Non esistono verità assolute, né assolute
menzogne.
Lo sguardo vaga nell’oscurità, il silenzio mi avvolge
misericordioso, così fragile, così irresistibile.
Dolce oblio.
Stringimi, perché solo tra le tue braccia mi sento viva.
Stringimi,
perché è adesso che ho più bisogno di te.
Insegnami a volare.
Non esiste
una verità assoluta. Così mi hai detto.
Non esiste misericordia, in un mondo
dove la compassione fa girare miliardi. Questo è ciò che ti dico.
Il tuo
corpo pallido parla al mio cuore, la melodia dei tuoi sensi invoca il mio nome.
E tu non sei qui.
Maledetto quel giorno in cui ti ho conosciuto.
Maledetto il giorno in cui te ne sei andato, portando con te il mio cuore.
Stronzate.
Rivivrei ogni cosa. Se potessi tornare indietro, per un solo
istante, per sentire di nuovo le tue mani su di me; per sentire il tuo corpo
freddo riscaldarmi; per sentire il tuo piacere scorrere in me, come l’ultima
volta, come sempre.
Sentire i tuoi baci.
Le tue dita che mi sfiorano.
La tua voce, dolce come gli angeli, profonda come l’oceano.
Ma tu mi hai
lasciato.
“Per sempre insieme.” Così mi ripetevi.
La morte è più forte.
Lo sai, lo so. L’abbiamo sempre saputo.
Per sempre insieme, fino alla fine.
E la fine è arrivata.
Ma non esiste paradiso, per te. Non esiste
redenzione al peccato che hai commesso.
Mi hai abbandonato, mio bellissimo
vampiro.
Non ti odio. Tra il dolore e l’amore, non c’è spazio per l’odio.
Non c’è spazio per nient’altro, se non il tuo ricordo.
Amore mio.
Per
sempre insieme.
«Dai, muoviti!» urlò Jess, dall’altra parte
del campo. Una figura snella dall’altra parte della strada alzò una mano,
irritata.
«Sto arrivando!» urlò di rimando. Jess si appoggiò alla vetrina di
un negozio di articoli per bambini, incantandosi davanti alle minuscole
magliette, ai body colorati, alle culle.
«Andiamo?» le rispose la figura,
raggiungendola. Un breve sguardo, complice, un sorriso sfuggente. Nient’altro.
«Andiamo.»
«Vieni al gruppo di studio oggi?»
«No...» mormorò la
ragazza. Jess la guardò in tralice «Devo fare una cosa.» spiegò, come per
scusarsi.
«Oh, no...»
«E’ necessario, Jess.»
«Sono passati solo due
giorni dall’ultima volta!»
«Questa sarà l’ultima. Lo giuro.»
«Non lo
dico per me.»
«Lo so.»
«Ci riuscirai?» chiese Jess, prendendo la mano
dell’amica, che non si scostò. “E’ già qualcosa” pensò con sollievo. Non aveva
permesso a nessuno di toccarla... dopo.
«Lo spero.»
Non parlarono più,
per tutto il tragitto in macchina. Un breve cenno di saluto, e si separarono.
La ragazza entrò in casa, posando sul tavolo della cucina due borse piene di
aquisti, e un pacchettino poco più grande di un guscio di noce.
Un pacchetto
regalo.
Meno di mezz’ora dopo, a passi lenti e misurati, uscì di casa.
Il pacchetto era al sicuro nella tasca della giacca.
Le nuvole si
rincorrevano in cielo, oscurando il sole. L’aria era fredda, il vento che
soffiava da nord gelava il sangue.
Una pioggia ghiacciata scendeva a rivoli
continui, inzuppando i jeans della ragazza, scorrendo sull’impermeabile nero,
entrando negli stivali. Cose di poco conto.
Il fastidio maggiore non era
quello.
Era il dolore che provava al cuore, quello si che era
insopportabile.
Un dolore forte, acuto, presente ogni secondo della
giornata, ogni attimo. Mentre rideva, quando si sedeva al tavolo della cucina,
piangendo disperata, bagnando con le lacrime le decine, centinaia di lettere che
cercava di scrivere ad Alice, a Esme.
Il dolore di perdere la persona che si
ama, e la paura che la tua vita non sarà mai come prima. Che precipiterai in un
baratro dal quale non riuscirai mai più a sollevarti.
Un mostro alieno, che
ti imprigiona nella sua morsa. Ti rende schiavo della tua routine. Svegliarsi,
fare colazione. Andare a scuola. Il pranzo. Studiare, la doccia. Cenare. Andare
a dormire. E di nuovo, ancora, ancora e ancora. Giorno dopo giorno, mese dopo
mese. Anno dopo anno.
Senza emozioni, perché tutte le emozioni che provavi
erano per lui.
Perché tutto ciò che ti teneva in vita, tutto ciò che dava un
senso all’inesorabile trascorrere dei giorni, era quello che provavi per lui.
Perché tutto ciò che contava veramente nella vita era lui. E adesso non c’è
più.
Adesso è da qualche parte, che ti sorveglia, non ti abbandona mai. Ma
tu non puoi vederlo. Non puoi sentirlo. Non puoi parlargli, non lo puoi toccare.
Perché non c’è più, davvero non c’è più, in tutti i sensi.
Perché
Victoria è tornata, con altri cinque vampiri, per vendicarsi di quando, quasi
due anni fa, lui ha ucciso James. Per proteggerti. Perché quei sei vampiri erano
troppo antichi, troppo forti per i Cullen. Perché ti aveva in pugno, e stava per
morderti, e Edward non avrebbe mai permesso una cosa del genere... e si era
lanciato contro di lei, con tutta la furia cieca del suo amore, tentando di
salvarti.
E c’era riuscito, si. Eri salva. Non eri morta, quel giorno. Non
tu.
Era morto lui.
E ora, Bella esisteva. Esisteva e basta. Non era
nemmeno vita, la sua, perché “vivere” significa partecipare attivamente, provare
davvero qualcosa.
Mentre lei non provava niente. Solo il desiderio di
svegliarsi, e scoprire che era stato tutto un incubo tremendo. Che Edward era
accanto a lei, e la abbracciava come aveva fatto decine di altre volte, i loro
visi uno accanto all’altro, a sfiorarsi, le sue labbra sul collo, la sua voce
dolce che sussurrava parole così belle...
Si fermò.
A pochi passi da
lei, il cimitero di Forks.
L’avevano seppellito lì. Seppellito...
Avevano sotterrato quel poco che restava delle sue ceneri, dopo che Victoria
l’aveva bruciato. E loro, tutti loro, erano stati costretti ad assistervi.
Schiavi di qualcosa di più forte delle catene. Schiavi della paura. Della
disperazione.
La pioggia continuava a scorrere inclemente, bagnandole il
viso. Gocce fredde le scorrevano dalle tempie al mento, ripercorrendo il
percorso delle dita di Edward, lavando via le sue impronte, le ultime tracce del
suo profumo. Raffreddando la scia bollente che le infiammava le guance quando
lui la toccava.
Cancellando ogni cosa, tranne il dolore. Tranne la
disperazione.
Ogni cosa. Ma non la morte che aveva nel cuore.
Rimase
ferma, davanti alla sua tomba; per ore, forse.
Ricordando i suoi gesti. Il
suo sorriso. Le sue mani. Il suo corpo statuario, scolpito nel marmo. La sua
voce, richiamo degli angeli.
Ripercorse con la mente i sentieri della
memoria, giungendo fino al primo istante, quando l’aveva conosciuto; e da lì si
incamminò attraverso i giorni, le immagini.
Vivide, tornavano alla memoria
con facilità sorprendente.
“Non sono pronta a lasciarti andare.” Aveva detto
in un sussurro.
“Non ti abbandonerò.” La risposta era giunta da lontano,
come un’eco malinconica di un sentimento ormai perduto.
“Non andartene.” Gli
aveva mormorato lei, quando aveva capito che ormai non c’era più speranza. Prima
che uno dei vampiri venisse a prenderla. La strappasse da lui.
“Vuoi
sposarmi?” aveva chiesto Edward. Prima che lei potesse rispondere, il suo corpo
era avvolto dalle fiamme. Gli occhi dorati si erano chiusi. Per sempre.
Appoggiò il pacchetto sulla lapide, senza aprirlo. Non era ancora pronta.
Non ancora.
Ancora un ricordo, solo uno, prima di lasciarti andare per
sempre.
Un ultima immagine di te, mentre mi accarezzi una guancia, i tuoi
occhi dorati fissi nei miei.
Aprì il pacchetto.
Una scatola di velluto,
nera. Come la sua anima.
All’interno, un anello d’oro bianco. Due iniziali
incise sopra. Una scritta, ormai inutile, ma carica di un significato che non
sarebbe sbiadito con il tempo. Con gli anni.
B&E. PER SEMPRE.
Si
inginocchiò davanti alla tomba e si infilò l’anello.
“Si.” Mormorò, mentre
il vento gli riportava la sua voce, l’accarezzava con quella dolcezza che solo
lui aveva.
“Si.” Ripetè al vento. Ma non era il vento. Era Edward.
“Si.
Voglio sposarti.”
Il vento si placò. Edward era accanto a lei. Trasparente,
ma così vivido da commuoverla. Le posò un bacio sulla fronte, poi svanì. Un
altro fantasma del passato. Un’altra illusione. Ma questa volta sorrise.
“Addio, amore mio. Ora e per sempre.”
FINE