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Autore: Allegoria    18/02/2007    4 recensioni
Una piccola one-shot in un mondo alternativo in cui Goku abbandona Sanzo lasciandolo per sempre. spero vi piaccia.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genjo Sanzo Hoshi, Son Goku
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Pioggia

Pioggia.

 

L’ultima volta che ti ho visto avevi su di te il pesante profumo di caffè nero. Cosa terribilmente contraddittoria visto la tua pelle fortemente candida. Stavi seduto sul bordo del balcone con una camicia  e dei jeans, non curante dell’aria gelida passante su di te. Tenevi lo sguardo sulla città, a volte arricciando il naso a causa di alcuni raggi di sole che fastidiosi ti venivano a colpire sul volto. Spostavi il capo riflettendo sul paesaggio urbano di fronte a te. Piano poi lo abbassavi portando la sigaretta alle labbra, aspirandone la voluttà e buttandola via rialzando il capo. Mi chiesi tante volte cosa pensassi. Perché ti soffermassi tanto a rifletter su cose di cui dicevi non te ne importasse nulla. Forse era il tuo modo per amarle. Eppure non ti ho mai visto rifletter su di me. Non mi hai mai detto “Ti amo”.

Ricordo ti voltasti stringendo poco l’occhio più evidente come a volermi sorridere. O forse come a volermi schernire del mio gesto. Io lo guardai come si guardano i pazzi. La bocca leggermente dischiusa e le palpebre inferiori e superiori leggermente abbassate ed alzate. Non mi avvicinai, solo flessi le gambe tanto da poter prender con la mia mano sinistra il borsone di pelle.

Il labbro inferiore mi tremò per un attimo ed il mento alzai di poco per farmi coraggio.

“Io me ne vado…” pronunciai quelle quattro parole come sospirandole tutte d’un colpo per poter riportare indietro. Non ero sicuro. Per quanto a volte lo ero stato più di lui io non lo ero in quel momento così importante.

Lui non proferì nulla. Silente tornò a fissar il paesaggio aspirando ora con più veemenza.

Dal canto mio, non avevo cosa aspettare. Quindi sospirai come a voler raccogliere quei piccoli pezzetti di ricordi che ora troppo affollati sembravano disperdersi non lasciandomi alcun ricordo piacevole per restare.

“Ciao…” Uno scatto quasi incondizionato quello di abbassare il capo in un reverenziale inchino. Poi mi voltai senza guardare indietro. Posai la mano sinistra sul pomello della porta sentendo il freddo del metallo e per un attimo mi sembrò che quel freddo era il motivo. Gelido si voleva insinuare creando in me ulteriore dubbio. Quel metallo se sciolto è bollente.

Ma io non potevo più resistere. Per quanti ricordi meravigliosi mi aveva donato, tanti altri me ne aveva scagliati con forza ferendomi nell’animo e a volte anche nel corpo.

Forzai quella serratura aprendo la porta per richiuderla senza alcuna esitazione dietro le mie spalle. Andai davanti l’ascensore ed aprii lo sportello entrando. Quindi pigiai “T”.

Il portiere mi guardò con lieve sorriso stillante di pena. Io non dissi nulla ne sorrisi. Avanzai verso l’uscita e superai la porta ritrovandomi in quel paesaggio urbano. Schioccai le labbra sentendo qualche goccia di pioggia su di me e l’ombrello presi dal mio borsone per poi aprirlo giusto in tempo prima del diluvio.

Mi guardai attorno e senza poterne fare a meno alzai lo sguardo verso il piano in alto lasciando che il volto mi si bagnasse. A stento riuscii a scorgerlo a causa delle gocce di pioggia picchiettanti sui miei occhi.

Stava lì. Seduto sul balcone. Rifletteva osservandomi.

Sentii il pianto premermi forte sull’addome lasciandomi quasi senza fiato. Ma strinsi i denti e mi voltai andando avanti.

Non l’ho più rivisto per tre anni. Due mesi. Cinque giorni. Otto ore. Quattro minuti e trentasette secondi. Trentotto. Trentanove. Quaranta. Quarantuno…

Penso spesso a lui.

E mi manca.

Ma so che mai potrò tornare indietro.

Poiché è morto.

 

 

Owari.

  
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