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Autore: BBambi    05/08/2012    2 recensioni
“Se non posso tornare indietro allora uccidimi”.
“Sei già morta”.
“ Uccidimi. Deve esserci un modo”.
“Ti ho già uccisa una volta. Non te lo ricordi?” i suoi occhi s’incupirono, mentre sentii i miei sgranarsi “Era per tenerti con me.”
La fame cessò per un istante interminabile, concedendomi di sentirmi sorpresa davanti a quella dichiarazione.
“Perché?” riuscii solo a domandare.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Crisalide.




Quando mi svegliai avevo fame.

La stanza era completamente immersa nel buio e sentivo solo l’asprezza del materasso sotto di me e la mancanza di un lenzuolo che mi avvolgesse.

Mi misi a sedere e posai i piedi sul pavimento, avvertendone la durezza, la freddezza. Poi mi avviai nel buio.

Mi sentivo debole, affamata, assetata.

Mi sentivo soffocare da immagini che sembravano appartenere ad un incubo e che si affacciavano confuse alla mia mente.

I miei occhi si adattarono rapidamente al buio, potevo sentire l’iride dilatarsi per accogliere ogni dettaglio.

Mi ritrovai sull’uscio della camera.

La porta pesante davanti a me era una barriera tra sogno e realtà, tra sanità mentale e pazzia delirante e non ero ancora sicura da quale lato della soglia fossi.

Posai le dita sulla maniglia. Era fredda e non sentivo il rumore del mio respiro ansimante.

Solo il guaito spettrale del mio stomaco, cane infernale infondo al mio ventre.

Sospinsi la porta e scivolai verso l’angusta rampa di scalini avvolti nella penombra.

Ad ogni scalino mi sentivo affondare sempre più in basso.

Ad ogni scalino avevo un po’ più voglia di piangere senza saperne il perché.

Ad ogni scalino prendevo sempre più coscienza che non sarei potuta più risalire.

Riemergere da me stessa.

Arrivai in fondo.

Loro mi guardavano, sorridenti facce pulite di gesso.

“Ben svegliata”.

E nella mia testa riuscii a domandarmi solo chi fossero quelle persone. Quali fossero i loro nomi.

Quale fosse il mio nome.

Ma stranamente, lì in quella grande sala di pietra priva di arredamento, non aveva importanza.

“Ho fame” riuscii solo a dire “Ho tantissima fame” mi sorrisero “Ma non voglio mangiare” aggiunsi inconsciamente.

Le tre figure slanciate sembravano pali conficcati nella pietra dura del pavimento e allo stesso tempo esili fuscelli facilmente rapibili dal vento.

Statici e fuggevoli.

Bianchi e neri.

Buoni e cattivi.

Uno di loro si fece avanti, lasciandosi alle spalle un uomo ed una giovane.

Non avrei saputo dar loro un’età.

Erano bellissimi. Esseri scolpiti in una cera nivea di pelle, profumati di polvere, di una dolcezza stucchevole al palato.

Mi disgustarono.

E mi disgustai sentendo su di me quel medesimo odore.

Mi voltai verso la grande finestra alla mia sinistra che rifletteva debolmente la mia immagine.

Ero bellissima.

Fuori un manto di notte ad avvolgere il cielo e ad accogliere noi, bianche crisalidi.

“Vieni” mi disse il giovane “Ti abbiamo trovata, eri smarrita e ora sarai affamata!” fece una pausa “ Vieni” mi prese la mano.

La sua pelle era morbida, morbida come quella di un vecchio.

Ma tesa, tesa e giovane.

Come la mia.

Aveva biondi riccioli d’oro spento, zigomi pronunciati, gote  scavate e occhi neri, neri come il buio.

Neri come il male.

Due residui di carbone combusti dal fuoco, ma non per questo spenti. Sotto tutto quel nero, bruciavano invero di una oscura fiamma silenziosa, pronta a divampare, a divorare.

Mi stavano divorando.

Una fortissima fitta al ventre mi costrinse in ginocchio “Ho fame” singhiozzai “Ho una fame terribile”.

“Andiamo” si chinò a raccogliermi, come fossi stata una piccola cosa insignificante dimenticata sul pavimento.

Lo scacciai “No” ebbi la forza di dire “Non voglio”.

Continuavo a combattere contro quell’impulso che ancora non capivo perché ripudiassi con tanta decisione.

“Fa come ti pare” disse il giovane con una nota di disapprovazione nella voce “Non morirai di certo per questo” e gli sfuggì un ghigno mentre si raddrizzava.

Sembrava una potente colonna di marmo, un terribile demone d’avorio con quei canini aguzzi in bella vista.

“E’ ora di andare” disse la giovane donna, una cascata di capelli neri raccolti in una coda alta.

I due più distanti mi diedero le spalle e si incamminarono, mentre anche il giovane uomo chino su di me si voltava per seguirli.

Non sapevo dove mi trovassi e l’unica cosa che seppi fare fu alzarmi faticosamente e andar loro dietro.

Barcollavo tenendo le braccia strette in grembo, mi sentivo una creatura, una misera creatura, niente di umano a distinguermi da una bestia.

Affamata.

“Aspettami” mi ritrovai attaccata a quel braccio di stucco bianco. Quel braccio che era l’unica cosa che mi restava in quel momento.

Avevo perso tutto e non sapevo neppure in cosa consistesse questo tutto.

“Vieni, dobbiamo mangiare” mi disse con la dolcezza di un fratello  “Sei estremamente debole…e vulnerabile”.

Mi sentivo proprio così, mi sentivo fragile, un filo d’erba pronto ad essere reciso.

Mi lasciai prendere per mano, lasciai che chiudesse le sue dita adamantine attorno alle mie. Lasciai che mi guidasse, in quella realtà che mi sembrava un incubo notturno.

Mi ritrovai fuori, il casolare dismesso alle spalle, l’aria fresca che mi pungeva il naso. Mi sentii più prigioniera che libera in quell’immensità di buio, nitida nei miei occhi.

Lì sotto la luce pallida di spudorate stelle mi accorsi che anche il mio abito brillava della stessa luce. Era lungo e bianco, una sottile vela accarezzata dalla brezza.

Mi sentii ancora più bella e potente, anche se il demone della fame mi stava divorando da dentro.

La donna e l’uomo erano già lontani, impercettibili ai nostri occhi.

Senza parlare, mentre mi sembrava di volare sul suolo, ci ritrovammo in un quartiere cittadino.

Non riconobbi la città, ma mi attirò l’insegna luminosa di un locale notturno.

Senza parlare il giovane mi scortò in un vicolo retrostante il pub.

“Aspettami qui” sembrò adagiarmi contro la parete gelida “Torno subito”.

Potevo sentire miliardi di voci nella mia testa, come se le mie orecchie avessero potuto abbattere la barriera che costituiva il muro e spiare oltre.

Potevo sentire un battito incessante, un battito roboante. Mille cuori che pulsavano nelle mie orecchie.

Mille meno il mio.

Mi posai una mano sul petto. Silenzio.

Mi sembrò che mi mancasse il fiato, ma con orrore mi resi conto che non stavo respirando affatto.

Mi sentii soffocare da dentro, i miei polmoni immobili sembravano richiedere aria della quale in realtà pareva non avessero bisogno.

Stavo soffocando dalla paura.

Dalla paura di non comprendere cosa ero.

La testa bionda del mio giovane compagno fece capolino nel vicolo. Col braccio cingeva una donna non troppo avvenente.

“Mi sembrava di aver capito che volevi stare un pò soli…” cinguettò sbattendo le  ciglia cariche di rimmel e aggrottando le sopracciglia.

Lui la guardò con occhi suadenti, accesi da un calore tale che mi parve per un istante di cadere io stessa vittima di quel magnetismo.

“Avanti…è solo un’amica…” le carezzò la faccia rotonda.

Le baciò il viso e la bocca.

Le infilò una mano sotto la gonna, mentre guardavo incapace di reagire.

Le lasciò una linea di saliva sul collo bianco. E poi.

Poi la morse.

I canini bianchi affondarono nella giugulare senza che lei potesse emettere alcun suono.

Bastò un istante. L’odore arrivò diretto al mio naso.

“Vieni”.

Mi sentii morire.

Di nuovo.

Mi sentii sprofondare del tutto, mentre cercavo di non soccombere a quel demone maledetto che gridava infondo al mio stomaco.

“No” risposi “non posso”.

Il giovane mi guardò stupefatto “Finirai solo con l’indebolirti e non otterrai nulla”.

“Io non lo farò” portai una mano alla bocca, mentre la mia voce tremava ad ogni singhiozzo “Io non ucciderò”.

Ma lui mi era già addosso e dopo avermi afferrata per il braccio, strinse il mio collo tra le dita di ferro e spinse il mio viso a un soffio da quel collo sanguinante.

Il cane infernale abbaiò fortissimo.

Avevo voglia di vomitare.

“Fallo” mi ordinò, mentre la mia testa lottava contro tutto il resto del corpo.

Ogni mia singola fibra era tesa verso la vena aperta che zampillava fiotti rossi.

“Avanti” mi spine con la bocca sul collo e mi sporcai le labbra.

L’odore riempiva le mie narici.

Sentii una forza spaventosa pervadermi. Una forza disumana.

Presi il giovane vampiro per il braccio e glielo torsi dietro la schiena.

“Questa non sono io”.

Poi improvvisamente lo sentii.

Quel cuore batteva ancora e riempì ogni anfratto del mio corpo morto.

Sì, ero morta.

E quel rumore era l’unica cosa che mi teneva legata a quel briciolo di umanità che ancora mi apparteneva.

“Lo senti?” gli domandai inebetita “Lo senti?”.

Gli premetti la testa contro il petto di quel corpo ormai esanime.

“Ho bisogno di sentire il questo” tremai “il mio cuore che batte” lo lascia libero di voltarsi “E ora riesco solo a sentire questa maledetta fame e nient’altro”.

Lui non rispose nulla.

“Ho bisogno di sentire i miei sentimenti…i miei pensieri…ma non posso…lei copre tutto…lei vuole il sangue…ma non posso…non voglio essere questo…non voglio essere un mostro”.

Lui era perplesso.

“Se non posso tornare indietro allora uccidimi”.

“Sei già morta”.

“ Uccidimi. Deve esserci un modo”.

“Ti ho già uccisa una volta. Non te lo ricordi?” i suoi occhi s’incupirono, mentre sentii i miei sgranarsi “Era per tenerti con me.”

La fame cessò per un istante interminabile, concedendomi di sentirmi sorpresa davanti a quella dichiarazione.

“Perché?” riuscii solo a domandare.

“Eri una persona così orribile, così piena di difetti, così profondamente disgustata da te stessa che sei scappata da tutti quelli che ti amavano. E io ti ho trovata. Non avevi paura, mi hai semplicemente chiesto di ucciderti quando hai capito cosa fossi. Per la
prima volta ho provato qualcosa di diverso dalla fame” fece una breve pausa “Pena, forse, carità per una piccola cosa così mortalmente vulnerabile” mi sfiorò il viso così pallidamente uguale al suo  “Ti volevo rendere più forte che mai”.

Continuai a fissarlo con stupore, senza sapere se doverlo ringraziare.

Infondo lui aveva esaudito il mio desiderio.

E io lo stavo ancora pregando di accontentarmi.

Capii che era veramente l’unico appiglio di lucidità che mi era rimasta.

Guardai il bel viso incorniciato dai capelli preziosi, mi fissava con l’amore che si riserva ad un figlio.

Dal profondo del mio ventre, insieme al ruggito della mia sete irrefrenabile salii l’impulso fortissimo di stringerlo, di sentirmi finalmente attaccata alla terra.

Ma poi apparve lei, la cacciatrice.

Ci colse di sorpresa e senza che potessi rendermene conto lei si era già lanciata verso di me con lo stiletto di legno.

Sentii la punta produrre un suono ovattato quando entrò nelle membra apparentemente invulnerabili.

Il suo corpo, frapposto fra me e la cacciatrice, svanì nell’aria in mille granelli di polvere.

Polvere che non posso più afferrare.

Quell’ultimo appiglio di realtà che sembrava essermi rimasto svanì nell’aria notturna con la mia sanità mentale.

Non c’era più nessuna barriera tra me e lei.

Nessun argine a contenere la furia della mia fame.

Mi avventai su di lei afferrandole il polso, torcendoglielo e sentendo le ossa frantumarsi nelle mie dita insensibili.

Lei non gridò.

La immobilizzai con un braccio dietro la schiena scoprendole il collo.

Sentii il sangue pulsare nelle mie orecchie.

Affondai i denti.

Il sangue penetrò a grandi sorsi nella mia bocca.

Stavo per andare a fuoco.

Le mie pupille si contrassero.

Mille immagini passarono davanti ai miei occhi, tutta una vita umana, e bruciarono, dissolvendosi.

Ero rinata.

Ero una creatura nuova.

Completamente.

Mostruosamente.

Lasciai andare la cacciatrice, che barcollava e a malapena si reggeva sulle gambe.

Chiusi gli occhi.

Il sangue scorreva in tutto il mio corpo, la mia fame gridava ancora più forte.

Quel demone rosso riempì ogni anfratto del mio essere, cancellando ogni traccia di umanità e generando la furia rossa.

Spalancai le palpebre e tutto il mondo finalmente era a fuoco nelle mie iridi rubine.

Ero finalmente fuori dalla crisalide, spoglia di ogni straccio di umanità, bellissima creatura di morte.

E avevo una fame terribile.

Una fame che non avrei più lasciato attendere.





Uno dei miei soliti esperimenti.
Pochissimo tempo per scrivere causa impegni personali, ma non si può sopprimere la voglia, quindi ogni tanto escono queste idee bizzarre.
Si spera come al solito di non cadere nella banalità.
Enjoy
BB

  
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