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Autore: _Ella_    31/07/2012    2 recensioni
Ma «Il cielo è eterno» aveva sussurrato ad un certo punto, senza smettere di guardare. «È l’unica cosa che non cambierà mai, Isa. Domani, dopodomani e tra cent’anni non avrò bisogno di ricordarlo, perché potrò alzare gli occhi e lo troverò come oggi, come in questo momento».
«Io mi ricorderò di te, Lea» mormorò, fissando il suo profilo. «Fai lo stesso con me».
«Memorizzato».
[Isa/Lea&Saix/Axel]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Axel, Saix
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH Birth by Sleep, KH 358/2 Days
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Cieli diversi;


«Perché non puoi parlarmi chiaramente, una volta tanto?»
«Tu sei sempre stato onesto con me?»
«D’accordo, lo ammetto».
Kingdom Hearts 358/2 days, Axel e Saix.


 

Radiant Garden era una cittadina… radiosa, per l’appunto.
L’odore di fiori e di erba fresca appena tagliata era forte il mattino quanto la sera, ed era meraviglioso vedere che ad ogni singola ora, qualsiasi colore fosse il cielo, i petali non perdevano mai la loro lucentezza, ma che tuttavia riuscivano ad essere sempre in armonia con tutto ciò che li circondava.
Isa si era chiesto, quand’era più piccolo, se lui e tutti gli abitanti fossero nati dagli stessi fiori, nella Piazza Centrale, dove c’erano le aiuole variopinte. Perché – e questo lo si notava subito, dopotutto – ogni singola persona sembrava essere la tonalità più forte di un colore, come se loro fossero i fiori più colorati e prestigiosi.
C’erano poche cose che Isa amava, e per lui era strano persino ammetterlo.
Il blu era il suo colore preferito, per questo gli piaceva restare ore ed ore a fissare il cielo buio dalla finestra della sua stanza, quando tutti dormivano e la città taceva.
Non avrebbe mai fatto a meno della sua felpa scura, quella con il disegno di una luna sopra, perché racchiudeva la notte che amava tanto, e perché gliel’aveva regalata il suo migliore amico tempo prima, dicendogli che era fatta apposta per lui – e quando aveva notato che non aveva portato il pranzo, Isa si era detto che aveva speso tutti i soldi della sua paghetta per potergliela comprare, ma ovviamente Lea non l’avrebbe ammesso neanche sotto tortura.
L’ultima cosa, infine – ma di certo non la meno importante – era Lea stesso.
I primi tempi non riusciva davvero a sopportarlo, troppo esplosivo e chiacchierone e amichevole, poi il suo carisma ed il suo sorriso perennemente stampato nel volto vagamente spigoloso avevano conquistato anche lui, il taciturno e solitario Isa; aveva quasi quindici anni, e gli ultimi sette li aveva passati sempre con lui, giorno dopo giorno, litigio dopo litigio e confronto dopo confronto.
Lea era senz’altro cristallino, eppure c’era qualcosa di lui che ancora oggi gli sfuggiva, un dettaglio essenziale che non si dava neppure la pena di nascondere, ed era per questo che lui non riusciva a notarlo, probabilmente. Magari solo perché era meno appariscente degli altri.
Il tetto della casa di Merlino era il posto in cui preferivano rifugiarsi, in assoluto. Sentivano ogni tanto le sue imprecazioni seguite o precedute da un’esplosione, un fascio di luce, ed era senz’altro divertente – e poi nessuno passava molto spesso di lì, visto che tutti si tenevano a debita distanza da quel vecchietto schizzato.
Lea s’aggiustò meglio la sciarpa gialla, lisciando un po’ la canotta bianca e sorridendo al cielo, le braccia dietro la testa e le gambe piegate, divaricate appena. Guardava sempre in alto, spesso anche quando camminavano in giro, e lui era sempre costretto a dirgli di stare attento o tirarselo contro per non farlo finire addosso a nessuno. Era distratto, senz’altro, o almeno così dava a vedere, perché qualsiasi cosa Isa facesse, anche quand’era così assorto, lui notava e ricordava.
Si grattò appena la nuca, lisciando distrattamente le ciocche celesti. «Non mi hai mai detto cosa pensi, quando guardi le nuvole» borbottò, stringendosi nelle spalle come se non gl’ importasse.
Lea sorrise sottile, catturando tutta la sua attenzione. «Se tu avessi guardato davvero, avresti notato che non ci sono nuvole, dude» disse.
«E allora?».
«Guardo il cielo, nient’altro».


 
Un mondo tutto bianco e nero era certamente qualcosa lontano anni luce dal posto in cui era cresciuto.
Niente odore di fiori, niente erba, solo l’aroma asettico del cloro. Niente cielo azzurro, niente tramonto, niente luna – solo quel dannato cuore gigante che aveva segnato le loro esistenze a metà.
Saïx – no, no, lui era
Isa! – non si sentiva diverso, neanche lontanamente. Era cresciuto, in quegli anni, e i ricordi di un mondo e di un’infanzia distrutti erano tutto ciò di cui era ora in possesso, ma non si sentiva diverso. Forse era vero che tutto quel che percepiva ora – la malinconia, l’angoscia, la tristezza – era solo una mera rimembranza di sensazioni passate, ma per il momento gli andava bene così.
Niente era cambiato, niente. Solo lo scenario, e non aveva importanza, non ne aveva.
Ma per Lea tutto era cambiato, ogni cosa.


 
I suoi occhi verdissimi gli erano puntati contro, assorti. Isa li fissava, guardandone i movimenti lenti e a tratti impercettibili, ma non ne incrociava mai lo sguardo, perché quelli di Lea era puntati sul suo volto – le labbra, le guance e gli zigomi, la punta del naso, la fronte, il collo – ma mai nei suoi occhi acidi.
Quasi sobbalzò, quando le sue mani piene di tagli e graffi raggiunsero la sua bocca, e le dita ne tracciarono dolcemente il contorno.
Non erano sul tetto di Merlino, oggi. Il vecchio li aveva cacciati via lanciandogli contro varie maledizioni che Isa si chiedeva davvero se avessero funzionato, magari un giorno, o se avesse potuto darne la colpa per qualcosa che fosse capitato.
Sedevano sul bordo della grande fontana all’entrata di Radiant Garden, e gli schizzi d’acqua bagnavano la schiena ed il viso, l’umido del marmo aveva raggiunto la pelle attraverso il tessuto dei pantaloni.
«Lea?» chiese, titubante, quando le sue dita segnarono gli zigomi, raggiungendo la pelle delicata dietro l’orecchio, sfiorando l’attaccatura dei capelli.
«Non sarai così, un giorno» gli disse, dando un’ultima occhiata alla mano ed incrociando finalmente il suo sguardo. «Ma se ti ricordo, allora sarai sempre un ragazzino brontolone e serio» spiegò, prima di scoppiare a ridere, e lui non ci pensò due volte prima di dargli una manata sullo stomaco e spingerlo nella vasca con l’acqua, accigliato. «Ehi!» si lamentò il fulvo, schizzandogli addosso per ripicca. «Adesso ho dei capelli orribili!».
Isa rise, scuotendo il capo. «Lo sono sempre, Lea. Credo che anche volendo non riuscirei a dimenticarli» e l’attimo dopo l’aveva afferrato per il polso, tirandolo con sé nella fontana e ghignando soddisfatto, mentre si passava una mano tra i capelli umidi che gli ricadevano sul viso.
«Ma certo, dude. Mi ami così tanto che non potresti mai dimenticarmi!» esclamò, tronfio di se stesso, e Isa diede un colpo alla superficie dell’acqua per schizzarlo ancora, guadagnandosi una stupida smorfia infantile.
«Guarda che nemmeno chi si odia si dimentica» rinfacciò, e l’altro rise ancora, gattonando fino ad essergli vicinissimo; poteva vedere le goccioline imperlare le sue ciglia, come piccoli diamanti luccicanti.
«Mi odi, Isa?» chiese, incrociando il suo sguardo fino ad un momento prima distaccato come sempre, ma che adesso cominciava ad incrinarsi.
«No» dichiarò, alzando una mano e posandogliela sul collo sottile, adesso umido e scivoloso. «No» si ripeté, prima di vederlo socchiudere gli occhi brillanti ed avvicinarsi, fino a che i loro nasi non si toccarono, e le loro labbra si sfiorarono.
Isa le trovò caldissime, sotto lo strato sottile d’acqua fresca.


 
Era normale che facesse così infinitamente freddo, in un luogo senza una vera e propria atmosfera?
L’ossigeno c’era – Saïx si chiedeva se fosse necessario, e se esseri che vivevano senza un cuore avessero potuto far a meno anche dei polmoni – ma non il vento, né i cambi del clima. Si chiedeva anche come fosse possibile che sentisse ogni angolo di pelle gelido, sotto ad un cappotto di pelle nera, che in teoria avrebbe dovuto far mancare l’aria.
Incrociò il proprio sguardo nell’enorme vetrata e contrasse la mascella.
Quelle enormi cicatrici che gli deturpavano il volto non erano l’unica cosa cambiata in lui – e non si riferiva alla crescita, affatto. Lo sguardo era cambiato, e ne era sicuro, ma si chiese come fosse stato un tempo, quando ancora riusciva a percepire calore.

 

Lea sotto di lui respirava a fatica, tra un gemito ed un ansimo. Sentiva le impronte delle sue dita nella schiena, e le unghie che gli affondavano nella carne, ma non era doloroso.
Ma faceva male il cuore – quello tanto, tantissimo –, mentre lo baciava e sentiva la sua lingua sulla propria, mentre affondava in lui spinta dopo spinta ed il caldo era insopportabile, ma stupendo, avvolgente, mentre lui gemeva il suo nome e gli chiedeva di più, gli chiedeva di non fermarsi, e ancora, ancora, ancora, Dio!, perché era bellissimo.
Isa ansimò sul suo collo bianco, lo morse, poi tornò a guardarlo in quel volto completamente stravolto per il piacere, le guance rosse, le pupille dilatate; lo chiamò l’ultima volta, arcuando schiena e collo, prima di venire tra i loro stomaci.
Isa non lo avrebbe dimenticato. Non avrebbe dimenticato nulla, nulla.


 
Rabbia, frustrazione. Saïx non riusciva a sentire altro – non avrebbe dovuto sentire niente, niente – mentre affondava nella sua carne.
Gli ansimi languidi e desiderosi avevano lasciato spazio a gemiti gutturali, scoordinati, cacofonici.
Erano due animali, nient’altro. Erano pelle, ossa, muscoli, tendini e nervi, mentre teneva il suo bacino spigoloso tra le mani fasciate dai guanti, mentre i lembi del cappotto si muovevano come ali attorno a loro, e i pantaloni si incollavano sulle gambe bagnate di sudore.
Quando venne, Axel sussurrò il suo nome, affondando il viso nel guanciale. Ma di Isa e Lea non c’era più niente, niente, neppure una sfumatura.



Merlino aveva lasciato che si appollaiassero come due piccioni amorosi sul suo tetto, quel giorno. Inutile dire che l’aggettivo “amorosi” faceva storcere il naso di Isa in una maniera quasi innaturale, mentre Lea aveva sorriso tra il divertito e l’imbarazzato – non sapeva neppure ci fosse un punto di congiunzione, tra le due cose.
Il fulvo guardava il cielo, come sempre. Lui se ne stava in disparte, cercando di non intromettersi nella sua bolla di pace.
Ma «Il cielo è eterno» aveva sussurrato ad un certo punto, senza smettere di guardare. «È l’unica cosa che non cambierà mai, Isa. Domani, dopodomani e tra cent’anni non avrò bisogno di ricordarlo, perché potrò alzare gli occhi e lo troverò come oggi, come in questo momento».
«Io mi ricorderò di te, Lea» mormorò, fissando il suo profilo. «Fai lo stesso con me».
«Memorizzato».


 
Ma Lea non aveva ricordato, non aveva ricordato nulla.
Non aveva ricordato cos’erano, né com’erano. Non si era ricordato di lui, non aveva conservato neppure un singolo granello di quel che era stato, ed allora Saïx aveva dimenticato a propria volta.
Di Lea però ricordava tutto, eccome. Ricordava il sapore delle sue labbra, della sua pelle. Ricordava l’odore dei suoi capelli e quello del suo petto, il calore che emanava. Ricordava la sua voce, ed il senso di pace che un tempo riusciva a dargli.
Adesso non c’era più niente, niente, solo ricordi.
Alzò gli occhi, oltre la finestra della propria stanza.
Il cielo era nero, innaturale, diverso.


Mi hai mentito anche su questo, Lea.








 






L'angst salverà il mondo, assieme allo yaoi!
Era una vita che pensavo a questa shot, qualcosa che racchiudesse ciò che è stato con quel che era tra questi due giovanotti.
Inutile dire che ci tengo tanto, davvero tanto a questa storia - nonostante l'abbia buttata giù in un attimo.
Spero piaccia anche a voi e... niente, fatemi sapere, neh, che mi fate contenta! :3

See ya!

   
 
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