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Autore: FabTaurus    01/08/2012    14 recensioni
Quando cala la nebbia, tutto si offusca, i colori si stingono e i suoni soffocano nell'aria grigia. Ma non è detto che tutto vada in letargo.
Esperimento di prosa poetica, incentrato sulla sensorialità. ci terrei ad avere un'opinione da chiunque legga il racconto.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Nota: Vapori, lo dico subito, non è un racconto steampunk, non ne ha le pretese e non desidera affatto esserlo; se deve essere classificato, ebbene il genere d'appartenenza credo sia il new weird. Nato come esperimento di prosa poetica si è evoluto negli anni,divenendo un racconto fantastico che mescola natura, magia, leggende e immaginazione. Buona lettura.


 

1.
Che quel giorno la nebbia riservasse qualcosa d’insolito, Alteria l'aveva percepito dopo appena la prima occhiata fuori dalla finestra e ora che vi era immersa, quell'impressione era diventata una ferma convinzione. 
Scorci di foresta emergevano dal grigiore fluttuante come immagini viste attraverso vetri foschi mentre  altri, ampi stralci vi svanivano, inghiottiti irrimediabilmente da pigri vortici slavati. In tutto questo lento schiumare, filacci di bruma ondeggiavano come alghe di un oceano fantasma. 
Famelica.
La nebbia saggiava l’aria alla ricerca di qualcosa cui avvinghiarsi, pervasa da un appetito di Realtà. 
Vorace. 
La ragazza rabbrividì, forse a causa di quella cupa considerazione o forse per via del freddo che le attanagliava le mani ormai esangui. 
Si muove come la gatta grigia quando gioca con un topo, pensò Alteria. 
Cominciava un poco a pentirsi di essersi avventurata da sola in quei luoghi, i suoi boschi, che credeva così familiari. Alberi piantati da suo nonno e dal nonno di suo nonno, verdi giganti che avevano ospitato tra le proprie radici i giochi e le vicende degli Appleton generazione dopo generazione. Alberi che ora si dimostravano totalmente alieni.
Guardandosi attorno, Alteria desiderò non essersi mai mossa dal salotto dove tutto era cominciato. 

2.
Mancava un quarto alle due di un sabato pomeriggio particolarmente uggioso e Alteria era accoccolata nella poltrona del salotto, quella di fianco al caminetto. Wendy suonava il piano mentre sua madre e Janet si dilettavano nel ricamo sedute compite sul sofà di broccato. Alteria aveva sempre odiato ricamare e detestava in particolar modo la frequenza con cui gli aghi le ferivano le dita, imbrattando di sangue la stoffa su cui stava lavorando. 
No, mai. Mille volte meglio un buon libro, aveva pensato quando sua madre l'aveva chiamata vicina a sé. 
«Devo leggere un libro per lunedì madre, mi spiace. È per il Sig. Jones, sapete, è un precettore molto rigido su questo genere di cose.». Aveva chiocciato la ragazza con aria innocente sventolando un volume ben rilegato.  
In risposta sua madre l'aveva scrutata un attimo di sottecchi, per poi liquidarla con uno stizzito un gesto di sufficienza. Non riuscendo a trattenere un sorriso,  Alteria era sprofondata dietro il libro immergendosi nella lettura.
Erano passate da poco le tre, quando un rumore – o meglio la sua assenza – aveva rotto l'aura di concentrazione che l'avvolgeva, sottraendola a quelle pagine ingiallite. Le ci volle appena un attimo per capire l'origine di quella distrazione: il continuo ticchettio della pioggia, che per l'intera settimana aveva accompagnato la vita della casa, finalmente era cessato. Ormai irrimediabilmente distratta, Alteria si era allungata oltre il bracciolo della poltrona per scrutare fuori dalla finestra; per un attimo la ragazza rimase esterrefatta alla vista del  un mondo trasfigurato che si muoveva appena oltre il vetro piombato.
Riccioli di bosco si intravedevano appena ove prima sorgeva un'imponente foresta; stessa sorte  era toccata ai prati e alle aiuole fiorite. La loro casa sembrava fluttuare a tutti gli effetti fra le nubi.
Tutto l'interesse residuo per il libro che ancora aveva in grembo svanì di colpo e dopo una riflessione lunga appena il tempo di infilarsi le scarpette, la ragazza sgusciò veloce oltre l'ingresso. 
Per un attimo le urla di sua madre la inseguirono come segugi da caccia, ma appena la ragazza si tuffò in giardino, esse soffocarono nell'aria carica di condensa. Prima di rendersene conto, Alteria oltrepassò i confini del bosco svanendo nei suoi meandri

3.
Al passaggio delle ragazza le volute vaporose si scostarono con fare guardingo e delicati viticci che fino a poco prima ondeggiavano assopiti, si riebbero subito dimostrando interesse per la sua presenza. Non aveva mai visto una cosa del genere: natura e magia sembravano essersi intrecciate in un continuo fluire di forme. Più si addentrava nella foresta, più attecchiva in lei la consapevolezza di essere estranea a quel luogo.
Per qualche istante rimase a osservare quei lunghi steli eterei e le sfuggì un sorriso nel vederne uno farsi avanti, timido e vulnerabile.
Imitando le fini movenze di una dama a un ballo di gala, Alteria si esibì in un inchino con riverenza, porgendo educatamente il dorso della mano  in attesa di un bacio.
Ma tra tutte le mille sensazioni che si sarebbe aspettata da quel tocco, nessuna la preparò al freddo viscido e mortale che avvertì quando la bruma le sfiorò la pelle nuda. Era un gelo bruciante che le penetrò nel sangue, dentro le ossa e fino all’anima.
Con un brivido si ritrasse, l'avorio bianco e delicato delle sue braccia che s’increspava.
Tentò di indietreggiare, improvvisamente disgustata da quel contatto, ma quel movimento troppo brusco rischiò di farle perdere l’equilibrio. Mulinando le braccia riuscì a non finire col sedere per terra. Il suolo coperto di foglie morte era viscido di pioggia. Doveva prestare più attenzione. 
Mamma mia, l'ho proprio rischiata, pensò arrossendo. 
In quel momento, un lieve suono si alzo tutt'intorno a lei, un fruscio di brezza, ma senza un alito di vento. Un suono davvero troppo simile a un coro di soffici risatine e flebili parlottii per non esserlo.
Fu allora che Alteria cominciò a temere il luogo in cui era capitata.

4.
Che cos'erano quelle voci?
Il rosso vermiglio di un acero annegò sotto l'impeto di cavallone brumoso che ne dilavò la tinta in un ribollire di colori stinti.
Devo proprio essere matta. Non c'era nessuna voce. Non può esserci.
Eppure li vedeva. Guizzi e ombre nella nebbia che agitavano appena oltre la sua portata per poi subito svanire.
Non essere sciocca Alteria. Non esistono le voci. Pensa ad altro. Com'è che si sillabava ?  SCIO-OC-CA. SCI-O-CCA. No, no...
Alteria continuò a camminare nel bosco facendo attenzione a non diventarne preda, osservandone i bizzarri incantamenti e ponendosi domande astruse. Quei suoni sentiti poco prima l'avevano turbata, tanto che ora credeva di intravedere folletti traslucidi e ondine trasparenti svolazzare tutt'intorno a lei. Erano veloci e furtivi, mai fermi nello stesso punto, sempre intenti a cucire trame di vapore a veli d'acqua, coniugando aria e nulla per creare la nebbia.
Wendy non mi crederà quando le racconterò tutto questo. Lei di sicuro non ha mai vissuto un avventura del genere.
Alle sue spalle ci fu un crepitio di foglie morte calpestate.
I guizzi scomparvero d'incanto.
La ragazza si fermò, guardandosi attorno.  Quel suono non era nulla di paragonabile alle inafferrabili chiacchiere degli Abitanti della Nebbia, quello era un rumore autentico, era qualcosa di reale.
Si voltò col timore di cosa avrebbe potuto scorgere.
Nulla. 
Solo una serie interminabile di tendaggi e velari che s’intrecciavano gli uni agli altri. Sipari sfilacciati che i suoi occhi blu non riuscivano a penetrare. 
« Ehi, c'è n-nessuno?!»
La voce che le uscì  era tremula e stridula, più impaurita di quanto avesse voluto.
«Chiunque tu sia, sappi che sono Alteria Appleton figlia di Lord Appleton»
Il silenzio più assoluto l'avvolse e quando ricominciò a camminare il fruscio delle foglie spostate dai suoi piedi le sembrò d'un tratto immenso. Tutti i suoni erano svaniti senza lasciare dietro di sé nemmeno il riverbero di un’eco. 
Guardandosi attorno, Alteria si sentì d'improvviso vulnerabile.  
Qual era la direzione per tornare a casa...
Forse a destra di quell’albero? No, no, era sicuramente dritto verso quel cespuglio. 
O chissà, magari era alle sue spalle? 
Il sordo raspare,  quel lento incedere, riprese. 
Ora era alla sua destra...
... Ora alla sua sinistra.
Alteria affrettò il passo, impaurita. 
«Ehi, sei tu Armand? La mamma ti ha detto di venirmi a prendere? Basta fare questo gioco, non mi piace!»
I suoni le giungevano così distorti che le era impossibile capirne l'origine. Tutt’attorno a lei anche la luce sembrava fuggire lasciandosi dietro tinte oscure e tenebrose. 
« Sei il peggior maggiordomo del mondo Armand! Smettila o lo dirò a mio padre!»
Tuttavia anche questa invocazione cadde in un baratro di silenzi. Incerta, la ragazza mosse ancora qualche passo e subito si girò di nuovo tormentata dal bisogno di dare una forma a quei rumori. Una forma che, lei sapeva, sarebbe stata quella delle sue paure.
Appena oltre la bruma, ombra fra ombre, emerse fumante d’incubi un titano scolpito in un puro frammento di buio. 
Alteria indietreggiò terrorizzata.
E corse.
La nebbia, ora improvvisamente gentile, si aprì davanti a lei in un implicito invito. Poi, gelosa di quel tesoro appena accolto si serrò subito alle sue spalle, celandola a qualsiasi occhio; forse salvandola da quella mostruosa apparizione, forse spingendola sempre più in profondità nei propri labirinti.

5.
La ragazza si guardò attorno chiedendosi in che luogo fosse finita. 
Non si sentiva ancora del tutto tranquilla, benché da parecchio non vi fosse più traccia dell’Ombra Cacciatrice e la nebbia rilucesse di sfumature dorate. Un poco titubante mosse qualche passo verso la radura che vedeva aprirsi dinnanzi a lei.
Al centro riposava un masso coperto di muschio curiosamente simile a un volto maldestramente sbozzato. Alteria vi si avvicinò cauta e con la punta delle dita ne accarezzò la capigliatura, molto più soffice e morbida di qualsiasi tessuto avesse mai toccato; con le mani immerse in quel vello riccioluto si abbandonò ai propri pensieri. 
Le sembrava di essere all'interno di una bolla magica i cui confini proteggevano il mondo-oltre dalla sua vista e lei dalla magia acquattata fuori. Confini entro cui le era permesso ammirare con grande nitidezza ogni dettaglio, ma oltre i quali nulla esisteva più.
Il potere del luogo era così intenso e rassicurante che in breve si sentì rinfrancata, come se si fosse appena tolta di dosso panni viscidi e zuppi per indossare vesti calde e asciutte.
Ficcando i piedi in alcune cavità del masso - che avrebbero potuto essere occhi, bocche e narici - s’issò sopra per meglio ammirare quel piccolo spicchio di bosco protetto dalla magia. 
Si distese pancia all'aria, incurante di sporcare il vestito, scoprendo di poter intravedere il Sole autunnale tra le cime degli alberi.
Il Sole, ecco una cosa che avrebbe voluto sentire ora sulla pelle. Il suo calore, la sua energia, la vitalità. 
E lì, distesa su quel soffice manto muscoso, la ragazza scivolò fuori dal proprio corpo  levitando leggera. Fu sufficiente un impercettibile soffio d'aria per dissolvere il tenue legame che ancora la tratteneva alla carne. Finalmente libera di vagare veleggiò nelle infinite dimensioni dell’immaginazione. 

6.
Alteria aprì gli occhi su una città grigia dalle architetture sconosciute. Gli edifici cambiavano aspetto a ogni sguardo e le strutture fluivano liquide in un’incessante metamorfosi. Era tutto un continuo attorcigliarsi e sciogliersi di vapore teso a creare forme mai viste. Uno spettacolo magnifico e alienante, come cercare d’indovinare le forme delle nuvole in una giornata ventosa. La ragazza era così affascinata da tutto questo che non si accorse dello stuolo di arabeschi che prendevano vita tutt'attorno a lei. Erano essenze fragili, batuffoli instabili più simili a ciuffi di cotone che a esseri viventi, destinate a dissolversi nel tempo di pochi battiti di cuore. 
Cavalcando impercettibili correnti d'aria, si muovevano fluttuando e vorticando per la loro strada. Alcuni lottavano, altri si lasciavano trasportare, ma tutti finivano inevitabilmente per scontrarsi e intrecciarsi gli uni agli altri.
Una di quelle creature le si portò all’altezza del viso e quando lei tentò di sfiorarlo la città di nebbia si dissolse.
Era nuovamente nella radura.
Il Sole continuava a scintillare fra le cime degli abeti ridendo di vita, ma il suo tragitto nel cielo lo stava allontanando ed egli non riusciva più ad allungare le proprie occhiate luminose e rassicuranti fino a lei.
La ragazza si sentiva intorpidita come dopo una lunga dormita, con la testa leggera e la mente avviluppata da nebbie sognanti. Si stiracchiò in modo poco educato e si mise a sedere stropicciandosi un occhio nel  tentativo di scacciare gli sfarfallii che le danzavano davanti. 
Si strofinò con forza, fino a farsi male ma quando si guardò intorno gli sfarfallii c'erano ancora. Provò a scacciarli con la mano alla stregua di un nugolo di moscerini, ma fendette solo aria vuota; tuttavia pur essendo priva di una consistenza palpabile, quella piccola magia le rimase intrecciata fra le dita, ove prese a danzarvi come la moneta di un prestigiatore.
In quel momento gli ultimi raggi solari si tinsero di un delicato rossore e poi sparirono, lasciando la radura in ombra.
Alteria alzò lo sguardo sentendosi improvvisamente abbandonata e sola. 
La radura, senza più la benedizione del Sole, ingrigì in un attimo e la nebbia cominciò a filtrare tra gli alberi. 
Fu allora che gli sfarfallii di luce che ancora  volteggiavano attorno a lei, divennero visibili assumendo una forma reale.
Simili per certi versi a delle piccole meduse di fumo  si muovevano con una levità incredibile, come guidate dalla mano di un direttore d'orchestra.
«Care fatine, non vorrei essere scortese ma devo chiedervelo. Siete voi che intessete la nebbia? Ci abitate voi là dentro?» si rivolse loro indicando indicando la bruma.
Attorcigliandosi i capelli tra le dita attese una risposta. Ma frustrata per il silenzio che era calato sulla radura decise di interpellare lo spiritello che ancora le danzava fra le dita.
«Scusami piccola creatura magica, non volevo essere inopportuna, tuttavia ho una domanda a cui davvero desidererei una risposta.» 
La ragazza si interruppe un attimo per studiare le esatte parole da usare.
« Tu e gli altri sapete per caso qual è la direzione che devo prendere per uscire dal bosco?» .
A quella richiesta i piccoli polimorfi furono percorsi da una scarica di vitalità, come in quel vecchio trucchetto della zampa di rana attaccata alla batteria  che il Lord suo Padre trovava tanto divertente – e lei tanto disgustoso– . 
Le creaturine esplosero all’unisono in un’allegra eufonia di sospiri, trilli e squilli dall'aria affermativa, e subito cominciarono a muoversi in modo frenetico, chi strisciando, chi saltellando, chi svolazzando in aria. 
« Fermi! Aspettate! » disse sconcertata Alteria vedendoli svanire uno dopo l'altro oltre i confini della radura, di nuovo dentro il loro Regno.
« Non così in fretta!». 
L'ultimo spiritello quello che per più tempo aveva giocato con lei si arrestò, emettendo alti mormorii concitati e dimenandosi come un bombo impazzito.
La ragazza incerta su come comportarsi scese lentamente dal sasso mantenendo lo sguardo fisso sulla creaturina agitata. Appena mossi i primi passi, questa sfrecciò verso lei e giratole attorno un paio di volte ripartì a tutta velocità verso la nebbia. 
Era un modo alquanto bizzarro per incitarla, seppur a suo modo eloquente, e la ragazza non esitò più a corrergli dietro rituffandosi nel grigiore della Città Mutevole.

7.
Alteria procedeva lenta attraverso soffici contrafforti di templi indistinti e vacui quartieri-alveare, libera dai pensieri e completamente rapita nella contemplazione di quelle illusioni reali. Credeva di essersi persa, perché tutto d’un tratto si era ritrovata senza più le sue guide. In uno stato più onirico che vigile salì una scalinata dalla foggia antica scavata sulle pendici di una collina. Era altura di modeste dimensioni, un monticello erboso più simile a un dosso che a un colle e non era il solo lì intorno. Alteria si accorse infatti che rilievi del genere sorgessero un po' ovunque attorno a lei.
Stava per percorrere gli ultimi gradini dalla cima quando si fermò esterrefatta. Pallide fanciulle in tuniche bianche sedevano sull'erba, per lo più da sole, ognuna circondata da svariate Fate medusiformi.
Era un immagine a cui non era proprio preparata.
Cosa ci fanno tutte queste ragazze in mezzo alla nebbia, nei boschi di mio padre?
Ma non aveva una risposta.
La scena era però ancora più surreale a causa dei piccoli silfi, che come bambinaie magiche sembravano voler accudire e coccolare le fanciulle. Svolazzando attorno a  loro, filavano e cardavano  bruma per dar vita a fiori eterei da intrecciare nei capelli delle loro dame e animali con cui giocare. Farfalle e libellule traslucide danzavano per le ragazze e addirittura cani, gatti, cervi, cigni, lontre, scoiattoli nascevano continuamente qui e là dalla caligine, giusto il tempo per dilettare le fanciulle e in meno di un istante dissolversi nuovamente nell’aria.
Alteria era senza parole.
Nonostante le fatine si dessero un gran daffare per allietare quelle ragazze, la tristezza riempiva i loro sguardi rendendole ancora più belle e fragili.
Irretita da tutto quello struggimento, Alteria mosse qualche passo verso la fanciulla più vicina che alzò gli occhi su di lei.
Due occhi enormi, affranti e viola che appena la videro si spalancarono increduli.
«Ciao, io sono Alteria...» disse, ma non fece in tempo a finire la frase.
Tutto d’un tratto i Folletti, percepita la sua presenza, cominciarono a gorgheggiare e ad agitarsi. 
Oh cavolo, che ho fatto di male ora...
Incorporee figure di fiere e gorgoni presero vita dal nulla scagliandosi subito verso di lei, mentre maestosi draghi emersero dai vapori della terra eruttando fiamme di vapore e avvolsero tra le proprie grigie spire le giovani ragazze.
Alteria ne fu terrorizzata.
Si volse per fuggire ma la scalinata era scomparsa. Davanti a lei si apriva un ripido declivio che spariva nella nebbia, una scarpata che non sarebbe riuscita a ridiscendere con le scarpette che aveva ai piedi. Nel panico più totale e con le lacrime agli occhi scivolò al suolo, raggomitolandosi su se stessa.
Con gli occhi chiusi e il corpo scosso dai singhiozzi. Pianse disperata finchè non si accorse che sul colle era tornata la calma. Quando li riaprì mostri e draghi erano dissolti liberando le fanciulle. Una in particolare, quella con gli occhi grandi e viola che le era più vicina delle altre  le si avvicinò porgendole la mano.

8.
La pelle della ragazza era fresca come rugiada e altrettanto leggera. Da quanto tempo fossero tornate alla Città Mutevole, Alteria non riusciva proprio a capirlo, vista l’apparente assenza di tempo in quei luoghi. Mentre avanzavano per androni foggiati come foreste e stanze vaste come la volta celeste, Alteria ripensò agli avvenimenti di poco prima. 
Dopo lo spiacevole malinteso che aveva scatenato la furia dei folletti, le fanciulle le si erano radunate attorno. Dapprima aveano tentato di comunicare con lei ma Alteria non era riuscita a comprendere le loro voci, simili al gorgoglio dell'acqua di un ruscello. Avevano anche provato con uno strano gioco di gesti, ma vedendo che nemmeno in quel modo riuscivano a comunicare con lei Occhi Viola, tenendole la mano, aveva cominciato a camminare, un poco tirandola un poco incitandola, la gioia che risplendeva in volto.
E ora si ritrovava a vagare assieme alla sua nuova amica. 
Erano in procinto di passare sotto  un’arcata d’ingresso a un giardino perlaceo, quando un cupo rombo di cieli spezzati le spaventò entrambe. Aletria riconobbe quel mugghiare infernale.
L'Ombra Cacciatrice l'aveva trovata.
Dalla caligine sorse infatti un gigante livido, dal corpo di nubi temporalesche. Alteria cacciò un urlo, e tentò di correre via strattonando la sua nuova amica. Ma Occhi Viola, dimostrando una forza sorprendente per la propria figura minuta, le resistette e anzi la spinse  dietro di sé; si piazzò quindi gambe larghe sul suolo umido e infossò i piedi nudi tra le foglie marce, spalancando le braccia.
Dalla sua gola salì una vibrazione acuta simile al rumore di ghiaccio spezzato, modulata in dissonanze di torrenti in piena e grandine sulle rocce. La creatura si arrestò, guardinga.
La nebbia intorno a loro infatti cominciò a mutare, scossa da quel canto che ne distorceva la trama. Lievi segni di turbolenze e addensamenti ne arricchirono l'aspetto, forme che apparivano e scomparivano in un guizzo. 
Ma anche il gigante cominciò urlare, e nonostante fosse senza bocca, i suoi ruggiti erano tali da coprire la voce della fanciulla.
All'alzarsi di quell'ode dai toni rocciosi, che evocavano terra solida e legno vivo, la nebbia parve perdere consistenza. In risposta Occhi Viola alzò le braccia al cielo evocando una nuova aria ancora più cruda e feroce. 
Per qualche istante le loro malie parvero equivalersi poi la voce dell'Ombra infranse le vibrazioni della ragazzina che scivolò al suolo esausta.
Una folata di vento che recava profumi di bosco soffiò impetuosa e svestì l'aria dal suo grigio sudario, spazzando via le trame brumose intessute dai Folletti. 
Fu così che Alteria scoprì di trovarsi sulla sommità di uno spuntone roccioso proiettato sul vuoto. 
Alzò lo sguardo al cielo e vide le schiere del Vento, armate con lance di ghiaccio, squarciare il magico velo brumoso che fino a quel momento l'aveva accolta e beatamente illusa.
Veleggiando lievi nella loro ritirata, tristi spiritelli acquei si dissolvevano nella purezza dell'aria diventando anch’essi vuoto. Un vuoto che a quel punto non era più così vacuo: boschi e foreste cominciavano a emergere dalla nebbia e i primi raggi dorati iniziarono a filtrare come stille di luce.  
Le poche gocce crebbero e un vero nubifragio di sole si infranse sulle corazze della Nebbia e sulle lame del Vento, divampando in un caleidoscopio di colori. 
Alteria ammirò estasiata lo spettacolare il trionfo dei colori, riuscendo a spingere lo sguardo ovunque, poiché tanta era la limpidezza che ogni orizzonte era abolito. 
Se esiste vera magia, deve essere questa o null'altro.
Dopo che il Sole ebbe bagnato ogni anfratto un concerto di ringraziamenti si alzò dal mondo attorno a lei, ricco di migliaia di voci. 
Canti di uccelli e di insetti. Canti di bestie. Canti di alberi. Canti d’acqua, roccia e vento.
E questa musica primordiale echeggiò nella purezza del vuoto, fino a colmarlo.
Di luce. Di suoni. Di vita. 

9.
L'Ombra stessa venne spogliata dei suoi panni. Velo dopo velo apparve un imponente gigante di roccia dalla capigliatura di muschio, con un volto appena sbozzato. Seduto a gambe incrociate sopra quella testa, similmente ad un domatore di elefanti, sedeva invece un uomo nudo dalla cintola in su, con un maestoso palco di corna che gli cresceva ai lati della testa. Aveva un viso sereno e sorridente e quando la vide le indirizzò un gesto benevolo di saluto. Solo allora Alteria si avvide che attorno al braccio  di quell'uomo vi era attorcigliato una serpe dalla testa di caprone. 
Ma improvvisamente uno strattone brutale la riportò in sé. 
Si girò verso Occhi Viola per capire cosa volesse e quale fosse il bisogno di scappare dall'uomo-cervo, ma le parole morirono in un urlo d’orrore. Della giovane fanciulla che aveva conosciuto nella nebbia non rimaneva più nulla: avvinghiata al suo braccio c’era una figura pallida e famelica, il cui volto disseccato era orribilmente contorto in una smorfia d’odio. Dalle sue carni si levavano brandelli d'incantesimi e catene di vapore la ancoravano alla nebbia in ritirata, legacci ormai erano tesi allo spasimo. Alteria non potè fare a meno di ripensare alle leggende che suo nonno era solito raccontarle quando era una bambina. Erano storie spaventose che parlavano di Knuckers, Grindylow, Nyxies e Dentiverdi, creature mostruose sempre affamate di carne di bimbo che – secondo lui – erano soliti abitare nelle parti più buie della foresta della loro tenuta. In quelle storie, gli spiriti crudeli  attiravano con numerosi inganni le persone sulle rive di laghi e ruscelli, per annegarli e rubare loro il sangue ancora caldo.
Alteria le aveva ritenute semplici storie, favole nere e orribili senza però alcun fondamento.
La strega la tirò a se vera quanto il bosco introno a loro. Ringhiava e sbavava in preda ad atroci sofferenze: la sua carne avvizzita, esposta direttamente alla luce del Sole sfrigolava e si ulcerava a vista d'occhio e le lame del vento la trapassavano senza pietà.
Alteria puntò i piedi cercando di sottrarsi a quella morsa diabolica, ma la forza della strega le  era di molto superiore. 
«Lasciami creatura schifosa, lasciami!» urlò con quanto fiato aveva in corpo.
«Aiutami ti prego!» gridò poi all'uomo-cervo e questi  come aspettasse solo una sua invocazione per intervenire, unì le mani a coppa davanti al viso.
Il bramito di un corno scosse l'intera foresta e per un attimo la strega allentò la presa, folgorata, guardinga. In quel momento un massiccio cervo dal manto ramato e le corna  d'argento la caricò sollevandola da terra.
Con un grido agghiacciante la creatura  impalata sulle corna si spezzò. La sua figura venne attraversata da una ragnatela di crepe come fosse fatta di ghiaccio, e in un grido di fischi gemiti e schiocchi si dissolse. 
Quell'urto improvviso sbilanciò però anche Alteria che cadde all’indietro oltre il dirupo.
Una voce calda e roca la raggiunse come un intuizione, una voce che aveva il volto dell'uomo-cervo.

Non temere ragazza, non avere paura. Non ti succederà altro male.
Promettilo.
Solo se tu verrai a me durante calendimaggio. Non ne passano più di belle fanciulle nei miei boschi. Da molto tempo.
Sì, sì ti prego. Tutto ciò che vuoi.
Così sia giovane umana. 

La voce svanì e Alteria si ritrovò senza appigli, libera, ma nel vuoto.
I fiori della paura, trovando nella sua psiche ancora sconvolta un fertile terreno sbocciarono violentemente disperdendo ovunque il loro disgustoso polline di terrore. A nulla valse richiamare alla mente il sorriso caldo e benevolo dell'uomo cornuto. 
L'angoscia crebbe in lei e più la sua anima s’impregnava di quel nettare nero, più lei si sentiva  acquistava velocità e cadeva.
Precipitò veloce, in un abisso infinito.
Come una meteora buia fendette il vuoto e anziché sfavillare di fuoco angelico, s’incupì sgomenta e annichilita.
Fu proprio allora, quando ogni speranza era perduta, che una lacrima sanguigna si staccò  Sole morente. 
La Fenice fiammeggiante sfrecciò giù dai cieli, astro rilucente in caduta libera e accolse la ragazza fra le piume di fuoco del proprio dorso.
Piume così morbide e calde da sembrare muschio al sole o coltri di lana vicino al focolare e che anzi erano muschio e lana, fuoco e sole.
Alteria grazie a questa sensazione venne bruscamente riportata alla realtà. Il suo pensiero cosciente, che con garbo si era di nuovo ricongiunto a lei, le fece presente di come fosse seduta in poltrona nel suo salotto, tra calde coperte e con un libro adagiato sulle ginocchia.
Di come stesse squarciando con la lama dell’immaginazione il Velo del reale per intravedere lembi di sogno.



 

Postilla della Autore: Ed eccoci alla versione 3.0 di questo racconto( 10,000.0 per quello che mi riguarda) che dopo anni di travagliato lavoro continua ancora a riservarmi delle sorprese. Spero che soddisfi voi almeno quanto soddisfi me.

  
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