I
don’t intend to be an insomniac
… so I’d better
do something about this then.
Autore: Dirkje
Traduttore: Scribak
Rating:K+
Nota del traduttore
Salve a tutti i
lettori. Non ho intenzione di sottrarvi
molto tempo, dal momento che la fanfiction, seppure sia una one-shot,
è
piuttosto lunga (e desidero che la gustiate come pienamente merita); ho
solo un
paio di precisazioni da fare, in merito agli aspetti più
tecnici della
traduzione: come ha suggerito Milli Milk (che ringrazio ancora per la
recensione costruttiva), ho cercato, questa volta, di subordinare
all’esattezza
della trasposizione Inglese-Italiano, la scorrevolezza di
quest’ultimo,
cambiando (anche di molto) la costruzione delle frasi, in modo da
conservare il
più fedelmente possibile le sensazioni che evoca la
scrittura e lo stile
originale dell’autore. Secondariamente, ho sostituito le
forme giapponesi
“sensei” e “kouhai” con i
corrispondenti “signore” e
“sottoposto”, convertendo
la parlata di Bel e Fran, rispettivamente, alla seconda e terza persona
(scelta
che mi è parsa abbastanza in linea con
l’atteggiamento, solitamente distaccato,
del secondo).
Vi lascio alla fanfiction, augurandomi che Dirkje
abbia
ben riposto in me il suo entusiasmo perché la sua opera
fosse volta nella
lingua originaria dei Vongola. Cordiali saluti.
URL fanfiction originale: http://www.fanfiction.net/s/8305724/1/I_Dont_Intend_To_Be_An_Insomniac
Scribak
La
camera elegantemente ammobiliata era immersa nell’ombra,
illuminata a mala pena
dal flebile chiaro di luna che penetrava dalla cima delle alte tende.
Quest’ultime erano di un rosso scuro, ma nessuno avrebbe
potuto notarlo nelle
tenebre della notte, così come in quel momento.
L’intera stanza era occupata da
mobili di legno laccato di rosso, bianco e nero. Il candido pavimento
di marmo
era in parte coperto da un soffice tappeto cremisi, morbido e cedevole
proprio
come un qualunque materasso dovrebbe essere. Due letti stavano,
affiancati, al
centro di uno dei due muri, distanti l’uno
dall’altro alcuni piedi, dal momento
che, i ragazzi che vi riposavano, avrebbero voluto fingere che il
rispettivo
compagno non si trovasse lì. In ogni caso, nessuno dei due
occupanti stava
dormendo.
Due
occhi smeraldini fissavano la sagoma indistinta che giaceva nel letto
vicino,
coperta da lenzuola rosso sangue. Continuavano a chiudersi dalla
stanchezza, ma
Fran non riusciva a dormire. Sapeva che, anche se l’avesse
fatto, si sarebbe
solamente svegliato un paio d’ore dopo, senza
null’altra occupazione che
guardare ancora la causa inconsapevole (e perciò innocente,
anche se solo per
questa volta) della sua semi-insonnia. Lasciò che i suoi
occhi seguissero il
profilo di quel groviglio di capelli, che sapeva essere biondi, e di
una
spalla, gemella di una seconda che conosceva così bene.
Da
lontano.
Era
tardi, decisamente tardi. Se non era passata mezza notte sarebbe stato
un
miracolo, anche se, probabilmente, era già scoccata da un
pezzo. Ma Fran non
era in grado di addormentarsi. Solo di notte poteva fissare il suo
superiore
senza il pericolo di essere scoperto, interrogato e, di conseguenza,
sottoposto
ad un fitto lancio di pugnali quale punizione per la sua colpa. Era un
peccato
che ci fosse così poca luce. Le tende rosso scuro la
trattenevano bene e non
riusciva mai ad ottenere da Belphegor di tenere aperte le cortine
quando si
preparavano ad andare a dormire.
Guardare
Bel era, in definitiva, tutto ciò che potesse concedere ai
sentimenti che
nascondeva con cura nel proprio cuore. Lasciò ancora una
volta che i suoi occhi
di smeraldo incrociassero le lenzuola del compagno, desiderando di
poter
strisciare sotto di esse. Ma Bel non gli avrebbe mai permesso di
avvicinarglisi
tanto. Eppure lo desiderava. Desiderava che quel
finto principe sollevasse
le coperte e, con il suo solito ghigno, lo invitasse ad entrare.
Desiderava
dormire con lui, in modo da rannicchiarsi contro la sua schiena ed
abbracciarlo. Ma non poteva. Pertanto, continuava a guardarlo, incapace
di
addormentarsi sino alle prime ore della mattina, quanto il suo corpo
affaticato
trascinava, finalmente, la sua mente nell’oblio.
Bel si mosse lentamente, a disagio. Poteva sentire quegli occhi seguirgli l’arco della schiena. Lasciò andare un sospiro silenzioso sotto le lenzuola rosso sangue. Era la ventitreesima notte che rimaneva sveglio grazie allo sguardo del suo sottoposto. Non era sicuro di cosa pensarne.
Un lieve fruscio provenì dall’altro letto. Bel riusciva a sentire il ragazzo più giovane muoversi ed infine sedersi, avvicinandosi al bordo del letto rivolto verso il biondo. Si irrigidì, non appena percepì, più che udire nel vero senso della parola, Fran posare i piedi sul freddo pavimento di pietra ed alzarsi.
Dunque
questo era, probabilmente, il peggior piano che avesse mai ideato, ma
non
poteva andare avanti in quel modo. Stava perdendo più ore di
sonno di quanto
potesse permettersi; già in alcune missioni si era sorpreso
a commettere stupidi
errori, che era riuscito, in qualche modo, a nascondere agli altri
Varia, ma
sapeva che c’era un limite da non oltrepassare assolutamente.
Fran stava in piedi, immobile sul freddo pavimento di marmo, che riluceva vagamente d’argento nella fioca luce della luna.
E
nonostante tutto ciò fosse vero, non riusciva ancora a
costringersi ad
attraversare quei pochi piedi che lo separavano dal letto di Bel,
infrangendo
quei muri, che lui aveva costruito così attentamente intorno
a sé stesso e tra
di loro. Da una parte, quelli che lo facevano sembrare disinteressato
nell’intrecciare una qualsiasi relazione con gli altri Varia,
assolutamente
indifferente ad ogni loro stravaganza.
Dall’altre,
quelli tra lui ed il suo superiore, i quali erano in larga parte, se
non del
tutto, conseguenza di quella facciata. E, tuttavia, voleva che
crollassero.
Voleva che non esistessero.
…
Peccato che li avesse già costruiti.
Se
la rana aveva intenzione di uscirsene con una qualche conversazione,
avrebbe
fatto bene ad iniziare presto. Bel voleva dormire,
dannazione. Ne aveva
bisogno più di quanto non avesse potuto nelle ultime
settimane. Poteva perdere
un po’ di sonno, alcune notti addiritura, ma non tre
settimane.
Si
avvicinò esitante al letto del superiore. Non
c’era speranza di ottenere una
risposta positiva da Bel quando (o, piuttosto, qual’ora)
avesse confessato i
propri tormenti. Pertanto, perché stava per farlo?
Perché,
forse, avrebbe finalmente potuto trovare un qualche riposo dai propri
pensieri
e dormire normalmente durante la notte. La sua parziale insonnia lo
avrebbe
stremato, se non avesse fatto qualcosa per bloccarla.
Era
una decisione presa quasi interamente per ragioni di salute.
Ehi,
Bel, mi sto per confessare, ordini del medico.
Avrebbe
potuto funzionare.
La rana stava davvero esagerando. Si stava finalmente muovendo e Bel sospettò che avrebbe fatto qualcosa riguardo tutto quel fissare che li stava tenendo entrambi svegli: in ogni caso, era qualcosa di così atroce, da farlo esitare tanto? Pace. Stava iniziando a perdere la propria pazienza.
Dunque, come avrebbe dovuto iniziare? Per prima cosa aveva bisogno di essere sicuro che Bel fosse sveglio, ma l’idea di scuotergli una spalla (per quanto nuda e seducente fosse) lo terrorizzava. Chi poteva sapere con quanta violenza avrebbe reagito il suo superiore? Forse, avrebbe potuto provare a svegliarlo dicendo qualcosa, ma, di nuovo, doveva assolutamente assicurarsi di non fare nulla che irritasse l’altro assassino.
Perciò,
gridare all’improvviso “ehi, principe dei miei
stivali”, probabilmente, non era
una buona idea.
Fece un altro passo avanti, esitante. C’era ancora un’intera stanza tra di lui ed il letto dell’altro. Si chiese se l’avrebbe fatto quella notte.
Il
cuore di Fran, si fermò improvvisamente, folgorato a morte
da uno shock
istantaneo. Lo sgomento paralizzante di essere sorpresi dai vostri
genitori,
con le mani nel sacco, mentre cercate di prendere il barattolo di
marmellata
proibito (seppur cento volte peggio), lo strinse in una morsa,
sfrigolando allegramente
nel suo corpo come una scarica
elettrica.
La
vaga figura di Bel si rigirò nel letto, facendo frusciare le
lenzuola. Le sue
movenze erano di gran lunga troppo intenzionali e ben coordinate
perché fosse
addormentato. Fran lo sentì sospirare, mentre lui cercava di
far riprendere il
suo cuore a battere.
“Sono
passate più di tre settimane, rana”.
Al
suono di quella voce morbida e, seppur evidentemente stanca, priva di
qualsiasi
traccia di sonno, l’illusionista respirò a mala
pena, cercando di non andare in
iperventilazione.
Era
stato sveglio per tutto quel tempo?
Cercò di dire qualcosa attraverso l’oscurità indistinta della camera, ma aveva la gola come strozzata, e non sarebbe uscito fuori da essa null’altro che uno squittio spaventato. Tutto ciò non sarebbe dovuto succedere: non era preparato al fatto che il suo superiore potesse essere sveglio.
Sono
passate più di tre settimane, rana.
Lui
sapeva?
…
Sapeva tutto?
Bel
sospirò di nuovo stancamente, quando sentì i
respiri soffocati e nervosi del suo
sottoposto. Davvero, cosa stava pensando? Che un assassino esperto come
il
principe non si sarebbe reso conto delle avide occhiate di qualcuno,
tali da
dare la stessa impressione di essere pedinati? Oppure che bloccarsi,
ora, gli
sarebbe stato di qualche utilità? Ovviamente no. Nessuna
delle due, in realtà,
corrispondeva al vero.
Povera
ranocchia. Sembrava che avesse avuto un colpo per la sua reazione
improvvisa.
Non ce n’era bisogno. Bel non aveva intenzione di fare
alcunché di minaccioso,
tanto che la rana avrebbe potuto avere qualunque cosa,
purché potesse dormire
di nuovo. Non era il comportamento che avrebbe assunto di solito per
tormentare
qualcuno, e sapeva che la rana stessa stava ripagando il principe di
tutte
quelle notti insonni.
o:p>
Si
mosse ancora un poco, stiracchiandosi sotto le coperte, e si
sollevò sui
gomiti, girandosi dal suo fianco sulla schiena, in modo da scorgere la
figura
di Fran nella penombra.
Fran
sentì il proprio cuore balzargli in gola non appena il suo
superiore si tirò su
a sedere per scorgere il suo viso. Come doveva procedere, ora, non
avendo avuto
neppure il tempo per pensare ad una tattica? Non era ancora pronto, dal
momento
che non aveva la minima idea (che non avesse potenziali conseguenze
disastrose)
di come dire a Bel ciò che nascondeva da così
tanto tempo.
“Avanti,
rana”.
La voce stanca di Bel suonò stranamente… gentile. Così comprensiva, suadente - persino dolce - da parere del tutto innocua. Perché il suo superiore avrebbe mai usato un simile tono di voce con lui e perché proprio in quel momento? Aveva mai parlato in quel modo, prima, in sua presenza?
Fran
si schiarì la voce, esitante. Resistette alla tentazione di
cambiare
nervosamente posizione, mantenendo il suo corpo immobile.
Come
diavolo avrebbe potuto introdurre il discorso?
Bel
fissò l’altro ragazzo, osservando attentamente il
suo insolito comportamento.
Non aveva mai visto il suo sottoposto nervoso.
…
No.
Non
era proprio così.
Lo
aveva visto qualche volta, ma era stato
così tanto tempo prima, che aveva
scordato tutto. Nelle prime settimane dell’arruolamento di
Fran, c’erano stati
alcuni casi, in cui erano coinvolti gli altri Varia. Apparentemente, la
rana
aveva impiegato un po’ di tempo ad abituarvisi, a
perfezionare la sua maschera
infallibile.
Peccato
che ci fosse riuscito. Non gli sarebbe dispiaciuto se Fran avesse
mostrato
qualche sentimento in più.
Bel
si sedette un po’ più dritto, ascoltando i
tentativi del suo sottoposto di
iniziare una conversazione. Esitava ad ogni sillaba, ricominciando ogni
volta,
per poi arrestarsi nuovamente. Il biondo si chiese come sarebbe stato
se Fran
non avesse costruito quella maschera, quel muro impenetrabile intorno
sé
stesso. Anzi, per cominciare, perché mai lo aveva costruito?
Si sentiva così
tanto intimidito dagli altri ufficiali dei Varia?
Tanto minacciato, da
sentire il bisogno di rinchiudersi in sé stesso? Forse
c’era dell’altro…
I
balbettii di Fran erano, in un qualche modo, teneri.
Bel non lo aveva
mai sentito fare così. Il suo corpo, ugualmente, stava
parlando più di quanto
lo avesse mai visto, pertanto colse l’opportunità
di registrare più particolari
possibili, cercando
di interpretare e capire quel poco
del suo sottoposto che il ragazzo stesse mostrando in quel momento. Non
molto.
Ma era di sicuro qualcosa.
“Signore…
Io… uhm…”.
“Uhm?”
pensò Bel, divertito. “Non lo aveva mai
sentito dirlo
prima”.
Diavolo,
cosa stava facendo? Era del tutto impazzito? Confessarsi ad un
lanciatore di
coltelli del tutto fuori di testa,
così
presto, di
mattina, era un suicidio.
Ma
voleva liberarsi di quella cosa.
Assolutamente.
Si
torse le dita affusolate, intrecciandole in grembo. Poteva percepire
l’attenzione del superiore su di sé, cosa che lo
faceva sentire evidentemente a
disagio.
“Dunque,
io…”
Oh,
che diavolo.
“Signore, per una qualche ragione incredibilmente assurda che, senza dubbio, è basata su un attacco di follia che solo voi avete mai potuto sperimentare” prese un profondo respiro “Sembra che… che io… abbia… uhm, che io abbia dei sentimenti per lei…”.
“…Sembra
che io abbia dei sentimenti per lei…”.
Cosa?
No,
aspetta. Che cosa?
“Mi
stai prendendo in giro?” chiese Bel
sospettosamente, inclinando la testa e strizzando gli occhi per
cercare
di vedere l’espressione di Fran sul suo volto. Poteva
sentirlo deglutire
freneticamente
e
lo
vide
scuotere la testa,
con
un gesto rapido e brusco.
… Che cosa?
… Aspetta un attimo.
Gli ingranaggi nella testa dell’assassino iniziarono a girare freneticamente, ritornando ai primi mesi dell’arruolamento di Fran. Era piuttosto nervoso, allora, più timido. Lo aveva visto così intorno agli altri ufficiali, perciò non aveva pensato che significasse molto se la rana si comportasse in quel modo anche con lui. Erano compagni; naturalmente, spendevano più tempo insieme che con gli altri Varia. Dunque, era logico che Fran fosse più che mai teso con lui.
…
Tuttavia, non aveva mai fatto nulla che implicasse specifici sentimenti
per
Bel.
“…
Da quanto tempo?”.
Fran
sollevò nervosamente lo sguardo. Il suo superiore stava
facendo domande? Non
era stato nemmeno pugnalato appena avesse aperto bocca?…
Significava forse che
aveva qualche speranza?
Si
morse il suo labbro inferiore e fissò il pavimento vicino al
lussuoso letto del
compagno (non che il suo non lo fosse. I Varia non badavano esattamente
a
spese). Da quanto tempo? Sapeva perfettamente da
quanto questo lo
tormentasse tanto da farlo stare sveglio, di notte, ma non era sicuro
da quando
tutto ciò fosse iniziato. Il principe, vero o finto che
fosse, lo aveva, in un
qualche modo, attratto sin dall’inizio,
sebbene fosse stata una cosa
puramente fisica. D’accordo, aveva a che fare anche con il
suo atteggiamento,
ma questo era tutto.
…
Sì, non doveva essere stato che un paio di mesi prima.
Fran
aveva realizzato di guardare Bel più del necessario intorno
quel periodo, e si
ricordò che si era preoccupato di cosa facesse soffermare il
suo sguardo.
Forse, era da allora
che…?
“Non ne sono sicuro” sussurrò, gli occhi fissi sul pavimento. “Penso… un paio di mesi”.
Il suo superiore emise un suono sorpreso, ma non fece altre domande.
Mesi?
Mesi?
Perciò
non proprio dall’inizio, dunque. La rana era con loro ormai
da due anni. Ma
quindi… Dopo le pugnalate? Dopo gli insulti? I loro continui
litigi, il loro
battibeccare, il loro lavoro di squadra così traballante e,
tuttavia,
stranamente efficace e… piacevole. Tutto
quello lo aveva già…
Lui
piaceva a Fran? Nonostante il modo in cui interagivano? O, in fin
dei conti, gli piaceva anche quello?
La
testa di Bel iniziò a dolergli un poco per tutto quel
pensare. Grazie tante, il
suo genio risiedeva nel combattimento. Ad ogni
modo, era davvero troppo
presto per pensare così tanto. Sbadigliò.
“Okay”.
Fran
sollevò lo sguardo, pensando di aver sentito male.
“Uhh… cosa?”.
Bel
si rigirò per fissarlo, facendo richiudere sul suo viso la
sua frangia bionda,
quasi d’argento nel fioco chiaro di luna,
come se fosse una tenda. “Hai
capito bene. Il principe non riesce a pensare in questo momento,
è troppo
presto”. Il ragazzo si stiracchiò languidamente
per un momento, ignaro
dello sguardo pieno di desiderio che aveva istantaneamente provocato.
“Puoi
avere un’udienza con la mia regale persona a mezzogiorno, al
più tardi.
Ushishishi”.
Il
principe si rannicchiò sotto le coperte, scivolando verso il
basso finché
non le ebbe tirate sino al mento, sospirando beatamente. Fran rimase in
piedi,
fissandolo. Questa volta, si era rannicchiato con il viso rivolto verso
l’altro
ragazzo, e quest’ultimo si chiese se non fosse stato un gesto
volontario.
“Non vai a dormire, rana? O, piuttosto, non puoi? Scegli una risposta”.
Fran sobbalzò al suono improvviso della voce del principe, avendo ritenuto che il suo superiore non dicesse null’altro per il resto della notte.
Non
voleva andare a dormire. Sentiva che non avrebbe ancora potuto
addormentarsi,
nonostante Bel avesse evidentemente accolto la sua confessione, sia che
ricambiasse i suoi sentimenti o meno. Se non altro, Fran si sentiva
ancora più
inquieto. L’attesa e l’aspettativa, comprese, lo
avrebbero accompagnato sino al
sorgere del giorno, tenendolo sveglio.
Fran
sospirò.
“Hmm…
No. Non penso di poter dormire” mormorò, girandosi
appena per scoccare
un’occhiata critica al proprio letto. Lussuoso, certo.
Confortevole, sì.
Andarci a dormire? No.
“Perché mai, rana?” Bel farfugliò, già mezzo addormentato.
Un
paio di labbra pallide si stirarono in un lato, gentilmente divertite.
L’illusionista alzò le spalle. “Non lo
so”. Non se la sentiva di dirlo e,
comunque, il suo superiore si era già quasi addormentato.
Metà della
spiegazione, probabilmente, sarebbe andata sprecata.
“Shishi.
Il principe lo sa”.
Ci
fu un fruscio di coperte, quindi una mano pallida sgusciò
fuori dalle lenzuola
vellutate, tendendosi verso Fran.
“…
Signore?”.
La
voce della ranocchia era acuta per l’incredulità e
malcelata speranza,
e
quella
era sicuramente la cosa più seducente che
il principe potesse udire. Le
labbra di Bel si incurvarono improvvisamente in un
ghigno ed il ragazzo
mosse lentamente le dita, facendo cenno al
più giovane di avvicinarsi.
Fran obbedì, trascinandosi più vicino
finché le dita di Bel sfiorarono il
suo gomito.
“… Cosa c’è, signore?”. Fran era mai sembrato tanto docile prima?
La sua voce nascondeva, ormai, a malapena il suo desiderio. Bel strinse le sue dita intorno al braccio del compagno e lo tirò a sè, ridacchiando quando l’illusionista inciampò, probabilmente per la sorpresa. Fran stava balbettando qualcosa, ma lo ignorò. Per quello che stabilì essere l’ultima volta, nel corso di quella notte, Bel si tirò su a sedere faticosamente. Con un altro strattone ben assestato, Fran finì nel suo grembo, disteso in un modo poco dignitoso, a causa di un (futile) tentativo di evitare il corpo del principe.
Bel sorrise appagato, la mente piacevolmente alla deriva in quello stato sonnolento e pigro di “so che c’è ancora mezza giornata prima che io debba alzarmi”, ed afferrò tra le mani, senza troppe cerimonie, il volto di Fran,. Ad un cupo “ow”, raddrizzò l’illusionista e fissò laddove pensava si trovassero due occhi di smeraldo, nascosti nell’ombra.
“Uhh…
signore? Cosa, uhm, sta facendo?”.
Spiegare
sarebbe stato una perdita di tempo (che avrebbe potuto spendere
dormendo),
perciò si protese semplicemente in avanti, verso quelle che
– si sperava –
fossero le labbra del suo giovane collega.
Bing-go.
La rana era rimasta perfettamente immobile, ma andava bene così. Bel lo baciò con cautela, casto e lieve, dandogli il tempo di decidere se volesse rispondere. Fran ricambiò il bacio, esitante, e, pochi momenti dopo, si separarono.
Fran stava ansimando debolmente, fissandolo come era divenuta, ormai, un’abitudine.
“Shishi”
Bel
scostò
con gentilezza
una ciocca di capelli indaco, neri nella notte, dietro le orecchie
dell’illusionista, scoprendo di apprezzare il piccolo
sobbalzo che quel gesto
causava. “Pensi di poter dormire, ora, rana?”
domandò, stuzzicando il compagno.
Solo per vedere se avesse potuto sentire il viso della rana scaldarsi, lasciò che le sue dita si soffermassero, accarezzando il volto di Bel. Era curioso. Avrebbe potuto anche far arrossire l’illusionista? Lo sperava.
“U-Uhmm,
uhh…”.
Fran
cercò di dare un ordine agli ultimi
avvenimenti, ma scoprì di non riuscirci, troppo perplesso
per riconoscere ciò
che era appena successo. Le sue dita erano fermamente attorcigliate
intorno
alle morbide coperte e realizzò di essere ancora proteso
verso il suo
superiore, quasi disteso su di lui. La sua mente era terribilmente
confusa.
Sarebbe
riuscito a dormire? Onestamente, non lo sapeva.
La sua pelle
era stranamente sensibile, là dove il biondo
aveva appoggiato le dita. Piccole scariche di elettricità si
intrecciavano
l’una all’altra nel suo stomaco, in risposta al
bacio.
Un bacio! Un
bacio!
Oh, diamine,
un bacio…
Fran
percepì che iniziava ad arrossire, e, non appena
comprese ciò che stava accadendo al suo viso, si
sentì anche peggio.
Ricomponiti!
Andiamo!
Era solo
un bacio, dopo tutto. In ogni caso il suo
primo, ma comunque…
“U-Uh,
okay signore, Io… uhm…”.
balbettò,
sollevandosi cautamente dal suo superiore. Alcune risatine divertite
fluttuarono
intorno a lui, e Fran cercò di fare del suo meglio per
ignorarle, così come il
suo viso in fiamme. Il pavimento di marmo era freddo sotto i suoi
piedi, quando
si tirò rapidamente su per raggiungere
il suo letto, dove sperava di
potersi nascondere.
Il silenzio
era calato quando aveva finalmente
finito di accoccolarsi nelle sue coperte. Fran pensò che Bel
se ne sarebbe
stato buono fino all’alba, ma si sbagliava.
“Avresti dovuto dire al principe che avevi bisogno di un bacio della buonanotte”.
Con rumorose
risatine nelle sue orecchie, Fran
strappò il suo cuscino da sotto la testa
e seppellì il suo viso nel
materasso, cercando di coprirsi le orecchie e di soffocare quel rumore
imbarazzante.