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Autore: BettiK    05/08/2012    1 recensioni
Ecco, il Natale.
Io lo adoro. Ma non per i motivi che pensate voi.
Non per i regali, le luci, le risate e le canzoncine da chiesa stile gospel. Non per gli auguri, la neve, le riunioni di famiglia, il tacchino grosso come tuo zio Earl quando giova nella squadra di rugby provinciale o il dessert che sfamerebbe una regione intera dell'Africa.
Oh, no.
Io lo adoro perché durante il periodo di Natale il numero di incidenti triplica, soprattutto quelli casalinghi. Lo adoro perché il Natale è la cuccagna di ogni specializzando, è la calza piena di regali di ogni giovane medico volenteroso e diligente. Il Natale è il regalo migliore che si potrebbe fare ad uno studente di medicina.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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I. Lo Specializzando

Quel periodo dell’anno in cui tutti sembrano più sorridenti.
Quel periodo dell’anno in cui le lucine rosse e gialle ti illuminano la faccia ad intermittenza, formando ombre grottesche sui solchi tra gli occhi e il naso.
Quel periodo dell’anno in cui i centri commerciali sono presi d’assalto, e vedi gente imbacuccata nei loro guanti di lana spessi, nelle loro sciarpe rosse e bianche, nei berrettini ridicoli con tanto di sonaglino.
Ecco, il Natale.
Io lo adoro. Ma non per i motivi che pensate voi.
Non per i regali, le luci, le risate e le canzoncine da chiesa stile gospel. Non per gli auguri, la neve, le riunioni di famiglia, il tacchino grosso come tuo zio Earl quando giova nella squadra di rugby provinciale o il dessert che sfamerebbe una regione intera dell’Africa.
Oh, no.
Io lo adoro perché durante il periodo di Natale il numero di incidenti triplica, soprattutto quelli casalinghi. Lo adoro perché il Natale è la cuccagna di ogni specializzando, è la calza piena di regali di ogni giovane medico volenteroso e diligente. Il Natale è il regalo migliore che si potrebbe fare ad uno studente di medicina.
E’ una beffa. E’ la presa per il culo più riuscita – e tutt’ora sottovalutata – di sempre. Signorinette che finiscono al pronto soccorso con un dito mozzato mentre tagliano l tacchino. Finti padri di famiglia fulminati mentre attaccano le lucine dell’albero. Bambini frignanti che scivolano su oggetti natalizi non meglio identificati.
Tutte cavie che finiscono nelle poco esperte grinfie degli specializzandi. Sono i topi da laboratorio su cui si fa pratica. Sono i pazienti migliori perché hanno un’unica priorità: uscire prima possibile.
Certo caro, prova pure a ricucirmi con quel metodo che ti hanno appena insegnato, basta che per le cinque possa andare dal parrucchiere, ho la cena di famiglia domani.
Così gli si può fare di tutto, a patto di fare in fretta.
Non mi importa se sarà un’operazione altamente invasiva, basta che per Natale riesca a cantare So this is Christmas.
Potete anche ridere, ma questa gente esiste. Guardatevi allo specchio.
E insomma è Natale, e io sto qua, al bancone del pronto soccorso, con il fuoco sotto al culo, pronto a scattare, in attesa di qualche nuovo pezzo di carne fresca su cui migliorarmi. Voglio vedere gente morente, e resuscitarla come il migliore dei Gesù. In fin dei conti, è un po’ come se fosse il mio compleanno. Anche io do la vita, in un certo senso.

«Dovrei essere stesa a letto, con il mio costume da mamma Natale.» La voce di Cassy, una delle specializzande di turno con me questa notte, è nasale e lamentosa. Non mi è mai piaciuta, Cassy. Non oso immaginare che tunnel abbia scavato tra le gambe.
«Dovrei essere a letto con quel costume striminzito aspettando che Nathan mi sbatta come la peggiore delle puttane.» Con la lima che sfrega veloce avanti e indietro contro il rosa schocking dell’unghia, lo stesso colore della BigBabbol che sta masticando da questa mattina.
Cassy fa una bolla grande quanto la sua faccia super truccata, poi con un tack scoppia a mezz’aria e tutta la poltiglia rosa torna tra le sue grosse labbra rosse.
Cassy è qui perché il gioco della dottoressa e del paziente è il suo preferito. Dice che la eccita come non mai. Indossa il camicie quando è a letto con il fidanzato, non è un mistero. E’ per questo che il camicie è pieno di macchie biancastre che lei di proposito non lava via.
Dice che sono del suo ragazzo, Nathan. Dice. Io dico che sono dei pazienti che è riuscita a non ammazzare.

Le porte anti-panico si spalancano di colpo. Una barella zuppa di sangue entra sferragliando con un tizio a bordo, pronto a prendere il decollo per l’aldilà. Nora lo accompagna, parlando fitto fitto con l’autista dell’ambulanza, dall’altro lato della barella.
Nora è una donna uomo. Ha le tette e una bella chioma bruna, ma ha un temperamento saldo e una vociona da uomo che ti fa strizzare le palle dalla paura, quando urla guardandoti dritto negli occhi.
Nora è la migliore del corso. E’ il responsabile di tutti gli specializzandi, ha eseguito più interventi lei di tutti noi altri messi assieme. Nora ha due coglioni grandi quanto l’intero ospedale.
«Maschio, 48 anni. Ha ingerito un set intero di lampadine elettriche ad intermittenza. Ostruzione dell’apparato digerente e respiratorio, arresto cardiaco in corso.» Elenca, fredda e professionale, mentre ferma la barella in un angolo del pronto soccorso. Gli attacca un po’ di fili, gli rovescia il capo all’indietro, scoprendogli bene il collo gonfio e violaceo. Il tizio strabuzza gli occhi e geme qualcosa, schiumando dalle labbra una bavetta che gli cola sul mento.
La macchina emette un paio di bip bip, poi un biiiiiiiiiiiiiiip prolungato, acuto e fastidioso. Noi restiamo a guardare impassibili.
«Ora del decesso: 20:48. Chris, sulla cartella specifica che è stato un suicidio, per i servizi sociali e le loro statistiche, sai…» La voce le si addolcisce appena quando alza lo sguardo e incontra gli occhioni da cerbiatto di Christopher, il tizio che se ne sta sempre seduto dietro al bancone a digitare certificati di morte o vita.
Lui ricambia il sorriso da strizza cuore e annuisce. Quei due non hanno mai scopato. Se avessero scopato Nora lo guarderebbe come una leonessa, come guarda qualsiasi barella che entra dalle porte del pronto soccorso. E lui quanto meno si toglierebbe quell’aria da animaletto spaurito e tirerebbe fuori il cazzo dai pantaloni. Scopare cambia i termini del rapporto. E’ comico che proprio questi due animali disadattati si siano trovati, nella giungla della vita. Un leone e un cerbiatto. I ruoli invertiti a letto funzionano un sacco, a detta di Cassy.

Mi appoggio con un gomito al bancone di plastica grigia. La specie di camicie blu enorme mi fa sembrare un operaio della latteria di paese. Mio padre inorridirebbe vedendomi così.
L’ultimo Natale l’ho passato in famiglia, con lui che cercava di convincermi a intraprendere la carriera di avvocato come mio fratello e mamma che singhiozzava in silenzio al bordo del tavolo.
«Un paio d’anni al college, poi Steven ti troverà un posto nella sua agenzia.» Mi spiegava papà, tamburellando tranquillo sul tavolo. Mi guardava come si guarda un bambino che ha appena deciso di non mangiare mai e poi mai broccoli in vita sua. Con un affettuoso disdegno. «Due figli avvocati. Difenderai la giustizia davanti agli occhi del Paese.» Come gli si gonfiava il petto. Voleva che diventassi un altro Steven. Un altro biondo ex-giocatore di baseball, fuori classe, con una ragazza mozza fiato e un posto da avvocato nel miglior studio legale della città. Un altro figlio d’America dal futuro perfetto. Voleva che diventassi come mio fratello.
«Lavorerete fianco a fianco. Vi sposerete con le sorelle Jonson. Vivrete felici.» E mamma accanto a lui che piangeva un po’ più forte, scuoteva la testa e tirava su con il naso.
Quello è stato l’ultimo Natale che ho passato in famiglia.

«Scusate…» Un uomo entra barcollando dalle porte come se avesse sbagliato indirizzo. Si guarda un attimo attorno, timoroso. Non vuole disturbare, è una festa a cui non è stato invitato. Ha il davanti della maglietta pieno di sangue e un sorriso da ubriaco sulla faccia coperta da barba sfatta e grigiastra. «Mi sono tagliato un dito.» Ridacchia e solleva un sacchetto da frigorifero, uno di quelli che chiudi a salvo aria, che tengono al fresco il pollo del giorno prima. Ecco, solleva un sacchettino del genere, tutto ornato da fiocchi di neve azzurri, da cui si intravede un salsicciotto di carne rosa. Qualche goccia rossa raggrumata sull’angolo verso il basso.
Cassy mette immediatamente via la lima, facendola sparire nel taschino sopra il seno, e scuote la sua vaporosa chioma bionda.
«Prego signore, mi segua.» Civetta, appoggiando una mano sulla spalla del tizio. Sembra un vero ubriacone. Sicuramente lei pensa di aver trovato uno scrittore alla Hemingway a qui si è staccato un dito dal troppo scrivere. Probabilmente stava solo cercando di aprirsi una scatoletta di tonno, il pasto di Natale di un uomo solo. Quelle scatolette con la linguetta dura di non so quale materiale super tagliante sono micidiali. Delle vere puttane.

«Avrete una vita da sogno, vedrai.» Papà continuava. Mamma continuava. E io sorridevo, annuivo, “Sì papà”. Ma mi ero già iscritto a medicina. Non vedevo l’ora di riattaccare arti mozzati, intubare vecchi grassoni pieni di colesterolo, vedere barelle zuppe di sangue arrivare a vele spiegate.
«Tu e Steven, vedrai.»
Io non voglio essere come Steven. Steven è un bambino di dieci anni.  Non è mai diventato avvocato, non ha mai avuto una ragazza mozza fiato, non ha mai programmato la sua vita perfetta con un fratello gay che sogna di dare la vita agli sbadati del pronto soccorso.
Steven è morto sull’altalena la sera di Natale.

NdA: Non ho molto da dire, in realtà. E' uno stralcio di vita, una piccola riflessione senza alcuno scopo.
Una parte di qualcosa a cui sto lavorando. Una piccola OS dai tratti comico-macabri.
Adios.

  
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