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Autore: La Mutaforma    08/08/2012    2 recensioni
"Tutti parlano di un tesoro prezioso.
Per me il tesoro più grande sarebbe correre di nuovo qui, con te. Il dolore di avervi perso mi inchioda a terra e non riesco a volare..."
Sui tetti di Firenze, resta solo il ricordo di quel terribile giorno in piazza.
[Dopo Petruccio, sentivo di dover scrivere qualcosa anche su Federico]
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ezio Auditore, Federico Auditore
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Bella, indomabile e ingannatrice.

Firenze era come una donna. La peggiore e la più bella che si fosse mai vista.

Ma quella metafora lo faceva sembrare troppo un donnaiolo o poco un uomo serio. 

Si accarezzò la cicatrice sul labbro e strinse gli occhi, ricacciando indietro un breve sospiro in ricordo di giorni volati via insieme alla polvere e al vento.

“E’ passato così tanto tempo, Federico”

 

Federico Auditore, primo erede di casa Auditore. Probabilmente il più meritevole, pensò con rammarico Ezio, chiedendosi perché il destino avesse salvato dalla forca lui e non suo fratello.

Caro Federico. Ci sarebbero così tante cose che vorrei dirti in questo momento. Non passa giorno in cui io non pensi con rimorso a tutto quello che ci hanno portato via.

Si acquattò come suo solito sulla punta più stabile del campanile, osservando tutta Firenze sotto di sé. Così dall’alto, tutto sembrava più bello, più puro.

Così in alto che non si vedeva tutto il male che gli aveva fatto.

Insieme avremmo potuto conquistare il mondo, quando correvamo sui tetti ci sentivamo i padroni di Firenze, senza sapere che sotto di noi stavano stipulando la nostra fine.

Federico era morto in piazza, e ancora gli sembrava di vederlo, mentre oscillava ad un capo della forca, col cappio stretto al collo.

Per quanto Uberto avesse pagato con la vita e anche i Pazzi ormai fossero stati uccisi, nulla sembrava placare il suo malessere, il ricordo di tempi belli che così lontani sembravano ancor più belli.

Senza di te mi sento debole.

Mi sento solo.

 

A volte guardava in alto, verso i tetti, e gli sembrava di rivederlo, suo fratello, che ancora correva e saltava sulle tegole.  

Ezio arrivava sempre primo. Federico lo negava con veemenza.

Lo aspettò, ora come allora, sulla punta del campanile, il solito posto. Lui lo aspettava sempre. E lo aspettò ancora come qualche anno prima, pochi giorni che tutto finisse.

O che tutto cominciasse.

È tutto così strano, fratello mio. Tutti parlano di un tesoro prezioso, ma io non capisco...

Sospirò, calandosi il cappuccio dietro le spalle e lasciando che il vento ricalcasse le pieghe del suo volto tuttavia ancora giovane, seppur segnato dall’orrore della morte e dal dolore che ogni Assassino deve portarsi dentro.

La brezza sembrò quasi riconoscerlo, e accarezzò il viso di quel figlio del vento nato senza le ali.

Adesso le ali ce le hai per davvero, Federico. 

 

Tutti parlano di un tesoro prezioso.

Per me il tesoro più grande sarebbe correre di nuovo qui, con te. Il dolore di avervi perso mi inchioda a terra e non riesco a volare.  

 

Si lasciò cadere dall’alto, e sembrava che il vento stesso lo portasse sulle sue ali e che lo accompagnasse nel cumulo di paglia sul carro di passaggio sotto di lui.

Sembrava così pericoloso, eppure la cosa non lo scosse minimamente, perso in chissà quali lontani ricordi.

 

E’ passato così tanto tempo, Federico.

 

 

 

In fondo, correre da soli era sempre stata una gran noia e la competizione addolciva ogni cosa.

Se fosse rimasto qualcosa da addolcire, adesso.

 

Restava il vento, che correva sulle tegole e sui comignoli. Ezio osservò le nuvole da lontano, e pensò che il tempo era stato crudele con Firenze.

Ogni volta che vi si trovava di passaggio, evitava accuratamente la sua vecchia casa anche con gli occhi, se avesse saputo dove fosse ubicata.

Era sempre straniero, a Firenze.

 

 

Il mio nome è Ezio Auditore del Mondo.

Sì, perché Firenze era stata ingiusta con il suo nome. 

 

   
 
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