Allungo
la mano verso il ginocchio nell’istintivo gesto di
placare il dolore, anche se non riesco proprio a capire come possa
essermi
fatto male. Sono a letto. Fino a due minuti fa dormivo. Che
cazz…
«Ethan, Ethan, per favore!» la voce di Esther
risveglia
tutti i miei sensi e mi mette in allarme. Scatto a sedere sul letto,
come se
non mi fossi mai addormentato, e mi guardo intorno alla ricerca di un
segnale
di pericolo. Niente. Nessun odore di vampiro o di altre creature
strane.
Sono colto dalla tentazione di rimettermi a dormire, quando
dalla bocca di Esther esce un verso strano, di dolore. Mi volto verso
di lei.
«Ethan… la bambina…» cerca di
dirmi qualcosa, tra una
smorfia e l’altra. Poi il suo viso torna rilassato.
«Sta nascendo.»
Ci metto un po’ a capire quello che sta cercando di dirmi e,
dopo aver tirato fuori una delle mie facce da pesce lesso che in
un’altra
situazione l’avrebbe fatta sicuramente ridere, scatto fuori
dal letto e alla
massima velocità concessami dalla mia seconda natura, mi
vesto e prendo tutto
il necessario per l’ospedale. La borsa con le cose di Esther,
la carrozzina, i
sacchettini con i vestiti per la bambina… ok, dovrebbe
esserci tutto. Corro
fuori, spalanco il garage e carico tutto nell’auto. Accendo
il motore e tiro
fuori l’auto.
«Ethan» mi richiama Esther. Mi giro verso il sedile
del
passeggero e lei non c’è. Ridacchio, rientrando in
casa per prenderla tra le
mie braccia. Sono troppo agitato.
«Tesoro, stai calmo, c’è ancora un
po’ di tempo» mi dice
mentre le infilo una giacca di piuma d’oca e un paio di calze
di lana, prima di
portarla fuori e rendermi conto che forse, a metà luglio,
con tutta quella roba
addosso avrà caldo. Quando la faccio sedere in auto
è colta da un’altra
contrazione. E io vado di nuovo nel panico. Non mi piace vederla
soffrire. Non
mi piace e basta, ma lei continua a sorridermi, nonostante le
contrazioni,
nonostante tutti i miei sbagli degli ultimi venti minuti, lei continua
a
sorridere serena.
Salgo dal lato del guidatore dopo aver abbassato il suo
sedile per farle avere una posizione più comoda e avvio
l’auto. Destinazione:
Ospedale di Forks.
*
*
*
Sono
stato con Esther in sala parto fino a quando le
contrazioni non hanno iniziato ad essere nel numero giusto o come
cacchio si
dice, poi l’ostetrica di turno mi ha cacciato fuori
perché “agitavo la madre”.
Ma che vuole? Avrò diritto ad essere un po’ in
ansia? Lì dentro ci sono mia
moglie e mia figlia!
«Ethan, stai tranquillo.» Papà mi poggia
una mano sulla
spalla e mi fa sedere di nuovo sulla poltroncina della sala
d’attesa. Non mi
ero neanche accorto di essere scattato in piedi. Sospiro.
«Ci stanno mettendo troppo» dico, quasi a me stesso.
«Ci stanno mettendo il tempo che ci vuole» mi
risponde Seth,
mentre continua a giocare con David sul pavimento della sala
d’attesa. Sarah
deve essere andata a prendere qualcosa da bere giù al bar.
«Perché non sei dentro con mia sorella, brutto
idiota…»
La diplomazia di Judith viene soffocata dalla mano di Zack,
che urla di dolore per il morso che riceve subito dopo.
«Non ti azzardare mai più a zittirmi,
scemo!» La raffica di
insulti che dovrebbe seguire viene però bloccata in maniera
più efficace dalle
labbra di mio cugino. Zio Paul deve avergli insegnato come si
zittiscono le
donne della Riserva.
«Lo ha buttato fuori l’ostetrica»
risponde July al mio posto.
Ci sono davvero tutti. E fanno un casino assurdo… mi
ricordano quasi la mia cerimonia del diploma, quando Seth voleva
cacciare fuori
papà e i cuccioli.
Sorrido per un attimo al ricordo, poi ricomincio a mangiarmi
le unghie con lo sguardo fisso sulla porta della sala parto. Escludo
tutte le
voci che ho intorno e mi concentro su quella maledettissima porta
tagliafuoco
che non vuole saperne di aprirsi.
Qualche minuto dopo esce fuori un’infermiera. Forse
è la
stessa che mi ha cacciato fuori dalla sala parto, forse no, in questo
momento
non saprei dirlo, ma sul suo viso c’è un sorriso,
mentre chiede del “papà”.
«Sono io!» mi ritrovo a dire senza sapere come e la
tipa mi
afferra per un gomito, mi trascina dentro e mi infila uno di quei
camici
monouso che si allacciano sulla schiena, mi molla una cuffia della
stessa
stoffa – o è carta – pruriginosa e
soffocante e mi fa alzare i piedi uno alla
volta per mettermi dei sacchetti di plastica a coprire le scarpe.
Probabilmente si è accorta che da solo in questo momento non
sarei in grado neanche di seguire delle semplici istruzioni, tanto sono
in
ansia.
E poi… tutta l’ansia si scioglie nel momento in
cui le vedo.
I miei due tesori più grandi insieme su quel lettino. Esther
ha gli occhi
chiusi, deve essere stremata, ma è sveglia e con una mano
accarezza il
fagottino che le hanno messo accanto.
Poso le labbra sulla fronte di mia moglie e una mano su
quella con cui sta accarezzando la nostra piccolina.
«È perfetta. Come te» le dico.
«Ma non ha ancora un nome» mi risponde lei, con un
sorriso
stanco.
«Veramente… penso da mesi ad un nome per la
piccola, ma non
so se…»
«Anch’io ho un nome che potrebbe essere perfetto,
ma non so
se ti piacerà» mi interrompe lei.
«Al tre lo diciamo insieme?»
«1…»
«2…»
«3… Amelia.»
«Amelia.»
Sorridiamo. Probabilmente siamo arrivati a questo nome con
lo stesso ragionamento.
«Vuoi prenderla un po’ in braccio, Ethan?»
«Muoio dalla voglia» le rispondo.
«Ciao, piccola Amelia. Questa brutta faccia qui è
quella del
tuo papà.»
«Così la spaventi» sorrido, mentre
l’ostetrica mi mette tra
le braccia la mia bambina. È così piccola e
così leggera.
«Ciao, amore del tuo papà»
dico, senza riuscire ad aggiungere altro.
Seguo il profilo di Amelia con un dito e, mentre le accarezzo le rughe
sulla fronte, sorrido pensando che tutti i
pezzi
della mia vita, della nostra vita,
sono finalmente al loro posto.
***
Dunque, lo so che ho due storie in corso e che dovrei chiudere quelle, prima di pensare ad altro... ma, come prima giustificazione, questa è una shot, e come seconda giustificazione, questi due, o meglio questi tre, sono venuti a rompermi le scatole mentre scrivevo la tesi e mentre ripetevo la discussione... ah, sì, per la cronaca, nel periodo in cui sono sparita ho finito gli esami e mi sono laureata (ancora fatico a crederci).
Spero che la storia vi sia piaciuta, e che abbiate capito da dove viene il nome della piccolina... potete dirmelo nelle recensioni, se volete :)
Tutto ciò era nato come
una semplice shot, e invece,
consultandomi con il caro beta Abraxas,
la shot è diventata una raccolta di shot... per vedere la
prossima però dovrete aspettare che sia andata un po' avanti
con le storie che ho in corso, altrimenti mi sento in colpa...
La raccolta sarà tutta narrata dal punto di vista di Ethan
(dato anche il suo titolo) e i titoli delle varie shot saranno tutti
verbi all'infinito. In questo caso 'nascere'.
Ringrazio Ab e J per le consulenze e... vi saluto :)
Un bacio
K.