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Autore: MyImmortal_    06/08/2012    14 recensioni
Questa storia è il seguito di "I Can Love You More Than This".
Dopo l'affondo del Titanic, Harry si è rifatto una vita a New York assieme al giovane marinaio William Lowe.
Harry Styles è morto, esiste solo Harry James Tomlinson per chiunque.
Ogni giorno, il ragazzo ricorda Niall, Zayn e Louis, i tre ragazzi che ha perso sulla nave.
Ma non sa, che presto accadrà qualcosa di speciale...
***
Una volta affiancata mi resi conto che fosse un ragazzo. Galleggiava su un pezzo di legno, chissà da quanto era in acqua.
–Ragazzi una cima, presto!-, esclamai, lasciando i binocoli sul bordo della barca.
***
-Piccolo, tutto bene?-, chiese il mio ragazzo, sedendosi su di un divano del salotto accanto a me.
–Si amore, tutto bene!-, lo rassicurai, sorridendogli.
°°°°°°°
Chi ha letto la precedente storia capirà ;)
Spero vi incuriosisca!
Kikka
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Niall Horan, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'They Don't Know About Us'
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Stan
Era passato tanto tempo. Cinque mesi, per l’esattezza, da quando avevo trovato Andrew.
Beh, almeno così credevo si chiamasse…
 
FLASHBACK
 
-Allora, che è successo?-, domandò Matt, una volta che li ebbi raggiunti.
-Deve aver preso i sensi ed essere rimasto per tanto tempo in acqua. Credo fosse preda dell’ipotermia oramai.
Ha aperto un attimo gli occhi, era tanto spaventato.
Gli ho detto di riposare e che al suo risveglio avremmo chiarito tutto.-, spiegai, sedendomi su di una cassa in legno.
–E come si chiama?-, domandò Steve, sceso in quel momento dalla postazione del timoniere.
–Non lo so, non me lo ha detto. Aveva lo sguardo smarrito…-, risposi, fissando un punto indefinito del ponte sotto di noi.
Era vero, era tanto spaventato e dall’aspetto sembrava un cucciolo indifeso. Cucciolo,
sarà stato di un anno o due più grande di me! Chissà come era finito in acqua…
E soprattutto com’era arrivato fino a lì, a galleggiare per miracolo nelle acque irlandesi.
Io e i ragazzi eravamo lì di passaggio. La pesca si diceva portasse ottimi risultati in quella zona.
–Ehi?? Stan, ci sei?-, mi riportò alla realtà Mike, schioccandomi le dita davanti agli occhi.
–Eh? Si scusa, stavo pensando…-, mi ridestai, scrollando appena il capo.
–Io e i ragazzi pensavamo che sarebbe meglio tornare a casa. Il ragazzo avrà bisogno di cure serie,
ed una barca non può di certo offrirgliele, che ne dici?-, spiegò, guardandomi con gli occhi verde prato.
Annuii da subito, convintissimo. –Perfetto. Lo terrò a casa mia, a Doncaster.
Non dovete preoccuparvi.-, li rassicurai. Steve riprese posto al timone ed invertì la rotta,
tornando verso l’Inghilterra. Mi sarei preso cura io di lui. Assolutamente sì.
C’era qualcosa in lui che mi aveva colpito profondamente. Gli occhi probabilmente.
Non avevo mai visto un azzurro così intenso prima d’ora. Certo, anche Jack aveva gli occhi chiari,
ma non si potevano paragonare le due tonalità di azzurro. Proprio per niente!!
Me ne tornai sotto coperta, a vedere come stesse. Era ancora lì, addormentato profondamente,
il colorito del volto era nuovamente brillante e le braccia fuori dal lenzuolo,
probabilmente a causa delle borse. Perfetto, voleva dire che si stava scaldando.
Sorrisi inconsapevolmente, andando a radunare le mie cose. Dopo qualche ora giungemmo al porto di Southampton.
Mike e Matt mi aiutarono a caricare il ragazzo, ancora addormentato, su di un auto.
Grazie ai soldi ricavati da un recente furtarello pagai l’autista che ci portò fino a Doncaster.
Una volta lì, aggiunsi una tassa per avergli chiesto di aiutarmi a portare il giovane nella mia camera da letto,
e lo lasciai andare via. Dopo che se ne fu andato mi diressi nella camera. Lui era come lo avevo lasciato,
sotto le coperte, a dormire beatamente, come un bambino. Sorrisi e chiusi la porta, scendendo al piano di sotto.
Era mezzogiorno passato ed avevo un certo languorino allo stomaco. Così misi a cuocere del bacon e delle uova,
da consumare come pasto. Mia madre era ancora al lavoro da quanto avevo potuto constatare. Chi sono io?
Già. Stanley, detto Stan, Evans. Diciotto anni, figlio unico, di Doncaster sin dalla nascita.
Mio padre è morto da tre anni e vivo da solo con mia madre. Non mi è mai importato molto della gente là fuori,
dei ricconi. Sono tutti spocchiosi a parer mio. L’odore di bruciato mi fece tornare alla realtà.
Mi affrettai a togliere il mio pasto, oramai mezzo bruciacchiato, dal fuoco e lo misi su di un piatto,
sedendomi al tavolo. Presi il giornale, lasciato lì vicino da mia madre probabilmente, masticando un boccone di uova.
Per poco non mi andò di traverso non appena vidi la prima pagina.
“Il transatlantico più grande del mondo, il Titanic, affondato alle 2:20 di questa notte, nel centro dell’Oceano Pacifico”.
Aprii di scatto il giornale, prendendo a leggere i diversi articoli sull’accaduto.
“Il transatlantico Titanic, comandato dal capitano Edward John Smith aveva intrapreso il viaggio,
che equivaleva alla sua prima traversata, verso New York City esattamente quattro giorni fa,
partendo dal porto di Southampton. La nave, costruita in Irlanda, ospitava 2.200 passeggeri,
divisi in prima, seconda e terza classe. Nel tragitto verso il porto di New York la nave è
entrata in rotta di collisione con un iceberg non avvistato per tempo. L’impatto è stato
inevitabile ed ha causato da subito gravi danni. L’allagamento dei locali caldaia e lo spegnimento dei motori.
Le operazione di soccorso sono iniziate subito, ma a causa della mancanza di sufficienti scialuppe,
la maggior parte delle persone è finita nelle gelide acque dell’Atlantico, morendo assiderata in poco tempo.
Solo sei persone sono state estratte vive dall’acqua. I commissariati di polizia apriranno un’inchiesta sull’accaduto,
facendo causa alla White Star Line sulla questione delle scialuppe. Intanto,
l’Inghilterra porge le più profonde condoglianze ai parenti di tutti i passeggeri deceduti,
sperando che venga fatta giustizia al più presto”.
Wow. L’avevo visto, il Titanic.
Ero nelle zone del porto quando è partito. Non riuscivo ancora a credere che fosse andato a fondo
come una barchettina da quattro soldi. Girai ancora pagina.
“I sei superstiti estratti dall’acqua. Si tratta di quattro donne, un uomo ed un ragazzo.
Le donne, sono rispettivamente Ellen Mary Phillips, Lillian Gertrud Asplund,
Madeleine Talmage e Mary Graham Carmichael. Le prime tre di prima mentre l’ultima di terza classe.
L’uomo è Joseph Laroce, un passeggero di colore, di terza classe. Infine, il ragazzo,
è Harry James Tomlinson, un giovane di terza classe anche lui.
Molti sostengono che assomigli al figlio della famiglia Styles, Harold Edward Milward Styles,
ma gli abiti trasandati con cui è stato ritrovato non lo rendono credibile.
Del giovane Styles non sono ancora state trovate tracce, né del cugino Niall James Horan,
mentre la madre di Harold, Anne Cox Styles, alberga in un piccolo Hotel di New York, disperata per le sorti del figlio.
I sei sono stati estratti dal marinaio William Lowe, l’unico che sua tornato indietro alla ricerca di superstiti”.
Sbattei più volte gli occhi, confuso. Che scandalo. Che schifo. La gente ricca se ne frega di quelli poveri.
Forse il ragazzo era un naufrago del Titanic… Ma avevano detto che erano tutti morti quelli in acqua.
Bah. Una volta sveglio glielo avrei chiesto. –Stan! Cosa ci fai già a casa?-, chiese una voce famigliare alle mie spalle,
facendomi sobbalzare dallo spavento. Mia madre venne di corsa ad abbracciarmi,
probabilmente felice che fossi tornato prima del previsto. –Mamma, così mi soffochi!-, borbottai,
picchiettandole su di una spalla con un dito. Lei mi lasciò andare, baciandomi la fronte.
–Scusa, è che è una sorpresa! Non ti aspettavo così presto! Hai mangiato vero? E i ragazzi?
Che ci fate già di ritorno? Racconta!-, esclamò, lasciando la borsa sul divano e sedendosi a tavola, accanto a me.
–Calmati mamma. Innanzitutto, lo hai letto?-, attaccai, porgendole il quotidiano.
Lei sgranò gli occhi e portò una mano alla bocca, trattenendo il respiro. –Ho sentito che ne parlavano sul lavoro,
ma non ne ero sicura fosse successo davvero! Tutte quelle povere persone…-, mormorò, gli occhi improvvisamente lucidi.
Mia madre era una brava donna, molto dolce ed altruista. –Già.
E questo credo c’entri con il motivo per cui sono tornato…-, iniziai piano. Mi guardò interrogativa.
–Vedi, nelle zone dell’Irlanda, abbiamo trovato un ragazzo in mare. Galleggiava su un pezzo di legno.
Lo abbiamo issato a bordo ed abbiamo fatto ritorno per farlo curare.-, spiegai con calma.
Lei portò una mano al cuore, esclamando
–Oh mio Dio! E pensi sia un superstite del Titanic?-. –Non ne sono sicuro,
ma a questo punto qualunque cosa è possibile…-, risposi. –Oh tesoro… E lui? Dove lo avete portato?
Sta bene?!-, domandò a raffica.
–Non sapevo dove portarlo così è su in camera mia. Ehi, mamma torna qui! Sta dormendo!-, risposi,
seguendo mia madre che era scattata su per le scale.
La raggiunsi trovandola sulla porta della mia stanza a guardare dentro, gli occhi di nuovo lucidi.
–Guardalo…se è vero che viene dal Titanic ti rendi conto che odissea ha passato? Povero caro…-, mormorò,
entrando lentamente in camera. Si sedette a bordo letto, di fianco al giovane e lo osservò.
–E’ proprio carino…-, sussurrò, accarezzandogli dolcemente i capelli. Come temevo, lui si svegliò,
aprendo lentamente gli occhi e rivelando così quelle due gemme azzurre incastonate al loro interno.
Si portò una mano alla testa, alzandosi a sedere, guardandosi intorno confuso. –Cosa è successo?-,
farfugliò più a se stesso che a noi. Spostò gli occhi su me e mamma, chiedendo –E voi chi siete?-.
–Io sono Marie e questo è mio figlio Stan…-, rispose prontamente mia madre, sorridendo dolcemente.
Mi avvicinai, chinandomi sul piccolo comodino a lato del letto.
-E dove siamo?-, domandò ancora. –Sei a casa nostra, nella città di Doncaster. Inghilterra.-, dissi io questa volta.
Mi guardò un attimo e sorrisi appena. –Cosa mi è successo?-, chiese poco dopo. –Non ti ricordi?
Mio figlio ti ha salvato con i suoi amici dall’acqua. Come ci sei finito lì, tesoro?-, fece mia madre,
adagiando una mano su quella del ragazzo. Lui sembrò rifletterci un attimo, per poi scuotere il capo.
–No, mi spiace. Non…non ricordo.-, rispose piano. –Tranquillo, non è importante ora. Qual è il tuo nome?-.
Mia madre lo stava tartassando di domande! Lui la guardò come fosse un marziano.
–Io…io non lo ricordo…-, farfugliò. Sgranai appena gli occhi. Questo cosa stava a significare?
Che aveva perso la memoria?? Oh, fantastico! –Non te lo ricordi proprio tesoro?
Neanche sforzandoti?-, provò ancora mamma. Lui scosse convulsamente il capo.
–No…no! non lo ricordo, no mi ricordo niente!-, esclamò prendendosi i capelli tra le mani, in un gesto di disperazione.
–Ehi, ehi, ehi, stai tranquillo…-, lo rassicurai, sedendomi al suo fianco e stringendolo in un abbraccio.
Non era normale che facessi così, ma quel ragazzo mi aveva colpito. Lui pianse sulla mia spalla,
probabilmente sconvolto dalla scoperta appena fatta. Beh, anche io non sarei stato molto felice
di scoprire che tutto ciò che rappresentava la mia vita era svanito nel nulla! Mia madre mi lanciò un’occhiata d’intesa,
per poi alzarsi ed andarsene. Io lasciai sfogare il giovane per un bel po’ di tempo, il cuore che si stringeva ad ogni singhiozzo.
Il volto perfetto rigato dalle lacrime era una cosa sconvolgente. Non doveva più piangere, me lo ripromisi mentalmente,
mentre si allontanava e si asciugava gli occhi. –Grazie…Stan…-, mormorò timido, abbassando lo sguardo.
Sorrisi. Era tenerissimo in quel momento. –Figurati! Allora, iniziamo trovandoti un nome. Mmm…John,
che ne pensi?-, proposi. Lui scosse il capo, leggermente schifato. –Ok, no. Jason? Jackson? Tom??-, tentai ancora,
ricevendo sempre e solo segni di diniego.
–Uff… che ne dici di…Andrew?-, tentai infine. Il suo sguardo si illuminò. –Si! mi piace!-, esclamò sorridendo,
divenendo ancora più bello ai miei occhi. –Allora benvenuto, Andrew!-, dissi, porgendogli la mano,
che prontamente strinse.
 
 
FINE FLASHBACK
 
Sorrisi, ripensandoci. Era iniziato tutto così, lui era Andrew Evans, mio fratello,
ma poco dopo avevo iniziato a sentire qualcosa per lui, fino a che non capii fosse amore.
Mia madre l’ha preso bene il fatto che fossi gay ed anche Andrew non mi aveva respinto. Anzi, ora vivevamo assieme.
Certo, andavamo molto spesso da mamma, ma avevamo anche una casetta tutta per noi. –Stan che hai?
Perché sorridi come un ebete?-. La sua voce celestiale mi riportò alla realtà. Mi voltai e lo vidi avvicinarsi,
sorridendo. –Stavo ripensando a quando ti ho incontrato…-, mormorai, mentre mi cingeva il collo con
le braccia ed io adagiavo le mie mani sulla sua vita. Il suo sorriso divenne ancora più ampio.
–Ah sì? Ma che cosa tenera!-, mi sfotté. –Gne gne gne!-, gli feci il verso, prima di baciarlo dolcemente.
Amavo baciarlo, lo avevo capito dal nostro primo bacio! Non potevo fare a meno delle sue labbra.
–Com’è andata? Il mal di testa è passato?-, domandai poi, accarezzandogli i capelli. Lui annuì,
rispondendo –Dormire mi ha fatto bene. Ma in sogno, mi sono tornate in mente delle strane immagini…-.
–Che tipo di immagini?-, chiesi cautamente. –C’è tanta, tanta acqua. E le urla della gente.
Inoltre vedo una sagoma, non ben definita, che è sempre con me. Poi mi sono svegliato…-, spiegò assorto.
Doveva essere un bene, voleva dire che la memoria gli stava tornando. Ma io non volevo.
Il recupero della memoria avrebbe voluto dire portarmelo via, e io non volevo.
–Stan? Che hai oggi??-, domandò ancora, preoccupato. Scossi il capo. –Niente. Vado a farmi una doccia,
ok Andy? Ci vediamo dopo!-. Gli scoccai un bacio sulle labbra e mi chiusi in bagno,
lasciando che le lacrime scorressero lungo le mie guance.
 
 

 
#angolo Kikka
Ed ecco il primo capitolo!
E’ un po’ bruttino, ma serve a far capire le cose un pochino meglio ^^
Grazie a chi ha recensito, messo la storia tra le ricordate e preferite!
Un bacio
Kikka

P.S. L'immagine ho provato a metterla,
ma il mio computer è smonco e mi da il quadrato con la X -.-"












 

  
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