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Autore: RoSyBlAcK    19/02/2007    8 recensioni
Lily Evans odiava febbraio.
E soprattutto odiava i compleanni.
Ma nell'aria c'era "puzza di una Potterata".. e anche questa volta James le avrebbe dato di che disperarsi...
...ma non solo!
rieccomi signori lettori (XD) con una fan fiction fresca fresca scritta in onore del compleanno della mia adorata tesora!..enjoy it ;)
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: James/Lily
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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.:Birthday Present:.

Lily’s Day

Lily Evans odiava febbraio. Era un mese così dannatamente inutile, piccolo, faticoso da sopportare. Troppo freddo per essere dichiarato primavera ma non abbastanza per essere ancora inverno. Non tanto lontano dal Natale, ma troppo per averne ancora addosso un po’ di riposo, e lontanissimo dalle altre vacanze. Pieno di compiti in classe e interrogazioni. E poi, pieno di inutili festività. Prima tra tutte, San Valentino. Deprimente se sei single e troppo mielosa se non lo sei. E la Festa dei Single poi. Inutile se sei fidanzata e così deprimente se non lo sei. Ma la peggiore, la peggiore tra tutte, il suo compleanno. Lo odiava così tanto. Fin dal suo 10° aveva sentito quello che la gente inizia a provare molto più tardi: Non voglio crescere, non voglio festeggiare il fatto che sono più vecchia, non voglio regali che non mi interessano, non voglio mettermi al centro di inutile attenzione. Ma ogni diavolo di anno la stessa tiritera. Una palla. E anche ad Hogwarts, i gufi, i regali delle amiche, i brindisi, le pacche sulle spalle… SONO Più VECCHIA, e allora? E niente.

Quella mattina, aprendo gli occhi, Lily Evans si rese conto che anche quell’anno il suo compleanno era in arrivo.

Era il 17 febbraio.

Il giorno dopo avrebbe festeggiato il suo 16° anno di vita.

Alè!

Anche James Potter si ritrovò a pensarci, quella mattina. Aprendo gli occhi, cercava sempre di fare mente locale su quello che doveva succedere nel giro di 24 ore. E pensò che quando sarebbe scoccata la mezzanotte, Lily Evans avrebbe compiuto 16 anni. La cosa aveva un nonsoche di emozionante. I compleanni lo emozionavano. Si divertiva sempre al suo compleanno. Era bello ricevere regali, auguri, brindisi, gufi. Lo facevano sentire… amato. La cosa lo fece ridacchiare. Che pensiero idiota.

-Ramoso è di buonumore.

-Ramoso è in ritardo.

-Ramoso, alzati!

A parlare erano stati i suoi migliori amici. Remus-Lunastorta Lupin, Sirius-Felpato Black, Peter-Codaliscia Minus. James-Ramoso Potter sgusciò da sotto le coperte e li guardò per un secondo prima di dire: -Domani è il compleanno della Evans!

Un coro di insulti si levò dal dormitorio. Tutti, persino Paciock, che non passava tanto tempo come gli altri assieme a lui, non poterono trattenersi dallo sbuffare.

-regalale due giorni di pace, dai James.- Tentò Peter. Poi tremò appena sotto lo sguardo fulminante dell’amico, e si nascose dietro al baule alla ricerca di qualche cosa non meglio identificata.

-Non farai una replica di San Valentino, no?- Sirius rideva ancora, solo all’idea, sotto i baffi. Anche se si rendeva perfettamente conto di quanto l’amico esagerasse, non poteva fare a meno che trovare divertente la situazione.

-No, questa volta sarà diverso. Questa volta andrà… meglio.- James si strofinò le mani. –Ho bisogno di tutto il vostro aiuto.

-No.- fecero in coro.

-Eddai!

-Ramoso, basta dai.

-Eddai!

Spalancò i suoi grandi occhi castani, resi innaturalmente grandi dalle lenti degli occhiali.

-Io ci sto.- Cedette Peter. Forse per farsi perdonare per aver anche solo proposto due giorni d’armistizio.

Paciock tagliò la corda prima che il quesito potesse raggiungerlo. Certe cose era meglio guardarle da lontano, e poi aveva altri progetti per il suo sabato.

Sirius, ridendo, guardò Remus.

-Che dici, Rem?- Sembrava scodinzolare.

-Sirius, non cedere. Sai che non funzionerà. Lo abbiamo aiutato in passato con i suoi… piani.

-Che piani?- Esordì James. –Non si tratta di “piani”! Si tratta di “strategie”!

Remus alzò, lentamente, un sopracciglio. Le sue guance leggermente scarne si stavano aprendo in una smorfia di sopportazione. –Mi spieghi la differenza, Ramoso?

-Certo, Lunastorta. Ma non capisci, cervellone? Io non voglio mica rapirla!- Si fermò un secondo.

-Non se ne parla James! Non rapiremo Lily come regalo di compleanno, chiaro?

-Sai Remus, a volte penso che tu sia più mia madre che mio amico. Andresti d’accordo con mia madre. Entrambi non capite il mio genio.

Anche il secondo sopracciglio di Lunastorta si alzò. –Non puoi rapire Lily.- Ripetè, tranquillamente. Sirius stava ridendo, la testa immersa nel cuscino. Adorava le conversazioni totalmente irrazionali di James con quelle troppo assennate di Remus.

Peter era preoccupatissimo. Preferiva quando i due parlavano di cose più… innocenti. La scuola, per esempio. O forse no. Meglio quando non parlavano affatto.

-Su, ragazzi…- Tentò.

-Ma sarebbe perfetto!- rise Sirius. –La chiudi in una stanza buia, la baci e poi noi cantiamo “tanti auguri” apparendo con le candeline.

-E magari poi la torta gliela lanciate in faccia.- Aggiunse ironico Remus.

-Sei più geniale di mia madre però!

-James!

-Se giuri che mi aiuti non farò niente che possa… come dire? Metterla a disagio.

-Niente tipo San Valentino, con cuoricini con i vostri nomi che ruotano per il corridoio tutto il giorno?

-Nessun cuoricino, lo giuro.

-Ti aiuterò.- Sospirò.

Sirius rise. Si prospettava un lungo, lungo fine settimana.

Lily sedeva nella Sala Grande. Il sabato mattina era sempre un gran brulicare di persone, voci, pettegolezzi. La colazione di persone e persone andava e veniva, e andavano e venivano studenti di tutte le età.

16 anni. 16 anni. 16 anni.

La cosa peggiore di compiere gli anni, era pensare a quante cose non era riuscita a fare in quell’anno di vita. Era la cosa più triste, sapere di dover compiere 16 anni e non aver mai amato un ragazzo. Era questo che la ossessionava. Si sentiva apatica, ridere, piangere, sorridere, essere stanca, essere felice… Niente. Non c’era nulla che la facesse emozionare. Si era abituata, abituata alle cose, abituata alla sua vita. Perché sentiva che le mancava qualcosa. Un pezzettino della sua stessa esistenza che avrebbe dovuto appartenerle… e che invece non aveva. Era come essere al di la di un vetro offuscato: poteva sentirne la presenza, intuirne lo splendore, ma non riusciva a vederlo, a distinguerlo, a rompere quel vetro. E questo la frustrava, la rendeva nervosa.

-Lily!- Si voltò. Alice le stava davanti, con un sorriso dolce e tranquillo sul viso tondo. Aveva corti capelli castani intorno al viso e due grandi occhi che erano un pasticcio di chiari e allegri toni di azzurro.

Lily le sorrise di rimando.

Sorriso apatico, pensò.

-Ciao Alice. Come va?

-Bene! Tu? Oh che bello domani è il tuo compleanno!

Lily sorrise ancora. –Come dimenticarlo!

Non aveva mai detto a nessuno, nemmeno ad Alice, quanto odiasse compiere gli anni. Come poteva spiegarlo? Spiegare qualcosa che si odia è come spiegare qualcosa che si ama: impossibile, se non a te stessa. E a volte difficile anche in quel caso. È come un sensazione. Non puoi vederla, non puoi afferrarla, non puoi spiegarla. Ma la senti, eccome se la senti.

-Come lo vuoi festeggiare?

Si trattenne dal sospirare. Alice si era seduta di fronte a lei, eccitata.

-Possiamo fare una festa in Sala Comune!- Iniziò –Tutti vorranno partecipare alla festa di Lily Evans!

Lily Evans. Lily Evans. Tutti avevano sentito parlare di lei ad Hogwarts. Tutti conoscevano i lunghi capelli rossi, gli occhi verdi e vellutati, il sorriso lindo e forte, lo sguardo diretto e duro, la parlantina polemica ed ironica, gli ideali chiari e l’intelligenza pungente di Lily Evans. La più corteggiata e preziosa di tutta la scuola.

-…Potremmo farci portare della burrobirra e dei dolci da Mielandia…

Ma a Lily Evans non interessava. Non voleva sedere in una stanza gremita di gente che la conosceva appena a bere burrobirra. Non voleva che per i corridoi si parlasse della sua festa. Non voleva che la gente le urlasse gli auguri. Quella popolarità che aveva sempre divertito lei e Alice, quell’essere apprezzate dalla gente, le aveva sempre fatte sentire forti, sicure di se, improvvisamente facevano sentire Lily piccola, insicura, fragile.

-… Potrei chiedere una mano a James Potter… sono certa che vorrebbe aiutarmi… e verrebbe una gran figata, Lily, fattelo dire. James Potter potrà avere tutti i difetti del mondo, ma con queste cose ci sa fare.

…Era iniziato tutto in quel suo compleanno di quando aveva 10 anni. Era iniziato lì il suo odio per quella ricorrenza… -James Potter?- venne così crudelmente strappata dai suoi pensieri. –No, Alice, no. Non provare a coinvolgere quello in qualunque cosa che mi riguardi. Fammi un regalo di compleanno normale… una magliettina, tipo, e lascia fuori tutto il resto. Quest’anno non ho voglia di festeggiare….

-Tutti gli anni questa storia, Lily! Che palle! No, quest’anno festeggi. Fallo per me! Ti preego, ti supplico, Lily, sei la mia migliore amica! Voglio fare una festa! Per favore!

-Festeggia il tuo, Alice!

-Il mio è ad agosto! Ti preego Lily!

James Potter. Al solo pensiero una nuova ondata di pessimo umore le assalì il petto, facendola quasi annaspare. Possibile che non riesca ad uscire dalla mia vita? Tutte le volte che qualcosa si preannunciava pessimo, con un finale storto e una drammatica serie di eventi iniziavano a scatenarsi nella sua vita, l’artefice era sempre lui. Potter. Non serviva la benché minima inventiva per intuire che lui avrebbe architettato qualcosa. Ogni occasione era buona per farlo. Natale, con la scusa del vischio: ramoscelli di tutto il possibile vischio immaginabile da mente umana apparivano così, magicamente, in tutti gli angoli del castello, riempiendolo di coppiettine impegnate in soffici effusioni, e cartelli con scritto a caratteri cubitali “Evans baciami” accompagnavano le foglie verdi e le bacche rosse. Capodanno, con il fatidico e tanto sospirato bacio di mezzanotte: Orologi che segnavano “quanto manca al nostro primo bacio” ricoprivano, inaspettatamente, i muri del castello. Poi, ovviamente, San Valentino: E allora per giorni nel bel mezzo delle lezioni le venivano recapitati messaggi con frasi di poeti babbani, e il 14 febbraio, i corridoio venivano sommersi da piccoli cuori rossi e rosa con incisi sopra i loro nomi “LiLy & James”. Per non parlare di pasqua, in cui dentro ad un uovo dalle dimensioni esorbitanti aveva trovato un pulcino rosa. Ce n’era sempre una. E perché non il suo compleanno quindi? Se in passato James Potter era stato insistente nell’ultimo anno era diventato a dir poco asfissiante. Anche solo la sua vista la faceva star male.

-No, Alice, no.

-Nemmeno se ti giuro che farò tutto da sola? Sola sola sola?

-No.

-Ma non lo dirò a Potter, e nemmeno ai suoi scagnozzi! Lil, sei la mia migliore amica, te lo giuro.

Non sapeva bene perché ma quel “sei la mia migliore amica” aveva iniziato a suonare vagamente minaccioso.

-Ti prego, Alice. Risparmiami.

-Ma io non ne farò parola con James, ne con nessun altro!

-Di cosa Alice?

Si voltarono entrambe, Lily sbuffando e Alice ridendo.

Ecco i mitici quattro! Pensò infelice la mente di Lily.

Peter Minus, timido e impacciato. Remus Lupin, silenzioso e intelligente. Sirius Black, affascinante e tenebroso. James Potter, esagerato, egocentrico, venerato, romantico… il dizionario di Lily non conteneva abbastanza vocaboli per descrivere né i suoi (limitati) pregi né tanto meno i suoi (esorbitanti) difetti.

-Niente.- Sospirò Alice.

-Dai! Non puoi tenere sulle spine i Malandrini!

-Ali, ne va della nostra amicizia.

-Anche della nostra!- Ridacchiò affabile Sirius.

-Dai, svelaci i vostri segretucci pucci pù!- Pigolò James.

Lily fece un versetto di disgusto.

-Evans, Tesoro, domani sei più grande di anno! Pronta a festeggiare?

Lei alzò un sopracciglio, e James le rivolse quel suo sorriso così altamente pericoloso.

Non fece tempo a fiatare.

-Ti divertirai, questa volta. Lascia stare, Felpato, andiamo a lavorare.- Fece James.

Lily arrossì. Alice sorrise.

I Malandrini stavano già correndo, urlando e ridendo, su per le scale.

James Potter ricordava perfettamente la prima volta che aveva visto Lily Evans. Non avrebbe mai dimenticato quel giorno. Era nella TOP 5 dei suoi giorni preferiti.

Era un uggioso primo di settembre, il primo che avrebbero trascorso a scuola. Lui sedeva, anzi era pigramente sdraiato, su una, anzi su due o tre, sedie in uno scomparto vuoto del treno. In una gabbia davanti a lui il suo gufo marrone lo osservava, anche lui emozionato dalla situazione. Tutto era perfetto, mamma e papà già se ne stavano andando e il binario si riempiva di ragazzi urlanti di tutte le età. James, con il naso premuto sul vetro gelido del finestrino, osservava quella moltitudine di ragazzi che nel giro di pochi minuti avrebbero fatto parte della sua vita come aveva sempre sognato.

Era felice.

In quel momento, la porta dello scompartimento si aprì piano e n’entrò un ragazzetto piccolo, dal sorriso un po’ incerto.

-Ehi, scusa, non volevo disturbare, io, scusami, non volevo. Scusa.

James si era messo a ridere. –Puoi restare. Mi chiamo James. Potter. Tu?

-Piacere. James Potter? Cavolo. Potter. Siete una casata molto… okay, c’è, non okay, di più, bella, c’è….

-Sì, siamo abbastanza “okay”.- James si era messo a ridere. A ridere di gusto. –tu come ti chiami?

-Peter. Peter Minus. Non siamo nessuno, noi… niente di speciale… c’è, brava gente, ma niente di che…- Farfugliò. Poi arrossì tutto. –Oddio! Non devi pensare che sono un ladro o un delinquente!

-Perché dovrei?

-Alfred Minus. Era sui giornali qualche mese fa. Uno zio lontano, mai conosciuto sai, la pecora nera… ha fatto qualche casino, sai, niente di importante ma… “Importante”? Volevo dire… “brutto”…

-Okay, niente di brutto. Piacere!

Peter, rosso e un po’ sudato, si era seduto di fronte a lui, preoccupato.

James gli aveva sorriso.

E allora la porta si era aperta di nuovo.

Ma questa volta ne era entrato un ragazzo dall’aria ricercata, pallide gote incavate, occhi dall’azzurro glaciale, capelli dal biondo quasi trasparente. Gli aveva rivolto un sorriso aspro, sprezzante. James sapeva di chi si trattava. Lo sapeva perfettamente, troppe volte, nel corso degli anni, si erano incontrati, più o meno casualmente, e puntualmente scontrati. Lucius Malfoy. Uno di quei “lontani parenti” che vorresti dimenticare. Il padre, un uomo del Ministero, era un collega di suo padre. E più che per quell’esile goccia di sangue che condividevano, le loro strade si era incrociare per “colpa” dei loro genitori. Non che loro si apprezzassero, anzi.

-Oh, Potter, ti ho trovato.

-Malfoy!- ridacchiò James. –Che bello vederti! Come stai?

-Ora malissimo. Vederti mi fa sempre quest’effetto… tu?

-Perfettamente. Vederti mi mette di buonumore. Assomigli sempre di più ad un vecchio malaticcio.

Sguardo gelido. Da dietro alle spalle di Lucius, due occhi scuri lo scrutarono per un secondo. –Bellatrix! Ciao! È bello vederti!- Rise James. –E Narcissa, ovviamente.

-Ciao.- Sibilò la prima. La seconda, si limitò a stringere in due fessure gli occhi chiari.

Per un secondo, il silenzio si stese tra loro. Peter tremava. Lucius se ne accorse.

-Che ha il tuo amico spennacchiato? Sta per farsela addosso?

James non distolse lo sguardo dal suo. Stava per rispondere, ma una voce maschile lo precedette. –Dai, Lucius, lascialo perdere. Non lo conosci neppure.- Un ragazzo alto, con un ciuffo di capelli scuri e due occhi grigi e silenziosi si fece largo e gli rivolse un ghigno distante. –Andate a cercare uno scompartimento, piuttosto. State perdendo i migliori.

-E tu, Sirius? Non vieni con noi?- chiese Bellatrix. I suoi occhi scuri e fissi sembravano piccole ombre sotto le sopracciglia livide. In qualche modo, era una bella ragazzina.

-Ora vengo. Sì che vengo.- Non ne sembrava poi molto convinto.

I suoi parenti si inoltrarono nel corridoio senza salutare.

Sirius si girò verso James e Peter e rivolse loro un sorriso. –Scusateli. Fanno sempre così.

-Lo so.- Rise James. –Comunque piacere, sono James Potter.

-Potter! Finalmente! Io sono Sirius Black.

-Quello cattivo.- rise James.

Sirius annuì. –quello! La vergogna.

-Piacere vergogna.- Sorrise Potter. –Ti presento Peter Minus. Non è un ladro o un mascalzone.

-Peccato, i ladri mi stanno simpatici.- sorrise.

E in quel momento, accadde.

Stavano ancora ridacchiando, Peter seduto, James e Sirius in piedi, e alla porta si era appoggiata una ragazzina di 11 anni, con delle sottili treccine rosse, grandi occhi verdi spalancati. Reggeva in mano un grosso baule, troppo grosso per le sue piccole dita bianche, ma che sembrava non affaticarla affatto. Sulle gote un po’ rosse appariva un velo d’ansia. Al suo fianco, una ragazza bionda, chiacchierava e rideva.

-Ehi, piacere eh!- Rise James.

E allora, Lily Evans si era voltata verso di lui, e per la prima volta l’aveva guardato negli occhi. Ma meglio ancora, con quello sguardo l’aveva fulminato per la prima volta. Fin da subito. Per quelle prime tre insulse parole. Lei l’aveva fulminato, facendogli mancare il fiato per un lunghissimo istante.

-Piacere.- aveva detto poi, in fretta. –Sono Lily Evans.

La sua amica aveva pigolato un “io mi chiamo Clarisse” e l’aveva spinta nel loro scompartimento, chiudendosi dietro la porta.

E James Potter si era sentito tutto caldo dentro, senza capire perché.

Lily Evans ricordava molto bene la prima volta che aveva incontrato James Potter.

Come ogni volta che si era sentita in imbarazzo, fragile, innervosita, arrabbiata, triste, tutte le volte che era stata male, anche quel giorno c’era lui. Era così ormai da tanti anni, ci aveva quasi fatto l’abitudine.

Appena salita sul treno, salutati i genitori e la muta Petunia, aveva incontrato Clarisse. Maledetta! Quella ragazzina pigolante, dall’aria falsamente docile, l’aveva spinta per la prima volta nelle fauci del nemico, chiudendosi alle spalle la prima porta che avessero aperto.

James Potter era in piedi in mezzo allo scomparto, rideva già con l’inseparabile Black.

-Ehi, piacere, eh?

Quella frase l’aveva irritata, ma anche sollevata. Non doveva più sopportare da sola l’insistente chiacchiericcio della sconosciuta. Si era seduta, aveva permesso a quello che si era presentato come James di mettere sulla retina il suo bagaglio, e aveva iniziato a chiacchierare con loro.

O per lo meno, a chiacchierare con Peter e Sirius e Clarisse… e a punzecchiarsi con James.

Sì, fin dal primo giorno, dal primo minuto, i loro discorsi si erano sempre tenuti sul polemico-ironico-strafottente. Sempre. Soprattutto per i primi anni, tre di preciso.

Per tre lunghi anni, il continuo battibecco con James era stato per lei pane quotidiano, come il tea la mattina e Alice tutto il giorno. E in un androne segreto della sua mente, la cosa la divertiva. Lei non era ragazza da smancerie: essere presa in giro da un ragazzo, prenderlo in giro, rincorrerlo tra le palle di neve, giocargli brutti scherzi, urlargli contro… Poi, verso la fine del terzo, era cambiato qualcosa. E nelle prese in giro costanti, nel battibecco, nel match di battutine, era iniziato a stendersi un velo vagamente… vagamente più personale.

E Potter aveva iniziato a farle la corte.

E intanto, anche la sua aura invalicabile di ego si accresceva. E man mano che il tempo passava, aumentava il corteggiamento, aumentava il suo essere “esattamente il ragazzo che odio”, aumentava la tensione. Prima o poi sarebbe scoppiata.

E ormai, ogni occasione era buona per litigare.

Ma c’era sempre qualcosa di più in ballo.

Da parte di lui, l’attrazione.

Da parte di lei, il fatto che non lo sopportava. Quel suo essere così… così “James Potter”… Avrebbe dato qualunque cosa per ricevere quelle attenzioni da chiunque altro. E invece no. Le riceveva dal ragazzo più amato da tutta la scuola… e più odiato da lei.

perfetto, ti dico!- Esultò, ridendo, Sirius. –Io la butto giù dalla torre e tu la salvi. E vissero per sempre felici e contenti!
-Sirius, non provare a suggerire a James certe idee. Sai che non è in grado di distinguere quando scherzi e quando sei serio!- Sbuffò Remus. Era sdraiato a pancia in giù sul letto, e iniziava a non divertirsi più. Trovare il modo di far festeggiare il compleanno a Lily in maniera decente, far felice James, e contemporaneamente farla innamorare follemente del suo amico stava iniziando a diventare difficile, più del previsto. Tutte le idee che erano state proposte gli sembravano totalmente fuori luogo. Forse era rimasto il solo lui in tutta la scuola a rendersi conto del fatto che Lily non voleva starci con James?
Non lo sapeva, ma di certo, era l’unico che non cercasse disperatamente il modo per farla cadere tra le sue braccia contro il suo volere. Se doveva succedere sarebbe successo, no? Bhè, James non la pensava così.

-Ripetimi ancora le Idee, Pete.

-Sì James, subito.- Aveva frugato trai fogli che lo circondavano e aveva letto: -Idea numero uno: La Torre.

-Bocciata!- affermò Remus prima che ripartisse la tiritera.

-Idea numero due: La Torta.

-Questa mi piaceva.- fece Sirius. Sembrava sempre di più un cane scodinzolante. Rideva.

-Anche a me!- Annuì allegro James. Se fosse stato un cane la sua coda sarebbe totalmente impazzita dallo scodinzolare. –Era carina! Una torta gigante e noi che le cantiamo tanti auguri in Sala Grande!

Remus sbuffò. –è tra le meno pericolose.

-Evvai!- esultò James.

-Vi ricordo però che non sappiamo cucinare, né tanto meno possiamo farlo in… ehm… 24 ore…

-Sei tale e quale a mia madre Remus.

-Idea numero tre?

-Idea numero tre.- si rassegnò Sirius.

-Idea numero tre: Il Tranello.

-Cosa?- chiese Remus. Non sapeva se ridere o avere una crisi di nervi.

-Non me la ricordo…- Fece Sirius.

-Ma come!- Sbuffò James. –Sono certo che fosse perfetta!

-Com’era?

-Non me la ricordo…

-Magari era davvero la migliore.

James sbuffò ancora. –Questo è un problema. Non so cosa fare! Non si innamorerà di me! Come faccioo?

-No, Ramoso, oggi no. Non entrare in “quella fase”.

-quale?

-oooh!- fecero tutti in coro –Liiily! Guardamiii! Baciamiii! Non mi guardaa! Non mi baciaa!

James si trattenne dal ghignare. Era offeso.

-Okay.- si rassegnò. –allora che si fa?

-Propongo l’Idea numero cinque.- Disse allora Peter, con aria solenne.

Gli altri acconsentirono.

Alice si fiondò in fretta e furia su per le scale del dormitorio maschile. Nei suoi occhi candidi brillava una piccola fiamma di eccitazione. Non riusciva a smettere di pensare che stava facendo una cosa assolutamente illegale. Ma Frank era stato molto chiaro: vieni alle 7,30. E andremo da qualche parte…. Era quel “qualche parte”, a preoccuparla. Ma vabbè. Era preoccupata per questa storia del compleanno di Lily. Perché si ostinava a non volere una festa, né niente? Insomma… Frank le si stagliò davanti e le sorrise. I suoi grandi occhi l’avvolsero per un secondo, poi le sue mani le afferrarono i fianchi.

-Alice…

Pensò che infondo non le importava poi molto se la sua amica non voleva divertirsi.

Poteva divertirsi lei, per entrambe.

Frank si sentiva in colpa, dannatamente in colpa. Portare via Alice a Lily, proprio quella sera, e solo perché quattro scemi te lo chiedono… ma infondo a lui quei quattro scemi stavano simpatici, e avere un debito con loro poteva risultare utile in futuro. E poi erano giorni che voleva un alibi per portare Alice da qualche parte, una sera. Loro gli avevano spianato il terreno, dato le chiavi, e anche una strana mappa che ti fa vedere dove e chi è in giro per il castello. Perfetto. E ora camminava per i corridoi deserti con le braccia sottili della ragazza passate intorno ai fianchi. E perché continuava maledirsi allora? Aveva uno strano presentimento.

Perché quel “prepareremo alla Evans una sorpresa che non dimenticherà mai”, gli suonava così dannatamente minaccioso? E perché Alice ce non poteva essere nei paraggi? Tutto questo suonava molto, molto preoccupante.

Lily guardò l’orologio. Erano le sette di sera. Camminare la rendeva un po’ più tranquilla. Sentiva quel terribile presentimento di quando stava per avvenire qualcosa. Qualcosa che aveva a che fare con qualcuno… con Potter, per la precisione. Aveva sviluppato uno strano sesto senso che le permetteva di rendersi conto quando l’aria puzzava di una delle sue.

Ma infondo… {Perché no?} Magari questa volta gliel’avrebbe risparmiata… era pur sempre il suo compleanno, no? La gente ha questa strana idea che i compleanni devono essere sempre perfetti… Lui sapeva perfettamente che per rendere perfetto il suo compleanno bastava che lui non facesse niente. Poi quasi le venne da ridere. James Potter che fa un pensiero così RAZIONALE? No, non era possibile. E ricominciò a preoccuparsi.

-Evans! Evans!

Lei si voltò di scatto, subito sull’attenti.

-Potter… che piacere.

-Anche io sono sempre felice di vederti! Come stai, carissima?

-Sai com’è Potter. Prima stavo meglio.

-Preferisci stare tutta sola?

-Sai come dice il detto, no? “Meglio soli che male accompagnati”.

-Oh, ma allora non ti riguarda questo “detto”. Tu sei accompagnata divinamente.

Lily emise una risatina amara. Si dirigeva alla Gufiera.

-Dove stiamo andando, Evans?

-Io sto andando a spedire un Gufo. Tu stai andando a- e qui lo mandò in un

posto poco carino e solitamente poco raccomandabile.

-Evanstesoro,- Lily alzò gli occhi al cielo –non sono termini consoni a una bella

ragazza come te… e soprattutto stanno male sulle tue belle labbra…

-Oh lo so. Eccome, se lo so. Ma, sai… certa gente fa uscire il peggio di me, in

alcune circostanze.

-Sei nervosa stasera, eh?

-Sì.

James restò stupito da una risposta tanto diretta e sincera.

-Perché?

-Perché c’è nell’aria puzza di una Potterata. E questo mi rende nervosa.

-Perché sai che ti piacerà, sì?- Lily lo guardò con disprezzo e un velo d’ironia. James

amava quando lei lo guardava così.

-No. Perché io non amo i compleanni. Anzi.

A James parve andare di traverso una boccata d’aria. NON LE PIACCIONO I

COMPLEANNI??? La sua espressione la fece ridere.

-Potter, sembra che tu abbia visto un fantasma.

-Non un fantasma Evans. Un mostro!

-Questo sì che è un regalo di compleanno, Potter. Tu che mi chiami “mostro”. Vuol

dire che smetterai di trotterellarmi intorno come un deficiente?

Lui le fece una smorfia, e in quel momento intorno a loro si aprì la Gufiera.

-A chi spedisci una lettera, Evans?

-Non è una lettera. È un pacchetto.

-A chi spedisci un pacchetto, Evans?

Lily lo guardò di sottecchi.

-Al mio ragazzo, Potter.

James sentì il mondo che gli cadeva nel petto, sentì l’amaro in bocca, si sentì tutto

freddo dentro, così freddo che gli vennero anche i brividi. E prima che potesse

rendersi conto che lei stava ridendo, ridendo sguaiatamente, reggendosi la pancia con

le mani e indicandolo con le dita, era già diventato bianco come un cencio.

-Non… sono… giochi… divertenti… Evans…!- ansimò. Poi si riprese, guardandola

mentre si accucciava a terra e legava un pacchettino alla zampa di un grosso gufo

marrone. I capelli rossi le cadevano sulle spalle e sulla schiena, spettinati ma

comunque perfetti, e dal bordo della maglietta sbucava una sottile striscia di schiena

pallida e liscia.

-Scusa Potter, non ho resistito.

-Suona così minaccioso, come mi chiami. “Potter”. Sembri una prof.

-è che mi stremi come stremi le prof, Potter.

-Prova a chiamarmi “James” qualche volta, dai. Vedrai che funziona. È più bello.

-Tu chiamami “Lily”, e io ti chiamerò “James”.

-Ma Lily è un nome dolce, e tu non sei “dolce”. Tu sei una guerriera… ed Evans lo

esprime meglio.

-Allora scordati di essere chiamato “James”, Potter.- E lo disse con tutta la minaccia

che riusciva ad esprimere a voce.

-Come ti chiami in verità… cioè, di cos’è il diminutivo “Lily”?

-Non te lo dirò mai.- Rise lei. Poi fece volare via il gufo. –Perché mi stai pedinando?

-Non ti pedino.- Fece lui.

Ad entrambi quella frase suonò dannatamente falsa.

Sirius gonfiò un palloncino. Peter glielo bucò. Scoppiarono a ridere. Remus guardò

ancora una volta l’orologio.

-ragazzi! Smettete di fare i bambini! Tra poco tornano!

Peter rise rise. –Sta tranquillo, Alice sarà impegnata ancora molto, molto a lungo.

-Giusto!- Fece Sirius. –Caaaro Frank… il nostro bambino sta crescendo!

Mentre Remus scoppiava a ridere, Peter chiese: -Ma Lily?

Sirius lo guardò come se Peter fosse un totale, completo, idiota.

-James non la perderà d’occhio. Non la perde mai d’occhio.

-Per chi era il pacco? Evans? Evans!

Lei si voltò verso di lui. Lento, il sole si stava spegnendo sull’orizzonte. L’aria, con un

velo d’orato, si stava immergendo nella notte.

Lily fece un piccolo ghigno.

-Per mia sorella gemella, Petunia.

-Petunia? Anche il tuo nome è così ridicolo?

Lei sospirò.

-Che hai?- chiese James. Si sedette sul cornicione della grande finestra. Sotto di lui si stendeva il giardino che circondava il castello, la foresta, e lo specchio chiaro del grande lago.

-Non ho nulla. Sto solo pensando a Petunia.

-Lei non è magica.

Lily rise, amara. –No, lei non è magica. Anzi. È la persona meno magica del mondo.

-Siete amiche?

-Lo siamo state. Ma ora… ora è tutto molto più difficile.

-Perché tu sei qui e lei no?

Lily si strinse nelle spalle. –Credo di sì… ma magari sarebbe successo comunque… che ci saremmo divise, intendo. Succede sempre così. Le cose che iniziano bene finiscono male, quelle che iniziano male finiscono bene.

-è perfetto allora, Lily. Tra noi è iniziata male, e finirà benissimo.

Lei lo ignorò. –Mi hai chiamata Lily.- constatò, sorpresa. –Perché?

-Perché mi sei sembrata dolce.

Lily trattenne un sorriso, che le fece fare una piccola smorfia. Gli occhi le luccicarono.

-Grazie.

Lui allungò una mano e le sfiorò la guancia. Lily sentì per un frazione di secondo il calore del suo tocco, poi più niente.

-E il tuo vero nome non me lo vuoi dire?- Chiese, allontanando del tutto la mano e iniziando a ridere.

Anche lei rise, per spezzare la tensione.

Si odiava. Avrebbe dovuto tirarli una sberla! Aveva osato toccarla! E invece no. Stava ridendo.

Che schifo.

Potter.

-No, che non voglio.

-Come farò a scoprirlo?

-Lo saprà solo chi sarà presente al mio matrimonio, quando il prete lo dirà. Allora lo scopriranno tutti.

-Dovrò sposarti, a quanto pare.- Ghignò lui. Lei lo guardò con disprezzo.

-Non contare nemmeno di essere presente a quelle nozze.

Si guardarono per un secondo, e poi entrambi scoppiarono in un’altra, nervosa, risata.

-Ora tocca a te.- disse James, sempre ridendo.

-A fare cosa?- fece lei.

-Pervertita di una Lily! Cosa mi vai a pensare? Che volessi che tu mi accarezzassi? Io? Sono un bravo ragazzo, lo sai!

Lily emise un versetto molto simile ad un “tzè”.

Era tutta rossa, e James sorrise.

-Vorrei essere chiamato James da te.

Quella serietà la spiazzò.

-Lo farò solo se prometterai…

-è un ricatto.

Lily gli rivolse il suo ghigno pieno di furba malizia.

–Sì, lo è.

-Ci sto.

-Prometti?

-Prometto.

-Prometti che non farai quello che stai per fare.

-E cosa starei per fare, esattamente?

Lily alzò un sopracciglio.

James la sfidò a proseguire.

-Adesso sei tu il pervertito, Potter.

-Perché, cosa stavo pensando?- Aggrottò la fronte.

-Lo sai!
-No! Dimmelo, dai…- Le fece un sorriso innocente.

-Tu pensavi che io pensassi che mi stavi per… bhè, per baciare.

James rise. –Non pensavo affatto a questo. Ma se lo pensi… bhè, vuol dire che ti farebbe piacere. E visto che è il tuo compleanno… potrei anche sacrificarmi per te…

-POTTER.- si arrabbiò lei. –Quello che intendevo, è che ti chiamerò con il tuo nome se tu disdirai qualunque cosa tu stia architettando per le prossime ore.

James la guardò.

Lo aveva fregato.

Era per questo che l’adorava.

-Va bene.- Fece, piano. Guardare il sorriso che si apriva lentamente sul viso di Lily era la più grande soddisfazione della terra.

-Giuralo.

-Lo giuro.

-Okay, James.- …E sentirle pronunciare il suo nome lo fece rabbrividire. Immaginò che non ci fosse solo quello posato sulle piccole labbra rosse che gli stavano davanti.

E ancora una volta si sentì tutto caldo dentro.

Alice alzò gli occhi in quelli di Frank.

-Frank, penso che dovremmo rientrare.

I grandi occhi scuri del ragazzo sorrisero.

-Questa stanza è così carina.

Si guardarono intorno. –Si chiama Stanza delle Necessità, Frank. Non “Stanza del Sesso”!- Gli tirò un soffice pugno che lui le afferrò. Le baciò le labbra.

-Abbiamo tutto il tempo che vogliamo, Alice. Non c’è fretta.

Lei lo guardò male.

-Non parlavo di sesso.- Fece, ridendo. –Parlo del fatto che abbiamo tutto il tempo che vogliamo.

Alice gli si accucciò addosso e gli mordicchiò l’orecchio.

-Siamo qui da un sacco di tempo… voglio andare da Lily.

Lui le accarezzò la testa morbida e pensò che non poteva tenerla lontana dalla Sala Comune per tutta la serata.

-Andiamo, allora.

Si sentì dannatamente in colpa.

Sirius guardò l’orologio. Erano quasi le 9. Improvvisamente, in piedi nel mezzo del dormitorio, annegato in una valanga di palloncini rosa e viola, si sentì che qualcosa nel loro piano geniale aveva una pecca. Non capiva cosa, ma sapeva che c’era.

Remus si accorse della sua espressione perplessa.

-Che c’è?

-Manca qualcosa.

-L’alcool basta.- Lo ammonì Remus, trattenendo una risata.

-Oh, non parlavo di questo.

-Ci sono le patatine, e gli elfi preparano la torta.

-Okay.

-Ma c’è qualcosa che non funziona.

-Cosa?

-Non so… Ma c’è…

Lily si voltò. –Rientriamo dai.

-Non ancora…- Fece James.

-Sono quasi le 9. Scatta il coprifuoco.

-Non mi interessa. Dai! È il tuo compleanno! Fai follie!

Lily gli schioccò un’occhiata eloquente.

-Va bene. Andiamo.

James la seguì lungo i corridoi. Doveva davvero disdire? Sentiva che quella volta era la volta giusta. Che quest’idea aveva davvero un che di geniale. Le sarebbe piaciuta… Decise che avrebbe tentato il tutto per tutto. Non importava se l’avrebbe odiato ancora di più.

Lily non riusciva a convincersi che davvero aveva scacciato la possibilità di una pazza idea per festeggiare i suoi 16 anni. Sperava di sì… cos’era? Perché si sentiva triste? Ah, già. Erano i compleanni, la rendevano SEMPRE triste. Però… sentiva che c’era qualcosa di strano. Che cosa aveva architettato? E se non avesse architettato proprio niente? In quel caso… forse la stava dimenticando? Menomale! Sì, menomale. Non ne poteva proprio più di quelle attenzioni…

Però quella carezza…

Arrossì.

Perché stava pensando a quella carezza?

L’aveva schifata.

Era stato brutto.

Era stato imbarazzante.

…O no?

-Evans, tutto okay?

Lei si voltò di scatto. –Chi? Eh? Cosa? Io? Certo. Che domande.

-Okay, sembrava di no. Sei strana a volte.

-Grazie.- Fece, ironica.

-Non era un’offesa.

-E poi che ne sai di come sono io? Tu non sai nulla.

-Io so molte cose invece, cara Evans. Di certo più di quanto tu non sappia di me.

-Davvero?

-Sì. Io so un sacco di cose.- sembrava fiero di se.

Lily alzò un sopracciglio, con quell’espressione che lo sfidava. Lo sfidava sempre. A continuare la frase, a continuare a seguirla, a continuare a corteggiarla. Lo sfidava.

-Io ti studio, Lily Evans. So tutto quello che mi è dato sapere.

-Non ti è dato sapere niente di me.

-Non ci sono regole riguardo. E io ti osservo. Quando sei in classe, ti piace scarabocchiare sui libri, sulle pergamene. Quando scrivi ti sporchi le dita di inchiostro. A colazione non prendi il tea, ma il caffè. Il tea lo bevi quando studi. Ti piace il cioccolato, ma non ami i dolci. Preferisci il salato. La carne alla pasta. Ai Tre Manici prendi sempre la burrobirra. Quasi mai qualcosa di più (o meno) forte. Ti piacciono le patatine, le mangi in fretta e ti lecchi le dita dal sale. Ti piace il sale. Non ti piacciono le persone stupide, e se qualcuno non capisce ti innervosisce. La mattina ci metti un quarto d’ora a prepararti. Di più sarebbe uno spreco, di meno non sarebbe abbastanza. A prima vista sembra che non ti trucchi. E invece non è così. Metti la crema, poi un po’ di fondotinta. Fard. Quando non hai lezione alle 8 a volte metti anche la matita. Fai la coda il giovedì e il venerdì. Spesso li leghi anche durante i compiti in classe. Nei compiti in classe ti piace concentrare tutto il lavoro nei primi tre quarti d’ora, per tenerti gli ultimi 15 minuti per “riguardare” e invece li usi sempre per suggerire. La tua scrittura non è ordinata, è grande ma non troppo. Si vede quando sei calma e quando invece sei preoccupata: se sei tranquilla tieni il mento alto e cammini più in fretta. Se sei a disagio, invece, ti tremano un po’ gli occhi e le dita. Come ora.

Lily lo guardò, stupita. Non aveva mai nemmeno pensato a queste sue piccole abitudini.

-Mi piace vederti studiare, leggere. Scrivere. Mi piace quando tu non sai che ti guardo, e allora abbassi la guardia e sembri scoperta. Ma anche quando tiri su la muraglia, e io lancio frecce per cercare di trafiggerla. E qualche volta ci riesco, vero Lily? Come ora.

James le rivolse un sorriso lento e misurato.

Lily non respirava più.

-SIRIUS BLACK!- Urlò Alice. –Questa volta… Questa volta…

-Sì…?

-SIRIUS BLACK!- Ripetè Alice. Sirius vedeva che stava trattenendo un sorriso. –Cosa diavolo sta succedendo qui?

Si guardò intorno. La scala per il dormitorio dei ragazzi, il corridoio, il dormitorio, tutto era ricoperto da striscioni, palloncini, bevande e cibi di tutti i tipi e di tutte le calorie.

-Sta succedendo che abbiamo organizzato qualcosa per la Evans. E per James.- sorriso malizioso.

-Questa volta James la passa male, malissimo! Lily non lo sopporterà!

-Ma è una bella idea, no? Una festa a sorpresa! Inizia a mezzanotte, Alice cara, quindi preparati! Durerà 24 ore! Lo abbiamo chiamato il “Lily’s Day”!

Alice non sapeva se svenire, ridere, urlare, piangere, congratularsi con loro o riempire il bel viso di Sirius di pugni. Sentiva le guance diventarle paurosamente rosse.

-Come farete a nascondere questo casino a Lily fino a mezzanotte?- guardò l’orologio –Sono le 9. Lei tornerà tra due minuti massimo.

-Per questo abbiamo convocato te. La Migliore Amica Della Festeggiata!
-Io? No, hai capito male Black! Io non c’entrerò nulla! Ho giurato! Ho giurato che non avrei fatto nulla e non farò nulla!

-Ma Alice! Questo le piacerà! Le piacerà davvero! E poi ormai abbiamo organizzato tutto! Non puoi tirarti indietro! Come faremo? Lo scoprirà! Ti preego!

Per la prima volta Alice intuì quale dovesse essere il significato del soprannome “Felpato” che gli era stato affibbiato. In quei momenti, Sirius Black sembrava paurosamente un cagnolino. Faceva traballare le ciglia sui suoi occhi grigi, l’eccitazione gli disegnava un sorriso a 32 denti, e se avesse avuto una coda, sarebbe stata presa da un frenetico scodinzolare.

-Sirius…-Tentò ancora lei.
Ma Sirius Black vinceva sempre
.

Lily si lasciò inghiottire dal buco del ritratto senza pensare a nulla. Le parole di James l’avevano svuotata. Sentiva dentro un miscuglio senza senso di rabbia e angoscia, di felicità e serenità, di paura e tristezza. Odiava il modo in cui comunque James la mettesse sempre a disagio, in subbuglio, la facesse sentire disordinata e imprecisa, rabbiosa e perennemente vulnerabile.

-Evans, tutto bene, no?- Chiese Potter, rivolgendole un sorriso incerto. –Preferisco quando ti arrabbi che quando fai l’apatica.

-Non faccio l’apatica, Potter. Sono apatica. Mi hai stremata. Vado a letto. E non dimenticare la promessa.

Alice si fiondò giù dalle scale del dormitorio maschile urlando “Lily! Ti devo dire una cosa importante!”, ma in ogni caso Lily non sembrava interessata ad analizzare la Sala Comune, e tanto meno a guardare verso il dormitorio maschile dove James si stava dirigendo, a metà tra il soddisfatto, il confuso, il colpevole. Risalì lentamente le scale, strisciando i piedi. Si sentiva davvero stanca, come dopo un lungo pianto. Svuotata, come dopo uno sforzo fisico. Eppure non aveva ne pianto ne corso.

-Lily!

Lei si voltò verso Alice. –Dimmi.- Rispose.

Alice alzò un sopracciglio. –Che hai?

-Niente.

-Sei strana.

Sentì dentro una vampata di rabbia. O forse no… cos’era? Era qualcosa che non conosceva. Non capiva. Perché il cuore le batteva così dannatamente forte?

-Non sono strana, sono stanca. Vado a letto.

-NO! Ti devo… raccontare una cosa!

-Cosa?

-Io e Frank…

Lily alzò gli occhi al cielo. No. Non aveva bisogno di sentire come lei fosse felice con il suo ragazzo perfetto. Non aveva bisogno di sentire come la vita fosse facile per tutti tranne che per lei. Aveva solo bisogno di stare sola.

-Mi racconti dopo? Devo andare un attimo in bagno.

-In bagno! Perfetto! Truccati un po’.

-Perché? Devo andare a letto.

-Ma… potremmo, che ne so… farci carine… così, per divertirci un po’… Sembri triste.

-Non sono triste.- Si imbronciò Lily. –Sono stanca. Ho bisogno di dormire. Fammi andare a fare una doccia. E poi, mi racconterai delle tue effusioni con Frank.

Riuscì persino a rivolgere all’amica un furbo sorrisetto prima di chiudersi dietro le spalle la porta del bagno e scivolare al suolo, stremata.

Doveva analizzare molto molto bene la situazione. Una sola mossa falsa avrebbe distrutto tutto. Si sentiva come un gigante impacciato con tra le mani una statuetta di vetro. Sarebbe bastato un minuscolo errore per spezzarla. E allora avrebbe rovinato tutto: se stesso, Lily, i suoi sogni, il suo compleanno, tutto. Per la prima volta aveva un leggero senso di nausea da ansia. Non si era mai sentito così. Gli mancava anche la sua proverbiale spavalderia.

I dormitori di Grifondoro erano in agitazione. Ragazzette di tutte le età si provavano tonalità di rossetto, gonne e gonnelline, ballerine, scarpe con il tacco, camicette, vestitini, borse, profumi. Il bagno di Lily era chiuso. Girava voce che nel mezzo della festa James le avrebbe giurato amore eterno. Girava voce che le avesse comprato dei diamanti. Che le avrebbe dedicato una canzone. Girava voce che la festa sarebbe durata tutta la settimana. Ragazze che Lily non aveva mai nemmeno visto preparavano per lei bigliettini di auguri, confezionavano pensierini procurati all’ultimo minuto. Un ragazzo del quinto si fece prestare da Silente in persona un giradischi e dei dischi in vinile.

I ragazzi tiravano fuori le cravatte “quelle belle” che mamma ogni anno rifilava loro nella speranza di fare bella figura. Si preannunciava una lunga notte e una giornata ancora più lunga. Gli elfi lavoravano. Nessuno era certo di quello che sarebbe davvero successo, ma tutti concordavano sul dichiarare che il “Lily’s Day” avrebbe dato da parlare per molto, molto tempo.

Lily si guardava allo specchio. Erano le 10 passate e fuori per i corridoi si sentiva ancora un gran fracasso. Non voleva incontrare nessuno. Va bene che era sabato sera… ma perché mai nessuno andava a letto? Non potevano lasciarle il via libera per andarsene a letto? Non voleva certo passare la mezzanotte del suo compleanno accucciata per terra in bagno. Anche se era un gran bel bagno. Voleva passarlo nel mondo dei sogni. E soprattutto non voleva continuare a sentirsi così. Era come se una grande, grandissima mano avesse preso dal suo petto il suo cuore, i suoi sentimenti, le sue certezze, le sue forze, le sue convinzioni, e l’avesse spiaccicato a terra. E lei se ne stava lì, ferma, costretta a guardare tutto quello che aveva sempre fatto parte del suo Io, sfumare e sfaldarsi sotto i suoi occhi. E tutto quello che vedeva faceva schifo. Non voleva credere di essere lei, lei, quella che si stava comportando così. Lei, che stava chiusa in bagno? Lei che non voleva festeggiare? Pur odiando il suo compleanno aveva sempre sorbito con falsi sorrisi torte, regali, abbracci… Perché quest’anno era diverso? POTTER. Era lui il problema? Il fatto che avrebbe organizzato qualcosa di unico e indimenticabile che tutte avrebbero desiderato? E che lo avrebbe fatto solo per lei? Ma lei gli aveva detto di non farlo. Era questo che adesso la faceva stare male? Il fatto che forse non ci sarebbe stato niente di unico e indimenticabile che tutte avrebbero desiderato e che sarebbe stato solo per lei? Eppure lei sapeva che se lui avesse organizzato qualcosa non lo avrebbe annullato PER NIENTE AL MONDO. Nemmeno per un bacio. Nemmeno se lei glielo avesse chiesto in ginocchio. E allora perché diceva di essere follemente innamorato di lei se non poteva nemmeno ASCOLTARLA? Se provasse davvero quello che dice di provare allora non farebbe qualcosa solo per il gusto di farla, per imbarazzarmi, isterizzarmi, se gli chiedo per favore di non farlo. Mi ascolterebbe. Ma lui l’ascoltava. L’ascoltava, la osservava. Sapeva tutto di lei. Sapeva sempre cosa dirle. Il fatto che non sempre fosse la cosa giusta, infondo, non importava. Cercava sempre di renderla felice. Chi altro aveva o avrebbe mai provato con così tanta insistenza a PIACERLE? Esisteva davvero qualcun altro così? Però… a tutto questo si aggiungeva il fatto che lui… era sempre così tremendamente… James Potter… Sì, egocentrico, esagitato, esagerato, vanitoso… così superiore a tutti, almeno dal suo punto di vista… e poi la metteva a disagio davanti agli altri… La corteggiava in maniera infantile… Non era mai serio… Era sempre troppo… James Potter. No. Non sempre. Prima no, era diverso.

Forse era per questo che si sentiva così? Si sentiva diversa perché lui era stato diverso con lei? E questo che cosa voleva dire?

Si sentiva diversa… ma diversa come?

Il cuore le batteva forte.

Si sentiva diversa così.

Che lui non le aveva mai fatto battere il cuore.

Che nessuno le aveva mai fatto battere il cuore.

Erano le 23,55. Lei non era uscita dal bagno. Tutti erano in piedi nella Sala Comune illuminata dalle candele. La luce tremolante sapeva di eccitazione, di quel velo di attesa e paura che precede le feste a sorpresa.

Nell’aria James sentiva l’inequivocabile profumo della propria tensione. Non riusciva a stare fermo, sparava battute, si metteva al centro dell’attenzione facendo del cabaret. Lo faceva sempre quando era a disagio.

Sirius sapeva che il suo amico non avrebbe retto ancora per molto.

23,57.

Alice guardava piena d’ansia i visi emozionati dei Malandrini e dei suoi compagni di corso. Loro non conoscevano bene Lily, lei sì. E sapeva che tutto questo non l’avrebbe divertita.

23,equasi58.

Remus e Sirius si scambiarono un cenno.

Tra pochi secondi minuti avrebbero iniziato a chiamarla.

23,58.

-LILY! LILY! LILY! LILY!- un coro si alzò unisono dalle loro bocche.

Il dado era tratto.

James saltellava.

Lily si guardava nello specchio, confusa. Non capiva cosa stesse succedendo dentro di lei. Non le piaceva quello che sentiva. Eppure era felice, stranamente.

-LILY! LILY! LILY! LILY!

Cos’era?

-LILY! LILY! LILY! LILY!

Il suo nome? Urlato come una specie di coro ritmico?

Chi è che urla a quest’ora della notte?
23, 58.

Era quasi il suo compleanno.

-LILY! LILY! LILY!...

Non la smettevano, come lei aveva sperato. Si diede un’occhiata rapida: la gonna della divisa, la camicetta stropicciata.

-LILY! LILY!...

“Arrivo…” pensò, scocciata. Come una furia si lanciò lungo il corridoio verso la Sala Comune, pronta a sgridarli per il fracasso.

-AUGURI!!!

Per un lungo, lunghissimo minuto, restò immobile a fissare la scena.

Un mare di persone (tutti i Grifondoro, probabilmente) la guardavano, urlandole i loro auguri e il suo nome. La stanza era illuminata dalle candele. Palloncini ricoprivano il pavimento. Cori di canti le trapanavano le orecchie, la costrinsero a sorridere. Si lasciò abbracciare e baciare.

Non poteva fare a meno di cercare nella folla.

E continuò a cercare, mentre Alice le si avvicinava con aria colpevole. Avrebbe voluto sbraitarle contro, ma decise di evitare. Appeso al muro c’era uno striscione con scritto: LILY’S DAY: 24 ORE PER AUGURARTI BUON COMPLEANNO!

La calligrafia della sua amica l’avrebbe riconosciuta tra mille.

E poi lo trovò.

Attraverso fiumi di persone, i loro occhi si legarono per un minuto.

James le sorrise. Voleva scusarsi, voleva essere perdonato, era fiero di sé.

Aveva vinto. Aveva inventato per lei qualcosa che l’avrebbe colpita positivamente.

Lily lo fulminò con lo sguardo. Quanto lo odiava! Perché doveva sempre esagerare? Si voltò in fretta dall’altra parte, arrabbiata. E senza volerlo non riuscì a trattenere un sorriso, mentre il suo stupido, folle cuore riprendeva a battere come non aveva mai battuto prima.

Lily sedeva su una poltrona e aveva perso la cognizione del tempo. Non era sicura di preferire quella situazione al suo comodo lettino, ma di certo non stava pensando ai lati oscuri del compiere gli anni, e per la prima volta nella sua vita una minuscola parte di lei era grata a James Potter. Ma con tutto il resto di lei, era furiosa con lui. Mangiava patatine piccanti, ascoltando la parlantina insistente ed eccitata di Alice che le raccontava nei più piccoli ed intimi particolari la sua serata con Frank. La faceva sentire molto piccola sentirle parlare così spontaneamente di tutto quello che aveva fatto o non ancora fatto con il ragazzo che le piaceva. Ma non è che la stesse ad ascoltare con particolare attenzione. Mugugnava dei distratti “davvero?!”, “Wow!”, “…e tu…?”, “…e lui…?”, “poi?”, e per il resto del tempo il chiacchiericcio dell’amica si perdeva nel rumore assordante della festa. Era scocciata. Potter. Guardalo! Se ne stava in piedi sul tavolo con Black, mezzi brilli, cantando un ritornello stonato di qualche gruppo dimenticato da Dio. Non un cenno nella sua direzione. Non un saluto. Meglio. Però si sarebbe potuto avvicinare, farle gli auguri da vicino. Certo, tutto questo era opera sua. Ma che c’entra? Avrebbe potuto lo stesso essere, o almeno provare ad essere, educato per una volta. E invece no. Bhè, meglio. Almeno non era obbligata a parlargli. Però lei voleva litigare con lui. Questa volta se lo meritava. Aveva giurato! Giurato che non avrebbe fatto casini! L’aveva giurato, no? Lei l’aveva chiamato James [James! Puhà!] e lui aveva promesso che non avrebbe organizzato una Potterata. E lei si era fidata! Perché l’aveva fatto? Perché?

Ma certo. L’aveva fatto perché era un’idiota.

E per quello che lui le aveva detto… tutte quelle cose carine su di lei, sul fatto che la conosceva… sulle sue abitudini…

E perché l’aveva chiamata Lily dicendo che era dolce.

E per quella carezza.

Per questo si era fidata.

James Potter usava un mestolo come bacchetta e picchiava con forza sulla sua batteria fatta da una pentola rovesciata. Urlava in maniera disumana un ritornello di una canzone dei Troll Rockettari e aveva le lacrime agli occhi dal ridere.

Sirius Black al suo fianco batteva insieme due pentole e cantava altrettanto forte. Sotto di loro la gente applaudiva, rideva, cercava di star dietro alle parole. Remus si stava chiedendo quante ne stessero inventando. Ma sia lui che Peter ridevano. La scena era divertente. Folle. Un ritratto rumoroso dei loro migliori amici. Remus si chiese come avrebbero potuto reggere tutte quelle ore se le passavano tutte facendo altrettanto casino. Si fece appunto mentale di chiedere agli elfi molto, molto caffè.

James, da sopra il suo trono di popolarità, si fermò un secondo. Nella folla scalpitante lei non c’era. Ovviamente. Essere nel suo fan club non era una cosa da Lily.

Era una cosa da Lily appartarsi con la sua migliore amica durante la sua festa di compleanno per parlare di cose di cui avrebbero potuto parlare in qualunque altro momento.

Era una cosa da Lily lanciargli occhiate dolorose.

Era da Lily non vedere nemmeno lontanamente il lato dolce e romantico di James Potter, lui che la adorava, lui che avrebbe fatto tutto per lei.

James era innervosito. Frustrato.

Questo continuo mancare il suo obbiettivo lo stava stremando.

Era stufo di essere un fallito.

-Alice, mi vorrei andare a cambiare.

-Cosa?

Lily aprì i palmi delle mani. –Guardati in giro. Siete tutte vestite bene. Io faccio schifo.

-Quindi resterai?

-Eh?

-Ma sì, alla festa. Questo vuol dire che resterai. Che non sei arrabbiata con James.

Lily scosse il capo. –Questo vuol dire che, pur essendo furiosa con James, io resterò alla festa.

-E perché?

Nei suoi occhi chiari baluginò un attimo di incertezza.

-Perché sarebbe poco carino che “Lily” non fosse presente al “Lily’s Day”, non ti pare?

E salì in fretta su per le scale del dormitorio femminile.

Non era da Lily andarsene dalla sua stessa festa.

Non perché era stato lui ad organizzarla.

Ma perché è una cosa che non si fa.

Chiunque te la organizzi.

Che tu la voglia o no.

Andartene da una festa che qualcuno ti ha organizzato è come non prendere un regalo. Renderlo dicendo “non mi piace”. Anche se ti fa schifo devi prenderlo e sorridere. E se ti dicono “te lo cambio se non ti piace” devi rispondere che, no, ti “piace da morire”. E qui è uguale.

Ma Lily Evans lo sapeva. Di certo lo sapeva.

Non poteva essere che se ne stava andando dalla festa che lui le aveva così faticosamente organizzato.

James scese dal suo palco improvvisato e la seguì. Non poteva salire nel dormitorio. Si appoggiò al muro a guardare le lunghe scale srotolarsi verso l’alto.

Avrebbe atteso.

Anche se avesse dovuto aspettarla per sempre.

Lui l’avrebbe fatto.

Era una questione di principio.

Non si abbandona MAI una festa organizzata da James Potter.

Specie se l’ha organizzata per te.

Okay. No. Okay? No.

5 minuti.

Okay? No. Fa schifo. Okay? No.

Lanciò nel baule la gonna.

Le facevano schifo le gonne.

Le doveva mettere tutti i giorni. Non voleva mettere la gonna al suo compleanno.

Chi ha deciso che le ragazze mettano la gonna? Un uomo di sicuro. Per loro è facile. Vedono le nostre gambe senza sopportare la scomodità di questo capo d’abbigliamento.

Jeans. Quant’era che non metteva dei jeans?

Ora la maglietta.

Frugò nel baule.

Troppo leggera.

Troppo pesante.

Troppo lunga.

Troppo corta.

Perché era così indecisa? Da quando ci metteva così tanto solo a scegliere cosa mettere? E perché poi?

È perché è la mia festa. Voglio fare un bell’effetto alla mia festa.

E allora perché non ne era poi così sicura?

Ma Lily Evans non era scappata dalla sua festa di compleanno. Ora scendeva le scale e sulle labbra, truccate, aveva un leggero sorriso. Falso forse. Ma pur sempre un sorriso. Aveva dei jeans aderenti, che si aprivano un po’ sul fondo, una maglietta bianca, leggera, che le cadeva giù morbidamente, lasciando scoperta una spalla. Sotto si intravedeva una magliettina più pesante, forse una canottiera, sempre dal colore chiaro. Gli occhi di James caddero sui suoi seni, che affioravano leggermente dalla stoffa. James rise.

-Che collana hai messo? Sembrano delle palline rosse di Natale.

Le cadeva sul petto, dopo aver fatto un paio di giri intorno al suo collo sottile e bianco.

I capelli, legati in una coda morbida e pinzati sul capo, le contornavano il viso dolcemente. Sembrava che si fosse infilata le prime cose che avesse trovato nell’armadio di una babbana qualunque, ma James sapeva perfettamente che ogni singolo elemento del suo abbigliamento era studiato.

Sulle labbra luccicanti di rosso brillava un timido ghigno, più dolce dei suoi soliti sorrisi, specie se rivolti a lui. E i suoi occhioni verdi, circondati da uno spesso tratto di matita nera, non guizzavano in giro, inquieti: erano fissi su di lui, con quel loro sguardo crudo, forte, acuto.

-Potter.- Fece, scendendo l’ultimo scalino.

-Dov’è finito il “James” che mi faceva tanto piacere?

-Insieme alla serata tranquilla che ti avevo supplicato di lasciarmi trascorrere.

Lui annuì. –Colpito e affondato. Però ti sei fatta carina. Stai bene senza divisa.

Era un po’ più alta. Guardò. Indossava un paio di scarpe rosse, con un po’ di tacco.

-Mi sono messa qualcosa che non mi facesse sentire l’unica vestita da scolaretta deficiente alla mia festa.

-E ci stai restando, alla tua festa.

-Si chiama educazione.

-E sorridi.

-Si chiama buon senso. Se facessi vedere a tutti che sono di cattivo umore farebbero domande.

-e tu non potresti rispondere?

-Non voglio raccontare a tutti i cazzi miei.

-Io non sono “tutti”?

-Tu sai che sono di cattivo umore, Potter. Me lo procuri te, il 97% delle volte.

-Vivrò per quel 3% di volte in cui la mia presenza non ti turba.

Lei gli lanciò uno sguardo scocciato.

-Ti dovrei parlare, Evans.

-Parla.

-Mi segui?

-Andiamo lontani dalla gente? IO E TE?- Quasi le veniva da ridere.

-Dai, Evans. Non ti mangio mica. Lo giuro.

-Non credo alle tue promesse.

-Ma questo è un giuramento.

-Non credo a niente di quello che dici. Meglio così?

-Ti prego…

-No.

-Lily, per piacere.

-Ma come, abbandoni il tuo urlante fan club per dirmi qualcosa?

-Non abbandonerei ma il mio fan club per qualcuno, no? Soprattutto quando si fa urlante. Quindi è importante.

Lily guardò la folla. Le orecchie le piangevano per il rumore.

-Andiamo. Ma solo perché qui c’è un sacco di rumore.

Lo seguì su per le scale del dormitorio maschile.

-Non voglio entrare in camera tua. Il tuo territorio è pericoloso per me.

-Andremo in una zona neutra allora.- Fece James, con un leggero e furbo sorriso sul viso.

-Sì, perfetto.

James entrò in una stanza a caso.

-Ecco. Va bene?

Lei annuì. Si sedette su un letto.

-Parla, dai.

James le si sedette di fianco. Lei indietreggiò.

-Dove vai Evans?

-Fuori dalla “portata di bacio”.

-Cosa?

-Siamo soli, su un letto, in una stanza, e le persone sono troppo lontane ed impegnate per sentirmi urlare. Voglio essere almeno a distanza di sicurezza.

James trattenne una risata. –Okay.

-Okay.

Sospirò. –Non sapevo che odiassi i compleanni.

-Cosa?

-Quando ho organizzato questa cosa. Non sapevo che non avresti apprezzato.

-Lo sapevi invece. Me ne hai organizzate tante ormai. Sai che non mi piacciono le tue idee. Mi hai fatto odiare tutte le festività dell’ultimo anno. Sapevi che non mi sarebbe piaciuto. Ma non ti interessa. Non davvero. Non di me. Non è davvero far colpo su di me che ti interessa. Ciò che ti interessa è fare colpo sulla folla.

-Solo se nella folla c’è una ragazza antipatica con i capelli rossi e che non mi sopporta.

-è pieno di ragazze antipatiche e con i capelli rossi.

-Ma non c’è molta gente che non mi sopporta.

-Sei solo un presuntuoso, Potter.

-Lo so. Me lo ricordi spesso, diciamo.

-Perché vuoi così disperatamente conquistarmi? Che ti importa? Ne hai tante al seguito. Scegli una di loro, e lasciami vivere.

-Oh, lo so. Di ragazze rosse e antipatiche ne posso trovare un sacco. Ma non è questo quello che mi piace di te.

-E cosa allora?

-Mi piace il fatto che sono io a non piacerti. Ti rende diversa dalle altre. Più divertente.

-Divertente?

-Sì. Divertente, Lily Evans. Divertente.

-Non sono divertente!

Rise. James abbozzò un sorriso imbarazzato.

Lei si alzò.

-Vai via?

-Torno alla mia festa.- Non riuscì ad arginare un velo di tristezza.

-Perché odi così tanto il tuo compleanno?

Lei si strinse nelle spalle. Gli dava la schiena.

-Avevo 10 anni. Ero eccitata come tutte le bambine che devono compiere gli anni. Mi sono alzata prestissimo, per andare dalla mia gemella a farle gli auguri. E mentre ero in corridoio ho sentito mia mamma piangere. Era morta mia nonna.

-Mi spiace.

-Non è tanto quello, capisci? Mia nonna era una donna anziana e malata. Stava tutto il giorno a casa, a ricordare i “suoi tempi”. Non la vedevo mai. Ma era l’idea. Che lei era morta, insomma. Quel mio compleanno passò, giustamente, in secondo piano. Stavo seduta sulla poltrona, le gambe che dondolavano giù senza toccare a terra, nel mio vestito rosa per il compleanno, ad aspettare che i parenti venissero a parlare del testamento e cose così. Mi facevano gli auguri, mi davano i regali. E io pensavo “mia nonna è morta.” E ho iniziato a fare tutti quei pensieri brutti che si fanno ai compleanni.

-Tipo?

-Tutto quello che non avevo ancora fatto. Quello che forse non avrei fatto mai.

-A 10 anni?

-Erano cose stupide, quell’anno. Ma più sono cresciuta, più sono state cose vere. Serie. Tristi.

-Che rimpianti hai quest’anno?

-L’amore. Non ho amato un ragazzo. Nemmeno uno. Non ne sono stata capace.

Silenzio. Tra loro si stese un leggero, colmo, vulnerabile silenzio.

Lily si mise una mano nei capelli. –Non so perché ti sto dicendo queste cose.

-Io che sono “tutti”. Io che sono Potter. Io che sono egocentrico, bastardo, sleale…

-Già. Tu.

-Volevo davvero che tu fossi felice oggi.

-Perché?

-Volevo farti un regalo carino. Ma non mi veniva in mente nulla. Così ho pensato alla festa. Non è stato un successo. Era meglio un bigliettino d’auguri.

Lily si strinse ancora nelle spalle.

-Va bene così. Non potevi sapere.

-Ora mi difendi?

-No. Sono solo obbiettiva. Non potevi sapere che non mi piace festeggiare. Hai ragione quando dici che sono un mostro. Sono strana. Ne ho di stranezze. Tante. Troppe.

-Sei solo diversa. Non è una colpa.

Lily rise. –Siamo patetici.

Si voltò. Lui le sorrise.

-Sì, patetici. Ci insultiamo e poi ci difendiamo. Non ha senso.

-No, non ne ha.

Silenzio, ancora una volta. Ovattato e debole. Fragile e teso.

James la guardava. Checcarina checcarina checcarina.

Avrebbe voluto aggredire quelle labbra gonfie e sole. Avrebbe voluto vederle sorridere per lui. Voleva sentire quel corpicino tra le sue mani. Avrebbe voluto sentirla ancora mentre lo difendeva da se stesso. Checcarina.

Lily era spaventata.

Perché, perché, era lì con James Potter e non stavano litigando?

Perché improvvisamente si sentiva a suo agio con lui?

Cosa diavolo stava combinando il suo cuore, così follemente in iperventilazione sotto lo sguardo di James Potter?

-Cosa sta succedendo?- chiese.

-Non lo so.- Fece piano James.

Represse un ghigno di soddisfazione.

-Non stiamo litigando.

-No, è vero. Vuoi iniziare?

Lei rise. -Se ci tieni. Se no potremmo fare una piccola tregua.

-Ma come Evans? Io ti organizzo una festa di compleanno, e tu odi i compleanni, e tu mi concedi una tregua?- fece, ironico.

-Se vuoi litighiamo.

-No, non ne ho voglia.- sorrise.

Lily indietreggiò appena.

-Distanza di sicurezza.

-Giusto.

Lontano, le musiche della festa si facevano sempre più forti.

-Ma non pensi mai che magari l’anno che inizi può essere più bello di quello passato?- chiese James.

-Vorrei farlo. Certo che ci penso. Ma poi non ci credo.

James annuì. –Non lo sai, Lily? Non è che le cose belle cadono dal cielo. Devi farle arrivare.

-Io ci provo.

-Forse non abbastanza. Concentrati su qualcosa di bello che vorresti per questi 16 anni?

Voleva un ragazzo, ecco cosa voleva. Qualcuno che la baciasse. La facesse ridere. LA facesse stare bene. La rendesse felice, tranquilla, la proteggesse. Qualcuno con cui scherzare e dividere un gelato. Qualcuno da accarezzare. Una mano da cercare nella folla. Piccole cose che non erano poi così impossibili da avere, e che eppure lei non aveva mai avuto.

-…Sono certo che riuscirai ad ottenere quello che desideri.

-Come fai a dirlo?

-Sono James Potter, dimentichi? Io ho fiuto per le cose belle.

Lily rise. –Se lo dici tu… ora torniamo giù… o la gente inizierà a fare congetture…

-Su di noi?

Lei annuì.

-Nessuno ci crede più, Evans. Nessuno.

-Hanno aperto gli occhi. Tra noi non ci può essere qualcosa.

Si voltò e si avviò alla porta.

–Allora perché sei qui?

Lei si girò verso di lui.

James le aveva preso un polso.

Sorrideva.

E non c’era presunzione, non c’era ironia, non c’era quell’aria così dannatamente da Potter che lei odiava, sul suo viso. Nei suoi occhi aleggiava solo un velo di innocenza. Sul suo sorriso, una strana e dolorosa sincerità.

James aspettò. Voleva sentirla parlare. Essere certo che non si sarebbe spostata.

La sua bellezza lo feriva. Era troppa, troppo incontenibile. La grazia nel suo sguardo aveva un che di cruento. E l’orgoglio che le disegnava il sorriso, lo rendeva insicuro come non si era mai sentito prima.

-Non ho mai dato un primo bacio.

-Per questo si chiama “primo” bacio, non ti pare? Perché non ce n’è stato uno prima.

Lei si ritrasse, scocciata. –Devi sempre sfottere?

James la riafferrò. –Scusami.

Lily sorrise. James Potter che si scusava? Ora le aveva proprio sentite tutte.

-James, io…- scosse il capo.

Voleva che fosse chiaro che quel “primo” bacio non intendeva darlo a lui, a Potter, a quello che la faceva sempre stare da cane. Non voleva associare a lui, in futuro, un ricordo che avrebbe dovuto, invece, essere splendido.

-Ho pensato, Lily, che forse potrei aiutarti a fare di questi 16 anni un’età che ti piaccia, che ti faccia divertire, per lo meno.

-E se non sarà così?

-Allora ritenteremo con i 17…

Lily si lasciò sfuggire una risatina, e lui le mise una mano sul collo.

Le accarezzò la guancia.

-è bello vivere il 3% dei casi in cui non ti do fastidio… anche se non avrei mai scommesso che sarei riuscito a sfruttarli per… per…- Aveva paura di dire quella parola. “Per baciarti”. Così restò sospesa nell’aria, debole come un profumo, forte come la verità. In attesa.

Le sfiorò il naso con il suo. Era piccolo e gelato.

Lily chiuse gli occhi. Aveva un po’ di paura. Sentiva il suo cuore battere forte. Anche quello di James faceva tanto baccano? Non capiva se lo stava facendo davvero. Si stava per far baciare da lui? Provò un po’ di vergogna verso se stessa. E anche un po’ di compassione. Come aveva fatto a non capire prima?

James si sentiva come se anche lui stesse per dare il suo primo bacio.

Era emozionato come un bambino. Felice.

-Tanti auguri, Lily Evans…

In quel momento, lei era dolce quanto guerriera. E le sue labbra sorridevano. Sorridevano per lui, mentre si lasciavano accarezzare dal suo tocco.

Lily gli mise le dita nei capelli. Si abbandonò tra le sue braccia. Sentiva la rabbia, la frustrazione, l’imbarazzo, che aveva sempre provato in presenza di James, sciogliersi nel suo petto, mentre un nuovo qualcosa prendeva forma dentro di lei.

Emozione. Allegria. Eccitazione. Forza.

E decise che le piaceva da matti avere 16 anni.

  
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