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Autore: blazethecat31    02/08/2012    2 recensioni
Alzandosi e riordinando i pensieri decise che sarebbe andata a fare una passeggiata, magari avrebbe trovato qualche utensile buttato via ma ancora utilizzabile. Dopo aver indossato gli abiti più comodi che trovò nel suo armadio raggiunse la spiaggia -naturalmente senza scarpe-, e nel suo volto si dipinse un’espressione di delusione e tristezza.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Doveva essere la sesta ora del mattino. Si svegliò nel suo letto in un bagno di sudore e con un mal di testa assurdo, di certo il tempo passato in spiaggia la notte precedente con la musica che proveniva da ogni dove non doveva averle fatto bene. Alcuni dei suoi cosiddetti “compagni d’estate” volevano provare a farle bere degli alcolici, ma giustamente lei, da quattordicenne bambina com’era, aveva preferito bere acqua o bibite dotate di caffeina, in modo da rimanere sveglia fino a quando i suoi occhi gliel’avrebbero permesso.

 

Tende, falò e luci psichedeliche ovunque, una tendopoli maledettamente grande, ragazzi che camminavano con bottiglie di birra mezze vuote, o almeno ci provavano. Molti di quei rifugi precari si muovevano violentemente, e lei poteva solo lontanamente immaginare cosa stava succedendo all’interno; non si sentiva più padrona di se stessa a causa della confusione che non le dava il modo di coordinare i movimenti: le gambe tremanti, la testa tra le mani. Una povera ragazza immersa nel caos della notte di ferragosto che non riusciva a trovare casa sua.

Ad un certo punto qualcuno la prese per il braccio, non con violenza, ma non ci andò nemmeno troppo piano.
Perfetto, ci mancava solo il maniaco che cerca di sfruttare il mio orribile corpo a scopi di godimento, pensava nel mentre si stava girando bruscamente verso la misteriosa figura.
-Tranquilla, sono io.- le disse il ragazzo che subito dopo riconobbe vedendo la sua riccioluta chioma di capelli.
-Cosa ci fai qui?- Intonò lei facendo appello a tutto il suo orgoglio.
-Sono venuto a cercarti. Ho chiesto a tutti gli altri ragazzi di iniziare a mangiare solo quando saremo tornati.- rispose, notando che nei suoi occhi albergava la confusione.
-Sarei tornata anche senza il tuo aiuto, e comunque a quelli lì non interessa niente di me. Probabilmente avranno già sbranato la mia fetta di carne e questa sera rimarrò a stomaco vuoto.- Continuò a proseguire per la sua strada, pur non sapendo dove stesse andando.
-Non ne sarei così sicuro, se ti girassi verso di me e alzassi lo sguardo noterai di sicuro che casa nostra è dalla parte opposta. E poi ti ricordo che non c’è solo carne per questa sera.-
Come risposta lei si diede uno schiaffo in faccia. Che stupida era stata. Come aveva fatto a non vedere quell’enorme residence bianco che dominava su tutte le altre abitazioni della zona? Probabilmente era troppo impegnata a guardare per terra per evitare bottiglie rotte, fuochi mezzi spenti o qualsiasi altra cosa avesse potuto mettere in pericolo l’incolumità dei suoi piedi nudi. Ci voleva coraggio a camminare senza scarpe, ed era risaputo, ma a lei dava un certo senso di libertà, come se qualcosa di primitivo all’interno del suo corpo si fosse risvegliato. Fece dietro front, e insieme al suo riccioluto amico -uno dei pochi in quella zona- si diresse verso casa, dove nel cortile l’aspettavano immensi tavoli di legno pieni di cibo di ogni genere, dalla pasta col sugo alla frutta, mentre i gelati giacevano ancora dentro i freezer  delle sovrastanti case. C’era troppo caldo per tenerli fuori tutta la sera, sarebbero usciti a tempo debito.
Il tutto bastava per soddisfare la fame di almeno una quarantina di persone.

 Dopo l’abbondante cena passò parte della serata seduta sul muretto, ad aspettare la mezzanotte e iniziare una corsa folle verso il mare, ormai non mancava molto. Preferiva aspettare da sola piuttosto che stare in compagnia di quei bastardi -escludendo il ragazzo di prima- che non avrebbero fatto altro che prenderla in giro per la sua condizione sociale. Quale poteva essere il ruolo di una ragazza dalla mente contorta e fantasiosa, dall’animo gentile ma orgoglioso, dall’eccessiva robustezza del corpo, se non fare la parte dell’emarginata sociale?
Mentre osservava il mare notò molte navi illuminate all’orizzonte.

-Mancano dieci minuti!- Urlò qualcuno dietro di lei, ma non aveva la voglia di capire chi fosse. Scese dal muretto e iniziò a togliersi  prima la t-shirt nera, poi i pantaloncini dello stesso colore, che ripiegò malamente e poggiandoli dove prima si era seduta, rimanendo in costume. Niente falò per quell’anno, avrebbe dato sfogo ad atti di piromania in un’altra occasione.
 Vide due dei ragazzi che un tempo riteneva amici scendere le scalette del cortile, e accennavano all’idea di rimanere a dormire in spiaggia.

-Spero proprio che vi raggiunga un ubriaco con una bottiglia di vetro rotta minacciandovi di morte.- digrignò lei, i pugni stretti.
-Non sei l’unica a desiderarlo.- rispose l’unica persona che in quel momento poteva comprenderla. L’aveva sempre difesa da quei due.
Si girò, anche lui era pronto a tuffarsi. Si notava senza dubbio un fisico d’atleta, non come le ragazze di oggi se l’aspettano, ma almeno non era un pelle e ossa senza muscoli.

Sembrava quasi capodanno, ma in versione estiva.
Partì il conto alla rovescia, e i due erano già pronti a correre, chi più velocemente e chi meno. Partirono come due corridori all’inizio di una gara, schivando agilmente gli ostacoli davanti a loro.
Dopo quelli del ragazzo anche i suoi piedi toccarono la riva, constatò che l’acqua non era troppo fredda da tornare a casa, e continuò a correre. Tutto ciò in una frazione di secondo. Non potendo correre dentro l’acqua alzò di più le gambe, trasformando la corsa in una serie di salti che aumentavano d’altezza man mano che avanzava.

E quando capì che l’acqua le sovrastava di molto le ginocchia si tuffò, rimanendo con la testa sul fondo per una decina di secondi.
Si sentì come rinata, come se le onde che sbattevano sulla sua schiena e sui suoi capelli corvini già impregnati di sale la stessero lavando dalle emozioni negative, lasciandole solo una sensazione di serenità che non provava da tanto, e che l’avrebbe abbandonata subito dopo perché costretta ad affondare ancora i piedi sulla sabbia umida e il resto, aggiungendo anche la stanchezza dei suoi occhi, che rendeva il tutto più sfocato.  Rimase per il resto della serata in giardino a discutere  sulla sua solitudine con il suo amico.
Le disse che fino a quando avrebbero passato l’estate insieme avrebbe potuto contare  su di lui.
E infine andò a dormire con un leggero sorriso sul viso.

 

Alzandosi e riordinando i pensieri decise che sarebbe andata a fare una passeggiata, magari avrebbe trovato qualche utensile buttato via ma ancora utilizzabile. Dopo aver indossato gli abiti più comodi che trovò nel suo armadio raggiunse la spiaggia -naturalmente senza scarpe-, e nel suo volto si dipinse un’espressione di delusione e tristezza. Ora che c’erano i deboli raggi del primo mattino era possibile distinguere ogni cosa.

Chiazze nere di carbone sulla sabbia, rifiuti ovunque, di ogni genere, una desolazione assurda.
Raggiunse di corsa la riva, sperando che almeno il mare non avesse subito lo stesso trattamento.
Ad aspettarla c’era un manto di acqua oleosa, le onde che vomitavano  catrame che giaceva sul bagnasciuga.

-Il nero sta bene sui vestiti, sul cielo notturno e su molte altre cose. Ma non sul mare.- intonò con voce lugubre.
Tornò a casa piangendo. Avrebbe preferito camminare sui chiodi piuttosto che sulla crudeltà umana.





  
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