Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Cleo    12/02/2007    2 recensioni
Forse avrei potuto trovare altre parole, forse avrei potuto essere gentile, ma se così avessi fatto non avrei visto l’espressione sconfitta sul viso di lei, e, anche a costo di risultare cattivo, ho amato quell’espressione. Ho amato quell’espressione sul quel viso solitamente così deciso e risoluto, ho goduto alla vista delle lacrime sepolte nel fondo di quegli occhi freddi e al tempo stessi così caldi per chi vi sapesse scrutare dentro, sono rimasto impassibile davanti a quei lineamenti morbidi contratti dal dolore.
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lui la amava.
Davide, il mio migliore amico, la amava.
E lei, lei, ha commesso il gigantesco sbaglio di innamorarsi di me.


<< Se anche quella storia fosse stata vera, io…ecco, non credo che mi sarebbe importato, perché mi piaci. Mi piaci tanto. >>
Dietro di me, riuscivo quasi a sentire il cuore del mio migliore amico spezzarsi, rotto dall’ingenuità di quella stupida ragazzina che credeva di sapere tutto sull’amore ma che in realtà non ne sapeva niente, quella ragazzina che pensava di potermi leggere come un libro aperto con un solo sguardo.

Non aveva capito niente.

La freddezza era la sola arma che avevo.
<< Lascia perdere. >>
Forse avrei potuto trovare altre parole, forse avrei potuto essere gentile, ma se così avessi fatto non avrei visto l’espressione sconfitta sul viso di lei, e, anche a costo di risultare cattivo, ho amato quell’espressione. Ho amato quell’espressione sul quel viso solitamente così deciso e risoluto, ho goduto alla vista delle lacrime sepolte nel fondo di quegli occhi freddi e al tempo stessi così caldi per chi vi sapesse scrutare dentro, sono rimasto impassibile davanti a quei lineamenti morbidi contratti dal dolore.
E nonostante questo, nonostante stesse soffrendo, lei non ha fatto niente, non ha avuto la minima reazione. Da acida, pungente, forte, stupida ragazzina qual era, ha capito che piangendo mi avrebbe solo dato un’altra soddisfazione, così è stata zitta, ferma in mezzo alla stanza, nuda nel suo dolore e nel contempo così terribilmente orgogliosa dai suoi sentimenti da farmi salire il sangue alla testa per la rabbia.
L’ ho guardata un’ultima volta e ho lasciato la stanza, abbandonando Davide a contemplarla come se fosse la cosa più meravigliosa di questo mondo, tacitamente rinunciando a fargli capire che lei non si sarebbe mai accorta del modo in cui lui la guardava.


Una volta lei, Rebecca, era mia amica.
Una volta il suo viso rotondo, la sua simpatia e il suo non essere come tutte le altre ragazze mi affascinavano terribilmente.
Rebecca non era bella. Aveva un viso particolare, dagli occhi grandi e il naso un po’ a patata. Si poteva affermare tranquillamente che fosse carina, ma lo era sempre nella norma.
Per me, Rebecca era sexy. Sexy di quella femminilità innata che il suo corpo, solido e materno al tempo stesso, dalle spalle e fianchi larghi, vita stretta e seni prosperosi, trasmetteva in modo assolutamente inconscio, e che, quando avevo ancora quindici anni e andavo a scuola con lei, mi faceva impazzire.
Non che fossi innamorato di Rebecca, anzi, tutt’altro. Mi capitavano certi periodi in cui non la sopportavo proprio. Non riuscivo a soffrire la sua parlantina loquace, la sua curiosità a volte tremendamente fastidiosa e, soprattutto, la sua intelligenza, con cui, in qualche modo, lei riusciva sempre a farmi sentire inferiore. C’erano momenti in cui la odiavo e cercavo sempre di sminuirla, di far risultare le sue parole ridicole, e per quanto qualche volta riuscissi a farla vergognare profondamente, quasi sempre lei riusciva a farmi passare per un idiota. Per questo la odiavo e sempre per lo stesso motivo alcuni la amavano.
Per quanto la detestassi, chiunque in quel periodo avrebbe potuto dire che fra noi c’era una sorta di alchimia, una strana attrazione che comunque non sapevamo come reprimere. Mi soffermavo spesso a guardarla e lei guardava me, non si poteva negare. Ma non è mai successo niente, per quanto io non possa – o non riesca - giudicare se sia stato positivo o negativo.


Non so come Davide abbia iniziato ad accorgersi di lei, perché lui e Rebecca erano e sono due individui completamente diversi.

Si definiscono parallele due rette che, anche prolungandosi all’infinito, non si incontrano mai in uno stesso punto.

Lui era uno di quei ragazzi alla Sesso, Droga & Rock ‘n’ Roll, tutto discoteca e canne, mentre lei era una brava ragazza che non faceva ciò che voleva fare, perché altrimenti sarebbe stata cattiva e avrebbe deluso i suoi genitori e chi per loro. E lei letteralmente detestava deludere le aspettative.
Mi sono accorto che Davide era interessato a lei un giorno in palestra. Io la guardavo e anche lui la guardava, con una bramosia che non avevo mai visto nel suo sguardo, quella bramosia che forse si rifletteva nel mio.
L’ ho guardato negli occhi e lui me l’ ha detto:
<< E’ bella. >>
Ho semplicemente scrollato le spalle, annuendo.
<< Credo di essermi innamorato di lei. >> sempre lui che parlava, sempre io che annuivo, incredulo e forse non tanto stupito da quella rivelazione.
<< Andiamo, non te la darà mai. >> Giacomo era sempre schietto, diretto, dritto al punto. Spesso irritante. Ma quella volta, anche se mi doleva ammetterlo, aveva perfettamente ragione.
<< A dir la verità, non la darebbe a nessuno di noi. >>

Non sapevo ancora di avere torto.

<< Guarda che piaci a Davide. >>
La sensazione che seguiva la vista di Davide imbarazzato nel guardarla negli occhi era assolutamente impagabile.
Rebecca non sapeva assolutamente gestire i corteggiatori. Li trattava come se fossero normali amici, ma al primo accenno, alla prima battuta, arrossiva e diventava una furia. Con Davide non era stato diverso.

<< Sei uno stronzo. >> Probabilmente quell’affermazione fatta con un tono arrabbiato mi avrebbe sorpreso di meno, ma Sara non era tipa da urli e litigate. Lei era tranquilla e serena. Ma era dura. Dura come la sua frase, come ciò che pensava, dura come ciò che aveva vissuto. Dura come le verità che mi sussurrava spietata all’orecchio.
<< Dici tanto degli altri, ma alla fine vedi?, sei come loro. L’ hai ferito e l’ hai deluso. Sei uno stronzo e un cattivo amico. E’ inutile che fai il superiore, il saputello, da queste cose si vede cosa sei veramente: una merda. >>

E’ vero. Sei una merda.
Sei una merda perché non sei capace di dirle quello che provi.
Se una merda perché ti ammazzi di seghe per lei e dici di odiarla.
Sei una merda perché lo compatisci per essersi innamorato di lei, ma in realtà lo sanno tutti che fai solo finta.


<< Ciao. Come stai? E’ da un po’ che non ti sento. >>
In quel momento, odiavo gli sms, odiavo il cellulare ma soprattutto odiavo tremendamente lei. << Sono malato. Ciao. >>
Freddo. Freddo e distaccato. Non lasciarle mai capire più di quello che dovrebbe sapere.

<< Guarda che lo so che sei attratto da lei. >>

Forse sarebbe stato meglio se Davide mi avesse mentito. Se avesse fatto finta di non conoscere la verità. Forse, se lo avesse fatto, avrei potuto evitare di sentirmi in colpa ogni volta che incontravo quello sguardo nero così triste e rassegnato e pensare che fosse tutta colpa mia se lei non lo amava.
Rebecca aveva questa caratteristica, che non riesco a classificare come difetto o pregio, di saper sfruttare le persone. Era straordinariamente abile nel mascherare la sua antipatia nei confronti di questo o di quello, e se questa persona però le voleva bene, o addirittura l’amava, Rebecca sapeva perfettamente ottenere tutto ciò che voleva con uno schiocco di dita.
Quante volte l’ ho vista manipolare i suoi corteggiatori, regalare sorrisi falsi e sbattere le lunghe ciglia sugli occhioni scuri e avere tutto ciò che voleva…
Ero sicuro che con Davide sarebbe stato diverso; il mio migliore amico era forte, era un duro, e le ragazze non avevano alcuna influenza su di lui. Forse avevo sopravvalutato lui o sottovalutato lei, fatto sta che, con il passare dei giorni, ho visto Davide cadere perfettamente nella sua rete, anelando da lei qualcosa di più di un semplice sorriso o una parola di ringraziamento.

La odiavo più che mai.

Osservarla civettare apertamente con Davide mi mandava in bestia.
Avevo paura, avevo una tremenda paura che lei lo ferisse. O che lui ferisse lei.
Si è alzata, si è diretta verso il bagno; ho stretto i pugni fino a farmi sbiancare le nocche e l’ ho seguita.
Era davanti alla porta del bagno, aspettando il suo turno, sospirando e mangiucchiandosi svogliatamente le unghie.
L’ ho afferrata per un braccio e l’ ho sbattuta contro il muro, mentre la mia rabbia assolutamente ingiustificata saliva continuamente alla vista dei suoi occhi innocenti e spauriti.
<< Che c’è? >>
<< C’è che sei una troia. Lascialo in pace. >>
Ha stretto la mascella e socchiuso gli occhi, arrabbiata. La mia mano sulla sua spalla formicolava dal desiderio.
<< Vaffanculo. Io faccio quello che voglio. >>
<< Scommetti di no? >>
<< Solo perché tu non sei capace di farti avanti io dovrei vivere come una monaca di clausura? >>
Un sussurro gelido, una verità sbattuta in faccia nel più vile dei modi, che mi ha bloccato il respiro per un secondo.
Le ho fissato apertamente le labbra, rosse e socchiuse, e ho rafforzato la stretta sulla sua spalla, facendola gemere di dolore.
<< Forse hai ragione. >>
La porta del bagno si è aperta ed una signora sui quarant’anni è sbucata fuori, fissandomi male alla vista della mia mano stretta sulla spalla di Rebecca. L’ ho lasciata andare di colpo, sicuramente non mortificato come la signora avrebbe voluto.
Ho lanciato un’ultima occhiata maligna a Rebecca, prima che scappasse verso quel tavolo di pizzeria dove avrebbe trovato rifugio dalla mia ira.

Giuro che l’avrei schiaffeggiata o baciata. Oppure tutt’e due.

Mi sono avviato tranquillamente al tavolo, le mani in tasca, e mi sono seduto al mio posto. Lei si è avvicinata a Davide e ha riso per qualcosa, scotendo i lunghi capelli castani.

Poi si è piegata e l’ ha baciato nel modo in cui io avrei voluto baciare lei.

E quel tarlo che mi ha fatto domandare se l’amassi, il tarlo del dubbio, si è fastidiosamente insinuato in me.



  
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Cleo