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Autore: Thebrightsideofthemoon    03/08/2012    0 recensioni
Kurt e Blaine si amano. Questo amore, monopolizzante e coinvolgente, li porta a convincersi che nessun altro possa conoscere felicità più grande della loro, ma, soprattutto, a comprendere che, se resteranno l'uno accanto all'altro, nello scenario inaspettato e variabile della vita, nulla di spiacevole potrà succedergli. Ma proprio la mutevolezza di quest'ultima li porterà a dividersi in modo brusco, precludendo loro la possibilità di realizzare i propri sogni insieme e di continuare a percorrere la loro strada vicini. La storia di un amore che continua a far sognare, nonostante si sia fermato ad un inatteso capolinea, tra retrospezioni e ritorni ad un presente che è troppo doloroso per essere vissuto appieno.
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Blaine/Kurt
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo I

Perfect.



Pretty, pretty please
Don’t you ever ever feel
Like you’re less than, less than perfect;
Pretty, pretty please
If you ever ever feel
Like you’re nothing
You’re fuckin’ perfect to me.



Quante volte, lui e Blaine, avevano intonato la melodia di quella canzone nel rifugio accogliente dell’abitacolo della sua macchina, di ritorno dalle loro frequenti evasioni dalla routine. Quante volte si erano guardati negli occhi, avevano sfiorato l’uno la mano dell’altro con le dita affusolate, si erano scompigliati a vicenda i capelli prima di cantarla, lanciandosi frequenti ma tuttavia fugaci sguardi di intesa. Kurt la considerava la loro canzone a tutti gli effetti. La loro, sua e di Blaine. Che non c’era più.

Non lo aveva lasciato per un altro. Non era fuggito lontano dall’Ohio. Non lo aveva tradito, né si erano persi di vista nel cammino della vita. Blaine era morto.

Se l’era portato via un giorno di pioggia del mese di Marzo. Kurt era a New York: studiava canto e recitazione alla NYADA ed era lì quasi da un anno. Quell’anno che lo separava da Blaine e non gli permetteva di averlo accanto a sé ogni giorno, di vederlo al mattino, appena sveglio, né di addormentarsi alla sera assieme a lui, stravolto dagli impegni quotidiani. Ma lui lo avrebbe raggiunto, Kurt lo sapeva. E Blaine lo avrebbe trovato ad aspettarlo, al suo arrivo. Avrebbero condiviso ancora una volta tutto, come ai tempi del liceo al McKinley. Kurt lo avrebbe amato con tutto se stesso, così come faceva adesso, così come avrebbe fatto anche Blaine. La loro sarebbe stata una vita felice, a dispetto dei tanti che avevano preferito deriderli piuttosto che comprenderli. Il loro amore avrebbe trovato la sua strada. E se anche fosse stata tutta in salita, l’avrebbe percorsa senza battere ciglio. 

Ma quell’auto aveva fatto irruzione a tutta velocità nei loro progetti. Senza neanche accennare a frenare, si era lanciata contro il pick up di Blaine e l’aveva distrutto. Accartocciato nella carcassa della sua automobile, in procinto di dissimularsi per sempre nelle fiamme, Blaine aveva forse capito, nonostante il terrore che lo attanagliava e la paura di morire, che per lui era finita; che non ci sarebbero stati più sogni da perseguire, sorrisi da regalare, sentimenti da provare sulla propria pelle. E forse - se non era troppo egocentrico pensarlo, per il suo amato -il suo ultimo pensiero era stato proprio lui, Kurt, con il suo viso d’angelo e gli occhi azzurri fissi sul suo ragazzo, in uno dei loro tanti e diffusi momenti di tenerezza. Quegli occhi glaciali della cui bellezza Blaine si beava, di cui probabilmente non avrebbe mai più potuto sostenere lo sguardo. Moriva così, trafitto da una pioggerellina fitta e dai ricordi, ostinatisi in quel momento a percorrere in lungo in largo la sua mente, costringendolo a riviverli uno ad uno davanti ai suoi occhi, in una sequenza che – come pensò in tutta probabilità Blaine – valeva la pena di essere rivissuta. Moriva così anche il suo ultimo sorriso sulle labbra, entro le quali, strette, risuonò per l’ultima volta il suo nome. Kurt.

Unici suoi ricordi di quel diciassette marzo erano lo squillo del suo telefono, i monosillabi proferiti da Rachel, i suoi singhiozzi dall’altra parte della cornetta. E ancora, il rumore del bicchiere che teneva stretto fra le sue dita che si riduceva in frantumi nell’impatto contro il pavimento, il conseguente silenzio assordante. Kurt non aveva pianto. Si era limitato a fissare i suoi occhi in un punto imprecisato davanti a sé, nell’incredulità più assoluta. Non poteva essere morto. Lui lo stava aspettando; Blaine sarebbe arrivato.

Il giorno successivo, quello in cui si tenne il funerale, era il compleanno di Kurt. Blaine era diretto alla NYADA proprio per fargli visita in occasione della ricorrenza. “Mi porterà della torta ai mirtilli. Adoro la torta ai mirtilli. Spero si ricordi dello spumante, a casa è rimasta solo una lattina di coca-cola”  si era detto, mentre indossava l’abito nero, completo del consueto papillon da indossare sul colletto della camicia. Continuava a fantasticare sull’imminente arrivo del suo ragazzo, nel delirio più totale della sua mente; fu solo quando giunse nella chiesa di Lima, nell’Ohio, davanti alla bara di mogano che custodiva i resti della persona che più amava al mondo, che elaborò la perdita. E, al centro della navata principale, si gettò a peso morto sulle ginocchia e chinò il volto, rigato dalle lacrime. Le Nuove Direzioni intonarono l’Hallelujah, estremo omaggio a quel compagno, a quell’amico, a quel fratello che troppo presto li aveva lasciati per un viaggio al di là dell’intraprendibile. Se ne andava senza possibilità di ritorno, senza volerlo. Kurt avrebbe voluto unirsi al coro, salutarlo in modo consono, nell’unico modo che conosceva per farlo; ma la voce era rotta dal pianto devastante che, pochi istanti prima, si era impossessato del suo corpo. Così rimase immobile nella sua posizione, scosso talvolta in modo visibilmente percepibile dai singulti, la mente fissa nel ricordo di quegli occhi ambrati che mai più avrebbe rivisto, se non in fotografia.

Pochi giorni più tardi, l’idea della torta ai mirtilli gli parve immensamente stupida. Arrivò persino ad odiarli, i mirtilli, come se fossero stati loro a portargli via il suo Blaine. Un’altra idea enormemente sciocca di cui si rese conto solo nei giorni che seguirono. Ad ogni modo, Kurt non toccò mai più un frutto di bosco. Ma tutto ciò che sortiva quell’astinenza immotivata era un lenimento del dolore solo temporaneo. Nessun mirtillo, né tantomeno lampone o mora che fosse, avrebbe potuto riportargli indietro il suo ragazzo. Blaine era giunto – dovette confessarlo finalmente a se stesso – nel luogo al quale si accedeva attraverso gli addii, quelli che non implicano, in nessuna maniera e per nessuna ragione plausibile, un ritorno.
   
 
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