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Autore: csgiovanna    04/08/2012    4 recensioni
Jane, Lisbon ed il team dovranno indagare su un inquietante omicidio avvenuto all'interno della Coffin Academy, un istituto che pratica una ambigua e singolare terapia anti-suicidio. Chi ha ucciso Samantha Greenwood, avvocato di grido di Sacramento? Perché Jane si comporta in maniera più strana del solito? Cosa sta nascondendo a Lisbon e alla squadra? FF ambientata durante la 4/a stagione, dopo l'episodio 4x22 e prima dell'episodio Red Rover, Red Rover (4x23)
Genere: Angst, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Ciao a tutti/e dopo una lunga pausa, finalmente, ho avuto l'ispirazione per una nuova storia. Ed eccomi qui!! Ho cercato di rispettare la serie e i caratteri originali e spero di esserci riuscita. Si tratta di un tentativo di scrivere un ipotetico episodio 4x22bis! Spero vi piaccia.



Teresa avanzò velocemente verso l’ingresso del Sacramento Convention Center, un imponente e modernissimo edificio di acciaio e vetro situato nel cuore della città. Diede uno sguardo distratto allo striscione che campeggiava all’entrata, quindi lampeggiò il suo distintivo all’agente di sorveglianza ed entrò. Camminò nell’ampio androne semideserto senza esitazione, vide Cho all’ingresso di una delle sale conferenze e lo raggiunse.

«Boss» la salutò l’asiatico senza cambiare espressione, lei ricambiò con un cenno.

«Cosa abbiamo?» chiese poi avanzando decisa verso l’interno della sala riunioni.

Teresa diede uno sguardo al salone e rimase a bocca aperta. Al centro della stanza, distribuite su tre file, erano posizionate una trentina di casse scoperchiate in legno grezzo. Poco più in là era posizionato un piccolo palco con un leggio ed un manifesto a sfondo nero con lo slogan a caratteri cubitali dorati “Coffin Academy - For people ready to rebirth” . Difronte al palco c’era una tripla fila di poltroncine, mentre al centro della seconda fila di bare, alcuni tecnici della scientifica stavano eseguendo dei rilievi e scattando delle foto.

«Sul serio… è quello che sembra?» chiese dando a Cho uno sguardo perplesso.

«E’ una specie di terapia d’urto contro il suicidio… Si simula il proprio funerale per capire il vero valore della vita… i partecipanti vengono rinchiusi nelle bare per una decina di minuti…quando escono hanno abbandonato l’idea. In Korea e Giappone è molto di moda.»

Lisbon corrugò la fronte guardando preoccupata le casse poco distanti.

«Inquietante.»

«Già soprattutto se qualcuno muore davvero – aggiunse Rigsby che nel frattempo si era unito ai due - Samantha Greenwood, 38 anni, avvocato associato della R&G Company. Lei e i suoi colleghi - disse indicando un gruppetto di persone in un angolo della stanza - sono stati invitati a partecipare dalla sorella della vittima, Christine Greenwood.» concluse accennando alla bionda poco distante, scossa dai singhiozzi.

Lisbon guardò all’interno della bara e vide il corpo di una giovane donna, molto somigliante alla ragazza in lacrime: era immobile e con un sorriso sereno, quasi fosse semplicemente addormentata. Era avvolta in una veste gialla di tela leggera, vagamente orientale. La fissò tristemente e si ritrovò, suo malgrado, a paragonare quella sfortunata alla bella addormentata delle favole che sua madre le raccontava da bambina. Nessun principe azzurro sarebbe arrivato, questa volta, a risvegliarla. Sospirò.

«Causa della morte?» chiese poi sollevando lo sguardo dal corpo.

«Arresto cardiaco. La sorella però sostiene che non avesse alcun problema di cuore e che, anzi, fosse in ottima salute – intervenne Kimball – Sembra che al momento dell’iscrizione sia obbligatorio presentare un certificato medico. Il coroner ipotizza l’avvelenamento.»

«Raccogliete le testimonianze di tutti i presenti, compresi gli organizzatori di questo... meeting…» ordinò lei rapida ed efficiente.

«Ok Boss.» risposero i due agenti dirigendosi verso il gruppetto di persone poco distanti.

La donna tornò a guardare attentamente il corpo cercando qualche indizio, quindi osservò la stanza alla ricerca di qualcosa. Vide Van Pelt poco più in là raccogliere le testimonianze di alcuni uomini anch’essi vestiti con la stessa tunica chiara. I tecnici della scientifica continuavano a scattare foto.

«Avete visto Jane?» chiese inquieta avvicinandosi nuovamente al suo team.

Cho e Rigsby scossero la testa. Teresa si allontanò di qualche passo, sbuffò, quindi prese il cellulare e provò a chiamarlo.

 


 

Jane guardò il cellulare, sorrise e prese la chiamata.

«Buongiorno Lisbon. Qualcuno potrebbe pensare che hai una passione segreta per me…» disse sorridendo sornione.

«Ah ah…Divertente. Dove sei?» rispose sbrigativa e con tono seccato.

Jane sollevò gli occhi al cielo senza perdere il suo sorriso.

«Meh… ho avuto un piccolo contrattempo…» rispose vago.

«Un’altra ruota bucata?»

«Più o meno…»

«Sai Jane, dovresti seriamente pensare di cambiare auto. Muoviti abbiamo un nuovo caso!»

«Temo di averne per un po’ qui…»

«Niente storie. Prendi un taxi e vieni all’indirizzo che ti ho mandato. A quest’ora non dovresti impiegarci tanto. Ho bisogno di te sulla scena.»

Jane sospirò, si mosse un po’ a disagio sulla sedia dov’era seduto. Stava per risponderle quando una giovane donna con un camice bianco gli venne incontro sorridente.

«Mr Jane?»

«Devo andare. Vi raggiungerò appena possibile.» chiuse la chiamata mentre Lisbon dall’altra parte stava continuando a parlare.

Sorrise alla donna e si alzò dalla poltroncina.

«Mi segua, ci vorranno solo pochi minuti...»

 


 

Lisbon guardò il suo cellulare a bocca aperta. Le aveva sbattuto il telefono in faccia? Sbuffò irritata. Cho e Rigsby si scambiarono un rapido sguardo, ma non osarono dire nulla. Teresa ripose in tasca il cellulare e si avvicinò ai testimoni. Era seccata e preoccupata. Perché aveva la sensazione che Jane le stesse nascondendo qualcosa? Non che fosse una grande novità, in realtà lui lo faceva tutto il tempo, ma nell’ultimo anno erano stati molto più vicini, tanto che aveva confidato solo a lei la verità su Timothy Carter e i sospetti dell’agente Darcy sul suo rapporto con Red John, così si era illusa che lui non avesse più alcun motivo per nasconderle qualcosa. Si diede della paranoica, magari era veramente bloccato da qualche parte, per colpa di quel catorcio che lui si ostinava a chiamare auto.

Sospirò quindi si avvicinò a Van Pelt e alla donna orientale seduta davanti a lei. Una bella cinquantenne con profondi occhi scuri e lunghi capelli color ebano raccolti in una complicata acconciatura sulla nuca. Indossava un hanbok, l’abito tradizionale coreano, in un luminoso raso blu e rosa. Era impossibile non rimanerne affascinati. Era decisamente una bella donna, anche se non più giovanissima.

«Ehi Boss. La signora Hea Woo Chung è la fondatrice dell’Accademia.»

«Salve sono l’agente Teresa Lisbon…» si presentò allungando una mano.

La donna la strinse con delicatezza e rispose con un sorriso incerto.

«E’ una tragedia…Cosa può essere successo?» chiese con voce tremante ed un evidente accento coreano.

«Siamo qui per scoprirlo, Signora Chung - rispose cercando di rassicurarla – conosceva la vittima?»

La donna annuì.

«Si certo, Samantha Greenwood è uno dei finanziatori del nostro centro. Una benefattrice per noi… Sa, abbiamo avuto qualche difficoltà economica recentemente… E’ stata sua sorella Christine a presentarcela e a convincerla ad aiutarci. Christine ha frequentato altri seminari in passato e ci ha dato una mano con l’organizzazione di questo evento. E’ una ragazza molto dolce…Povera cara…» disse spostando lo sguardo sulla giovane donna intenta a rispondere alle domande di Rigsby.

Anche Lisbon si voltò a guardarla, quindi tornò a parlare con Mrs Chung. «Qualcuno di non autorizzato è entrato nella sala o vi siete allontanati per qualche ragione?» chiese indicando l’ambiente circostante.

«No. All’interno della sala eravamo presenti solo io, Christine e i miei due collaboratori, Kim e Shin. Posso assicurarle che nessuno è entrato o uscito da qui.»

Lisbon cercò di studiare il volto della donna alla ricerca di qualche segno di menzogna o colpevolezza. L’asiatica la fissava dritto negli occhi senza esitazione.

«Il rito si è svolto come sempre. – continuò - Dopo la scrittura delle loro lettere d’addio e la condivisione con gli altri, uno alla volta sono entrati nelle casse e abbiamo proceduto all’inchiodatura. Christine si è occupata della cassa della sorella personalmente.»

Lisbon fece una nota mentale di quanto la donna le aveva appena detto.

«Avete somministrato qualcosa ai partecipanti?»

«Cosa vuol dire?» la guardò incerta.

«Cibo, bevande o droghe, forse?»

La signora Chung la fissò a bocca aperta.

«Una donna apparentemente sana muore misteriosamente dopo un rito, per così dire, poco ortodosso…» spiegò Teresa piuttosto seccata.

Van Pelt la guardò incuriosita. Teresa si morse il labbro, era stranamente aggressiva oggi, quella poteva essere una tipica frase di Jane, non sua. Imprecò tra sé, maledicendo il suo consulente che la faceva impazzire anche senza essere presente.

«Mi scusi… - disse poi – non volevo mancarle di rispetto, ma semplicemente capire cosa può essere successo.»

Hea Woo Chung annuì.

«Capisco il suo scetticismo. Non è la prima persona a mettere in dubbio la nostra buona fede. – Lisbon sollevò un sopracciglio, ma non la interruppe - Comunque no, non viene servito nulla prima del rito. Solo alla fine viene offerto un banchetto per festeggiare la ritrovata voglia di vivere.»

«Signora Chung, quando parlava di scetticismo si riferiva a qualcuno in particolare? C’è qualcuno che potrebbe avercela con lei e la sua accademia?»

Lei distolse lo sguardo, quindi scosse vigorosamente la testa.

«No. Non intendevo questo…»

«Signora Chung - Teresa la fissò intensamente – avete ricevuto delle minacce?»

«Non tutti sono stati contenti della nostra iniziativa… diciamo così - balbettò – Però non arriverebbero a tanto!»

«Lasci giudicare a noi - commentò Grace, che fino ad allora era rimasta in silenzio – Chi vi ha minacciato?»

La donna si lasciò sfuggire un singhiozzo.

«Abbiamo ricevuto qualche lettera minatoria. Hanno rotto un paio di vetri nella nostra sede. Ma non sappiamo chi siano i responsabili e non v’abbiamo mai dato troppo peso. Io avevo pensato di andare alla polizia, ma mio marito credeva fosse semplicemente una bravata. Non è mai successo nulla di grave…»

«Fino ad oggi. Dobbiamo parlare con suo marito…» Lisbon scambiò un rapido sguardo con Grace che annuì.

«Certo. E’ fuori città per affari, ma vi metterò immediatamente in contatto con lui.»

Van Pelt prese nota. Lisbon si allontanò dalle due donne. Aveva la sensazione che sarebbe stato un caso complicato e lungo. Se almeno Jane fosse stato lì.

«Dannazione Jane.» sbottò sottovoce, controllando per l’ennesima volta il suo cellulare.

   
 
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