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Autore: Hika86    02/08/2012    0 recensioni
Ohno Satoshi, Sakurai Sho e Matsumoto Jun. Tre tipi totalmente diversi tra loro, diversi anche da me, e anche se con ognuno avevo qualcosina in comune [...] In confronto ad Aiba Masaki, gli altri tre potevano essere miei gemelli!
Se il Ninomiya Kazunari di allora non scappò fu anche grazie al quarto membro: Aiba Masaki. [Aimiya friendship]
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kazunari Ninomiya, Masaki Aiba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'

Noi avevamo finito, per un'oretta potevamo rilassarci. Gli altri tre invece avevano ancora la loro parte da fare, quindi fummo gli unici ad avviarci verso i camerini al piano di sotto. Stavamo scendendo in silenzio quando si girò a sbirciarmi con la coda dell'occhio. «Che faccia...» commentò a bassa voce
«Sono stanco»
«Sì, è vero» borbottò tornando a guardare avanti, lo era anche lui, infatti non aggiunse altro. Finalmente entrammo nel camerino e come prima cosa bevemmo un sorso d'acqua, in contemporanea, poi, mentre posavo la bottiglia sul tavolino del trucco, mi girai verso di lui. «Approfittiamo dei divanetti di là?» proposi
«Mh» annuì mordicchiando il bordo della bottiglia «Finchè siamo solo noi due». Ci alzammo e andammo nella stanza di fianco dove stavano due divani messi ad angolo, con un tavolino basso. Ci stendemmo ognuno su uno dei sofà e sospirammo. Lanciai un'occhiata fuori dalla finestra della stanza e guardai il cielo coperto di nuvole grigie. Ero a pezzi, lavoravamo a quel PV dalla mattina presto e ormai era ora di cena, così mi concessi di chiudere gli occhi, ma cominciai a rigirarmi la bottiglietta tra le mani per rimanere attivo e non addormentarmi. Intanto era improvvisamente partita la musica del mio Nintendo. «Che fai?» chiesi schiacciando la faccia contro il divano, con un sospiro
«Ti faccio il livello, ti scoccia?» domandò lui «Prima hai detto che ti annoia...»
«Mhpf» sbuffai contro la stoffa «Fai, fai... se non lo finisco poi non posso andare avanti»
«Ok» cantilenò cominciando a schiacciare sui tasti.
Cadde il silenzio: lui giocava, io riposavo.
Ci sono occasioni in cui mi viene spontaneo rilassarmi e cominciare a vagare con la mente ripensando al passato. Per me, che non ho una vita ordinaria, è normale interrogarmi su come sono arrivato qui, rivangare vecchi fatti che hanno cambiato la mia vita definitivamente, ricordare parole decisive o persone importanti che hanno dato una svolta alla mia esistenza. Quel giorno però ricordai un episodio che non aveva inciso sulla mia vita, che non aveva cambiato le mie attività o il mio destino -penso- ma aveva forse dato il via a una trasformazione invisibile, dentro di me.

Era l'inverno del 1999. Tre mesi prima avevo debuttato in un gruppo di cinque ragazzi, gli Arashi.
Il più grande di noi era Ohno Satoshi. La leggenda del Jimusho. Sapevo chi era, avevamo anche lavorato insieme, ma prima del debutto, per molto tempo, era quasi scomparso. I nuovi iscritti sentivano parlare di lui come di un genio della danza, dalla voce meravigliosa, l'atteggiamento serio e il portamento elegante. Lui in persona, però, non l'avevano mai visto. Io sapevo chi era, sapevo che lavorava bene, ma era molto che non lo vedevo in circolazione. Il punto era che non me ne fregava niente degli altri Juniors, la maggior parte erano ragazzini sciocchi che sognavano un futuro da star. Ohno Satoshi forse non era uno di loro, ma rientrava comunque nell'insieme per me non ben definito dei "Juniors" e quindi non mi interessava più di altri.
Dopo di lui veniva Sakurai Sho. Quel ragazzo sì che era un prodigio. Era diverso dagli altri, proprio come me: non gli interessava diventare famoso, in quegli anni si era divertito al Jimusho, certo, ma voleva entrare all'università e impegnarsi negli studi. Era un tipo tosto e con la testa sulle spalle. Infatti sul finire dell'estate, quando ebbi l'impressione ci fosse un debutto possibile nell'aria, andai dritto da lui per parlarne: aveva la mia stessa impressione e, anche se non si sapeva nulla di certo, pensava che avrebbe potuto riguardarlo quindi si era deciso ad andare dal super-capo, Johnny Kitagawa, per annunciargli che di lì a poco avrebbe mollato tutto per dedicarsi esclusivamente agli studi. Tenni per me il fatto che in quel periodo stavo pensando di trasferirmi in America, appena finito il liceo, per studiare cinema e diventare un regista, perchè non eravamo così intimi da spingermi a raccontargli una cosa simile (ancora non la sapeva nemmeno mia madre), ma gli dissi che anche io non pensavo di continuare e che l'avrei accompagnato volentieri. E' risaputo che non trovammo Kitagawa nel suo ufficio e che non avemmo più occasione di dirgli nulla: in capo a poche settimane ci trovammo su uno yacht sotto il sole hawaiano a salutare verso i fotografi. "Siamo gli Arashi!".
Stupido vecchio!
In seguito scoprii che anche Ohno era stato dell'idea di mollare e che anche lui era stato abilmente fregato dal Presidente.
Matsumoto Jun, un altro dei membri, era il nostro opposto. Era lui ad aver fatto domanda per entrare alla Johnny's Enterateinment, da sè, e una volta dentro ne era stato felice... sì, insomma, era proprio uno di quegli sciocchi che sognavano un futuro da star. Avevo lavorato con lui (fondamentalmente potrei dire questa cosa di tutti i Junior dell'epoca) e mi ci ero trovato bene, ma non aveva attirato la mia attenzione: oltre ad essere uno dei tanti, si diceva che fosse stato chiamato a fare il provino da Kitagawa in persona e nella mia testa chiamavo "elite" tutti quelli che, come lui, avevano avuto un ingresso facile e sembravano sempre trattati meglio di altri in agenzia. Non lo odiavo, sia ben chiaro, non lo disprezzavo nemmeno, così come non disprezzavo gli altri Juniors: semplicemente non mi importava granchè di loro. Avevo altri piani e quelle attività erano solo una specie di doposcuola alternativo.
Ohno Satoshi, Sakurai Sho e Matsumoto Jun. Tre tipi totalmente diversi tra loro, diversi anche da me, e anche se con ognuno avevo qualcosina in comune, quando debuttammo non potevo dire che fossero esattamente miei amici. Erano come i compagni di un club, i giorni prima avevamo inciso una canzone insieme, ma quante volte avevo registrato un programma o girato un mini-drama con qualcuno dei Juniors? Eppure non diventavano automaticamente miei amici. Decisamente no. Sono tutt'oggi convinto, ma non lo dirò mai a nessuno, che il Kazunari di allora se la sarebbe data a gambe in poche settimane: non mi interessavano le responsabilità, l'occasione data e cose simili, le sentivo come un peso, volevo liberarmene e non pensavo che avrei mancato di rispetto alla società o a tutti i Johnny's Junior che non avevano avuto la nostra stessa occasione. Mi sentivo preso in trappola proprio nel momento della mia vita in cui avevo deciso cosa fare. In trappola e costretto, e non si deve alcun rispetto al proprio carceriere. Se il Ninomiya Kazunari di allora non scappò fu anche grazie al quarto membro: Aiba Masaki.
In confronto ad Aiba Masaki, gli altri tre potevano essere miei gemelli! Io ero silenzioso, ombroso e schivo, Masaki era casinista, sorridente e affabile. Io mi facevo mille pensieri, lui prendeva le cose come venivano. Io ero entrato nel Jimusho pensando ai soldi che potevo fare (sono sempre stati un po' il mio punto debole), lui aveva fatto domanda perchè voleva giocare a basket con gli SMAP, come nel programma "I love SMAP" che vedeva in tv, nient'altro. Eppure, all'epoca del debutto degli Arashi, lui era l'unico in quel gruppo che potessi definire "amico" perchè, nonostante fossimo diversi sotto molti punti di vista, era l'unico dei Juniors con cui avessi legato. Prima di tutto aveva aiutato il fatto che prendessimo lo stesso treno per tornare verso casa. Io ero entrato nell'agenzia nell'Agosto del 1995, lui in Ottobre, e per quanto considerassi le attività dei Junior come un club scolastico diverso dagli altri, sentivo comunque il dovere di comportarmi da senpai con i nuovi arrivati. Avevo quindi notato che uno di loro prendeva il mio stesso treno e lo avevo seguito con attenzione, come volendomi accertare che sulla via del ritorno andasse tutto bene. Poi però io dovevo scendere mentre lui rimaneva sul vagone. Questo successe un paio di volte, il che mi confermò che non mi ero sbagliato, e quando raccontai a mia madre che c'era un kohai che faceva il mio stesso tragitto mi spinse subito a proporgli di fare la strada insieme. Insistette tanto che alla fine mi decisi a parlargli. «Ah si?» aveva domandato Masaki con un sorriso quando gli avevo detto di averlo visto sul mio stesso treno del ritorno «Io abito a Chiba. Potevi dirmelo prima, Ninomiya senpai, avremmo potuto fare la strada insieme» aveva proposto e da quel giorno fu così tutte le volte che ci capitava di fare le stesse attività ed andarcene agli stessi orari. Ma il treno fu solo l'inizio. Al tempo non mi interessavo a nessuno dei miei compagni Juniors in particolare quindi non mi ero mai seriamente impegnato a stringere amicizia con qualcuno, non era nelle mie corde, infatti anche a scuola non avevo particolari legami con la mia classe. Per uno come me, che nella solitudine ci si trova bene, pensavo sarebbe stato difficile stabilire una relazione con Masaki, invece tutto avvenne nella maniera più semplice e scorrevole possibile. Lui era più grande di me di soli sei mesi circa, quindi era difficile sentire la differenza d'età e ben presto abbandonammo le formalità cominciando a trattarci come pari. Il suo carattere vivace e la sua impossibilità a star fermo potevano essere irritanti, ma inaspettatamente non riuscivo a provare fastidio, forse perchè la sua energia era perennemente avvolta da un aura di gentilezza genuina: per quanto esuberante, sapeva rispettare gli spazi altrui, e nonostante fosse chiacchierone se gli si diceva di stare zitto lo faceva senza controbattere. Masaki si adattò tanto bene alla mia personalità complessa e capricciosa che pensai dovesse avere l'istinto animale ancora ben radicato dentro di sè: i primi tempi doveva avermi osservato, studiato, "annusato", poi doveva aver tratto le sue conclusioni e capito come comportarsi. In parte, sicuramente, lo aiutò il fatto che il suo carattere sincero e affettuoso mi aveva messo nella disposizione d'animo di accettare eventuali compromessi nel nostro rapporto pur di non ferirlo e continuare ad essere buoni compagni. Già l'anno successivo avevo perso il conto delle volte in cui ero stato a dormire a casa sua, anche se erano più di quelle in cui era venuto lui da me. Più volte avevamo cenato con gli avanzi della cucina del ristorante dei suoi da quando aveva scoperto che mi piacevano le loro crocchette e poi adoravo la colazione che preparava sua nonna al mattino. Le nostre madri si sentivano regolarmente al telefono. Gli prestavo alcuni videogiochi e a volte stavamo le ore davanti allo schermo in salotto a giocare con il Sega Saturn.
Quando mi fermavo a riflettere, analizzavo il mio rapporto con Aiba e il tempo trascorso con lui e allora io stesso ero stupito. Sono sempre stata una persona molto sola, e lo dico senza tristezza perchè mi piace stare da solo, in silenzio e tranquillo: quindi cosa mi aveva spinto a coltivare per la prima volta una relazione profonda come non ne avevo mai avute?

Tutto questo per far capire qual era il nostro rapporto all'epoca, prima del debutto. Per capire come mai, nel periodo successivo, non mi venne l'idea di abbandonare tutto e di fuggire nonostante fossi in gruppo con tre sconosciuti a fare una cosa che non volevo diventasse la mia vita. Aiba non fu l'unico motivo, certo, ma la sua presenza fu comunque importante.
Chiaramente io non ero cosciente di tutto questo all'epoca, ero un teenager che pensava solo a fare di testa sua ed ero infastidito dalla trappola tesami da Kitagawa. Dopo il debutto ne avevamo parlato tutti e cinque insieme e lì avevo scoperto che, mentre Jun e Aiba erano contenti, Ohno Satoshi la pensava come me e Sho, ma in un certo senso ormai si stavano tutti mettendo nell'ordine di idee che il loro futuro era negli Arashi: loro sentivano la responsabilità del debutto, io no, pensavano di dare una chance a quel gruppo con un nome tanto sfigato, mentre a me non interessava. Ma rimasi zitto: perchè non provare? Comunque prima di partire per l'America dovevo finire il liceo, quindi cosa mi costava?
Con questo spirito avevo affrontato i primi mesi di lavoro con gli altri e l'episodio su cui mi ero fermato a riflettere si era svolto cinque mesi dopo, nel Febbraio del 2000.
«Tra una settimana è San Valentino» pronunciò Masaki di punto in bianco. Eravamo tutti seduti su un pulmino bianco noleggiato dall'agenzia e lo usavamo da qualche mese per spostarci da un lavoro all'altro. Avevamo debuttato da cinque mesi, ma ancora non riuscivo ad abituarmi all'idea che ovunque andassi c'erano con me sempre le stesse quattro persone. Nei Juniors non era così: lavoravi ogni giorno con compagni diversi, in numero variabile. Mentre ormai sarebbero ci stati sempre e solo quei quattro ragazzi con me. «Mmmh, vero» annuì Sho accendendo il suo cellulare e guardando il calendario
«Hai lezione Sho san?» domandò lui «Per il tuo compleanno tante ragazze ti hanno fatto un regalo no? Sarai riempito di cioccolatini» ridacchiò
«Ce l'ho, ma non vado»
«Eeeh? Perchè?» domandò Jun spalancando gli occhi
«Sono i privilegi di chi sta al terzo anno» spiegò stringendosi nelle spalle, non sembrava fosse così entusiasta di quel "privilegio" «Possiamo assentarci per un tot di lezioni finchè dobbiamo preparare gli esami di ammissione all'università»
«Aaaah, capisco... Ohno kun, tu non studi?» chiese ancora Masaki
«Ohno san deve solo diplomarsi. Non continuerà a studiare» rispose Jun
«Non ho tempo di pensare ai cioccolatini comunque» borbottò Sho sbadigliando e sprofondando nel sedile del furgoncino. Stava seduto dietro con Jun perchè erano i primi a venir prelevati la mattina, poi venivamo io ed Aiba oppure Ohno a seconda che il set fosse a est o a ovest di Tokyo. Masaki pose la stessa domanda a Jun e poi ad Ohno, nessuno dei due particolarmente entusiasta, poi si girò verso di me e sapeva già che era inutile chiedermelo perchè non era il primo San Valentino da quando ci conoscevamo. «Nino» disse mettendosi seduto composto e abbassando la voce
«Mh?» domandai continuando a guardare fuori dal finestrino, con il mento appoggiato alla mano e il gomito sul fianco interno della vettura
«Cosa penseresti di me se ti dicessi che voglio dare il cioccolato ad una ragazza?» mi domandò
«Che sei uno sfigato» gli risposi aprendo le dita della mano che mi coprivano la bocca
«No, ma vedi... non trovo giusto che sia un'occasione solo per le ragazze di dichiararsi. Che farei se lei desse il cioccolato ad un'altro?» cercò di spiegarmi a mezza voce
«Ci rinunci» dissi di nuovo, con molta flemma
«No, non si può rinunciare così Nino. Si deve lottare per le cose a cui si tiene»
«Oh, ci tieni?» fu il mio turno di interrogarlo e a quel punto girai la testa verso di lui, degnandolo finalmente della mia attenzione. Ora l'aveva conquistata. Non parlavamo spesso di ragazze. Qualche apprezzamento magari, ci raccontavamo dei cambiamenti che c'erano stati in seguito al nostro debutto (più dichiarazioni, più attenzione dal genere femminile, le fan e così via), ma non di ragazze che effettivamente ci piacessero. Forse una volta si era confidato con me, ancora ai tempi dei Juniors, ma non ebbe mai un seguito, mentre io ero piuttosto ermetico sull'argomento. Quella era la prima volta che mi parlava con una simile determinazione. «Hai gli ormoni su di giri, è per quello che parli così»
«Macchè ormoni! Sto parlando sul serio» ribattè ridendo. Masaki era così: per quanto lo insultassi o gli rispondessi male faceva sempre una risata. Non lo trattavo così perchè fossi arrabbiato con lui, solo che mi piaceva prenderlo in giro e sentirlo difendersi tra le risate, in maniera poco convincente. «Che succede Aiba chan?» domandò Sho sporgendosi dai sedili dietro di noi «Sei preoccupato di non ricevere cioccolato?»
«A me non interessa riceverlo, voglio darlo» gli confidò infervorandosi di nuovo. Io guardai davanti a me, stizzito. Mi aveva infastidito la facilità con cui il mio amico aveva appena rivelato ad altri la stessa cosa che aveva detto a me pochi secondi prima, come se fosse un segreto o una cosa di cui si vergognava. Pensavo me l'avesse confessata in virtù della nostra amicizia, invece aveva appena spiattellato tutto anche a individui meno importanti di me, quindi i casi erano due: o io non ero importante per lui oppure quella storia dei cioccolatini non era poi questa gran rivelazione. Optai per la seconda ed espirai dal naso, scocciato. In quel momento, lentamente, Ohno si girò verso di noi. Si era svegliato dal suo pisolino probabilmente e lo vedevo respirare con il naso per aria, con grande attenzione. Si inginocchiò sul suo sedile sporgendosi verso di noi, seduti alle sue spalle, e guardò i sacchetti ai nostri piedi. «Cos'è questo odore?» domandò piano. Ohno mi piaceva, era silenzioso, tranquillo e poco invadente. Sho aveva la mia stima ma ero convinto di poterlo sopportare solo a piccole dosi. Anche Jun era un tipo tranquillo, ma mi infastidiva il fatto che sapesse sempre tutto... me lo immaginavo studiarsi la nostra agenda di impegni durante la notte, nascondendola nelle pagine di un libro di scuola per non farsi scoprire. «Li ha portati Aiba chan» gli risposi guardando le buste
«Ah, giusto! E' il nostro pranzo!» esclamò Masaki «La mamma ha saputo che oggi siamo sul set del PV per tutto il giorno ed era preoccupata che alla mensa degli studi non ci fossero cose che mi piacessero. Così ha cominciato col cucinarmi qualcosa... "e già che c'ero ho fatto per tutti i tuoi compagni" ha detto alla fine» rise indicando i due sacchetti da cui si levava un piacevole profumino di cibo. «Tua madre cucina per lavoro vero?» chiese Jun, intrufolandosi nella discussione
«Sì, a volte cucina, ma lei più che altro si occupa del servizio in sala»
«Dovreste andare una volta al suo ristorante» dissi all'improvviso «Le crocchette sono buonissime»
«Nino chan, c'è una porzione di crocchette solo per te» mi spiegò lui
«Eh? Sul serio?» chiesi sbalordito
«Certo... cosa credi, che si dimentichi di te?». No infatti, era normale che pensasse a me credo, ma forse cominciavo a temere che qualcuno degli altri tre mi avrebbe portato via il posto che avevo tanto faticosamente conquistato nel cuore di qualcuno. Trovavo ancora bello stare da solo, ma ormai ero importante anche per un'altra persona e sapendo quanto questo fosse raro, ci tenevo.

Ma la storia dei cioccolatini e della ragazza non finì lì.
Un paio di giorni dopo, il sabato mattina, Masaki chiese di vederci a Shinjuku per una cosa urgente. Lo attendevo all'uscita est. Ricordo con nostalgia quei tempi in cui ancora potevamo andare in giro nei grandi centri di Tokyo senza problemi: la gente che ci riconosceva era pochissima e il più delle volte non era nemmeno sicura quindi non era tanto sfacciata da fermarci e chiedere. Se ce ne accorgevamo, inoltre, eravamo soliti allungare il passo per allontanarci, con nonchalance, ma decisi. Ancora nel 2003 ricordo che potevo girare abbastanza tranquillo, perciò nel Febbraio 2000 ero solo uno nella folla. «Ce ne hai messo di tempo!» esclamai sorridendogli quando lo vidi spuntare tra la gente che veniva verso il varco del controllo biglietti
«Nino chan!» esclamò lui in risposta sbracciandosi. Si affrettò ai tornelli, passò il suo biglietto e incespicò nel passaggio che si apriva e si chiudeva. Non potei trattenermi dal ridere. «Accidenti, questi cosi mi fregano sempre» borbottò
«Sei tu che sbagli, passi sempre troppo in fretta, dagli tempo»
«Ma io cammino normale!» ribattè
«No, tu hai troppa fretta di arrivare dove devi andare, se usassi un passo normale non avresti problemi»
«Va bene, allora andrò a passo normale» acconsentì imitando il suono di Super Mario, quando perde la velocità e torna a correre alla solita andatura. Ridendo uscimmo dalla stazione, le mani ben affondate nei nostri giacconi. «Allora, cos'è questa cosa urgente? Sai che è Jun quello più abile»
«Ma non riguarda il lavoro» mi corresse abbassando gli occhi sull'asfalto
«E cosa?» domandai incuriosito
«I cioccolatini. Te l'ho detto no? Abbiamo lavorato tutta la settimana e non voglio cercarli domani, ci saranno i negozi pieni di ragazze e mi vergogno»
«Ancora con questa storia?» feci con stupore «Anche oggi ci saranno ragazze in giro, lo sai?»
«Ma meno di domani» ribattè «Dai che ti costa? Ti aiuto a cercare qualcosa anche per tua sorella»
«Mia sorella? Perchè dovrei prenderle qualcosa? Sei tu l'unico ragazzo in tutto il Giappone che dà cioccolatini invece di riceverne»
«Mi accompagni allora?» insistette girando lo sguardo supplichevole verso di me. Non so cosa lo rendesse tanto convinto che io fossi la persona più adatta a scegliere dei cioccolatini: non ne avevo mai regalati! «Ormai sono qui! Che faccio? Ti dico "no" e torno a casa?» domandai ridacchiando. Dietro quelle parole speravo di nascondere quanto invece mi rendesse felice andare a spasso con lui. Entrammo in un grande magazzino dove le compagne gli avevano detto ci fosse un negozio molto grande: sperava ci potessimo confondere nella folla se per caso ne avessimo incontrata una che avrebbe potuto riconoscerlo. Gli scaffali erano pieni di scatole di varie dimensioni e colori. C'erano cioccolatini di tutti i tipi, da quelli per dichiararsi, con confezioni elaborate e in rosa o rosso, a quelli da regalare agli amici, più colorate e fantasiose, a quelle per regalare il cosiddetto "giri chocolate*", piccolissime e molto sobrie. Le osservavo affascinato. Non mi era mai capitato che qualche ragazza si fosse dichiarata a San Valentino, ma forse mi sarei dovuto preparare, era il primo Febbraio dopo il nostro debutto. «Perchè non questo?» gli domandai indicandogli una confezione piuttosto contenuta, ma colorata e carina
«E' per amicizia, non voglio darle una cosa del genere. Se devo fare questa cosa la faccio per bene» mi rispose Masaki
«Ma i cioccolatini per amicizia costano meno di quelli dalle confezioni chiaramente romantiche» gli spiegai comparando i prezzi
«Come sei venale Nino chan!» ridacchiò Aiba «Stiamo parlando di amore, non di investimenti. Povera quella che si innamora di te». Lo fissai sbattendo le palpebre: non mi interessava niente di chi si sarebbe innamorato di me, per svariati motivi, e poi Masaki non aveva compreso ciò che volevo dire. O forse ero io a non essermi spiegato bene? Certe volte sembrava che non sapessi usare le parole giuste. «Non fraintendermi, intendevo dire che non trovo sensato dare ad ogni sentimento un prezzo. Perchè l'amore dovrebbe costare più dell'amicizia? Dare i cioccolatini non è solo per dichiararsi, giusto? E' una festa per l'affetto in generale e non penso che ciò che una ragazza prova per un buon amico valga meno di ciò che può provare per un bel ragazzo: sono solo sentimenti diversi» provai a spiegarmi. Aiba alzò lo sguardo dalla confezione che si stava rigirando tra le mani e mi fissò attento. «E dato che siamo solo ragazzini trovo irragionevole spendere tanto per qualcosa che, prima di trovarsi sugli scaffali di un negozio, si trova nel nostro cuore ed è inestimabile». Lui sbattè le palpebre e rimise a posto la scatola, dando un'occhiata generale intorno a sè «Cosa dovrei fare allora?» mi chiese
«Scegli la confezione che ti ispira di più, a prescindere da come l'abbia catalogata il mercato, e una volta a casa rendila tu un cioccolato dato per amore». Lui annuì pensoso e rimase lì impalato a guardare le tante scelte possibili. «Questa» gli dissi allora, indicandone una. Era una confezione quadrata dal pacchetto in stoffa verde chiaro e un nastro di raso bianco con delle margherite, grande più o meno quanto un piccolo quaderno. «Il tuo colore è il verde no?» gli domandai prendendo un campione «Prepara un bigliettino fatto da te, aggiungi dei cuori rosa, magari cambi il nastro. Rosa e verde sono un bell'accostamento»
«Va bene» annuì mestamente e si avviò alla cassa.
Lo attesi all'uscita scrutando tutte le ragazzine più o meno adulte che entravano nel negozio. Ad osservare quel via vai mi resi conto che non sentivo dentro di me alcun interesse per quella festa. Cosa mi interessava allora? La scuola? No, spesso mi era sembrato di imparare di più sul mondo da ciò che vedevo e sentivo sul set piuttosto che da ciò che leggevo sui libri. Il lavoro? Forse. In quel momento, molto più che da Junior, mi capitava di non poter andare a lezione, di avere a che fare con molte più persone che a scuola ed erano sempre diverse, ma erano tutte lì per fare il loro lavoro, non per giudicarti da un voto o per quello che facevi o non facevi in classe. Mi piaceva essere preso sul serio e poter prendere sul serio gli altri, mi piacevano gli adulti e non vedevo l'ora di essere uno di loro. «Qualcosa non va?» domandai quando vidi Masaki raggiungermi con lo sguardo serio, era l'opposto di quando eravamo entrati. Non pensavo di aver detto qualcosa di sbagliato, era solo quello che pensavo, ma ogni tanto mi capitava di chiedermi quando sarebbe arrivato il giorno in cui Aiba non avrebbe più sopportato la mia schiettezza e sarebbe rimasto ferito, abbandonandomi. «No, è che... pensavo» rispose vago lui facendomi segno di allontanarci dal negozio
«A cosa? Non ti convince la confezione?»
«Nino, ti vergogni?» mi domandò fermandosi davanti alla vetrina di un negozio di cartoleria
«Eh? Come t'è venuta questa?» chiesi ridendo incredulo
«Perchè tu la metti sempre sul ridere vero? Tu scherzi spesso. Oppure dici una cosa molto seriamente, una delle due, ma in ogni caso è solo la realtà. Ho notato invece che sono poche le volte in cui dici non i fatti, ma piuttosto ciò che senti tu, quello che passa in testa a te. Il discorso di prima era... era bello. Nino, sei una persona profonda, ma questo tuo lato è del tutto inedito per me e allora mi viene da chiedermi se magari non ti vergogni di dirmi quello che senti davvero» spiegò prima di entrare nel negozio e ordinare un nastro di raso rosa per il pacchetto. Io rimasi qualche passo indietro, a riflettere. Non sapevo cosa rispondergli: io mi ero sempre trovato poco interessante e forse un po' complesso, e poi ero solo un adolescente, non mi ponevo tante domande complicate su me stesso, sulla vita o sul mondo. Masaki invece, che sembrava non pensare mai a niente, notava dettagli che ad altri sfuggivano e ci rifletteva profondamente. «Ho visto che al secondo piano c'è una sala giochi, ci andiamo?» domandò dopo aver pagato, con il suo solito sorriso stampato in faccia, come se nulla fosse successo. «Uhn, andiamo» annuii contento. Il suo discorso mi aveva spaventato un po', pensavo di essere una persona schietta, ma dalle sue parole risultava l'opposto: Masaki, per la prima volta, aveva capito che la mia sincerità era tale solo su argomenti di poco conto, mentre il mio reale pensiero, quello che mi portavo dentro, era ben nascosto e raramente mostrato. Mi vergognavo? No, ero solo fatto così, ma al tempo non seppi come rispondere.

Potevo non far troppo caso all'episodio di quel Febbraio, ma mi fu impossibile. La domenica Aiba mi chiamò a casa. «Kazu!» mi chiamò mia madre dal salotto. Io stavo leggendo un libro. Il giorno prima l'avevo visto in vetrina sulla via del ritorno, dopo esser stato al negozio di cioccolatini. Era un manuale per fare trucchi di magia: la copertina era molto accattivante, ma più andavo avanti con la lettura, più mi sembrava che non fosse un volume ben fatto. Così, una volta ogni tanto, fui contento di essere interrotto e mi affacciai alla porta della camera. «Cosa c'è?» domandai
«C'è Masaki kun al telefono» mi annunciò. Andai a rispondere mettendomi comodo sulla poltrona vicina al mobiletto «Pronto?»
⎨Nino chaaaan⎬cantilenò
«Masaki kuuuun» feci imitandolo e scoppiammo a ridere insieme
⎨Ti disturbo?⎬
«Sempre» risposi con sicurezza
⎨Dai, ascolta, la mia classe fa un party domani sera e hanno detto che posso invitare anche esterni⎬
«Mh?» mi accucciai bene sulla poltrona, aggrottando le sopracciglia «E inviti me?»
⎨Sì. Sei già occupato?⎬
«No, ma... perchè?» domandai stupito «Hai tanti amici...»
⎨Ma sei tu che mi hai accompagnato a comprare questi cioccolatini no?⎬fece con un sospiro⎨Puoi stare tranquillo, i miei compagni sono abituati a me, nessuno si comporterà in maniera strana perchè ci sarai tu. E sanno anche cosa fare con le foto⎬
«Non ero preoccupato per quello» lo corressi «Perchè non inviti anche Sho san?» proposi, subito pentendomene. Insomma, dovevo ammetterlo: da quando avevamo debuttato ero geloso di Masaki; quindi avrei dovuto fare tesoro di una giornata solo io e lui. Invece avevo proposto di coinvolgere Sakurai, con il quale lui andava molto d'accordo. Però era anche vero che Sho era una persona che rispettavo molto e ultimamente lo vedevo parecchio provato dallo studio intenso, proporgli una serata di relax mi sembrava carino.⎨Potrà? E' così preso ultimamente...⎬sospirò
«Tu chiedi no? Al massimo dice di no» gli risposi con pazienza «Dove ci vediamo e a che ora?» tagliai corto. Improvvisamente mi sentii irritato. Mi appuntai i dettagli su un foglio del blocco lì vicino. Quando tornai in camera sul letto mi stesi sul materasso, calciando via il libro e mi misi a fissare il soffitto. Ero arrabbiato con Masaki, perchè stava dimostrando grande impegno in un gesto dedicato ad una persona che conosceva poco, mentre per me non aveva mai fatto niente del genere, eppure erano cinque anni che eravamo amici. Non sopportavo che desse più attenzione ad una sconosciuta invece che a me, avrei accettato se avesse fatto un regalo importante al piccolo Jun, a Sho kun o ad Ohno, perchè loro erano... beh erano "dei nostri", mentre quella tipa no. Mi misi a sedere di scatto. Dei nostri? Stavo seriamente cominciando a pensare a noi cinque come ad un vero gruppo? Era la prima volta che mi capitava (a parte le interviste, ma in quei casi c'erano cose che non potevamo dire). Ad ogni modo, la maggior parte della mia irritazione era per me stesso: mi odiavo, pretendevo qualcosa da Masaki, ma mi rendevo conto che io per primo non mi ero mai impegnato a manifestare il mio affetto per lui. Lo prendevo in giro, ogni tanto lo colpivo scherzosamente e quello era il mio modo di manifestare l'affetto che provavo: mi comportavo così proprio perchè pensavo di potermelo permettere dato il nostro legame. Ma era pur vero che quella era una tecnica stramba per manifestare il proprio affetto a qualcuno, piuttosto maldestra ed egoista. Ed io ero egoista... prendevo un po' in giro tutti tra gli Arashi e loro accettavano la cosa e ridevano, proprio come se avessimo una certa confidenza, ma quando le telecamere si spegnevano ergevo un muro tra me e loro e non li lasciavo avvicinare. Era una confidenza che solo io potevo avere, per punzecchiarli, ma che loro non avevano il diritto di esercitare su di me. Pensavo che fossero solo amici di passaggio, che li avrei abbandonati finita la scuola per inseguire i miei progetti...
Scossi il capo, mettendomi le mani sugli occhi. Non mi piacevo. Ma potevo affrontare i problemi solo uno alla volta. Prima Masaki.

Quella festa era il primo ricordo che mi era venuto in mente dopo aver chiuso gli occhi.
La ragazza che piaceva ad Aiba aveva le gambe storte e la risata cavallina, ma nel complesso non era malaccio. Il punto era che avevo deciso che l'avrei detestata e... hey, era facilissimo farlo! Ero geloso di Masaki, geloso marcio, e poco serviva che io fossi l'unico a sapere fino a che età avesse continuato a fare la pipì a letto o che dormisse ancora con un peluche tra le braccia. Insomma, un'amicizia di così lunga data avrebbe dovuto farmi sentire superiore a tutti nella scala d'amicizia di Aiba, invece in quel momento mi sentivo come se non contasse nulla: un paio di tette -nemmeno tanto grosse oltretutto- mi sembravano surclassare ogni mio primato.
Arrivai in ritardo apposta, per pura ripicca, per fare dispetto a lei (a cui non doveva importare nulla infondo) e al mio amico che la preferiva a me. In ogni caso, per qualsiasi problema, c'era Sho con lui perchè si era proposto di passare a prendere entrambi con la macchina -munita d'autista- della sua famiglia: io avevo declinato per avere tempo di attuare il mio piano, mentre Aiba aveva accettato di buon grado. La festa si svolgeva in un ristorante nel quale avevano prenotato una sala dai lunghi tavoli. Dava direttamente sul cortile interno, circondato da un portico, ma lì l'unico albero che c'era era spoglio, il prato verde cupo e fangoso per la pioggia caduta qualche giorno prima. Scoprii appena arrivato, che non era prevista una vera e propria cena ma un buffet: un duro colpo per il piano che avevo ideato e per il quale mi serviva di poter stare tranquillo con Aiba ed agire in un momento in cui era distratto. Guardandomi intorno vidi anche che non c'era alcuna regola per dare i cioccolatini: c'erano ragazze che ancora si giravano la loro scatola tra le mani, altre che li stavano consegnando, alcune che tornavano dalle amiche dopo la "missione". Così non andava bene... irritato cominciai a gironzolare per le sale affollate, stringendo il mio pacchetto tra le mani e cercando i miei due amici. «Ciao! Ci conosciamo?» mi domandò una tizia placcandomi
«Sei una modella?» domandai squadrandola
«No...» rispose lei stupita dalla domanda
«Sei un'attrice?»
«No, perchè?»
«Frequenti un liceo di Tokyo?»
«No, sono di Chiba, come molti qui»
«Allora non ci conosciamo» conclusi prima di superarla e lasciarla lì senza aggiungere altro. Non sono mai stato un tipo sociale, ma oggi so che comportamento è bene tenere con le persone, per la mia immagine e la reputazione del gruppo, mentre all'epoca non me ne fregava un fico secco. Entrai in una sala con ancora più gente, ma il centro era libero perchè ci si aspettava che qualcuno ballasse le hit del momento che metteva il dj ingaggiato per la serata. Finalmente vidi Aiba, dall'altra parte della stanza e Sho vide me. Li avrei raggiunti volentieri, ma farsi spazio tra le persone accalcate vicino al buffet era difficile, però vidi il ragazzo richiamare l'attenzione di Masaki e indicarmi a lui. Il mio amico si girò, mi individuò e il suo volto si illuminò di un sorriso meraviglioso. Amavo quel sorriso, me lo aveva sempre mostrato da quando ci eravamo conosciuti: tutte le volte che ci incontravamo reagiva così (a meno che non leggesse un manga) ed era con quello che era riuscito a combattere la mia natura di lupo solitario. «Ninoooo» si lagnò ad alta voce abbandonando Sho e fiondandosi nella mia direzione. Decisi di attenderlo vicino ai tavoli e tenni il mio pacchetto dietro la schiena. «Nino sei arrivato!» mi disse con una vena di disperazione nella voce, avrebbe voluto buttarmi le braccia al collo e stritolarmi, ma aveva fatto male i suoi calcoli: si era avvicinato con tanto impeto che non riuscì a frenare a sufficienza e semplicemente finì con lo sbattermi contro. Sorpreso quanto lui finii con il tenermi ad un suo braccio e riuscimmo a non cadere a terra come due sacchi di patate. Ridemmo. «Che botta! Tutto bene?» gli chiesi abbassando lo sguardo, mi era caduto dalle mani il pacchetto ed era finito a terra insieme a quello di Aiba. «Ah, mi sa che ci siamo dati una zuccata» rideva ancora lui
«Che ti è successo per lanciarti così?» domandai dopo aver dato un calcio alla sua scatola
«E' da quando sono arrivato che ho i nervi a fior di pelle. Senti, senti» mi disse prendendomi la mano e posandola sul suo petto «Non fa "tum tum", fa "badabum badabum"» spiegò lagnandosi «Avrò un infarto, non sono troppo giovane per finire così?»
«A me sembra solo che tu ti sia macchiato la camicia» spiegai allargando le mie dita che avevano coperto una traccia di sugo
«Cos... oh no!» esclamò abbassando lo sguardo
«Se sei così teso significa che ancora non le hai dato niente» ragionai con una punta di soddisfazione «Come spieghi alla gente il fatto che hai una scatola tra le mani?»
«Oh è facile» rispose lui mentre tentava di mandar via la macchia con un po' di saliva «In realtà ho ricevuto cioccolatini da dodici ragazze, quindi è bastato far finta che fosse una scatola ricevuta e non una che devo dare io»
«Dove sono le altre dodici?»
«Qui» mi disse Sho con le braccia cariche di scatole e sacchettini «Dì la verità, sapevi che sarebbe finita così per questo non sei venuto con noi»
«Vorrei prendermi il merito di una simile pensata ma... no, ero veramente occupato prima» mentii allungando le mani verso di lui «Vuoi una mano?» domandai ripensando alla riflessione del giorno prima: non concedevo confidenza agli altri quando i riflettori erano spenti, ricevevo amicizia da loro, ma non davo nulla in cambio e questo non mi piaceva. Masaki si piegò a recuperare il pacchetto a terra e lo spolverò dopo la caduta. «Allora, vuoi morire d'infarto?» gli domandai facendo a metà dei sacchetti con Sho
«Certo che no» rispose il mio amico arricciando il labbro inferiore
«Allora vai a sbarazzarti di quel pacchetto, così la finisci»
«La fai facile tu» borbottò lui
«Non si vuole decidere» sospirò Sho
«Aiba chan» scossi il capo «Se c'è una persona gentile e sincera in questa sala, quella sei tu. Queste persone sono tue amiche, ti hanno invitato, ti trattano in maniera normale anche dopo il debutto: ti vogliono bene insomma. Lo stesso sarà per questa ragazza, allora vai da lei: che accetti o rifiuti il tuo strano pensiero, sicuramente lo farà con riguardo e garbo, perchè di certo tiene a te in ogni caso» gli spiegai guardandolo negli occhi castani «Le persone gentili non possono che ricevere a loro volta gentilezza». Masaki si mordicchiò il labbro poi annuì deciso, face un piccolo e rapido inchino e si allontanò deciso tra la folla. Con la mano libera Sho arraffò qualche salatino e me ne offrì un paio. Li mangiammo in silenzio, poi lui si leccò le dita, ignorando un terzetto di ragazze che ci fissavano con interesse. «Capisco perchè volesse aspettare il tuo arrivo» disse allora Sho «Non sei così freddo come vorresti dare a vedere»
«Dici?» dissi solamente
«Mi ha detto che l'hai accompagnato a prendere i cioccolatini. Ci tieni a lui, si vede. Sei un ragazzo a posto Ninomiya san, mi piaci, ma trovo ancora difficile decifrarti perchè ci sono molti aspetti diversi tra il carattere che mostri sul set e fuori»
«Non fingo, non proprio...» mi premurai di precisare, sentendomi leggermente in imbarazzo a sentire una simile analisi da un ragazzo che conoscevo ancora poco
«No, immagino. Anche nei Juniors lo vedevo che ti divertivi in quello che facevi, il nostro lavoro ti piace, ne sono convinto. Ho solo l'impressione che tu non sia ancora convinto del tutto, che tu stia ancora studiando noi... il gruppo intendo»
«Mh» mugugnai addentando una tartina e fissando la sala «Sono ancora convinto che "Arashi" sia da sfigati» glissai per alleggerire il tono della conversazione
«Sì, è da sfigati» concordò Sho, scoppiando a ridere.

Resistetti solo mezzora in quella sala piena di persone. Ricordo che andai a sedermi sui gradini dell'ingresso del ristorante quando la pioggia era ormai finita. Avevo messo i cioccolatini di Aiba in un mucchietto tra i miei piedi, due gradini più in basso e osservavo l'acqua sgocciolare dalla grondaia della tettoia. In parte, però, mi ero allontanato anche perchè avevo cominciato a sentirmi in colpa per ciò che avevo appena combinato. Avevo ideato tutto il mio piano perchè consideravo Masaki un amico prezioso e inestimabile, perchè ero stato geloso del fatto che desse ad una donna più attenzioni che a me, ma mi ero reso conto che non aveva avuto alcun senso quel mio atteggiamento. Dal debutto, gli Arashi venivano prima di tutto, anche di me, singolarmente: allora perchè non mi ero sentito così geloso e non avevo pianificato nessun atto diabolico contro di loro per riportare la sua attenzione alla nostra amicizia? Mi toccai il lobo dell'orecchio, pensieroso, poi scostai un ciuffo di capelli che avevo davanti agli occhi. Perchè accettavo gli Arashi, ma non un'altra persona? Improvvisamente mi era venuto il dubbio che quando Aiba avrebbe scoperto il mio trucco, si sarebbe arrabbiato con me definitivamente. Mi chiesi come avrei fatto negli Arashi se lo avessi perso, come mi sarei sentito se fossimo andati avanti anni e anni fingendo un'amicizia che sarebbe invece finita quel giorno per colpa mia. Ma era tardi, ormai il danno era fatto. Non potevo tornare indietro, no?
Quando mi feci quella domanda mi salì l'ansia e mi alzai di scatto, pronto a rientrare per andare a placcare il mio amico, lasciando lì tutti i sacchetti. Quando mi girai però lui era già sulla porta d'entrata del ristorante, con il fiatone. «Ti cercavo!» esclamò
«Mi hai trovato» riuscii solo a rispondere, sentendo la paura che mi bloccava la lingua. Perchè era corso da me? Per rabbia? «Già» annuì lui camminando verso di me e poi posandomi una mano sulla spalla «Nino kun, perchè l'hai fatto?» mi domandò, ma io non trovai il coraggio di rispondere. Abbassai lo sguardo, colpevole. «Anzi, prima di tutto, come l'hai fatto?» si corresse Masaki «Accidenti a te, mi sono preso un colpo. Lei mi ha guardato con una faccia!»
«Si è arrabbiata?» domandai con un filo di voce
«Non lo so» ridacchiò lui «Non ci ho fatto molto caso, ero troppo sorpreso. Come hai fatto?» chiese ancora
«Mi hai aiutato tu. Quando mi sei venuto addosso ti è caduto il pacchetto, così l'ho scambiato con il mio» spiegai stranito, perché invece di trovarmi davanti un Aiba arrabbiato, era il solito inalterato Masaki: rideva. «Sediamoci, non ho più fiato» biascicò sistemandosi sui gradini ed io tornai dove stavo pochi secondi prima «Sei un pazzo Nino. Hai replicato nei dettagli il mio pacchetto mettendoci dentro un regalo che era indubbiamente per me. Sai, quando ha aperto la scatola e ha trovato un album di foto invece dei cioccolatini si è stranita, ma niente l'ha disorientata più dello scoprire che non aveva foto mie, ma di noi due!» il mio amico scosse il capo aprendo il piccolo raccoglitore di foto e sfogliandolo. Lo avevo riempito di nostre foto, scegliendole tra le più carine che avevo. «Sei arrabbiato?» domandai guardando l'immagine di noi due su una spiaggia
«Sì, ho fatto una figuraccia! Non ricordo nemmeno cosa le ho detto per toglierle il regalo dalle mani, so solo che sono scappato via e ti ho cercato pensando solo "stupido Nino, stupido Nino, stupido Nino"» mi spiegò, però rideva e pensai che fosse uno strano modo di avercela con me «Perchè l'hai fatto? Anzi no... fammi indovinare» disse mettendo una mano avanti, per farmi tacere, e mettendosi a riflettere. «Ok, mi arrendo. Perchè?» domandò dopo una manciata di secondi. Feci una smorfia e allungai le gambe sui gradini, guardandomi la punta delle scarpe «Così» risposi stringendomi nelle spalle
«Non ti piace lei?»
«Non è per quello, però sì: non mi piace» risposi dondolando il capo
«Allora cos'è?» insistette
«Non mi piace che parli di lei. Non lo so, non mi va che parli di altri» spiegai impacciato «Insomma, siamo amici no?»
«Sì che lo siamo, ma cosa c'entra? Tu sei una cosa e lei un'altra. Non dirmi che eri geloso» e dato che non ebbi il coraggio di rispondere lo prese per un "sì" «Nino kun, te l'ho già detto che non sai esprimerti vero? Se eri geloso dovevi dirmelo» ridacchiò
«Non è gelosia, no. Non è solo quello almeno» dissi infine «Forse non l'ho dato a vedere, ma ti ho ammirato per il tuo desiderio di essere sincero e di dimostrare i tuoi sentimenti, perchè è una cosa che invece a me non riesce bene. Allora mi sono reso conto che tu dimostri quanto tieni a me molto spesso, mentre io non lo faccio mai e sono rimasto... deluso. Deluso da me stesso» tentai di spiegare «Ho trovato cattivo che fossi geloso di te, che non volessi sapere delle tue attenzioni per un'altra persona quando io stesso non riesco nemmeno a dimostrarti quanto conti per me. Volevo che lo sapessi... volevo sapessi che ci tengo a te, che quello che abbiamo fatto insieme è prezioso per me, che il tempo passato insieme è stato importante e che in futuro voglio continuare a costruire tanti ricordi con te. Con te e... con gli altri»
«Gli altri... sì, ora siamo in cinque vero?» disse alzando gli occhi al cielo che si stava rasserenando
«Già» annuii. Rimanemmo in silenzio ancora qualche secondo, poi Aiba colpì la mia spalla con la sua «Sai Nino kun, non ho mai pensato che tu non mi dimostrassi il tuo affetto. A modo tuo, lo fai sempre. E poi... ormai è un po' che ci conosciamo, non c'è bisogno di parole no?»
«Forse no. Di solito. Ma stavolta forse sì» asserii restituendogli il colpetto sulla spalla
«Però non ci sei comunque riuscito» rise mettendomi l'album davanti agli occhi «Invece di parlare mi hai tirato uno dei tuoi brutti scherzi...»
«Mi dispiace»
«Nah, non importa» scosse il capo Masaki «Va bene così, tanto l'agenzia non sarebbe stata d'accordo, no?» e annuimmo entrambi
«Voi due!» ci sentimmo richiamare alle nostre spalle. Sho ci aveva raggiunto «Insomma, mi invitate e poi mi abbandonate al mio destino in una folla di sconosciuti?»
«Hai ragione Sho san, scusaci!» esclamò Aiba rialzandosi in piedi
«Scusaci eh, scusa» lo seguii prendendo i pacchetti «Puniamo Aiba chan lasciandogli tutti i suoi cioccolatini» proposi al maggiore e lui rise divertito, così ci divertimmo a mettere ogni sacchetto addosso ad Aiba: uno per dito e due appese alle orecchie. Ridemmo tantissimo, mentre lui non poteva muoversi, altrimenti sarebbe caduto tutto.

Mi convinsi del fatto che gli Arashi non erano poi così sfigati dopo il nostro primo concerto. Giorno dopo giorno, anno dopo anno, imparai a conoscere ogni membro, ad apprezzare ciò che costruivamo insieme fino a diventare io stesso un nostro fan. Amavo gli Arashi. Certo, nel corso della mia vita, fino ad oggi, ho avuto molti dubbi: per un certo periodo i sogni da regista mi tornarono in mente e vissi mesi in bilico tra l'opportunità di prendere quella strada e il continuare a tracciare lo strano sentiero degli Arashi. Con gli anni imparai l'atteggiamento da tenere con le persone, a fare tesoro della nostra immagine, a provare gratitudine per la chance che Kitagawa ci aveva concesso. La sensazione di essere stato intrappolato si dissolse e più crescevamo più erano le possibilità di fare come volevamo noi. Ero cresciuto con gli Arashi e avevo imparato tramite loro.
«Ding dong. Ninomiya Kazunari san degli Arashi è desiderato nei camerini!» mi sentii annunciare nell'orecchio e mi svegliai di soprassalto. Sbattendo gli occhi mi ritrovai Aiba, in ginocchio di fianco al divano, che aveva appena pronunciato quella frase col mio copione arrotolato come un megafono. Tutti gli altri mi stavano intorno -Jun e Ohno con i gomiti sul poggia schiena del divano e Sho con il mento sul bracciolo- piegati ad osservarmi e a ridere. «Cretino» sbottai strappando il copione dalle mani di Masaki e usandolo per colpirlo in testa
«Te l'avevamo detto che si sarebbe arrabbiato» disse Sho divertito
«Aveva una faccia carina mentre dormiva, vero?» domandò Jun
«Sì, carina» lo spalleggiò Ohno
«Ha cambiato totalmente espressione ora che s'è svegliato» mi accusò ancora il più giovane
«Che ore sono?» domandai mettendomi a sedere e tutti gli altri tornarono alle proprie postazioni nel camerino. «Sono le undici passate» mi rispose Aiba rialzandosi
«Ah, ho fame» mi lamentai stiracchiandomi «Mangiamo qualcosa?»
«Ho le riprese del drama domani mattina» rispose Sho con aria dispiaciuta
«Io ho la radio» disse Satoshi che in breve tempo era già pronto ad andarsene: non lo biasimavo, dato che andava in diretta la mattina presto, la sera quando poteva andava a letto presto. Ed erano già le undici di notte passate. «Cos'avevi in mente?» mi chiese Aiba fissandomi con attenzione
«Non lo so, ma so cos'hai in mente tu» sospirai «Ramen? Come ai vecchi tempi»
«Il ritorno de Sobu Line Team!» esultò lui con un saltello e si precipitò a rimettere a posto le sue cose
«Posso unirmi?» domandò Jun prendendo una pastiglia con un sorso d'acqua dalla sua bottiglietta «E' un pezzo che non esco a mangiare qualcosa, mi servirebbe rilassarmi un po'»
«Allora è deciso: ramen per tre» annuii verso di lui. Rimisi a posto le mie cose, lentamente data la stanchezza, ma sapevo che i miei compagni mi avrebbero aspettato fuori dagli studi per poi mangiare insieme.
Quel giorno non avevo un solo amico, avevo una famiglia. Quel giorno c'era Satoshi, con cui negli anni avevo costruito un rapporto molto stretto. Quel giorno c'era Jun, la mia spalla ogni volta che avevo bisogno di un aiuto. Quel giorno c'era Sho, laureato, che si prendeva cura di tutti noi come una mamma. Quel giorno, come in passato e sicuramente in futuro, c'era Aiba con cui non avevo bisogno di parlare per capirci. Aiba che ancora prendevo in giro più o meno senza ritegno e che ormai non si faceva problemi a colpirmi o rispondermi a tono. Aiba con cui ogni tanto ricordavo eventi della nostra infanzia mettendoci in imbarazzo a vicenda. Aiba, a cui non dicevo ancora quanto mi fosse caro, ma che continuava a saperlo, anche senza parole.

Il titolo, "Kotoba yori" può essere tradotto come "più delle parole" nel senso che più che le parole c'è altro
*Giri chokorēto, è il cioccolato dato per dovere, senza alcuna implicazione sentimentale. In alcuni posti di lavoro le impiegate donne sono tenute a regalare cioccolatini ai colleghi e superiori uomini


Eccoci qui.
Questa non è solo la prima aimiya che scrivo (nel mio solito stile, ossia raccontando di un'amicizia speciale, come per i juntoshi), ma anche la prima vera ff che scrivo riguardante Nino.
Ho scritto di lui solo in una situazione paradossale come quella di "Being... Arashi" o in una parentesi breve come "Slice of storm", mai una vera e propria ff... e la sfida è stata farlo per la prima volta, ma soprattutto in prima persona: non solo fatti, ma anche pensieri. E io.. beh... Nino non l'ho mai affrontato apposta perchè è una specie di mostro sacro per me. Non lo capisco, mi ritengo una persona semplice, quindi non riesco ad afferrare tutte le contraddizioni di cui è fatto, ma è sempre così: se una cosa è facile non la scrivo. Sarà chi leggerà a dirmi se il primo tentativo è stato buono oppure no.
A parte questo, adoro gli Aimiya. Li osservo sognante, li invidio perchè hanno qualcosa che io avrei sempre voluto e invece non avrò mai: un amico d'infanzia al loro fianco. Non tutte le amicizie di questo tipo sono belle e positive, ma la loro lo è ed è ciò che invidio. Certo, quella raccontata è un'amicizia non paragonabile a quella di oggi, dopo 12 anni di lavoro nel gruppo: sono ragazzetti ai primi mesi dal debutto con idee e atteggiamenti ancora acerbi e a volte infantili. Ma penso che il rapporto tra Nino e Masaki oggi sia perfettamente chiaro ed evidente a tutte.
L'idea della storia (la gelosia di Nino e l'idea dello scambio di pacchetti durante lo scontro con Aiba) è nata da un sogno... sì, ho sognato la scena e la conclusione XD (in realtà ho sognato anche la scena di Aiba con la tipa che scarta il regalo sbagliato, ma non potevo raccontarlo perchè Nino non assiste) Dal resto, sono una che scrive ff sulle idee che partorisce lavando i piatti... scrivere un sogno è una quisquilia.
Un ultimo ringraziamento a Lara che, come per "Acqua e Farina", mi ha fatto da correttrice di bozze. Grazie infinite, per il tempo che mi hai regalato e per la pazienza che hai avuto ad ascoltarmi m(_ _)m

  
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