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Autore: nevertrustaduck    31/07/2012    7 recensioni
"...Guardando i suoi occhi per una volta mi sentii a casa. Per una volta credetti veramente di essere importante per qualcuno, sentii di essere nel posto giusto. Pensai che non sarei mai più stata sola..."
Jessica vive in un orfanotrofio da quando ha cinque anni. E' cresciuta sotto l'occhio severo e premuroso di Tess, la sua migliore amica, con la quale ha intenzione di scappare non appena compiuti i diciotto anni. Nessuno si è mai curato di lei, a scuola è una continua derisione per quello che non ha, ma un incontro sul lavoro le cambierà radicalmente la vita. Tutto è innescato da delle coincidenze.
E' proprio vero: la vita è quell'entità che si pone tre te e i tuoi piani per il futuro.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Prologo
 


Aprii gli occhi, tutto intorno a me era confuso e caotico tanto da non farmi capire dove fossi. Mi alzai a fatica da quello che doveva essere un pavimento. Una superficie liscia e terribilmente fredda, tanto da riuscire a chiudermi lo stomaco in una morsa amara.
All’improvviso una figura dall’altra parte di quella specie di stanza catturò la mia attenzione: mio padre.
Stava dritto in piedi , proprio come me, e tendeva una mano verso la mia guancia. Cominciò ad avanzare ondeggiando paurosamente come un lenzuolo steso ad asciugare.
Istintivamente cercai di allontanarmi. Non che avessi paura che potesse farmi del male, non mi aveva mai toccata, solo che non ero ancora pronta per quel contatto.
Cominciai a correre, cercando l’uscita di quella stanza, ma dovunque andassi trovavo solo una parete liscia e compatta che mi costringeva a cambiare direzione.
Ogni volta che guardavo indietro trovavo sempre mio padre ondeggiante e pronto a raggiungermi, portandosi dietro il solito odore forte dell’alcool.
Cominciai a essere stanca di correre, stanca di cercare qualcosa che sapevo non sarei mai riuscita a trovare. Per assurdo ero anche stanca di respirare. Sentii le forze abbandonarmi, le palpebre farsi pesanti, le ginocchia piegarsi sotto il mio peso. Mi accasciai di nuovo sul pavimento, gelido come prima, e lasciai che i sensi mi abbandonassero del tutto.
«Jess» una voce mi giunse da lontano.
Rimasi molto tempo in attesa di un altro richiamo, ma non arrivò, così pensai di averlo immaginato.
«Jess» mi chiamò di nuovo la voce.
Allora non ero svenuta completamente.
Volevo alzarmi e cercare chi mi stesse chiamando, ma piccole scosse me lo impedirono, costringendomi a terra.
Chissà, forse era arrivata la fine.
Le scosse aumentarono d’intensità, costringendomi ad aprire gli occhi.
La stanza buia e fredda sparì, portando con sé anche mio padre, lasciando il posto ai grandi occhi azzurri di Tess che mi guardavano perplessi.
«Era ora, Jess! È da mezz’ora che ti chiamo»
Adoravo i suoi modi particolari di augurarmi il buon giorno.
Per tutta risposta mi stropicciai gli occhi e mi misi lentamente seduta sul letto.
Tess mi schiaffò in mano un bicchiere di quello che sembrava succo d’arancia.
«Come hai fatto?» chiesi alludendo al succo e riprendendo in fretta le mie capacità connettive.
«C’era Jeremy al controllo della mensa, sono riuscita a passarlo facilmente» mi disse ammiccando.
«Ora però sbrigati a berlo, o qualcuno se ne accorgerà» mi avvertì sedendosi sul letto accanto al mio e legando i ricci biondi in una coda di cavallo.
«Tutto bene? Ti agitavi nel sonno prima» mi chiese ritrovando il tono premuroso che mi riservava sempre.
«Sì Tess, tutto a posto. Il solito brutto sogno» le risposi liquidando la cosa con un gesto della mano, dopodiché mi affrettai a bere il mio succo.
Mi sorrise, poi si fece di nuovo seria.
«Jess, volevo chiederti… potresti coprire il mio turno oggi, sai è giorno di visite e sono due anni che… »
«Certo Tess, stai tranquilla, nessun problema» le dissi alzandomi e andando a prendere dall’armadio la divisa che usavamo nel negozio di abbigliamento.
Indossai la gonna a tubino nera, la camicetta bianca a mezze maniche e annodai il foulard di seta verde al collo. Appuntai sul davanti il cartellino con il mio nome e presi dalla scarpiera le ballerine in vernice. Presi la spazzola che avevo sul comodino, cercando invano di domare i miei capelli perennemente impicciati.
«Da qua leoncina, ci penso io» disse Tess arrivandomi alle spalle e provvedendo a pettinarmi i capelli in una treccia meravigliosamente morbida che lasciò ricadere tra le mie scapole.
«Grazie» le dissi portando una mano dietro la schiena a toccare il suo operato.
«Grazie a te Jess» mi disse abbracciandomi.
Ebbi appena il tempo di essere avvolta dal suo profumo caramellato e di sussurrare un piccolo “non c’è di che” prima che sciogliesse l’abbraccio e corresse via.
la capivo infondo. Erano due anni che per problemi vari non riusciva a vedere sua madre, ora finalmente ne aveva l’occasione e per me non c’era cosa più gratificante che renderla felice. Si era presa cura di me come una sorella maggiore da quando ero arrivata in orfanotrofio, anche se aveva soltanto due anni più di me.
Già, non l’avevo ancora detto: vivo in un orfanotrofio. Mi ci trovo da quando ho cinque anni, quando mia madre morì e mio padre fu reputato inopportuno per crescermi dato il suo stretto rapporto con l’alcool. Non ricordo molte cose precedenti il mio arrivo, così Tess oltre a essere la mia migliore amica è stata la mia famiglia.
Mi diedi un’ultima occhiata nel piccolo specchio che avevamo appeso alla parete e scesi di sotto, pronta a cominciare il mio turno di lavoro.
L’orfanotrofio era proprio sopra il negozio, così non dovetti far altro che scendere e presentare il mio tesserino all’entrata.
«Sono Jessica Switcherson, copro il turno di Tess Somerset» dissi aiutando l’inserviente che non trovava il mio nome nel quadro con turni del giorno. Scribacchiò qualcosa sul foglio che aveva davanti e mi restituì il tesserino, indicandomi il bancone con il registratore di cassa.
Lavoro abbastanza facile: niente clienti isteriche, nessun consiglio da dispensare, solo passare gli acquisti davanti al lettore e comunicare il totale.
Era lunedì, non sapevo quanto sarebbe stato affollato il negozio, dato che di solito coprivo turni del sabato e della domenica per non saltare giorni di scuola.
Tess si era diplomata il giugno passato, così ora lavorava indistintamente qualsiasi giorno della settimana. Io invece avevo appena iniziato il quarto anno, e sinceramente preferivo servire clienti isteriche al negozio che indossare quel’orrenda divisa marrone da orfanella per andare a scuola ed essere sempre derisa da tutti per quello che non avevo: una vera casa, una famiglia. Ormai neanche mi presentavo più i giorni delle adozioni. Chi avrebbe voluto in casa sua una ragazza diciassettenne, una perfetta sconosciuta, etichettata da tutti come “ragazza difficile”. Prova a crescere tu nello Universal Rainbow Institute, poi vediamo quanto sei facile.
Poi non capisco il dare questi nomi pieni di gioia e felicità. I ragazzi che stanno in un orfanotrofio non hanno una famiglia, un posto sicuro dove stare, sono stati abbandonati o non hanno altra scelta che vivere la. Queste cose hanno gioia e felicità pari a zero.
Mi ci volle poco tempo per capire che il deserto dei Tartari sarebbe stato sicuramente più affollato del negozio quella mattina, così aiutai le altre ragazze a mettere a posto alcuni capi sugli scaffali.
Era quasi mezzogiorno quando entrò una signora elegante. Troppo elegante per un negozio come il nostro.
Il suo tailleur era molto raffinato, ma qualcosa nella sua espressione la differenziava dalle solite riccone spocchiose. I suoi occhi erano dolci, buoni, sembravano accarezzare tutto, ovunque si posassero.
Stavo per tornare alla mia postazione dietro la cassa, ma un tocco leggero sulla spalla mi fece voltare.
«Scusi» disse cortesemente la signora richiamando la mia attenzione.
«Potrei chiederle un consiglio?» mi chiese dirigendosi verso uno degli scaffali che avevo appena finito di sistemare.
Feci cenno di sì con la testa e la seguii. Ancora non mi era chiaro il perché l’avesse chiesto proprio a me, dato che c’erano molte altre ragazze nel negozio che, si vedeva, di moda ne capivano molto più di me.
«Pensavo a questa blusa come qualcosa di informale, da mettere sotto qualche giacca leggera, ma non riesco a scegliere il colore» mi spiegò indicando con il dito prima una blusa beige e poi una verde.
Cercai di fare mente locale su quello che diceva Tess quando dava dei consigli alle clienti. “Il beige è un classico, sta bene con tutto”.
«Il beige è un classico, sta bene con tutto» ripetei. Poi però accostai la blusa verde al suo viso, notando come spiccava qual colore con i suoi capelli castani.
«Però penso che il verde dia più personalità, perché è… diverso dal classico» dissi cercando di far capire che ero assolutamente consapevole di ciò che stavo dicendo. Cosa assolutamente falsa dato che mi stavo arrampicando sugli specchi.
«Credo che abbia ragione, il verde è più allegro» disse la donna sorridendo.
Sorrisi a mia volta mentre portavo il capo alla cassa. Qualcuno aveva seguito un mio consiglio, ero abbastanza fiera di me.
Iniziai a digitare l’importo, ma un forte giramento di testa mi costrinse ad appoggiarmi al bancone. Solo allora realizzai di essere a stomaco vuoto dal giorno prima, dato che ero stata costretta a saltare la cena perché avevo dimenticato il mio turno di pulizia dei bagni.
«Tutto bene cara?» chiese la signora premurosamente.
Accennai un mezzo sorriso, ma la stanza non ne voleva sapere di smettere di girare attorno a me.
«Scusi, giusto un attimo e… » iniziai a dire.
«Tra quanto finisce il tuo turno?» mi chiese.
Mi sforzai al massimo per far fermare l’orologio e per guardare l’ora che indicava.
«Cinque minuti fa» risposi flebilmente vedendo che era mezzogiorno e cinque.
«Allora vieni con me» disse con un tono che non ammetteva repliche.
«Non posso… lei neanche mi conosce» mi sforzai di replicare.
«Sei una ragazza che ha bisogno di aiuto e questo mi basta. Parlerò io con il tuo capo, se è questo che ti preoccupa, ora andiamo a mangiare prima che tu svenga» disse la donna premurosamente posando venti dollari sul bancone della cassa.
«Ma la sua blusa non costa così tanto!» cercai di protestare mentre mi prendeva sottobraccio.
«Il resto è per il tuo consiglio e anche per te. Adesso muoviamoci, sei piuttosto pallida» disse mantenendo lo stesso tono, accompagnandomi fuori dal negozio.
Non ebbi la forza di replicare di nuovo, mi lasciai guidare da quella donna in un ristorante.
Sapevo benissimo che non avrei dovuto seguirla, anche perché era una perfetta sconosciuta, ma qualcosa nei suoi occhi mi diceva che potevo fidarmi, che sarebbe andato tutto bene.
Forse l’unica cosa che impediva al sorriso di sparire dal mio volto era che qualcuno si stesse preoccupando per me, si volesse assicurare che stessi bene.
Ero finalmente nei pensieri di qualcuno, per una volta.




Salve a tutti!
Grazie per avermi dato fiducia leggendo questa storia! Spero solo che vi sia piaciuto come inizio e che vogliate saperne di più!
Che dire...ci vediamo presto con il prossimo capitolo!
Un bacione meraviglie ❤
Miki
   
 
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