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Autore: aire93    29/07/2012    2 recensioni
Lo so. Il mondo è stupendo, la vita è preziosa, e bisogna viverla al meglio. Ma qualcuno mi spieghi come posso farlo. Mi sto spostando da anni, continuo a cambiare scuola. Ho 18 anni e sono solo. Solo come un cane. Vorrei piangere, non ho progetti. Non ho una vera vita. Dovunque vado, lascio una traccia indelebile sull’annuario, che ogni anno è l’ultimo. Ho smesso di sognare, solo gli stupidi lo fanno. E oggi, davanti alla mia nuova scuola è lo stesso.
Ryan Ross, 18 anni e poche speranze per il futuro. Sempre in movimento, mai in un luogo stabile. Riuscirà a legare con i membri della 5b, classe che sta attendendo la fine dell'anno per affrontare i temutissimi esami finali? Troverà un po' di pace nella sua vita frenetica? Nuovi amici, gite e rivelazioni che daranno vita ad un ultima parte dell'anno col botto.
Genere: Drammatico, Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Cobra Starship, Fall Out Boy, Panic at the Disco, The Academy Is
Note: Cross-over, Lemon | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Only Exception Series'
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Chapter 1
 
Apro gli occhi.
C’è un silenzio pacifico attorno a me; mi guardo in giro, capendo di essere sospeso su cumuli grigiastri e apparentemente morbidi di nuvole.
Sono davvero nuvole? Non ne sono molto sicuro: la realtà è che non ho paura di galleggiare nel nulla  ed è già un traguardo per uno come me, timoroso di tutto.
Questa non può essere la realtà, perché generalmente io ho sempre paura.
Cerco di rilassare le gambe, protendendo il busto in avanti per spostarmi, e facendomi strada in qualche modo agitando le braccia. I miei arti superiori si confondono col grigiore attorno a me.
Tutti mi dicono che sono troppo ossuto, da risultare quasi trasparente, ma io non ascolto mai gli altri. L’agitare delle braccia fa dileguare leggermente il nulla che mi circonda, così da poter vedere cosa mi sta attorno.
I miei piedi, all’improvviso, si posano su qualcosa di duro e ruvido, un pavimento, forse.
Un improvviso vento, oltre a scompigliarmi i capelli, riesce a spostare tutte le nuvole, mostrandomi dove effettivamente mi trovo: in un enorme stazione brulicante di persone.
Eppure, nonostante l’apparente chiasso della folla, io non sento nulla: la gente gesticola, si spintona e sale su un enorme treno rosso, stranamente a tre piani, con il vapore che forse era la causa del grigiore nel quale ero immerso prima.
La gente mi spaventa: non ci sono altro che individui senza nome e senza volto che sono mossi dalla fretta di salire. Provo a calmarli, ma la voce non mi esce.
Loro sono come tutti quelli che mi conoscono, Jac in primis.
Ero con lei, qualche minuto fa, sulle montagne russe. Mi stava raccontando di come procedeva la sua coltivazione di cagnolini, solo che io non riuscivo a risponderle che i cagnolini non si coltivano. I suoi capelli biondi, simili alla paglia, mi volavano sul volto,in più la sua pelle aveva assunto uno strano colorito disgustosamente violaceo e il make up pesante che aveva applicato, la faceva assomigliare ad una melanzana truccata.
Non mi manca molto durante il giorno, la mia ex- ragazza. Ha fatto uscire il peggio di me,  in quei mesi che siamo stati insieme: ho fumato tre spinelli, 5 pacchetti di sigarette e ho mentito troppe volte ai miei genitori. Le ragazze mi fanno questo effetto. Quando sto con loro, cambio.
Mio padre, comunque, me l’ha fatta pagare cara.
Tento di farmi spazio tra la folla, mosso da un orgoglio che non credevo di possedere. Voglio salire sul treno. Un individuo cerca di farmi cadere nella foga di salire, ma io mi ribello e lo colpisco con un calcio. Sono a piedi nudi e mi faccio piuttosto male, ma almeno il tizio evapora.
Evapora?
L’intera folla scompare in dei “pop” che io finalmente sento, mentre il treno fischia chiaramente, i cartelloni pubblicitari scorrono, ma non riesco ad intuirne le parole.
Il treno si sta allontanando progressivamente, il vapore crea un piacevole contrasto con il marroncino del mattone, materiale di cui è composta la stazione. Cerco di inseguirlo, ma lui prende sempre più velocità, con il fumo che si espande nell’aria.
 Ho un’improvvisa voglia di cappuccino. Il vapore ora mi risucchia lentamente, si impossessa di me, e sono di nuovo immerso nel nulla. Mentre il fischio del treno mi penetra nelle orecchie, apro gli occhi.
 
Il rumore del bollitore, proveniente dalla cucina, è il primo suono che mi dà il benvenuto oggi. Sembrava così simile al fischio del treno…a volte l’inconscio ci fa scherzi mica male. Stupidi sogni inutili. Chi ha mai visto, poi un treno a tre piani?
Senza muovermi troppo, parzialmente stordito dal sonno, cerco con lo sguardo la sveglia luminosa: il color amaranto del display mi avverte che sono le 6:59 di mattina.
Le coperte di lana sono la causa del piacevole tepore che avverto: il loro calore, la sofficità al tocco, mi fa sembrare di stare davvero sulle nuvole.
Sarebbe un momento perfetto, se non avessi la bocca amara, gli occhi pesanti e pieni di crosticine. Buongiorno, cara, disarmante, allegria mattutina. Senza contare che  l’unica prospettiva della giornata è quella di andare a scuola
 
Sento un vociare fastidioso proveniente dalla cucina. I miei genitori: Cindy e George. Le loro voci, con un tono troppo alto per essere mattina, mi stordiscono.  Staranno sicuramente parlando di me.
Un motivo in più per non abbandonare la mia nuvola di piacere, nella quale le lenzuola sembrano fatte di seta. Mi giro dall’altra parte, abbracciando le coperte, come a cercare del sostegno. Questa è una giornata importante per me. Una di quelle da cerchiare di rosso sul calendario.
 
Oggi, 19 febbraio, è il mio primo giorno di scuola. I miei , dopo avermi trascinato in giro per gli Stati Uniti per anni, hanno deciso che il loro povero figlio senza amici e con un deplorevole orecchino nero, in memoria delle ragazzate commesse con Jac, debba essere iscritto a scuola al più presto. “Non sia mai che perda l’anno..” sento dire da mio padre.
Io, Ryan Ross, ne ho persi un sacco, di anni. Non scolastici, sia chiaro. Anni di amicizie, di tranquillità e di stabilità. Soprattutto di stabilità.
Questo perché i miei non riescono a trovare un luogo fisso dove fermarsi. È così difficile, per loro, fare in modo che il lavoro duri più di quattro mesi nello stesso luogo. E quello che ci rimette chi è? Ma io naturalmente.
“Ryan, sveglia!! Non vuoi perderti il tuo primo giorno di scuola, vero??” mia madre urla al nulla dal piano di sotto e io mi giro di nuovo dall’altra parte del letto.
Sempre la stessa storia. Quasi ogni sei mesi. Non ho amici, non sono riuscito a farmene, quando ero nelle altre scuole. È colpa della mia timidezza, ovviamente. Nei film vedo sempre che i ragazzi sfigati come me trovano l’amico o l’amica che li “salva” e che li fa diventare più popolari, o almeno fa sopportare loro una permanenza a scuola altrimenti difficile.
Ma sono solo film.
La dura realtà è sentire urlare tua madre alle 7 del mattino, toccarti la spalla e sentire ancora il calore dell’acqua di cottura che ti sei rovesciato addosso inavvertitamente il giorno prima, mentre litigavi con tuo padre e, come al solito, non avere nessuna speranza per il futuro.
 
Sarà meglio alzarmi. Nonostante il buio tranquillo della mia stanza, riesco a notare il mio calendario. Ogni primo giorno di scuola in una nuova città, si è tramutato in una data sul calendario da cerchiare, quasi a sembrare date di un tour. Va avanti così, dal 2001. L’ultima data scritta è quella di oggi: luogo di un probabile concerto, Detroit. Abbraccio dei fan: zero spaccato.
Sono in “tournee” da 10 anni non ho idee di come potermi fermare. Scendo le scale con tutta la calma del mondo.
 
La cucina è una delle stanze più grandi della casa: fornita di ben due tavoli, quello per gli spuntini e quello dei pranzi. Un arco color bluastro li divide, sul quale si srotola un lungo piano cottura, quasi fosse un serpente. Le finestre danno sul giardino, e portano talmente tanta luce che non c’è quasi bisogno di usare quella elettrica.
Appena entro in cucina, un piacevole sfrigolio e l’odore del caffè, mi danno il buongiorno.
 
“Ryan, forza! Dai non sei contento? Oggi conoscerai un sacco di gente nuova !!”
 
Mia madre è sempre così entusiasta. A volte la invidio… io non sono mai stato così. Già a quest’ora è in grado di volteggiare tra il tavolo e il piano cottura, dove sta cucinando del bacon e rompendo delle uova, mi sembra, di buon umore e assolutamente sveglia.
Per le giornate importanti cucina sempre qualcosa di speciale.
 
Mio padre, invece, è seduto a tavola, quella degli spuntini, e sorseggia il caffè. Lo odio.
 
Non è il tipico padre gentile, comprensivo e “amico”. No. Mio padre mi picchia semplicemente se sbaglio un’ equazione, mi tira una sberla se dico qualcosa che a lui non va, e se vado in giro con quel maledetto orecchino mi arriva un calcio. Mio padre il più delle volte è ubriaco, ma mia madre non lo sa: lei e il suo stupido circolo degli scacchi. Appena siamo arrivati qui a Detroit si è iscritta subito, come fa in tutti i luoghi nei quali ci trasferiamo, al circolo degli scacchi, frequentato anche da una nostra vicina di casa. Mia madre ama i giochi di strategia. Per questo esce sempre di casa la sera e non vede mai la bottiglia di vodka sul divano.
 
“Ryan muoviti a mangiare e togliti quell’orecchino, ce l’hai sempre addosso, ci vai anche a dormire insieme? Non te l’aveva regalato quell’insulsa ragazzotta che ti ha convinto a fumare? Cosa pensi, sia un trofeo da portare in giro? Toglilo, davvero sembri una femminuccia.. e tagliati i capelli! Hai paura di farti vedere dalle persone e ti nascondi dietro quella massa lunga e unta? Ma sicuro di essere davvero mio figlio?”
 
“Buongiorno anche a te papà…”  dico sorridendogli, o meglio dissimulando una smorfia che  sembra un sorriso. Meglio non ribattere con lui. Non voglio aggiungere lividi su lividi. Li ho contati ieri sera: sono cinquantaquattro e variano per colori e dimensioni: ci sono quelli neri e piccoli, quelli grossi e violacei e ne ho persino uno sulla gamba, che ha la forma di un elefante verdastro.
È questione di stili di vita: c’è chi conta le figurine, chi i soldi, chi i lividi.
La televisione trasmette le “news- non stop”, quindi le prime notizie della giornata contribuiranno sicuramente ad aumentare la mia voglia di vivere: chi non freme di trepidazione nel sentire, “Economia: non ci sono soldi, disoccupazione alle stelle, introdotte nuove tasse” oppure, “Esplode una bomba, tutti morti” e “Trovata droga nella casa di Pinco Pallino” ?
“L’oroscopo!”  Mia madre alza paurosamente il volume di quel maledetto tubo catodico, mandando all’aria i miei timpani.
Non ascolto i segni prima del mio, non mi interessano. Io sono Vergine, comunque ..e in tutti i sensi.
“Vergine ! La vostra giornata sarà da cerchiare col pennarello rosso! Nuovi incontri, nuovi amici, e una persona speciale che grazie all’influsso benefico di Giove e Mercurio, entrerà nella vostra vita per non uscirne più! Perché siete ancora musoni e trasandati? Sorridete, e la vita farà lo stesso con voi!”
“Capito Ryan??? Sorridi! Conoscerai qualcuno di speciale oggi!!” Mia madre fa l’eco al televisore, prendendo le mie guance e tirandole a mo’ di sorriso.
Lei crede fermamente negli oroscopi, ma io, l’unica volta nella mia vita, sono d’accordo con mio padre: è tutto un mucchio di spazzatura. Chi vorrebbe essere così incosciente da tenermi nella sua vita per sempre? So io come andrà la giornata di oggi : arriverò a scuola col muso, i miei compagni mi prenderanno in giro, qualcuno mi chiuderà in bagno e all’uscita mi butteranno nel secchio dell’immondizia.
È tradizione, per me.
La colazione mi da un po’ di forza, almeno quella. Il bacon è delizioso, devo ammetterlo, e anche le uova non sono male. Con la pancia piena di delizie e la testa piena di fesserie, mi dirigo in bagno, per provare a domare quell’insulso gatto morto color castagna che mi trovo in testa, e poi posso andare. Avrei davvero bisogno di tagliare i capelli. Lo specchio non mente mai. Mio padre sarebbe d’accordo con lui. Il problema è che io non voglio tagliarli: sono un’ottima protezione contro gli occhi indiscreti. Mi hanno salvato dalla vergogna e dall’imbarazzo parecchie volte, nascondendomi al mondo. Unti, lunghi fino alle spalle, non sono certamente la parte più sexy di me. Come se io avessi una parte lontanamente piacevole nel mio essere. Sono troppo magro, con le ginocchia quasi scheletriche, come le mie dita, lunghissime per via della mia passione smodata per la chitarra.
Adesso che ci penso, però, Jac ha sempre apprezzato i miei occhi. Diceva che erano “teneri” e sempre all’erta. Sembravo un cervo in una riserva di caccia. Il mondo intero è la mia riserva di caccia, e io mi sento davvero come un cerbiatto, con gli occhi nocciola sempre sull’attenti.  Non dimentico di levare il “maledetto orecchino nero”, prima che qualcuno lo noti e inizi a prendermi in giro. Vorrei essere deriso il meno  possibile da perfetti sconosciuti, il primo giorno di scuola.
 Venti minuti dopo sono pronto per salire in macchina e iniziare la mia “Nuova, stupefacente avventura a scuola, dove troverò tantissimi  amici…” come non hanno smesso di ripetermi l’oroscopo e  mia madre Lei vive ancora nel mondo dei sogni. A volte mi sembra un’adolescente troppo cresciuta fisicamente.
Mi saluta sulla soglia,dandomi un bacio sulla guancia. La hall di casa mia è strettissima, e sentire tutto il peso di mia madre quasi mi toglie il respiro. Preferisco camera mia, con un letto enorme, finestre gigantesche e tanta tranquillità. Cindy Ross, comunque,  è assolutamente estasiata. Quasi quasi la faccio andare a scuola al posto mio.  Do un ultimo sguardo verso casa mia, disposta su due piani e in ottimo stato, considerato il degrado di questa via. Abbiamo anche un giardinetto, pieno di vasi e fiori: ranuncoli, rose, viole e narcisi.
Mia madre adora il giardinaggio con la stessa passione con la quale io mi disinteresso ai fiori e alle piante. 
Salgo in macchina, inebriandomi dell’odore di muschio bianco del deodorante per auto, che mi fa sentire stranamente più pulito
 
Mio padre mi guarda, e accende la Ford. La sua è la tipica espressione dei genitori quando  stanno preparando un discorso ovvio.
 “Allora Ryan, non combinarmi cose strane, va bene? Per esempio non fare a botte con nessuno e non provarci con le ragazze con la 5 di seno..sai come sono, potrebbero alterare la tua già fragile autostima rifiutandoti..… vedi di andare bene a scuola,  perché penso che sia la volta buona, dovremmo stabilirci definitivamente in questa città, Detroit. E soprattutto rispetta i professori..”
 
Mentre lui è occupato con la solita ramanzina, io indosso gli auricolari, senza che mi noti, appena sento pronunciare il mio nome. Vedo la sua bocca che si muove, sillabando “ragazze…..scuola….Detroit..”  ma preferisco dare un occhiata fuori dal finestrino, per osservare i grattacieli grigi che si stagliano contro il cielo azzurro,sgombro di nuvole. Starà facendo il suo solito discorso sul fatto che non devo picchiare nessuno, non devo provarci con ragazze con alte aspettative di se stesse, che abbasserebbero la mia autostima e avrà anche detto di andare bene a scuola. So il suo discorso a memoria, ormai, l’ho sentito troppe volte.
Il bello è che tutto quello che dice non corrisponde a verità. L’unica e ultima persona che ho picchiato è stata Stefan Rossenwald all’asilo. Aveva rotto in due parti il mio giochino preferito, cosa che non gli ho mai perdonato.
Quel giorno presi così tante botte da mio padre che smisi subito di picchiare la gente.
Per quanto riguarda le ragazze..l’esperienza avuta con Jac brucia ancora..non ho voglia di conoscerne per un po’. E l’unica volta alle medie, nella quale sono stato nella stessa scuola per ben 7 mesi,  ero definito “secchione” anche dai cancellini… quindi…
A volte penso che nessuno della mia famiglia mi conosca davvero. O forse non mi conoscono proprio. Mio padre che continua a trattarmi a pane e minacce, sempre scortese e sospettoso verso di me, come se fosse colpa mia, qualsiasi catastrofe succede nel mondo.
Lui crede che io sia ancora un sedicenne ribelle, che bacia la propria ragazza nel capanno della fattoria dei proprietari di casa nostra. Sono cresciuto e sono cambiato, e Jac non è più nei miei pensieri, nonostante continui ad indossare l’orecchino che mi ha regalato e i suoi bracciali di filo.
Se ripenso alla pateticità di mia madre, invece…crede che io sia ancora un poppante. L’altro giorno è riuscita a scandalizzarsi, quando, sul mio viso a tratti femminile, senza mascelle pronunciate, o virilità evidenti, è comparso uno dei tanti brufoli.
“Ryan! Tutto questo sebo? Alla tua età? Piccola pelle di pesca, vieni che ti metto la crema…”
“Ho diciotto anni mamma, è normale avere del sebo e dell’unto sul volto…” le ho risposto pazientemente, senza farmi mettere creme varie, però. C’è un limite a tutto, in fondo.
Quella volta mi sono davvero sentito estraneo a casa mia.  Per questo lascio che le mie orecchie apprezzino il pop-rock degli Slip Off Dude:quei riff di chitarra mi trasmettono molta più sicurezza e speranza rispetto ai discorsi paterni, o le stupide rassicurazioni materne. Amo stare per conto mio,ad osservare il cielo azzurrognolo fuori dalla finestra, ascoltando musica emo. Questo sono io. Adoro apprezzare particolarmente i volti decisi e divertenti degli Slip off Dude e degli “Your Phisical Love”.  Ho tanti poster appesi in camera mia, di quei ragazzi. Sono davvero forti, e alternativamente anormali, come me. Non sento più la voce di mio padre, ma scommetto che avvertirò un bruciore al collo a breve.
Infatti il collo mi fa male. Un ‘altra sberla. La macchina si ferma davanti alla scuola. Non credevo di essere già arrivato. “Ryan Ross, devi ascoltarmi quando ti parlo, hai capito? Molla quegli stupidi auricolari e apri bene le orecchie ” La mano di mio padre è ancora in aria, vorrei sapere che cosa ci trova di bello nel picchiarmi ogni santo giorno, ogni santissimo minuto.
“Senti , conosco il discorso a memoria… lasciami andare nell’ennesima stupida scuola, fammi fare amicizia con quelle poche persone di cui posso fidarmi, poi vieni a dirmi di abbandonare tutto
perché il tuo capo ti ha trasferito e scarrozza me e la mamma a Miami… li ancora non ci siamo andati…”
 
“Non hai capito, allora.. sei davvero un ritardato, Ross. Ho detto che probabilmente rimaniamo qui per sempre! Stavolta il lavoro è fisso…” I suoi occhi mandano scintille. Mentre scendo dalla macchina, mille dubbi si insinuano nel mio cervello. L’unica certezza davanti a me, è l’edificio con un enorme logo azzurro e costruito con mattoni, che si frappone tra me e l’orizzonte.
 
Non so che aspettarmi da queste parole. Mentre si allontana senza nemmeno sorridermi, o salutarmi, penso al fatto che non gli credo più, e non so più che cosa chiedere da me stesso. La mia è una situazione insostenibile. E mia madre non vede nulla di tutto questo. Nulla. Lei è sempre  ottimista, allegra sorridente, gentile. E non riesco a capacitarmi di come abbia sposato mio padre, così diverso da lei.
Lei mi dice sempre di non fare il musone, di non essere triste, che la pazienza è la virtù dei forti.. di vivere la mia vita come fa lei, col sorriso sulle labbra.
 
Lo so. Il mondo è stupendo, la vita è preziosa, e bisogna viverla al meglio. Ma qualcuno mi spieghi come posso farlo. Mi sto spostando da anni, continuo a cambiare scuola. Ho 18 anni e sono solo. Vorrei piangere, non ho progetti. Non ho una vera vita. Dovunque vado, lascio una traccia indelebile sull’annuario, che ogni anno è l’ultimo. Ho smesso di sognare, solo gli stupidi lo fanno.  E oggi, davanti alla mia nuova scuola è lo stesso. Varco la porta d’entrata con gli occhi bassi, cercando l’ufficio del preside. Ho deciso di indossare una camicia bianca, una cravatta e pantaloni di velluto, marroni. Non sono un diciottenne normale, ho il mio stile. Per fortuna, la musica che non smette di suonarmi nelle orecchie, mi da conforto. Il cantante sta urlando al mio essere di non aver paura di camminare da solo. Non aver paura di andare avanti a vivere. Grazie, cantante. Anche perché io sono completamente da solo.  Il mio adorato paparino non si è nemmeno preoccupato di accompagnarmi in presidenza.
 
Busso. Il preside è un ometto basso, con un grosso sorrisone stampato in faccia, con pochissimi capelli in testa, ancora tutti neri.
Il suo studio è pieno zeppo di poster di giocatori di football,di scienziate famose e di presidenti del passato . La bacheca con i trofei è ricchissima di coppe.
Deve essere una scuola vincente, in tutti i sensi.
Appena mi nota, il suo volto si apre in un enorme sorriso.
“Tu devi essere Ross, giusto? I tuoi mi hanno avvisato che saresti arrivato oggi..allora pronto per questi mesi da noi? Vedrai ti divertirai, e imparerai un sacco di cose..!!”
 
Mi guarda come se avessi scritto “idiota” sulla fronte; anche lui con quel sorrisino da “Vivi la vita al meglio”, che conosco così bene.  Eppure, anche se sono diventato molto diffidente, riguardo alle persone, quest’uomo mi ispira simpatia. Spero di non sbagliarmi. Fino ad ora è il preside che mi ha fatto l’impressione migliore di tutti.
 
“Forza, vieni, ti accompagno in classe.”
 
Mi guarda e, senza abbandonare il suo sorrisino, mi conduce nella 5B, la mia classe per i prossimi 4 mesi. Da una prima occhiata posso vedere come la scuola sia effettivamente grossa, disposta su vari piani.
 
La mia classe è al 3° piano.
Attorno a me sento il vociare degli studenti, e qualcuno che bisbiglia incuriosito al mio passaggio.
C’è anche chi mi squadra in malo modo, ma a me non importa: sono col preside!
Le tante rampe di scale mi hanno stancato. Sono uno fragile, io.
Eccoci davanti all’aula.
Prima di entrare, il preside mi da una pacca di incoraggiamento sulla spalla, che io ricambio grattandomi nervosamente dietro l’orecchio. È un tic che non riesco a farmi passare.
“Forza Ross, non mi sembri tranquillo, ma non preoccuparti. Tra quei ragazzi potrebbe esserci chi ti prende in giro, chi ti è amico, e magari potresti trovare anche l’amore. Voglio solo che tu mi faccia un sorriso.”
Ha mica ascoltato il mio oroscopo, stamattina?
“Grazie” rispondo. Non riesco ancora a sorridergli, non è un mio gesto abituale. Proverò a farlo più spesso.
C’è un sacco di casino, li dentro. Appena entriamo, nessuno saluta il preside, i ragazzi ridono. Ad un tratto, si rendono conto che c’è qualcosa di troppo. O meglio qualcuno.
Il caos viene, sostituito da un brusio,che si placa istantaneamente, con lo stesso effetto di  una radio spenta all’improvviso.
Tutti mi guardano e non capiscono. Che cosa ci faccio qui? La solita sensazione di estraneità, che di nuovo mi accompagna, e promette di non lasciarmi per un po’. Non c’è molta gente in classe, per fortuna. Saremo in 16, forse. Cerco un ritmo cardiaco regolare, che possa permettermi di non sembrare troppo agitato, e mi volto verso la professoressa. Lei mi indica il posto, e mi siedo al primo banco, aspettando che il preside mi presenti.
 
Come sempre.

*Spazio autrice* Ciao a tutti...dopo circa 5 secoli di indecisione, ho deciso di pubblicare questa fic... Ovviamente i personaggi non mi appartengono, e le situazioni che vivono sono frutto della mia mente contorta... =) Cercherò di aggiornarla il più rapidamente possibile, anche perchè un sacco di capitoli sono già pronti..Stay tuned! =)
   
 
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