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Autore: Sheriarty    06/08/2012    0 recensioni
“Accanto al demone dalle ali sfinite stava un angelo, le ali bianche piumate spiegate a coprirlo, a proteggerlo dal mondo, a ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto solo ora che lui non poteva più sentirlo.
A proteggerlo dal mondo, perché è questo quello a cui è stato destinato.”
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Sherlock Holmes
Note: Nonsense | Avvertimenti: Spoiler!
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Piano A - #2. La Fuga
 

Autore: LivingTheDream

Titolo: The edge of the run

Personaggi/Pairing: John Watson/Sherlock Holmes

Wordcount: 1347 (fiumidiparole)

Rating: G, non ci credo

Warnings: Follia dilagante

Riassunto: “Accanto al demone dalle ali sfinite stava un angelo, le ali bianche piumate spiegate a coprirlo, a proteggerlo dal mondo, a ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto solo ora che lui non poteva più sentirlo.

A proteggerlo dal mondo, perché è questo quello a cui è stato destinato.”

Note: Mi auto-cito: non so quale delle dee a cui ho sacrificato una ciocca di capelli ha deciso di aiutarmi e di farmi cogliere da ispirazione fulminea (o fulminante?). Ma probabilmente l'aMMoreH va tutto al -iarty di questo Sheriarty, a cui passo la patata bollente il testimone. Buon lavoro, donnaH! *^*
Ah, ovviamente tutto ciò è ispirato al prompt #2 del piano A della torre dei cliché di clichéclash: la fuga!

Musica: Judas, Lady Gaga; Titanium, David Guetta & Sia. A piacere vostro, ma fidatevi: almeno una delle due dovete ascoltarla durante la lettura.

 

 

Accanto al demone dalle ali sfinite stava un angelo, le ali bianche piumate spiegate a coprirlo, a proteggerlo dal mondo, a ringraziarlo per tutto quello che aveva fatto solo ora che lui non poteva più sentirlo.

A proteggerlo dal mondo, perché è questo quello a cui è stato destinato.

 

 

Spalanca gli occhi in una radura desolata, non una casa in vista per chilometri, non una montagna, non un fiume, non un punto di riferimento che lo aiutasse a venirne fuori.

Eppure punta le mani sul terreno secco, muove qualche passo senza ancora essere totalmente in piedi, si raddrizza ed inizia a correre, perché è quello che sempre gli hanno insegnato, e quello a cui è destinato.

Inizia a correre senza neanche guardarsi indietro, senza controllare se chi o cosa lo sta inseguendo sia davvero dietro di lui, a fiutare il suo odore e dargli la caccia: registra a malapena delle voci di donne, di ragazze, voci come bambine, in lontananza, alle sue spalle, ad implorarlo lontano da lui, lontano da lui e quindi da ignorare senza pensarci neanche una volta, continuando a mettere un piede davanti all'altro e sentendo un brivido lungo la schiena ogni volta è a qualche centimetro dal terreno con entrambi i piedi – non sente il dolore, non sente la stanchezza, sente solo il vento e l'adrenalina, droga profonda, scorrere nelle vene e condannarlo per sempre.

Perde presto la cognizione del tempo, e continuando a correre sempre verso sud, fiducioso del fatto che da qualche parte arriverà, prima o poi, registra il paesaggio mutare e profonde trincee si aprono come ferite della terra a pochi metri da lui, costringendolo a saltare, a scivolarci dentro, a cadere e rialzarsi e cadere ancora e strisciare fino a ritrovare nuovamente un equilibrio e scappare, sempre scappare, il battito cardiaco già tamburo impazzito a dettare il ritmo della sua fuga.

Punta a testa bassa quella che in cuor suo sa essere l'ultima dannata trincea, e sembra quasi un toro, possente e fiero e non cattivo, sempre se non provocato. Si lancia a terra rotolando e vede il mondo sottosopra per un istante, prima di sentire uno sparo e rialzarsi e continuare a correre guardandosi intorno per capire chi abbia colpito cosa, e solo dopo si rende conto che le sue impronte sul terreno secco sono macchiate di sangue, ma lui non si è mai fermato e non ha certo intenzione di farlo ora per un graffietto, anche se fa male quindi continua, corre, destra sinistra destra sinistra, anche se la gamba fa male e la spalla non collabora, vai avanti e scappa, perché questo è quello che sempre ti hanno insegnato, e questo quello a cui sei destinato.

Continua a correre come se volesse liberarsi delle proprie gambe e volare via, invece basta che si abbassi a contemplare il movimento infinito e sempre uguale a se stesso dei propri piedi per qualche istante che, rialzando la testa, strade dai palazzi sempre troppo alti per lui lo hanno inghiottito, e non può fare altro che continuare a correre, solo, non una voce intorno, lungo strade troppo larghe e troppo solide per una persona sola, e il paesaggio desolato gli entra nel cuore, nel cervello, nello stomaco, ed inizia a domandarsi da cosa sta scappando, perché sta scappando, se non è tutto un bluff e in realtà non è questa la soluzione, e tutto quel peso gli rallenta le gambe e lo fa ansimare.

Non riesce a fermarsi, però, perché?

Delle ali – nere come la pece, scheletriche di pipistrello o di drago, tanto sottili quasi trasparenti – fanno librare in aria un essere che John non aveva mai visto prima – un angelo – un demone – e per la prima volta si sente chiamare: John, e John si ricorda di avercelo, un nome, John, di non essere solo un numero, ma di essere John, di avere un colore di capelli, e gli occhi di una determinata sfumatura, e delle passioni, e di amare delle cose, di amare delle persone, di amare dei dettagli che prima, impegnato a correre, non aveva notato. Il demone lo fa tornare a correre senza nemmeno andare per gradi, gli tiene la mano continuando a volare sempre un po' troppo veloce, come se lo volesse tirare via con se ma John è troppo pesante e se lo tiene a terra, ma sente di poter continuare a correre e di poter continuare a scappare, stringendo quello strano essere e sentendo altre voci – poche ma gentili – che gli rendono la corsa tranquilla ed il dolore ovattato, lontano da lui e quindi da ignorare, sempre.

Si lascia trasportare da quella inaspettata dolcezza verso una galleria buia stretta, e continuando a correre veloce vede i fori sul soffitto che lasciano filtrare luce pallida e bianca che lui sa essere ferma come poche altre cose al mondo ma che lui vede ad intermittenza, come un flash continuamente puntato su di lui, come se ad un certo punto a qualcuno importasse di lui, come se ad un certo punto lui esistesse.

Tira vento, alle sue spalle.

Continua a correre, corre sempre, corre veloce e corre tra pareti di sangue e urla di terrore, corre tra bambini tremanti e tra cadaveri ammassati lungo le pareti, leggero e libero, continua a correre anche quando il demone scompare nel buio a cui assomiglia tanto, eppure John non ha paura perché non scompare il senso di protezione che gli donano le sue ali, non scompare la stretta intorno alla sua mano, non scompaiono un paio di punti di luce che da qualche parte, lo sa, lo stanno guardando. Se li sente tra i capelli.

Scappa perché questo è quello che a quanto pare quel demone si aspetta, e questo quello a cui è destinato. Scappa dai malintesi, scappa da un paio di biglie nere che sa che contengono un buco nero che lo vuole risucchiare e che rotolano sempre più veloci verso di lui, come se tutto fosse una discesa, ed infatti lo è, nota John, stanno scendendo, in qualche modo, da qualche parte. Scappa anche se iniziano ad apparire oasi meravigliose e donne bellissime, scappa perché sente distintamente qualcosa ringhiare dietro di lui – dietro di loro – mentre il demone rallenta e per un po' è John a tirarlo avanti e questo lo fa sentire importante e utile, scappa perché anche se nel tunnel non filtra più nemmeno un quadrato di luce lui riesce a vederne la fine, a sentirla, ad avvertire che qualcosa sta per cambiare finalmente ed una volta per tutte, magari potrà smettere di correre, magari potrà fermarsi a riposare, magari potrà.

Ma il demone gli lascia la mano, e a John manca il respiro.

Si volta per la prima volta dietro di lui e anche le mani gentili che gli sollevavano i piedi non procedono, e quelle ali sono sparite: quando si volta di nuovo la luce del sole lo abbaglia: inciampa, cade, rotola, scivola lungo un pavimento di cemento ruvido e il vento non tira più, lasciandogli la pelle graffiata bruciare al sole.

Rotola fino a sentirsi mancare il pavimento sotto il corpo, si appende non sa nemmeno dove, apre gli occhi. Palazzi, attorno a lui. Gli fa male tutto. Si tira su e si trascina la gamba che da quello sparo non muove più come dovrebbe. Va in avanti. Spalle verso sud e verso il vuoto. Si volta. Faccia verso il sud e verso il vuoto. Il sole sorge alla sua sinistra. Raggiunge il bordo: un cornicione: si affaccia. Artiglia le mani al bordo e sporge la testa fuori.

La terra c'è, ma è lontana. Una fine c'è, ma è definitiva. Il suo demone, angelo personale, c'è.

Ma in posizione fetale su quel terreno profondo, le ali magnifiche distese attorno al suo corpo come un qualcosa di sfinito e sarebbe uno spettacolo stupendo se non fosse devastante.

Si volta, e gli occhi neri gli sono dietro.

Allora finalmente capisce e anche la sua mente smette di correre, guarda quel buco nero negli occhi. John si lascia cadere all'indietro.

L'impatto con il terreno è doloroso ma giusto, perché è questo quello che sempre aveva atteso, e questo quello a cui è destinato.

 

   
 
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