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Autore: Rosebud_secret    04/08/2012    6 recensioni
Quel giorno rientrai con la spesa e mi sorpresi di trovare Mycroft comodamente seduto sulla mia poltrona che discorreva con toni piuttosto pacati insieme al mio migliore amico, steso, come al solito, sul divano, intento ad accarezzare lascivamente le corde del violino.
Quando varcai la soglia si voltarono all'unisono in mia direzione.
Fu inquietante, mi sentii violato e in pericolo, un po' come i protagonisti di quei film di fantascienza di serie Z che si ritrovano, improvvisamente, sotto lo sguardo sinistro di decine e decine di robot. Feci buon viso a cattivo gioco e un po' rimpiansi di non aver accettato l'invito di Greg per una birra.
Scrissi questa storia diversi mesi fa per un contest ed ora mi sono decisa a pubblicarla, spero vi piaccia.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nickname su EFP: Rosebud_secret

Titolo: Un tranquillo pomeriggio in casa Holmes (Ovvero: come rimpiangere i maniaci assassini)

Titolo del contest: Physicology -Sherlock (BBC) contest.

Fandom: Sherlock (BBC)

Personaggi: John Watson; Mycroft Holmes; Sherlock Holmes

Tema:

Citazioni filosofiche: “Il contratto sociale” dal Leviatano di Thomas Hobbes.

L'uomo come “animale politico” da Aristotele.

Leggi fisiche: Teoria del caos.

Teoria dei grandi numeri.

Leggi della termodinamica.
Rating: Verde (Pg)
Pairing: Nessuno
Genere: Slice of life
Tipologia: One-shot.

N.d.A.: Scrissi questa storia parecchio tempo fa per un contest di cui, in questi mesi di latitanza, non controllai nemmeno i risultati, me tapina. Essendo passato parecchio confido di poterla pubblicare e spero vi piaccia.

 

 

 

Un tranquillo pomeriggio in casa Holmes

(Ovvero: come rimpiangere i maniaci assassini)

 

Quando rientrai a casa, quel giorno, non mi aspettavo di assistere a una delle canoniche scene domestiche tra i due Holmes di mia conoscenza.

Probabilmente capii un decimo di quel che si stavano dicendo, quindi non credo che riuscirò ad essere molto accurato in questa mia ricostruzione dei fatti.

Non mi ero mai soffermato a pensare a quanto filosofia e fisica fossero così fortemente legate tra di loro, forse anche perché, lo ammetto, non sono mai stato molto portato per nessuna delle due, ma questa è un altra storia, di cui sono certo vi interessi poco.

Dunque, come ho detto, quel giorno rientrai con la spesa e mi sorpresi di trovare Mycroft comodamente seduto sulla mia poltrona che discorreva con toni piuttosto pacati insieme al mio migliore amico, steso, come al solito, sul divano, intento ad accarezzare lascivamente le corde del violino.

Quando varcai la soglia si voltarono all'unisono in mia direzione.

Fu inquietante, mi sentii violato e in pericolo, un po' come i protagonisti di quei film di fantascienza di serie Z che si ritrovano, improvvisamente, sotto lo sguardo sinistro di decine e decine di robot.

Feci buon viso a cattivo gioco e un po' rimpiansi di non aver accettato l'invito di Greg per una birra.

 

«Metto le cose in frigo e levo il disturbo.» dissi, dopo aver sollevato una mano in cenno di saluto e aver appena abbozzato un sorriso teso.

 

«La spesa può aspettare, John. Siediti.» l'ordine di Sherlock arrivò perentorio e capii che il mio destino, per quel pomeriggio, era segnato.

 

«Ma il cibo si guasterà, ho preso anche dei surgelati.» obbiettai in un ultimo, blando tentativo, nella speranza che, magari sgusciando via, si dimenticassero della mia esistenza e mi lasciassero in pace.

 

«Tanto non c'è spazio nel freezer.» mi rispose il mio amico.

 

«Ma come? Ho controllato stamattina...»

 

«Si sieda, dottore.» si accodò Mycroft con uno sbuffo spazientito.

 

Lasciai andare le borse e mi accomodai seduto sul tavolinetto, così da poterli vedere entrambi in volto.

Sherlock mi allungò una copia del Sun, indicandomi la prima pagina.

Avevo già letto quell'articolo: uno studente americano era entrato in aula armato di mitra e aveva fatto fuori una ventina di persone, compreso il professore.

Ridacchiai, colto da un moto di cinismo senza pari, l'avevo sempre detto che la fisica nuoceva gravemente alla salute mentale e non.

Riconobbi qualcosa inerente alla teoria del Caos, scritto sulla lavagna dell'aula, ma le formule, ahimé, non erano mai state il mio forte.

Sollevai lo sguardo, domandandomi che cosa avesse destato tanto interesse nei miei due amici, visto che il caso era bello che risolto in partenza.

 

«Che cosa ne pensa?» mi chiese Mycroft, giocherellando con l'ombrello.

 

Capii all'istante che c'era sotto qualcosa.

Era, infatti, piuttosto inusuale che entrambi gli Holmes mi rivolgessero così tante attenzioni.

In quella stanza io ero quello stupido, inutile negare l'evidenza.

Mi schiarii la voce.

 

«A che proposito?»

 

«Si esprima, si sarà fatto un'opinione, no?»

 

Prima ancora che potessi aprir bocca, Sherlock intervenne. «Ha riso, questo vuol dire che la notizia lo diverte, quindi...»

 

«Zitto.» lo ammonì Mycroft. «Voglio un parere vergine, non contaminato dal tuo punto di vista.»

 

«Sono cose che non dovrebbero succedere. Mi meraviglio che negli USA le persone possano procurarsi armi così facilmente...» risposi in maniera diplomatica, continuando a sentirmi sotto esame.

 

«Pensa che sarà un caso isolato o, al contrario, destinato a ripetersi ancora? Inoltre, quali reputa siano state le reali motivazioni?»

 

Iniziai a sudare freddo sotto quei due sguardi implacabili.

 

«Beh, ci sono stati diversi casi come questo, il che mi porta a credere che potranno essercene anche altri. Per le motivazioni, non saprei, un disagio, forse...»

 

«E se, invece, lo avesse fatto perché era nella sua natura?» intervenne Sherlock.

 

Mycroft sbuffò ancor prima che suo fratello finisse la frase. «Oh, certo, perché non tiri fuori anche i folli studi di Cesare Lombroso?»

 

«Non essere stupido, non sto assolutamente dicendo questo!» abbaiò il mio amico, mettendosi, addirittura seduto. «Non parlo di “criminali naturali”, ma della stessa, intrinseca, natura dell'essere umano: Homo homini lupus

 

Ero stato relegato al ruolo di spettatore e la cosa mi rincuorò. Non avevo, infatti, gli estremi per inserirmi in una conversazione del genere, tuttavia la trovai piuttosto interessante, all'inizio.

 

«Sappiamo, infatti, da esperimenti comprovati che l'uomo, privato di regole, tende ad assumere atteggiamenti antisociali sin dall'infanzia.»

 

«Per l'amor del cielo! Non tirar fuori Golding!» esclamò Mycroft, roteando gli occhi.

 

«Non mi riferivo solo a Golding, che, comunque, svolse esperimenti in merito. Più precisamente stavo prendendo in considerazione il “Contratto Sociale” di Hobbes!»

 

«Chi?» mi lasciai sfuggire.

 

Golding, più o meno, sapevo chi fosse, ma Hobbes mi mancava del tutto.

Mi beccai una doppia occhiataccia di fuoco per la mia ignoranza. Scossi le spalle, aspettando una risposta.

Fu Mycroft a darmela.

 

«Thomas Hobbes fu un filosofo britannico, morto nel 1679, noto per aver scritto il Leviatano, un trattato di filosofia politica, in cui si occupò di numerosi temi, tra cui una concezione dell'interalazione sociale che influenzò molto gli studi di antropologia filosofica successivi.»

 

Ero al punto di prima, ma una domanda mi sorse spontanea: perché Sherlock, che ignorava, addirittura, la struttura del Sistema Solare, conosceva questo Hobbes?

Ero davvero curioso di conoscere la risposta, visto che, evidentemente, il Leviatano, faceva parte delle cose “davvero importanti”.

 

«Nella sua visione “contrattualista” Hobbes fece una chiara separazione tra lo “Stato di Natura” e lo “Stato Sociale”, distinguendo nettamente il primo dal secondo. Nello “Stato di Natura” gli esseri umani vivono nel caos, privi di qualsiasi norma comportamentale che spieghi loro il chiaro confine tra diritto e dovere, restringendo il tutto al concetto di bellum omnium contra omnes. Lo “Stato Sociale”, al contrario, si fonda su un tacito contratto tra potere politico e sudditanza, comprensivo di regole e leggi atte al contenimento degli istinti umani, tramite un accettazione spontanea delle leggi stesse.» intervenne Sherlock, ben conscio del mio smarrimento.

 

«Ok. Come siamo arrivati qui?» chiesi, comportandomi come non avessi sentito la parte in latino di cui non avevo capito un accidenti.

 

Venni ignorato.

 

«Questo mi lascia presupporre con una certa convinzione che, ogni qual volta l'individuo si discosti, volontariamente o involontariamente, dalle leggi del “contratto sociale” egli sia naturalmente portato ad una regressione.»

 

«Quindi stai dando una sorta di giustificazione antropologica alla presenza del crimine all'interno della nostra società?» cercai di chiarire.

 

«Lo “Stato di Natura” non esiste, non quello teorizzato da Hobbes, quanto meno. Esso è, infatti, solo una visione pessimistica dell'uomo. Se si prende in analisi il filosofo greco Aristotele, egli teorizzò che l'uomo fosse uno ζῷον πολιτικόν, ovvero un'animale politico, cioè votato naturalmente alla costituzione di tessuti sociali regolamentati. Analizzando, quindi, le popolazioni esistenti dalle più evolute alle più primitive troviamo chiara dimostrazione di questo.» Mycroft riprese la parola, come se non avessi nemmeno aperto bocca.

 

Credo che, se avessero preso il teschio, al posto mio, con tutta probabilità gli avrebbero dato maggior considerazione.

E qui finii con il perdermi del tutto.

 

«E che mi dici dell'entropia? Tutto il creato punta al caos!» sbottò Sherlock, indispettito.

 

«Sai bene quanto me che l'interpretazione di caos in quanto disordine è totalmente erronea, Sherlock, la stesse legge dei grandi numeri esclude a priori la possibilità che tutto sia disordine. Il caos e l'entropia sono, in realtà, ordine. La morte termica dell'universo rappresenta lo stato di ordine più assoluto che l'universo possa raggiungere, il disordine è quello in cui ci troviamo noi. Ogni particella di energia in natura tende all'ordine, così ogni volta che si svolge un lavoro, vale a dire si trasforma un'energia in un'altra energia, una parte di questa si trasforma in energia termica e non può più scorrere in direzione opposta. Da questo momento, l'unica cosa che può fare l'energia termica è espandersi e andare ad addensarsi in punti più freddi dell'universo, scaldandoli. Sappiamo perfettamente, infatti, che due corpi di diverse temperature, messi a contatto, raggiungono l'equilibrio termico, pertanto, quando il tempo dell'universo si sarà estinto, l'universo stesso avrà raggiunto l'equilibrio, quindi l'ordine.»

 

«Eh?» chiesi.

 

«Questo se si prende in considerazione la presenza di un solo universo, o di un multiverso con un numero finito di universi. Ma poniamo, invece, il fatto che esista un multiverso con universi tendenti a + , il che non significa che siano infiniti, ma, di contro, in costante aumento, il discorso cambia. A questo punto, infatti, otterremmo un moto perpetuo in cui il multiverso tende all'ordine, tuttavia, senza raggiungerlo mai, quindi senza mai ottenere l'equilibrio di cui parlavi tu.»

 

Mycroft fece per interromperlo, ma Sherlock non glielo permise e proseguì come un fiume in piena.

 

«Ora, dal momento che tutto ciò che avviene nei grandi insiemi si riflette anche in quelli piccoli, prendiamo in esame l'ipotesi che ogni essere umano sia un microcosmo a sé stante, quindi possiamo dire che ogni essere umano è anche un universo a sé stante. Estrapolando questo uomo/universo dalla collettività, ma, appunto, prendendolo nella sua singolarità, su piano teorico ogni uomo/universo risulterebbe naturalmente tendente all'ordine...»

 

«Ma dove diavolo vuoi arrivare? È assurdo!» sbottò Mycroft, addirittura alzandosi per mostrare tutto il proprio dissenso.

 

La domanda corretta, a mio avviso, sarebbe stata: “da dove accidenti sei partito?”, ma la tenni per me.

Anche Sherlock si alzò e i due Holmes si fronteggiarono.

Non so se si potesse parlare di testosterone, visti i due soggetti in questione, ma qualsiasi cosa fosse, la stanza ne era stracolma.

Mi grattai la nuca, cercando di cacciar via le prime avvisaglie di un'emicrania senza precedenti.

 

«Non mi interrompere!»

 

«No, no, continua, sei esilarante!»

 

Sherlock si voltò verso di me, contento che gli dessi ascolto, cosa che, in effetti, stavo facendo, pur senza capire una beneamata mazza di quanto stesse dicendo.

 

«Questo individuo isolato, tenderebbe, dicevo, per sua stessa natura, a una vita sempre più pacata e pacifica (un calo progressivo del disordine) con l'arrivo all'ordine e, quindi, la sua logica conclusione: la morte.»

 

«Questo conferma la mia tesi.» sibilò Mycroft.

 

«Certo, ma l'individuo non è isolato, vive in una collettività di milioni, miliardi di uomini/universo come lui!» Sherlock a questo punto quasi piroettò. «Una moltitudine di uomini/universo che non fanno altro che scambiarsi disordine l'un l'altro in continuazione. Ragiona, Mycroft, è questo che porta molti di loro a non raggiungere mai l'equilibrio, quindi a commettere crimini! L'umanità, mio caro fratello, tende a +, perché, come ho già detto, pur non essendo infinita, è in continua espansione dall'inizio dei tempi. Questo, quindi, spiega in termini fisici la regressione dell'uomo in mancanza di un contratto sociale: homo homini lupus.»

 

Istanti di pausa.

 

«Fantascienza da quattro soldi!» si schifò Mycroft.

 

«Cosa ne pensi, John?» mi chiese il mio amico.

 

«Che è stupefacente...» bofonchiai.

 

«Che cosa?» mi chiese suo fratello, ferito nell'orgoglio.

 

«È stupefacente... quanto NON ME NE FREGHI NIENTE, ragazzi! Sto pregando che Lestrade telefoni per dirti che ha un caso! Ho pensato persino di commetterlo io, un omicidio, pur di darvi qualcosa da fare!» esclamai, alzandomi snervato.

 

Prima di riuscire, finalmente, a scappar via dal salotto sentii Sherlock dire, distintamente.

 

«Visto? Dimostrazione pratica.»

 

Mi chiusi nella mia stanza e “questo è tutto, gente”, non so quanto io sia stato accurato nel riportare quanto quei due mostri si siano detti, quel giorno, ma posso dire che, la mattina dopo, quando mi azzardai a ricomparire sulla soglia del salotto, erano ancora lì a parlare.

Ho visto caproni meno ostinati...

Uscii prima che potessero intrappolarmi di nuovo, ovviamente.

Morale della favola (se qualcuno è stato così coraggioso da arrivare sin qui): se vedete i due fratelli Holmes parlare e non limitarsi a lanciarsi frecciatine: SCAPPATE!

 

 

Fine

 

   
 
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