercito e per tutti gli anni che seguirono non chiesi mai una licenza finchè i miei superiori si stufarono di vedermi sempre in caserma e mi mandarono un mese a casa. Appena arrivai nel paese in cui avevo vissuto, scoprii che mio padre si era suicidato il giorno dopo la mia partenza perchè era pieno di debiti.
Mi portai una mano alla bocca, istintivamente lo abbracciai.
- Scusa, forse era meglio se parlavamo di me.. Mi dispiace molto per tuo padre.
Lui mi strinse tra le braccia e gettò in terra il mozzicone della sigaretta.
- Non importa, dopo quello che ho passato in guerra raccontare la mia storia non mi rattrista, tanto prima o poi l'avresti saputo.
Rimanemmo in silenzio per un po'.
- Anch'io sono stata bocciata una volta, due anni fa per colpa di un ragazzo ...
Lui si irrigidì.
-... che credevo di amare ma poi ho capito che lui non andava bene per me e voleva solo una cosa. Però l'ho capito troppo tardi..
- Quanto, troppo tardi?
Una lacrima mi rigò la guancia, parlare di quella storia metteva a dura prova le ferite non del tutto riemarginate del mio cuore.
- Era il giorno del mio compleanno e lui aveva preparato una sorpresa per me, mi aveva invitata a casa sua perchè i suoi genitori non c'erano e io.. ci sono andata..
- Piccola ingenua innamorata.
Sussurrò al mio orecchio.
- ... all'inizio è stato bello ma poi lui mi ha bendata e mi ha portata in camera sua... ha iniziato a spogliarmi e solo in quel momento ho ... capito che voleva fare l'amore con me.
Ormai le mie guancie erano bagnate dalle lacrime e Alexander cercò di asciugarle con una mano.
- Non gliel'ho permesso ... anche se dentro di me lo desideravo. Ci conoscevamo dai tempi dell'asilo, le nostre mamme erano due grandi amiche di scuola ed era inevitabile che finisse in quel modo, ma io avevo ... appena quindici anni e lui diciassette. Così quella sera lo fermai e lui ... per poco non mi picchiò. Da quel giorno lì non gli ho mai più parlato di mia spontanea volontà, solo quando viene a cena da me con la sua famiglia e se mi incontra per i corridoi di scuola mi parla ma da parte mia, non l'ho mai più cercato.
Il mio corpo era scosso dai singhiozzi del pianto. Nessuno sapeva la verità, nessuno era a conoscenza del vero motivo per cui ci eravamo lasciati, nemmeno Bea.
Non perchè non mi fidassi ma perchè mi vergognavo di quanto ero stata stupida e cieca.
- Shhh, ormai è passato.
Alexander mi accarezzò la schiena cercando di consolarmi.
- Nessuno lo sa.
Dissi a bassa voce che a stento riuscii a sentirmi.
- ... Cosa?
- Non l'ho mai raccontato a nessuno, neanche alla mia migliore amica.
Lui sorrise e mi guardò negli occhi. Quegli occhi così verdi e così sinceri.
- Sono felice che tu me l'abbia raccontato e adesso non ti preoccupare, parla di quello che vuoi, io sono qui per ascoltarti.
Annuii con il capo e iniziai a raccontare piccoli pezzetti dei miei diciassette anni di vita.
Mi chiese che cosa avrei voluto fare dopo il liceo, gli risposi che il mio sogno era diventare un'infermiera e lui tra le risate mi disse che potevo iniziare a fare pratica con il suo corpo. Imbarazzata per quella sua uscita lo pizzicai sulla coscia e a stento trattenni le risate.
Lui mi raccontò che il primo anno da soldato era stato il più brutto perchè aveva lasciato nel suo paesino la ragazza e, appena tornato, lei si era donata completamente a lui. La parte buffa di questa storia era che lui era scappato dal letto della giovane innamorata e non si era più fatto sentire poi aveva scoperto che si era sposata con il migliore amico di Alexander.
- Che stronza!
Lui scoppiò a ridere e mi disse che, in otto anni nell'esercito era diventato Maggiore e con un tono civettuolo gli avevo detto:
- Quindi, caro Maggiore, deve mostrarmi le sue doti nascoste.
E mi ero strusciata contro di lui provocando un attacco di risate a entrambi.
Mi aveva ancora raccontato che un paio di volte era stato in un bordello accompagnato da altri ufficiali e aveva sfogato i suoi desideri. Però giurava che non ci avrebbe messo più piede dentro perchè gli faceva schifo e qualche volta si intratteneva con qualche prostituta che incontrava nelle città abbandonate e rovinate dalla guerra.
- Credo di capirti, dopotutto per voi uomini è quasi una pazzia rimanere senza fare sesso per più di un giorno o sbaglio?
- Ehi, mi stai dando del puttaniere?
Scoppiai a ridere.
- In un certo senso sì, ma non solo a te, a tutti i soldati.
- Non siamo tutti uguali.
Sbuffai.
- Si certo, raccontalo a qualcun'altro.
Lo guardai negli occhi e vidi passare un lampo divertito poi iniziò a farmi il solletico e scivolai dalla sue gambe per scappare lontano da quella tortura. Il solletico era il mio nemico naturale numero uno.
Iniziai a correre nel buio del parco proprio come avevo fatto qualche ora prima fin quando la nostra corsa era terminata con un bacio e sovrappensiero non vidi il ramo in cui inciampiai finendo a terra, mi alzai a fatica e ripresi a correre e siccome la sfortuna era mia grande amica, la gonna del vestito si impigliò tra alcuni rami di rose e si strappò fino alla fascia azzurra sotto il seno lasciandomi le coscie e un fianco scoperto.

Mi fermai di scatto contemplando il disastro e Alexander che correva a tutta velocità dietro di me non riuscì a fermarsi. Dopo aver sbattuto contro il mio corpo ci trascinò entrambi a terra e io finii sciacciata tra il suolo e il suo corpo. Con il fiato corto gli feci capire che non era certo un peso piuma e lui si spostò subito, scusandosi.
Mi sedetti cercando di coprire alla bell'è meglio la coscia interamente scoperta; provai ad alzarmi valutando le possibilità di utilità di quel vestito, pessima mossa. Come due tende slegate dai loro lacci, i lembi strappati del vestito si allargarono lasciandomi seminuda.
Mi risedetti velocemente e aspettai che Alexander avesse finito di sistemarsi le maniche della camicia sui gomiti e lo osservai, lui era in piedi davanti a me con la camicia bianca macchiata dall'erba e i capelli un po' spettinati.
Abbassò lo sguardo su di me e in quel momento desiderai sprofondare, colta in flagrante a osservarlo. Alzò un sopracciglio mentre le mie guance si imporporavano.
- Allora? Ti sei fatta male correndo?
Scossi la testa.
- Avanti, alzati che ho lasciato la giacca e la tua borsa sulla panchina.
Vedendo che non rispondevo si piegò sulle ginocchia avvicinandosi a me.
- Va tutto bene?
Allungò una mano verso il mio braccio per aiutarmi ma lo fermai lasciando per un attimo la stoffa del vestito che ricatturai come un fulmine, fortunatamente non si accorse di quel movimento o se lo notò, non gli died peso e continuò a insistere per farmi alzare.
Lo bloccai all'ennesima domanda tappandogli la bocca con una mano, lui incrociò i miei occhi e lo vidi stupito per quel gesto.
- Non posso alzarmi perchè ho un piccolo problema ...
Nei suoi occhi vidi l'ombra di un sorriso e sentii le sue labbra distendersi sotto al mio palmo.
- ... Ti prego, non ridere!
Lui mosse il capo a destra e sinistra e mi baciò il palmo della mano, poi disse qualcosa che suonava come ''Non rido però togli la mano''. Staccai la mano dalla sua bocca e lui si alzò e restò a guardarmi.
- Non ridere.
Lo supplicai.
Lui alzò i palmi delle mani al cielo, in un gesto di innocenza.
- Non rido ma alzati.
Con un braccio stretto sulla pancia mi alzai e mi pentii subito di quel gesto che lo fece preoccupare.
- Ti sei fatta male?
Ecco, proprio quello che non doveva succedere.
Mi prese il braccio e il vestito si aprì rivelando la curva del mio fianco e l'intera gamba nuda.
Lo vidi sgranare gli occhi e sorridere, poi mi guardò.
Imbarazzata per la millesima volta da quando era iniziata la serata, abbassai lo sguardo e aggrottai le sopracciglia quando vidi quello che rimaneva ai miei piedi: le scarpe sporche di erba e malconce, a quella sinistra si era staccato il tacco durante la mia memorabile caduta, mancava solo questo! pensai.
Alexander mi accarezzò la guancia umida e con due dita sotto al mento, in un gesto molto dolce, mi alzò la testa e mi baciò la punta del naso.
- Piccola Bella, cos'hai combinato?
Sbuffai e pestai i piedi per terra proprio come una bambina capricciosa.
- Ho rovinato il vestito e le scarpe. Guarda!
E gli mostrai il piede sinistro dalla cui scarpa penzolava il tacco quasi del tutto staccato.
- Oh Bella, Bella.
Mi attirò a sè e mi abbracciò.
- Lo sai che io non volevo venire a questa festa?
Lui mi guardò in faccia e fece una smorfia.
- Sul serio, se non fosse perchè dovevo dimostrare a Stefano che io sono capace di fare amicizia con un soldato senza andarci prima a letto, non ...
Alexander si allontanò da me e mi guardò, mi sentii nuda sotto il suo sguardo freddo. La sua mandibola si contrasse. Nei suoi occhi non c'era più il divertimento di qualche attimo prima, erano freddi e lontani e tutto per colpa delle mie parole.
- Quindi tu sei venuta qui per dimostrare a quello stronzo che ti ha quasi stuprata che io non sarei riuscito a farlo?
Mi avvicinai a lui ma ottenni l'effetto contrario di cosa speravo, lui si allontanò, strinse i pugni lungo i fianchi e mi fissò ancora con quegli occhi glaciali che mi fecero rabbrividire.
- Non interrompermi. Io non sarei venuta qui eppure sono venuta e ti ho conosciuto e prima stavo pensando che, grazie a quello stronzo che mi ha quasi stuprata, io ti ho conosciuto e voglio continuare quello che è nato tra noi.
Scoppiò a ridere.
- Ah magnifico, adesso lo devo anche ringraziare, che ne dici di portarmi da lui? Così gli spacco quella faccia di merda.
- Alexander!
Il mio urlo rimbombò nel silenzio del parco.
- Ti prego, non fare il sarcastico, torna quello di prima ...
Mi avvicinai a lui lentamente e lui non si mosse, gli arrivai a pochi centimetri dal petto e allungai le braccia per circondare quel corpo rigido e caldo, dentro il quale scorreva il ghiaccio per colpa mia.
- ... torna il ragazzo che ho conosciuto dentro a quella palestra e di cui mi sono innamorata.
Nascosi la testa nel suo petto e ascoltai il suo cuore a occhi chiusi. Seguii quei battiti che avevano accelerato quando gli avevo confessato che, nonostante fosse presto per dirlo, lo amavo.
Sentii le sue braccia sui fianchi e mi allontanai dal suo petto convinta che se ne volesse andare ma rimasi sorpresa e sorrisi appena le sue labbra incontrarono le mie. Non fu un bacio tanto casto come il primo. Le sue labbra cercavano e divoravano le mie, i suoi denti iniziarono a torturare il mio labbro inferiore finchè la sua lingua non si fece strada verso i miei denti e spinse in una chiara domanda. Dischiusi un po' di più le labbra e la sua lingua incontrò la mia felice di quel nuovo contatto.
Gli portai le mani sulla schiena, lo strinsi a me e cercai di alzarmi in punta di piedi per raggiungere meglio le sue labbra, Alexander inclinò la mia testa con una mano per avere una migliore esplorazione della mia bocca.
Gemetti quando una sua mano accarezzò il mio fianco scoperto e si fece strada sul mio ventre tiepido, proseguì il suo percorso sulla schiena arrivando a sfiorare i bordi del reggiseno e si fermò. Quel contatto inaspettato con la sua pelle calda, quel contatto quasi intimo, un contatto insolito per due ormai non più sconosciuti.
Si staccò dalla mie labbra e appoggiò la fronte alla mia. Riprese fiato e mi guardò con quegli occhi verdi che in quell'istante sembravano vetro fuso, ardenti di desiderio.
- Sei fredda.
E ritirò la mano dalla mia schiena.
- Torniamo indietro così ti metti la mia giacca.
- Sì.
Cercai invano di camminare, il tacco rotto rendeva qualsiasi passo impossibile così lui si offrì di prendermi in braccio e io accettai felice. Fece passare un braccio sotto le mie ginocchia e uno dietro alla schiena, appena mi sollevò mi aggrappai al suo collo e non riuscii a trattenere un gridolino di paura.
- Ma di cosa hai paura?
- Di niente! È solo che sono tanto in alto.
Alzò un sopracciglio e sorrise.
- Non ci credo che niente ti fa paura... E se ti dicessi che adesso voglio fare l'amore con te?
La sua voce era quasi roca dal desiderio.
A quelle parole il mio cuore iniziò a martellarmi in petto, le farfalle iniziarono un festino privato nel mio stomaco e più in giù qualcosa dentro me si scaldò. Appoggiai la testa nell'incavo del suo collo.
- Ti risponderei che non ho paura perchè non lo faresti, lo desideri ma non lo faresti ... Mai.
Scoppiò in una risata fragorosa e si fermò abbandonandomi contro un albero per poi avvicinarsi intrappolandomi tra il suo corpo e la corteccia umida dell'albero. Mi guardò e iniziò a baciarmi il collo mentre con le mani spostava i lembi del vestito per stringermi i fianchi, si avvicinò al bordo delle mutandine e sorrise contro il mio collo. Una sua mano scivolò dietro al mio sedere e lo tastò attraverso il sottile cotone della biancheria.
Gemetti e appoggai la testa all'albero guardando il cielo scuro pieno di stelle.
- Ne sei proprio sicura?
La colpevole di avermi provocato un gemito si spostò verso il mio ventre sfiorando la stoffa e allontanando l'elastico dalla pelle troppo sensibile a quel tocco.
Gemetti di nuovo, questa volta più forte e mi maledissi, non potevo essere così disinibita solo per una semplice carezza. L'altra mano intanto armeggiava con il fiocco della fascia azzurra, dopo averlo sciolto il vestito scivolò lungo i miei fianchi lasciandomi il reggiseno blu scoperto.
- Lo sai che sei stupenda?
Mormorò con voce roca dopo avermi guardata.
Decisi che dovevo muovermi e gli appoggia le mani sulle spalle, lui non si staccò da me e mi mordicchiò il collo strappandomi un altro gemito.
- Al ... Alexander, tu non fai l'amore con le ragazzine appena conosciute. Lo fai solo con le prostitute che non conosci e che non v..vedrai mai più.
Mentre parlavo una sua mano mi stava accarezzando l'interno della coscia avvicinandosi pericolosamente alla mia femminilità. Non appena terminai la frase si staccò dal mio collo e mi guardò negli occhi.
- Tu non sei un puttaniere e io ho freddo.
Mi sorrise e con cura mi sistemò il vestito cercando di ricostruire il fiocco sotto al seno. Questa volta sorrisi io, era abbastanza impacciato probabilmente la causa era il mio seno che si alzava e si abbassava velocemente per il respiro ancora scarso.
Completò l'opera lasciandomi un bacio sul cuore che ricominciò a battere come un pazzo. Mi riprese in braccio e proseguì verso il piccolo spiazzo con le giostre.
- Sai, mi sono divertita parecchio questa sera.
Arrivammo alla panchina e lui mi fece indossare la giacca dell'uniforme che mi stava un po' grossa, però mi teneva caldo e aveva il suo profumo.
Ridemmo entrambi per quanto apparivo buffa e mentre rovistavo nella borsa alla ricerca del cellulare, lui mi abbracciò da dietro appoggiando il mento sulla mia testa, posizione molto comoda per lui dal momento che io ero più bassa.
- Io invece sono felice di aver conosciuto una ragazza così timida e anch'io mi sono diveritito a fare il ragazzino.
Guardai lo schermo del cellulare:
17 Chiamate Perse
4 Nuovi Messaggi
Guardai subito le chiamate perse, tutte di Bea tranne due che erano di Casa. L'ultima chiamata di Bea era stata fatta alle 1:43, sgranai gli occhi non appena lessi l'ora. Guardai l'orologio in un angolo dello schermo e mi lasciai scappare un sorriso.
- Hei Alexander, hai l'ora?
- Sì..
Alzò il polso e guardò l'orologio.
- ... Sono quasi le quattro!
- Già, hai visto quanto ci siamo divertiti?
Mi baciò tra i capelli e guardai i messaggi, tutti di Bea. L'ultimo l'aveva mandato alle 2 in punto.
'' Isa! Cosa combini?? Ti ho chiamato un casino di volte ma non mi rispondevi, scommetto che sei andata a imbucarti dietro un cespuglio con quel soldato figo, ''
con quel soldato figo!? sicuramente ci aveva visti, eh sì, lui era proprio figo!
'' so che ti starai chiedendo come faccio a saperlo e ti rispondo che mentre tu lo sbaciucchiavi attaccato al muro, io stavo uscendo dalla palestra con Max, sai quello dal bancone? Mi ha portata in caserma e l'abbiamo fatto ma ti spiego di persona. Spero che il tuo bel soldato (Max mi ha detto che si chiama Alexander e sono grandi amici) abbia messo a dura prova la tua intatta verginità e che sia andato fino in fondo!! Adesso io sono a casa e cercherò di dormire, quando arrivi davanti ai giardinetti fammi uno squillo così ti apro il portone. Baci Baci. Bea''
Risi fino a piangere e Alexander, incuriosito, mi prese il telefono e dopo che lesse tutto alzò un sopracciglio.
- E sentiamo, il tuo bel soldato l'ha messa a dura prova questa ''intatta verginità'' ?
Domandò Alexander lasciandomi dei piccoli baci sulle labbra.
- Oh, puoi starne certo! Solo che adesso non so che fare, Bea mi ha mandato il messaggio due ore fa e non vorrei disturbarla.
Pensai freneticamente a una soluzione possibile, e se l'avessi chiamata e avessi svegliato i genitori? A casa non potevo presentarmi con il vestito strappato e poi le chiavi l'avevo lasciate in camera di Bea.
- Puoi venire in caserma da me.
Guardai il sorriso trionfante sul volto di Alexander.
- Magari metto a dura prova la tua resistenza!

   
 
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