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Autore: Jack_Chinaski    28/07/2012    1 recensioni
Vita e morte, vita e morte, vita e morte.
Quindi il coma è un intervallo?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ora che Ivan è morto, se qualcuno volesse sentire da me la sua storia non saprei che dire.
Potrei dirgli che avevo messo l’annuncio per un appartamento al pian terreno, sotto il mio.
Era un piccolo monolocale, ma a lui non interessava.  Così come poco gli importava in quale punto della città fosse o quale fosse il prezzo mensile.
L’unica cosa che sembrava interessargli era capire se si poteva ottenere lì una totale oscurità.
Era un ragazzone bruno, avrà avuto intorno ai trent’anni come me e vestiva sportivo ma alla marca.
S’era portato appresso dei rotoli di stoffa e s’era messo lì, con fare preciso ed esperto, a cercare di capire usando queste pseudo tende.  Non era il comportamento o la richiesta più assurda che avevo sentito fino a quel momento e infondo non mi stava dando alcun fastidio.
Non avevo avuto il coraggio di chiedergli perché facesse quello che faceva, era così preso.
Poi dovevo ammettere che in un certo senso mi metteva agitazione e ansia, soprattutto quando si voltava a darmi uno sguardo e sbuffava. Sembrava veramente infastidito dal fatto che io fossi ancora lì ogni volta.
Alla fine, venne verso di me raggiante.
“La prendo!”

Dopo avergli dato le chiavi e preso una caparra, passarono diversi giorni e di lui non ebbi più alcuna notizia.
Pensando allo scherzo di un lunatico, ero pronto a cambiare la serratura, quando il resto dell’ammontare del primo mensile mi arrivò preciso e puntuale.
Fui colto dalla curiosità e dal bisogno di capire, scesi al suo appartamento e bussai.
Nessuno mi venne ad aprire, così decisi di entrare con la chiave di riserva fatta per lui.
Fui accolto dal buio più totale e fu facile per la luce del corridoio penetrare la camera, fino ad arrivare ad un corpo disteso su un letto.
“No! No! Niente luce, brutto figlio di puttana! Chi sei? CHI CAZZO SEI?!”
“Sono Giacomo, il proprietario. Io volevo…”
“T’ ammazzo! Te lo giuro, stronzo! Sei morto!”
Era scattato verso di me troppo velocemente perché trovassi il coraggio di muovermi.
M’aveva sbattuto al muro e mi guardava con quella sua facciata a metà, fra l’ombra e la luce.
Il suo occhio, così, sembrava quasi vitreo e morto. I suoi denti erano zanne perfette per il mio collo.
Mi guardò per un po’, mi venne in mente l’immagine di un giudice supremo che decideva della mia esistenza.
“Chiudi la porta, stronzo”
Obbedii, si tolse d’addosso e si andò a sedere in un qualche punto davanti a me.
“Siediti, su”
“E che non si vede niente”
“Non c’è un cazzo in questo posto, quindi ti puoi sedere tranquillamente”
Strisciai per terra, tenendomi con le spalle al muro.
“Mica anche tu sei venuto qui per aiutarmi, vero?”
“No! Assolutamente! Io non voglio aiutarti!”
Lo sentii ridere nell’ombra.
“Molto gentile da parte tua”

Parlammo per un po’, un bel po’.
Mi spiego d’essere depresso, mi spiego che in realtà non era affatto depresso ma non esisteva termine medico per la sua situazione  e quindi era “depresso fino a miglior definizione”.
Mi spiegò che stava così perché la sua ragazza d’una vita, un storia durata diec’anni, l’aveva lasciato con un sms, per poi sparire nel nulla e mi spiegò pure come e perché gli stava sul culo la tecnologia ora.
Non voleva niente, non voleva nessuno. I suoi avevano perso le speranze e gli finanziavano la casa e la stoffa per le tende, convinti , secondo lui, di salvarlo così dal suicidio.
Ma lui non voleva morire, mi disse, non lo voleva affatto.
Era solo stato diec’anni appresso ad una persona e non erano mica pochi, ora tutto era sfumato e lui riteneva di meritarsi tutto ciò.
Riposo, tranquillità e buio, una distesa infinità di buio.
Il buio gli piaceva un sacco, mi raccontò, perché lui la vedeva come la possibilità di mantenere la totale incognita sulle cose.
Mi diceva entusiasta come fin quando non accendi la luce, il buio t’offra una prospettiva infinita di cose.
Se il buio persiste, non possiamo avere alcuna conferma di cosa ci sia dentro e quindi può esserci tutto e niente.
In quel buio c’erano forse gli anni persi con la sua lei, c’era forse il senso della sua vita attuale, c’era magari persino l’obiettivo del suo domani. E forse, ogni tanto gli piaceva pensare, forse c’era persino ancora lei.
Lui poteva toccare ancora una volta toccare tutto ciò, credere che la sua vita era ancora lì.
Non era successo niente, era tutto un brutto sogno. Accendi la luce e ti accorgi che le cose sono lì, sei nella tua camera, sei nella tua casa, sei nella tua vita.
Ma adesso era troppo presto, non se la sentiva di guardare le cose con la luce.
Ora voleva il buio totale, portatore di speranza.
Parlammo ancora di un po’ di cose, mi piaceva Ivan e il suo modo di prendere anche le cose più tragiche con un po’ di ironia, col sorriso.
Non tornai mai più da Ivan, non riuscivo ad andarci.
Dal canto suo, lui mi faceva sapere d’essere vivo mandandomi sempre con totale precisione i soldi dell’affitto mese dopo mese.
Poi un giorno insieme al mensile, che mi faceva trovare sempre nella mia cassetta, lasciandomi immaginare fossero gli unici momenti in cui usciva dal suo buio, trovai una lettera.
La lessi, c'erano la dichiarazione disperata di una donna e una fotocopia di analisi mediche. Ivan era malato in modo grave, aveva l'Aids. Un giorno mi disse che gli stava bene, lo considerava l'ultimo dono della sua amata
In quel momento e più avanti, mi vennero in mente mille domande e possibilità. Perché non provava a curassi? Perché non avvisare nessuno? Ora che sapeva perché l'amore della sua vita l'aveva abbandonato, per quale motivo non cercava di riacciuffarlo? Ma non gli chiesi mai niente e lui non si spiegò mai. Era fatto così, ad oggi sono ancora felice di non aver mai rovinato tutto con quelle domande. Intanto non sapevo perché mi mostrasse questo, fin quando non lessi cosa aveva scritto sotto.
“Penso basti come avviso di trasloco”
Sorrisi, era proprio nel suo stile. A quanto pare anche io gli ero piaciuto più di quanto pensassi.
Cominciammo una piccolissima corrispondenza, era assurdo visto che fra di noi c’erano solo pochi metri in linea d’aria ma m’ero abituato a queste piccole “follie”. Mi piacevano pure in un certo senso.
Gli raccontavo anche di cose mie, di come vivessi da solo perché anche io avevo avuto una storia simile alla sua. La mia, gli scrivevo, era durata di meno, solo 5 anni però quella casa l’avevamo presa insieme per viverci per sempre e il monolocale doveva essere la nostra “cantina”. Ora ricominciare mi sembrava puerile, vuoto. Lui se la rideva, dicendomi come voleva ricalcolare il prezzo dell’affitto.
Eravamo molti simili noi due, lui pensava fossi io quello col coraggio, perché continuavo a stare alla luce,e io pensavo fosse lui ad averne, visto che viveva fino e infondo alle tenebre del suo dolore.
Gli spiegai come avevo perduto il posto e ora lavoravo da casa, come blogger per un giornale.
Lui rilanciò dicendo di aver sempre lavorato nell’azienda di famiglia e quindi di non aver mai veramente lavorato.
Altre volte erano solo messaggi banali, come riferimenti ai tuoni della notte passata o al comportamento sgarbato di qualche condomino. Sembravamo quasi due innamorati timidi e impreparati al nuovo sentimento.
Mi consigliava, sempre con la sua solita ironia, di partire e di non preoccuparmi del mensile, che lui me l’avrebbe fatto trovare e non speso tutto in alcol e donne.
Così l’ascoltai e approfittai d’un offerta online per starmene qualche giorno fuori.
Quando tornai era fine mese, controllai la cassetta sicuro di trovarci i soldi e magari pure qualche messaggio.
Era vuota. Cioè c’erano diverse pubblicità e bollette, ma di suo nulla.
Istintivamente mi preoccupai, decisi naturalmente d’aspettare ancora un po’.
Alla fine della giornata, non resistiti e andai fuori dalla sua porta.
Lo chiamai più volte ad alta voce, bussando e la risposta fu il niente assoluto.
Sapevo cosa dovevo fare, ma il mio cervello aveva mandato un diverso impulso alle mie mani. Stavano cercando nelle mie tasche, cercavano il portachiavi e un ricordo collegato ad esso.
Non avevo mai dato quella chiave di riserva a Ivan, alla fine.
Entrai in casa, accesi l’interruttore e lo vidi lì, immobile sul letto.
Naturalmente sapevamo dovesse succedere, avevamo sviscerato abbondantemente la cosa eppure era ugualmente uno schifo. Quel ragazzo bruno ora non c’era più, aveva lasciato il posto ad un vecchio con le guance affossate e l’espressione dolorante.
Gli rimboccai le coperte istintivamente e gli chiusi gli occhi, rimanendo un po’ lì a guardarlo come una madre amorevole e preoccupata.
Pensai che fosse metafisico, era come vedere me stesso morto.
Volevo abbracciarlo e scuoterlo, dirgli di riprendersi, ma non feci niente di tutto ciò.
Notai come fra lee mani serrate ci fosse un pezzo di carta, feci un po’ di forza per sottrarglielo.
Era sporco di sangue, come la sua mano, c’aveva tossito dentro, forse.
Sapevo che era per me, il biglietto che metteva fine alla nostra corrispondenza, alla nostra storia.
La fine del nostro buio e l’accettazione delle cose.
“Sai la cosa che più mi da fastidio di dover morire qual e’, Giacomo?
L’idea che devo andare incontro alla luce!”
   
 
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