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Autore: Sigyn    04/08/2012    2 recensioni
"La prima ragazza di Elek fu una giovane pianista."
[Male!Ungheria/Fem!Austria, Male!Ungheria/Fem!Prussia, Male!Ungheria/Male!Bielorussia, accenni Fem!Spagna/Fem!Austria, Fem!Italia/Fem!Germania e Male!Ungheria/vari genderbend!pg]
[Gakuen!AU]
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing, Het, Shonen-ai, Shoujo-ai | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Bielorussia/Natalia Arlovskaya, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Un po' tutti, Ungheria/Elizabeta Héderváry
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender
- Questa storia fa parte della serie 'Boys will be Girls and Girls will be Boys '
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How I Met My Boyfriend


 

 

La prima ragazza di Elek fu una giovane pianista.

Elek era poco più che un bambino, a quei tempi. La sua famiglia si era appena trasferita in Austria, lasciandosi alle spalle la confortante familiarità dell’Ungheria. 

Per lavoro, diceva suo padre, con quella stanchezza negli occhi verdi che lui non poteva notare, non ancora. Per farmi soffrire, pensava Elek, imbronciato, senza dire niente.

A lui l’Austria non piaceva. Non gli piaceva il suono duro e secco del tedesco nelle sue orecchie, non gli piaceva la grigia cittadina in cui si erano trasferiti, non gli piaceva la fredda condiscendenza dei signori Eldestein, per i quali suo padre lavorava.

Il suo unico divertimento erano le volte in cui usciva con la figlia dei vicini: una ragazzina di Berlino venuta in vacanza in quella zona, che talvolta lo incontrava scappando dai suoi genitori e dalla responsabilità di dover badare alla sua sorellina. Era minuta e agile, mascolina ed egocentrica, pallida ed esile ma in grado di dargli pugni più forti di qualsiasi maschio. Elek avrebbe potuto considerarla un’amica, se solo non avessero passato pomeriggi interi a litigare e a insultarsi a vicenda: lei lo prendeva in giro per il suo tedesco stentato, lui per l’aspetto malaticcio che le conferivano l’incarnato pallido e i capelli così chiari da sembrare bianchi.

Un giorno, mentre giocavano a rincorrersi nel parco di Villa Eldestein, Elek sentì della musica provenire da una finestra aperta. Era il suono di un pianoforte, si rese conto, ed era così dolce e armonioso, come il cinguettare di un uccellino, o il tintinnante zampillare di gocce d’acqua sulla pietra ...

Si fermò bruscamente, e quando la sua amica riuscì a prenderlo quasi non si accorse della mano che si abbatté sulla sua schiena. Incuriosito e affascinato, si diresse verso la finestra, e osò sbirciare all’interno.

Ciò che vide lo lasciò senza fiato.

Aveva già incontrato Rodelind, ovviamente: era la figlia di quelli snob degli Eldestein, e aveva la loro stessa aria rigida e composta, glaciale. Incontrarla era stato inevitabile, anche se non si erano mai parlati, al di là di qualche saluto distratto.

Ma non l’aveva mai vista così, con i boccoli scuri che le ricadevano sciolti e di certo così morbidi sulle spalle e quell’espressione concentrata e allo stesso tempo incredibilmente serena sul viso dai lineamenti delicati. Anche lei aveva una carnagione bianca come latte, ma più che malata questo la faceva apparire elegante ... bella, si sorprese a pensare il ragazzo. Dietro le lenti degli occhiali, i suoi occhi non erano più freddi e distanti come Elek si era abituato a vederli: brillavano, come due ardenti stelle blu. E il loro blu era il blu più blu del mondo, scuro e intenso, quasi viola.

Elek scosse la testa. Quando si voltò scoprì che la sua amica se ne stava andando.

Quando le gridò di tornare indietro, lei gli diede dell’idiota, ma Elek non si arrabbiò come al solito. E non lo fece nemmeno quando lei cominciò a venire a trovarlo sempre più di rado, lasciandogli tempo di conoscere Rodelind, di diventare suo amico.

Mentì e disse di essere un amante della musica classica per avvicinarla, e fu proprio nella stanza dove teneva il suo pianoforte che un giorno Elek si fece coraggio e la baciò.

 

La loro storia durò per anni, anche quando il padre di Elek trovò un nuovo datore di lavoro, e alla fine persino i genitori di Rodelind dovettero accettarla.

Questo non impediva alla signora Eldestein di chiamarlo caro con quella sua voce forzatamente dolce e di cucinare piatti che Elek odiava ogni volta che si fermava a cena, ma alla fine erano giunti ad una tregua. Il signor Eldestein, invece, aveva semplicemente scosso la testa e gli aveva debolmente stretto la mano: un giorno Elek ipotizzò che lasciasse la guerra alla sua battagliera consorte, e Rodelind annuì silenziosamente, con aria grave e melodrammatica. Scoppiarono a ridere, e lui la baciò: le sue labbra erano sottili e morbide, e sapevano di burrocacao.

Non era mai Rodelind a prendere l’iniziativa e baciarlo per prima, ma ad Elek non importava.

 

La prima e unica volta che Rodelind lo baciò, erano nella sua camera da letto, e i genitori di Elek quella sera erano usciti: sua madre lo aveva salutato con un bacio sulla guancia e un’espressione sospettosa negli occhi chiari e nella bocca stirata in una linea severa e preoccupata, suo padre con un sopracciglio alzato e un sorriso comprensivo e divertito.

Le labbra di Rodelind erano morbide, premute contro le sue con una forza improvvisa e frettolosa. E quando cominciarono a baciarsi davvero, fu qualcosa di intenso, furioso e pieno di bisogno. Le mani di Rodelind corsero a slacciare i bottoni della sua camicia, goffe e tremanti e così assurdamente diverse da quelle che Elek aveva visto accarezzare il pianoforte con cura e precisione, ogni gesto algido e misurato, come se quello strumento fosse l’unica cosa che amava davvero al mondo.

Quando si scostarono per riprendere fiato, Elek vide che cercava di trattenere le lacrime. E l’unico pensiero che riuscì a formarsi nella sua mente, in quel momento, fu questa non è la mia Rodelind.

Prese le mani della sua ragazza tra le sue, in una stretta salda e gentile, finché lei non smise di piangere. Dopo, la guardò negli occhi, e le chiese in un sussurro se voleva che la riaccompagnasse a casa.

Rodelind non sostenne il suo sguardo, e gli regalò un sorriso luminoso e incerto.

– No – rispose, la voce tremante, prendendolo di nuovo per mano.

 

 

L’incanto durò fino a quando furono entrambi diciassettenni, tra sonate e baci e risate alle spalle ossute della temibile Generalessa Eldestein, come amava chiamarla Elek.

E poi, all’improvviso, tutto cambiò grazie a una discussione nella stanza del pianoforte, perché nella loro relazione tutte le cose importanti accadevano lì.

Rodelind era seduta davanti al grande pianoforte a coda, nero e lucido come se non avesse mai visto un solo granello di polvere, ed evitava il suo sguardo, muovendo con piccoli e svelti gesti nervosi le mani raccolte in grembo, lisciando pieghe invisibili sul sobrio e impeccabile abito viola. Lo sguardo di quegli occhi tremendamente blu vagava rapido per la stanza, senza mai posarsi nemmeno per un secondo su di lui.

La rivelazione arrivò in un sussurro, un balbettio imbarazzato che le imporporò le guance e che per un attimo Elek credette di aver soltanto immaginato:  - Elek, io credo di ... di ... di non essere più eterosessuale, ecco -.

C’erano molte domande nella mente incredula di Elek, ora. Come fai a non essere più etero?, per esempio. Stai scherzando, vero?, subito dopo. E, infine, e me lo dici solo adesso?

E poi, più importante e dolorosa di tutte: Perché non me l’hai mai detto? Non ti fidavi di me?

Il ragazzo non riuscì a dire niente, però, osservando sconvolto le guance arrossate di Rodelind rigate da lacrime silenziose.

 

Adesso avevano quasi diciotto anni, erano due studenti della prestigiosa World Academy e i genitori di Rodelind non avevano ancora ricominciato a parlarle in seguito al suo imbarazzato e timoroso coming out. Lei sapeva che lo avrebbero fatto, ed era questa la ragione per cui quel giorno aveva pianto, il motivo per cui aveva tentato di innamorarsi di lui e aveva aspettato tanto ad ammettere la verità: sapeva che in molti a questo mondo hanno troppi pregiudizi per riuscire ad accettare chi è diverso da loro.

Elek non ne aveva, perché la sua famiglia era molto più aperta riguardo a certe tematiche, e perché ora erano in un mondo completamente nuovo, che aspettava solamente che loro venissero ad esplorarlo. E voleva bene a Rodelind, benché ormai non la amasse più: era la spalla sulla quale la ragazza poteva piangere, l’amico che non l’avrebbe mai abbandonata. A volte Rodelind si sentiva in colpa per questo, Elek lo sapeva.

Allora lui scherzava, cercava di farla sorridere ... e certe volte – per quanto lei si imbarazzasse e si lamentasse dopo – le organizzava anche degli appuntamenti. E ogni tanto le chiedeva se poteva restare a guardare, cosa che gli faceva guadagnare un meritato colpo di spartito in testa o uno sguardo in grado di gelare il sangue nelle vene a chiunque altro.

Già, Elek aveva scoperto, documentandosi sulla comunità LGBTQ insieme alla sua amica, che le lesbiche gli piacevano. Molto. Soprattutto in certe doujinshi che un suo compagno proveniente da Taiwan era sempre felice di prestargli.

Doujinshi piene di donne poco vestite, perché Elek era un ragazzo affidabile e comprensivo ma pur sempre un ragazzo.

Conobbe Gilda subito dopo aver lasciato la sua riluttante migliore amica tra le braccia di Anita, una ragazza spagnola dall’aria un po’ svanita, ad una festa in un pub appena fuori dal Campus.

Gilda era alta e snella, aveva un incarnato niveo e corti capelli così biondi da sembrare d’argento. Al collo le tintinnava una catenina da cui pendeva un ciondolo a forma di croce, proprio sopra la provocante scollatura del vestito rosso fuoco.

Lo invitò a ballare con un sorriso da belva, selvatica e indomabile, e chissà come alla fine della serata si ritrovarono nella sua stanza. Gilda continuò a sorridere in quel modo attraente e leggermente inquietante, ed Elek pensò che fosse ubriaca, ma non trovò la forza di fermarsi, o di fermarla. Forse era un po’ ubriaco anche lui, quella sera.

Alla fine, qualche giorno dopo, decisero anche di iniziare uscire insieme: Elek in seguito avrebbe potuto giurare che era stato in quel preciso istante che avevano cominciato a litigare, che Gilda aveva deciso di usare tutti i suoi soldi per comprare scarpe e vestiti e tutto ciò che in un attimo si era messa in testa di desiderare, che lei aveva cominciato a tradirlo con qualsiasi ragazzo catturasse la sua attenzione. Nel mentre, quel sorriso da lupo non lasciava mai le sue labbra rosse come sangue, e i suoi occhi brillavano di una luce segreta che Elek non riusciva mai a comprendere, che era di sfida e sadico compiacimento e allo stesso tempo era qualcosa di completamente diverso. 

Continuarono così per giorni, tra la silenziosa disapprovazione di Rodelind e di Lutgard, la sorella minore di Gilda. Poi, Elek ricordò finalmente il nome della ragazzina con cui una volta giocava davanti a Villa Eldestein.

A quel punto Gilda, soddisfatta della sua piccola vendetta, lo lasciò.

 

La storia di Rodelind con la spagnola non durò molto, e non durarono nemmeno quelle che Elek ebbe in quell’anno e in quello successivo.

Per poco tempo ci fu Françoise dai modi affascinanti e il bisogno irresistibile di tradire almeno una volta a settimana – anche se ad Elek non importava più di tanto, perché la conosceva e sapeva che tra di loro non c’era niente di serio. Ci fu Kiko, che gli fece conoscere anche il mondo dello yaoi con un sorriso pudico e un adorabile rossore sulle guance. E ci furono Letizia che in realtà amava Lutgard – giusto per non essere ripetitivi -, Adrienne che rendeva onore alla cara vecchia Olanda con il suo libertinismo e lo gli propose per la prima volta di guardare mentre era con un’altra ragazza, Felicia con il suo seno piatto, l’aspetto da ragazzino un po’ effemminato e la passione per il rosa e i pony.

Una volta o due, ci furono anche il ragazzo di Taiwan ed un belga che continuava ad offrirgli cioccolatini con un sorriso affabile e luminoso. Elek aveva vedute molto aperte, anche se gli ci era voluto un po’ di tempo per realizzarlo, e per fortuna i suoi genitori non erano il signore e la Generalessa Eldestein.

Alla fine, infatti, ci fu uno scontroso ragazzo bielorusso.

 

All’interno della scuola, si diceva che Anatol Arlovsky fosse un lanciatore di coltelli professionista. Si diceva che non avesse mai parlato a nessuno che non facesse parte della sua famiglia adottiva. Si diceva che fosse follemente innamorato della sua sorellastra, una russa dal petto prosperoso e il sorriso dolce a tal punto da risultare terrificante.

Quel giorno, Elek non si fidò della dicerie arrivate alle sue orecchie, ma dei suoi occhi. E vide un ragazzo cupo, silenzioso, solo.

Stava seduto su una panchina sotto un albero, nel parco, e leggeva. Quando Elek gli si sedette accanto, si limitò a lanciargli uno sguardo minaccioso da sopra il suo libro: i suoi occhi erano di un azzurro molto chiaro, freddi e duri, e lui si ritrovò a fissarli per qualche istante. Gli sorrise amichevolmente e decise che andava bene così: non gli aveva scagliato contro un coltello, almeno. Provò ad attaccare bottone, e in tutta risposta l’altro abbassò lo sguardo e tornò ad immergersi tra le pagine del suo libro.

Ma, con sollievo e soddisfazione di Elek, non provò a tagliarlo in due nemmeno quando la scena cominciò a ripetersi regolarmente: una volta, due volte, tre volte, quattro, cinque ...

Quando Anatol gli rivolse finalmente la parola – È l’ottava volta che lo fai. Che vuoi? – Elek accolse l’evento e il tono sereno e rassegnato dell’altro ragazzo con un silenzioso sorriso di trionfo.

Fu da quelle due semplici e brusche frasi, infatti, che tutto ebbe veramente inizio.  

 

 

 

Note finali:

Sì, una storia AU e genderbend è un’idea abbastanza insensata, e può facilmente sfociare nell’OOC più totale. Sì, lo show don’t tell è andato in vacanza e non è più tornato. Lo so. Questa storia è un po’ un esperimento e, sinceramente, tutto sommato mi piace così, con tutti i suoi innegabili difetti.

Riguardo ai nomi: la maggior parte (Elek, Rodelind, Anita ...) sono stati scelti per la loro assonanza a quelli originali. Letizia per Fem!Italia è stato scelto perché mi sembrava un buon richiamo al significato di Feliciano.

Per Anatol, invece, entra in gioco il mio senso dell’umorismo contorto e nerd. In Guerra e Pace di Tolstoj, i due figli del principe Vasilij sono Ippolite e Anatol’: “un imbecille tranquillo” e “un imbecille irrequieto”. A parte le mie immagini mentali di Fem!Russia che descrive i suoi fratelli in questo modo, Anatol’ è il minore e (come viene detto fin dal prologo) il meno raccomandabile dei due. Loro sorella è la bellissima quanto immorale Hélène, che secondo certi pettegolezzi avrebbe una relazione con Anatol’: l’autore non smentisce né conferma mai apertamente queste dicerie ma l’incesto è, piuttosto, intuibile da alcuni particolari.

Il titolo della storia è un'allusione alla fantastica serie How I Met Your Mother, ma credo che questo fosse molto più chiaro.

E ora la finisco, perché le note stanno diventando più lunghe della storia. Spero che la mia fanfiction vi sia piaciuta, o che, se non altro, siate riusciti ad arrivare fin qui! 

  
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