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Autore: ponlovegood    01/08/2012    1 recensioni
Spinn-off di 'La porta di casa' (I cinque samurai')
Un po’ titubante mi sedetti accanto a Yuu, che mi lanciò un breve sguardo, del quale, però, non colsi il significato; intanto i suoi genitori continuavano ad osservarmi e non era di certo una delle sensazioni migliori che si possano provare. Era terribile non riuscire a capire cosa stessero pensando di me e se riuscivo a captare un leggero mutamento nelle loro espressioni pensavo sempre al peggio.
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aoi, Nuovo personaggio, Uruha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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pons notes
Per una migliore comprensione della storia, vi consiglierei di leggere il capitolo della long da cui è tratta. Ah, mi scuso in anticipo per gli errori che potrebbero esserci, ma, anche con gli occhiali, non riesco mai a individuarli tutti ç__ç
 
Home
 
Sei occhi erano fissi su di me mentre mi accingevo a riprendere il mio posto, sentendo già le gambe formicolare al pensiero di dovermi inginocchiare nuovamente. Odiavo dovermi sedere sugli zabuton [1] e fin’ora ero sempre riuscito ad evitarlo. Mi sarà impossibile dimenticare i weekend a casa dei miei nonni dove eravamo costretti a dormire sui futon e non avere un minimo di privacy per via dei fusuma [2] troppo sottili. Fortunatamente, durante quei periodi, le mie gambe erano ancora abbastanza corte da portele stendere comodamente per tutta la lunghezza –per quanto limitata fosse- del tavolo e non ero costretto a sedere in seiza [3]. Oggi, purtroppo, non mi è più permesso concedermi un lusso del genere. Mi era, però, sempre più difficile ricordare con esattezza quei momenti, come se, assieme ai miei nonni, se ne fossero andati anche i ricordi più nitidi delle estati afose passate nel loro piccolo paese. Eppure, per un momento, mi sembrò di essere tornato indietro nel tempo, quando ero poco più che un mocciosetto, e davanti ai miei occhi apparve la casa dei miei nonni che, alla fin fine, non era poi tanto diversa da quella dei signori Shiroyama. Per quanto mi riguarda, le case tradizionali si somigliano un po’ tutte. Andavamo a trovare i genitori di mio padre principalmente in estate in occasione del festival estivo del paese per poi assistere allo spettacolo dei fuochi d’artificio. Mi chiesi se anche in quel posto sperso tra le montagne ci fosse qualcosa di simile; mi sarebbe piaciuto vedere Yuu con indosso uno Yukata [4]. Devo assolutamente ricordarmi di chiederli ai signori Shiroyama, mi appuntai in testa. I festival estivi sono una delle cose più belle e suggestive che possano esistere, che racchiudono dentro di sé una magia tutta loro. Tuttavia sono sempre stato dell’idea che sia possibile cogliere questa magia, solo vivendo quei momenti insieme a qualcuno a noi caro; senza nessuno accanto sarebbe un occasione così gioiosa, si trasformerebbe in qualcosa di incredibilmente triste. E’ momento speciale da condividere con persone speciali.

 

Era la fine del mio secondo anno di superiori.
«Yuukun, potremmo parlare un attimo?» domandai, un po’ intimorito dagli sguardi dei suoi amici. Lui si voltò completamente verso di me e sorridendomi mi cinse la spalle con un braccio. «Certamente». Mi sembrava ancora strano considerami suo amico. Tuttavia i miei sentimenti, sin da subito, erano stati sempre molto confusi. «Scusate ragazzi» disse rivolgendosi agli amici «Torno subito». Così dicendo mi trascinò con sé sotto un albero per cercare di sfuggire a quella calura esagerata per aprile.
«Spara» disse lui guardandomi. Tuttavia non riuscii a formulare un pensiero minimamente sensato, in quel momento mi era proprio impossibile. Riuscivo solo a guardarlo e a pensare che quello sarebbe stato il suo ultimo anno lì a scuola e poi forse non ci saremo più rivisti. Infondo cosa lo legava a me? Nulla.
Avrei tanto voluto invitarlo con me al festival che si sarebbe tenuto al tempio del mio quartiere. Lo desideravo davvero, ma non una singola parola riuscì ad uscire dalla mia bocca.
«Kou?»
«Eh?» lo fissai leggermente confuso. «Ah, sì. No niente, volevo solo alcune dritte sulla nuova chitarra che ho comprato» improvvisai.
«Ah… capisco. Ok, nessun problema, dimmi tutto»

 
Un po’ titubante mi sedetti accanto a Yuu, che mi lanciò un breve sguardo, del quale, però, non colsi il significato; intanto i suoi genitori continuavano ad osservarmi e non era di certo una delle sensazioni migliori che si possano provare. Era terribile non riuscire a capire cosa stessero pensando di me e se riuscivo a captare un leggero mutamento nelle loro espressioni pensavo sempre al peggio. Temevo davvero che il padre mi avrebbe preso e sbattuto fuori a calci. Tutto ciò non era per niente facile, non nella nostra situazione  e non di certo in una società come la nostra. A volte mi sembrava così stupido aver detto di sì alla sua proposta di andarli a trovare. Davvero stupido. Continuavo a chiedermi cosa sarebbe successo se non gli fossi piaciuto, se non mi avessero accettato. Io ci avevo messo anni a capire e ad accettare me stesso, per questo mi riusciva davvero difficile credere che, nel giro di poche ore, sarei riuscito a piacere ai genitori Yuu. Era sempre stato piuttosto comp0licato per me riuscire a comprendermi a fondo e quando iniziai a capire cosa fosse l’amore, le cose si fecero ancora più complicate. Nonostante mi sentissi fondamentalmente a mio agio con me stesso, gli altri riuscivano a farmi sentire come se dovessi vergognarmi di me. Anche essendo abbastanza intelligente da capire che in me non c’era nulla che non andava, preferivo mantenere un profilo basso –praticamente raso terra- e essere ciò che tutti gli altri volevano che fossi. Forse, se fin dal principio, fossi stato sincero con Yuu (ma anche con me), le cose sarebbero potute andare in modo diverso. Ma, fortunatamente, non dovevo rimpiangere di averlo perso.
Nel sistemare le gambe sotto il tavolo lo urtai e i bicchieri colmi di the traballarono pericolosamente, tanto da farmi temere di essermi per sempre giocato l’approvazione da parte dei signori Shiroyama. Non ho mai avuto i riflessi molto pronti e in quel momento lo riconfermai: me ne restai impassibile a fissare i bicchieri che si agitavano sul vassoio. Quando questi, lentamente, si fermarono, ebbi la sensazione di aver sfiorato la catastrofe. Volsi lo sguardo verso gli altri, ma nessuno di loro sembrava particolarmente preoccupato per i bicchieri; sembrava addirittura che non si fossero accorti di nulla.
«Tesoro, ti prego, smettila di fissare quei bicchieri e rilassati» mi disse gentilmente Yuu poggiandomi una mano sulla spalla e solo in quel momento mi resi conto di quanto fosse teso il mio corpo; ero un fascio di nervi. Feci un breve respiro, rilassai le spalle e abbozzai un sorriso, ma risultò essere solo una bruttissima smorfia. Rassegnato abbassai lo sguardo.
Yuu e i genitori si dissero qualcuno, ma, un po’ perché il mio cervello era piombato nel caos e un po’ perché sembravano parlare in dialetto, non capii. Respirai nuovamente, quella volta più profondamente, e rialzai lo sguardo, ma per poi realizzare solo in quell’istante ciò che Yuu mi aveva detto. Come mi aveva chiamato. Tesoro?!
Quindi ora i suoi genitori sapevano. Dovevano aver capito tutto.
Ed io che mi ero anche preparato un discorso, un pezzo degno di un saggio scolastico. Insomma, sarebbe stato perfetto per presentar loro la situazione senza farli allarmare, per spiegare. Ma quell’ idiota (che Kamisama mi sia testimone, gliel’avrei fatta pagare) aveva mandato tutto all’aria.
Lentamente mi sporsi verso di lui avvicinandomi al suo orecchio: «Tesoro? Tesoro?! Non mi chiami mai così e proprio oggi dovevi deciderti a farlo? Eravamo qui per spiegare.. di noi. Dimmi se non era così. Non per sbatter loro in faccia la realtà e arrivederci».  Lui si voltò verso di me: «No, questo non è vero. Tu ti sei fatto tutti i tuoi piani e volevi che io mi adattassi..». A quel punto non mi preoccupai più di parlargli nell’orecchio: «Ma sei tu che hai voluto portarmi qui!» sbottai con un tono di voce un po’ troppo alto. Mortificato di aver detto una cosa simile in presenza dei signori Shiroyama (sia chiaro che non ero dispiaciuto di averlo detto a Yuu, proprio per nulla) abbassai lo sguardo e desiderai ardentemente potermi nascondere sotto quel tavolino minuscolo. Yuu sbuffò e cercò di aumentare la distanza tra di noi, incrociando poi le braccia al petto quando si accorse che era impossibile, visto lo spazio estremamente ridotto. Odiavo litigare in quel modo con lui e per quanto spesso poteva capitare, lo odiavo sempre e comunque. Eppure questo era uno dei tanti aspetti che confermavano il mio amore per lui: finchè avessimo litigato e finchè io, ogni santa volta, ci fossi rimasto male, significava che ancora lo amavo e che, per quanto forti fossero i nostri disaccordi, non volevo che essi ci separassero. Eravamo forse le persone più diverse di questo mondo, ma questo doveva essere il collante che ci teneva uniti. Lui era il mio opposto e allo stesso tempo l’esatta metà che mi completava.
«Ragazzi, non litigate. Questa doveva essere una bella riunione familiare» disse improvvisamente la madre attirando l’attenzione di entrambi. «Kouyou, caro, -posso chiamarti per nome, vero?- non preoccuparti: Yuu ci ha sempre tenuti informati di voi due» concluse sorridendomi in modo molto cordiale. Io in tutta risposta mi limitai a fissare lei, poi Yuu, poi di nuovo lei. Quindi sapeva tutto di noi.
E non ero ancora stato sbattuto fuori.
«Nostro figlio ci ha sempre detto tutto e noi siamo sempre stati molto fieri di lui, anche se suo padre avrebbe voluto vederlo diventare un avvocato» ridacchiò lanciando una breve occhiata in direzione del marito, che però restò in perfetto silenzio. Io cercai di sorridere, ma fallii di nuovo nell’impresa. Mi schiarii allora la gola e mormorai qualcosa che doveva assomigliare ad un: «E quando di grazia, Yuu, avresti detto queste cose ai tuoi genitori?». Dallo sguardo dei coniugi Shiroyama compresi che non avessero sentito tanto la mia voce risultò flebile e mi sorpresi allora che Yuu ci fosse riuscito, «Beh, non passiamo mica tutta la giornata insieme. Ogni tanto mi capita di essere solo a casa, sai. E’ ormai da un po’ che stiamo insieme e i miei sono sempre stati informati di tutto, già» disse con aria soddisfatta. «Un paio di volte mi è anche parso che mia madre chiedesse prima di te che di me» rise lui. Rimasi molto sorpreso dall’aria rilassata e calma che si respirava in quella casa, al contrario di come si sarebbe potuto pensare: ero stato accolto in quella casa in perfetto tradizionale da una coppia che mi si era presentata in abiti tradizionali e che sapevo essere molto devoti ai principi su cui si basava un Giappone ben più antico di quello che conosciamo oggi. Li conobbi per la prima volta quando ancora abitavano a Tokyo e li incontrai solo un altro paio di volte, ma mi diedero sempre l’impressione di essere tutt’altro genere di persone. Prima dell’incontro mi ero preparato davvero al peggio e invece loro se ne stavano seduti tranquilli, come se stessimo discutendo di argomenti totalmente futili. Eppure non riuscivo a scacciare l’ansia; ero sul punto di avere un attacco d’asma (malattia che, a mio avviso, non avevo mai accusato).
«Yuu, cos’hai raccontato a questo povero ragazzo? Sembra essere terrorizzato da noi» commentò la madre cercando di colpire la mano del figlio col ventaglio, ma lui si scansò appena in tempo. «Mamma!» protestò, assumendo un tono di voce così infantile da farmi sorridere. «E’ solo lui che si fa troppi problemi» disse lanciandomi una breve occhiata che, secondo lui, doveva essere seria. Io, pur di non rispondere alle sue stupide accuse, mi misi a bere il the, che ormai era diventato freddo. Dopo qualche istante anche gli altri seguirono il mio esempio e i bicchieri furono subito vuoti. «Kouyou caro» esordì la signora Shiroyama volgendo i suoi occhi affusolati verso di me, «ti prego, non sentirti intimorito. Nessuno ti butterà fuori o altro» ridacchiò con voce un po’ rauca. Il marito, tuttavia, continuava a mantenere un silenzio stoico. «Noi abbiamo accettato e voluto bene ai nostri figli sempre e comunque» continuò la donna sorridendomi, «E poi, vogliamo molto bene anche al marito di nostra figlia e alla moglie di nostro figlio. Come potremmo non volerne a te?» concluse, per poi versare il tè rimasto.  Ero così imbarazzato dal non riuscire a spiccicare una sola parola che, appena il mio bicchiere fu pieno, mi avventai su di esso, rischiando anche di scottarmi. «E se posso aggiungere una cosa, direi che ci piaci molto di più dell’ultimo ragazzo che il nostro Yuu ci ha fatto conoscere» ridacchiò lanciando un’occhiata al figlio. «Mamma! Ti sembrano cosa da dire di fronte a lui?!» sbottò Yuu, ma prima che la madre potesse rispondere, intervenni io: «Non fa niente. E’ normale che entrambi abbiamo avuto altre storie prima di adesso, lo capisco bene» dissi pacatamente, ma mi sentivo strano. Sapevo che per Yuu, in passato, c’era stato qualcun’altro, ma era una consapevolezza nascosta, alla quale non avevo mai pensato veramente. Lui aveva avuto qualcuno, forse più di uno. Io però no; avevo avuto storie così insignificanti da non essere nemmeno degne di questo nome, alcune della durata di una notte.
 

Il sole era sorto da meno di mezz’ora e faceva ancora freddo sotto le coperte del love hotel.
«Tesoro, possiamo rivederci?» mi domandò quel ragazzo ancora senza nome mentre si rivestiva. Stancamente mi misi a sedere e gli risposi come avevo fatto con tutti gli altri: No, mi dispiace.
«Non fraintendermi: sei stato fantastico, ma…» continuai grattandomi distrattamente la testa. «Ma c’è qualcun altro che preferiresti vedere» concluse la mia frase. «Già» ammisi cercando con lo sguardo i miei vestiti. «Nessun problema» disse lui, «Ci si vede» e così dicendo uscì dalla porta e dalla mia vita.

 
C’erano state tante persone, ma non nel modo in cui Yuu adesso c’era per me e non sapevo bene come reagire al fatto che lui avesse avuto un’altra persona speciale. «Quindi aveva già portato qui qualcuno, giusto?» domandai poggiando il bicchiere sul tavolino, anche se forse non affar mio. «Oh no, questo è un posto speciale. Quando nostra figlia venne qui con il suo fidanzato, poco dopo si sono sposati e così è stato anche per nostro figlio. In questa casa non si porta una persona qualunque» disse la signora Shiroyama, senza mai smettere di sorridermi. Io rimasi semplicemente in silenzio –di nuovo-. «Spero di non averti messo in imbarazzo» si preoccupò la donna. «Certo che l’hai fatto, mamma» disse prontamente Yuu. «No no, nessun imbarazzo» intervenni nuovamente prima che scoppiasse una lite familiare, «E’ solo che non mi aspettavo una cosa del genere. Non mi ritenevo poi così speciale da meritare un tale onore» dissi accennando un breve inchino verso i padroni di casa. «Ma certo che sei speciale, Kouyou caro. E ti prego, non servono tutte queste formalità adesso che siamo una famiglia» rispose calorosamente.
«Mamma, ti prego!» protestò Yuu.
«Che c’è?!» domandò lei.
«Sono io quello che dovrebbe dirgli che è speciale, non tu».
«Che figlio poco maturo che mi ritrovo» mormorò lei portando lo sguardo al cielo.
In quel momento mi sembrò di essere tornato ai tempi del liceo e di avere accanto a me uno Yuu poco più che diciottenne alle prese con la madre. Ricordai quel momento della mia vita con affetto, nonostante fu uno dei periodi più difficili che dovetti affrontare: non sapevo cosa ne sarebbe stato della mia vita e, soprattutto, dei miei sentimenti. Più pensavo al futuro più non riuscivo ad immaginarmelo e se anche facevo delle ipotesi, mi sembrano tutte irreali o irrealizzabili. Forse era solo il fatto di essere riuscito a realizzare ciò che ritenevo impossibile, che mi faceva guardare al passato con così tanto affetto.
 

«Quando parti?» domandai con tono grave, anche se cercavo –evidentemente non riuscendoci- di camuffare tutta al tristezza che si era accumulata in me negli ultimi giorni.  Avevo la sensazione che il mondo mi sarebbe potuto crollare addosso da un momento all’altro. Eppure non riuscivo ancora a trovare il coraggio per dirgli la verità.
Lo guardavo e non riuscivo a non chiedermi quanti mesi restassero alla nostra amicizia, vista la lontananza che, di lì a pochi giorni, ci avrebbe separati.
«Partire per dove?» mi chiese sbigottito posando i senbei [5]che stava sgranocchiando.
«Yuu, per favore. Non sono in vena di scherzare» dissi leggermente scocciato dal suo atteggiamento.
«Secondo me sei tu quello che scherza» ribattè, «Io non vado da nessuna parte. A meno che Tokyo non mi crolli da sotto i piedi dubito mi muoverò»
A quel punto toccò a me essere confuso.
«Ma non dovevi tornare nel Kansai insieme ai tuoi?» domandai scettico.
Yuu subito si limitò a fissarmi dubbioso grattandosi distrattamente la testa. «Quando mai ti avrei detto che sarei partito?»
«Beh, veramente non l’hai mai fatto» ammisi. «Sono stati i tuoi genitori a dirmi che sareste partiti» spiegai, ricordando il giorno in cui andai a casa di Yuu e li trovai intenti a imballarle loro cose.
«Questo è vero: tornano nel Kansai, ma LORO. Non io. Loro. Insomma, Kou, se mi fossi dovuto trasferire non pensi che come minimo te ne avrei parlato? E pensare che dovresti essere tu quello intelligente»
Rimasi un attimo in silenzio, valutando ciò che fosse meglio dire, ma, in verità, non c’era molto da dire. «Hai ragione, scusa. Ho tratto conclusioni affrettate» ammisi, ma non fui mai così felice di essermi sbagliato.
«Ehi, non ti preoccupare: io resto qua e non vado da nessuna parte. Resto qua, con te. Con Ryo e con quel ragazzino che ha pensato bene di raccogliere per la strada»
«Takanori» puntualizzai io.
«Sìsì, fa lo stesso»
«Ehi, non lo sminuire!»
«Non lo sto facendo! Sminuire mi viene meglio con Ryo» ridacchiò con fare sornione.
«Sei un cretino» sentenziai dandogli un piccolo pugno sulla spalla. «Ma grazie per essere rimasto qui» dissi sorridendo, sollevato al pensiero che, almeno per un altro po’, saremo rimasti insieme.

 
In ogni caso non sarei mai voluto tornare indietro e non mi importava di invecchiare e di dover affrontare le responsabilità di una vita adulta. Se mai fossi tornato indietro, mi sarei ritrovato a non avere nulla di ciò che possedevo nel presente. Desiderando di essere nuovo giovane sarei tornato a soffrire per il ragazzo che non credevo di poter avere, avrei nuovamente pensato che per me non ci fosse futuro e di non valere poi molto. In definitiva, per quanto apprezzassi –ora, s’intende- quel periodo che mi aveva aiutato a crescere, non vi avrei mai e poi mai fatto ritorno. E Yuu come me, anche se non lo avrebbe di certo ammesso, preferiva qualche piccola ruga al dover tornare a essere un adolescente.
«Sarà invecchiato, ma credo sia rimasto sempre lo stesso ragazzino di un tempo» ridacchiai sfiorando leggermente la sua mano. «Ehi ehi, quella parola non la devi usare» ribattè Yuu con aria stizzita. «E perchè mai? Non c’è niente di male nell’invecchiare» lo punzecchiai con gusto e quasi mi sembrò di essere tornato alla vita di tutti i giorni, nel nostro appartamento.
«Finalmente ti vedo rilassato!», a parlare fu il signor Shiroyama e quando me en resi conto quasi sobbalzai per la sorpresa, rimanendo, per l’ennesima volta, senza parole, come se avessi dimenticato come si faceva a parlare. «Su figliolo, non preoccuparti, non ti farò nulla. E’ solo che non esattamente un chiacchierone come mia moglie. Io, sono un tipo silenzioso e tu sei proprio come me, l’ho capito subito. Ti è andata bene che Yuu non abbia preso la parlantina da sua madre» disse con assoluta calma e una punta di ironia, rivelando una voce molto più calda e amichevole di quanto il suo aspetto facesse immaginare. «Ha-a ragione, signore» biascicai ancora un po’ stordito. Mi sembrava impossibile essere riuscito a guadagnare l’approvazione e la simpatia del padre in un così breve tempo. Forse dovevo tornare a credere nei miracoli.
«Ma dimmi una cosa:» continuò, «sai cucinare?». Quella domanda così diretta mi spiazzò leggermente, ma cercai ugualmente di dare una risposta che avesse minimamente un senso: «Beh, se devo essere sincero, non proprio. Generalmente mangiamo a casa del nostro batterista oppure ordiniamo il cibo per telefono» dissi anche se ancora non capivo il senso di quella domanda. 
«Male, male» commentò il padre guardando prima me, poi Yuu. «Non potete continuare in questo modo, dovete nutrirvi in modo adeguato!» ci rimproverò con fare serio.
«Papà, per favore, smettila» si lamentò Yuu.
«No, figliolo, questo non va assolutamente bene» ribattè. «Mia moglie è un’ottima cuoca, oltre che una chiacchierona di prima classe. Vi insegnerà tutto lei» asserì volgendo uno sguardo sorridente verso la signora Shiroyama.
«Papà, ti rendi conto che non viviamo mica a due isolati di distanza? Come pensi faremo?»
«Vorrà dire che passerete qui i vostri weekend liberi»
«Cosa mi tocca sentire!» sbuffò Yuu.
«Dai, Yuu, non mi sembra il caso di reagire così» gli dissi. «E poi a scuola non ho mai avuto la possibilità di fare economia domestica, quindi potrebbe rivelarsi un’esperienza interessante» dissi guardandolo con insistenza.
«Solo perché me lo stai chiedendo tu»
Solo in quel momento mi resi veramente conto di ciò che il signor Shiroyama mi aveva detto: ero finalmente rilassato. Era come se tutta la tensione accumulata quel giorno e in quelli precedenti, si fosse completamente dissolta. Faticavo addirittura a ricordare cosa avesse scatenato in me una tale ansia. Mi guardavo intorno e riuscivo a percepire la stessa sensazione che provavo ogni volta che entravo nel nostro appartamento e sapevo che Yuu, che poi altri non era che la mia famiglia, mi stava aspettando. Era una sensazione unica nel suo genere, totalmente diversa da qualsiasi altra. Era come che si iniziasse improvvisamente a respirare un’aria nuova, però solo nostra.
Era l’aria di casa.
 
[1] Cuscino giapponese utilizzato per sedersi attorno al tavolo.
[2] Pannelli verticali rettangolari che scorrendo ridefiniscono la struttura delle stanze, o fungono da porte, all'interno delle abitazioni tradizionali.
[3] E’ il termine giapponese per indicare la posizione seduta tradizionale.
[4] Kimono estivo
[5] Tradizionale cracker giapponese a base di riso.
 
pons chat
Sono tornataaa~♪
A undici mesi esatti da quando ho postato l’ultimo capitolo di ‘La porta di casa’  eccomi tornata con uno spin-off che avevo promesso J Gates. A proposito di questo volevo scusarmi con lei per averci messo così tanto e spero anche di aver deluso le sue aspettative.
Devo ammettere che questa shot è assolutamente senza pretese, se volete la si può definire banale, ma ormai è scritta e non me la sento di rifarla da capo. Non so bene come commentarla perché non c’è un granchè da dire, visto che non accade chissà che cosa in questa shot. Volevo semplicemente raccontare l’incontro dei cari piccioncini con i genitori di Yuu e ho scritto praticamente tutto di getto, senza pensarci mai troppo. Ho la sensazione che si rivelerà essere di una noia mortale, ma mi dispiace non postarla e lasciarla a prendere (metaforicamente) polvere nel mio computer. Per rifarmi di questo lavoro piuttosto banale posso dirvi di avere diversi progetti in corso. So che dovrei anche finire la mia seconda long –e giuro che lo farò- ma sono poco in vena delle cose tristi.
In conclusione spero vi sia piaciuta almeno un po’, ma comunque. Me ne rendo conto, non è di certo uno dei miei lavori più brillanti.
 
A presto,
pon ♥

  
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