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Autore: _Sherlock    07/08/2012    3 recensioni
Il delirio di molte: essere sole. Essere LE sole. A dire, fare o pensare qualsiasi cosa. Quel bisogno di sentirsi speciali, quale arroganza.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era iniziata per gioco. Era iniziata con calma. Nel mezzo dovevano stare anche un paio d’altri passaggi che aveva ormai archiviato, se mai li aveva conosciuti. Non lo ricorda. Ricorda però di aver cominciato con un sorso. Era andato giù bene, una vampata in gola e poi nulla. Allora ne aveva preso un altro, l’aveva fatta bruciare di nuovo, ma passava; passava sempre. Un altro, un altro e un altro ancora. Non li aveva contati, aveva azzardato di più, non avvertiva ormai neanche il graffiante bruciore dell’alcol. Era lucida, pensava. Era attenta, così attenta da captare il minimo cenno d’ubriachezza. Non voleva farsi del male, non era quel tipo di ragazza; di quelle che devono essere compatite, che vogliono essere compatite, che agognano attenzioni e premure, che si improvvisano vittime di un mondo che da sempre le tratta con i guanti. Lei era diversa. Era sempre stata gentile con se stessa, per quanto potesse detestarsi. Aveva imparato a convivere con il suo odio, a perdonarsi per essere così malriuscita e a convivere con quel disprezzo. Aveva imparato che l’autocommiserazione s’addiceva a persone deboli e stupide, e aveva imparato a dare importanza a ciò che realmente ne aveva. Sapeva che a quell’età il mondo non lo si conosce, non lo si comprende, non lo si sa affrontare; a quell’età il mondo lo affrontano gli altri per noi; e lei ringraziava. Era diversa.

Lo era davvero?

Era in strada, sognava. Non c’era altra spiegazione possibile: non ricordava neanche come ci fosse arrivata, in strada. Sognava volti che s’assomigliavano tutti, forse neanche li vedeva, i volti. Qualcuno le ordinava di aspettare, di non muoversi, e lei annuiva in risposta con sorprendente convinzione visto lo stato del suo delirio.

“Aspettami qui. “

Era di nuovo quella voce, ovattata e chiarissima al contempo, che le perforava i timpani fino a colpire il cervello, diretta come una freccia.

Aveva annuito ancora, lei, seccata nel non essere ritenuta convincente, come fosse una bambina. In verità, quella convinzione scaturiva dalla consapevolezza che non appena ‘la voce’ si fosse girata, per andare Dio sapeva dove, lei sarebbe crollata in terra, come stava facendo in quell’esatto istante, per l’appunto. La voce non voleva che lei cedesse, ma la testa le pesava così tanto… Che male poteva fare procurarsi un appoggio in più? In questo caso particolare, l’appoggio era un lampione. Un freddo e sporco lampione che in una serata di fine luglio brulicante di vita com’era quella in questione gettava una fioca luce giallastra su un quarto di un vicolo buio.

In qualche modo erano arrivate sul bordo di una fontana, lei e la voce. Davano le spalle a tre rampe di scale, gradini di marmo in frantumi. Non esattamente il posto migliore del mondo. Eccola! La consapevolezza. Un istante, sapeva sarebbe accaduto, aveva appena il tempo per chinarsi in avanti, tenere al sicuro i capelli, e buttar fuori tutto quel che poteva.

Maledetta sambuca. Respirava piano, timorosamente, per poi farsi via via più audace, raccogliendo tutta l’aria che poteva; le pareva d’essere appena tornata dal mondo dei morti, ma era troppo presto per tornare.

Si sentiva trascinare come si fa con un cadavere, o con un sacco di patate. Come si farebbe con qualcosa che una volontà propria non ce l’ha. Ma a lei che importava? Sognava. Il principio di totale mancanza del controllo sull'evolversi degli eventi era assolutamente lo stesso. Ma qual’era l’oscura ragione che la costringeva a barcollare, in quel sogno, piuttosto che a camminare come una qualunque persona normale? Non se ne preoccupava. Una volta sveglia non avrebbe avuto importanza, comunque. A malapena l’avrebbe ricordato.

Ed in effetti provando a ripercorrere i passi di quella notte ricordava poco o niente. C’era un momento; un unico, breve istante in cui tutto appariva con estrema nitidezza davanti ai suoi occhi. Poi era di nuovo buio e nebbia, nebbia che s’alzava dalla strada, che si materializzava nell’aria, dai muri, dalle luci dei lampioni ricurvi. Era come rispolverare ricordi lontani, troppo lontani per essere chiari, troppo sfocati per essere veri. Era accaduto davvero? L’aveva immaginato?

Era diversa, lei, ed era assolutamente identica a tutte le altre.
Erano tutte uguali, tutte convinte di essere uniche, tutte troppo piccole, in un mondo troppo grande. Troppo stupide e sprovvedute.

Tutte dedite a scavarsi la fossa da sole e a buttarcisi dentro, anche.
   
 
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