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Autore: ellephedre    08/08/2012    6 recensioni
Rei Hino e Yuichiro Kumada come coppia. Questa sarà la raccolta dedicata a come questi due personaggi, dopo aver deciso di amarsi, imparano a conoscersi e a comprendersi, lentamente, sempre un poco di più.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rei/Rea, Yuichiro/Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Capitoli:
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E fummo noi


 

E fummo noi

 

Autore: ellephedre

 

Disclaimer: i personaggi di Sailor Moon non mi appartengono. I relativi diritti sono di proprietà di Naoko Takeuchi e della Toei Animation.

 


   

Episodio 5 - Mani

    

   

«Le giovani di questa sera stanno scalpitando dietro il palco, perciò non perdiamo altro tempo! Amici, ecco le vostre bellissimeeee... Happy girls!!»

La tenda argentata volò via in uno scintillio di luci, lasciando spazio alla discesa delle concorrenti.

Dieci ragazze in fila indiana andarono a formare un cerchio attorno al conduttore.

Tip-tap-tappete-tap, tap-tap-tipete-tap.

Ballavano al ritmo della sigla del programma, dimenando i fianchi, le braccia in aria come un branco di pavoni fieri. Roteando su se stesse, sfoderavano espressioni da bambolina e corpi seminudi, solo i bikini fluo a preservare un minimo di decoro.

Rei si ricordò la ragione per cui, in casa, non cenavamo mai prima delle otto: alle sette e mezza il salotto diventava il regno di Happy Girls, il preserale preferito di suo nonno.

«Vai!» canticchiava lui, ignorando il suo piatto di cibo e ballando a tempo con le ragazze. 

Che pena. Rei cercò la saliera: il riso era ben cotto, ma poco saporito. «Yu, passami il sale.»

Un secondo trascorse invano perché a quanto pareva pure il suo ragazzo stava osservando incantato la televisione. 

Lei gli rifilò un calcio sotto il tavolo. «Ehi!»

«Cosa-? Ah!» Lui fu lesto a riempirle le mani con la saliera. «Scusa.»

«Incredibile! Non basta il nonno a fare da maniaco in questa casa?»

«Hm? No, io guardavo la piscina dietro le ragazze! Il fumo, vedi?»

Lei si voltò a guardare. Lo schermo le rimandò l'immagine di una piscina termale a lato della scenografia, le acque di un azzurro tanto cristallino da aver conquistato persino la telecamera. «Mi prendi in giro? Dove sarebbe il fuoco?»

«Mi riferivo al vapore fumante della piscina. Mi fa invidia. Per un bagno così noi dobbiamo accendere la stufa, poi riscaldarla soffiando forte sul legno per alimentare la fiamma, altrimenti...» Yuichiro si rese conto di aver parlato troppo. «Non mi sto lamentando, maestro.»

Suo nonno aveva smesso di guardare la tv, gli occhietti d'aquila puntati su una preda grossa tre volte lui, ma intimorita.

«Quella stufa ha un passato glorioso, ragazzo! Prima che arrivassi tu. ero io a soffiarci dentro ogni volta. Ho più del doppio dei tuoi anni, ma dalla mia bocca non è mai uscito un 'ah' di protesta! I giovani d'oggi non riconoscono più il valore della fatica» bofonchiò.

Ovvero, della fatica di Yuichiro, pensò Rei. «Nonno, anche a me piacerebbe avere una stufa elettrica. Ma chiudiamo il discorso, non ho voglia di litigare mentre stiamo mangiando.»

Invece di zittirsi, suo nonno continuò a borbottare sotto voce.

Casa mia, questi ragazzi, bah.
   Bah, spettava dirlo a lei. Il nonno era un testardo. In futuro sarebbe riuscita a convincerlo che la casa stava diventando troppo vecchia, ma era una battaglia che avrebbe intrapreso a tempo debito. Anni fa aveva pensato ad un piano: appena fosse cresciuta abbastanza da trovarsi un lavoro, avrebbe minacciato di trasferirsi. Al nonno l'idea non sarebbe piaciuta, così, per farla restare, le avrebbe concesso un impianto di riscaldamento nuovo di zecca.

Le era parsa una strategia intelligente, ma oramai presentava due grosse falle.

Per prima cosa, il nonno avrebbe giudicato positivo che lei crescesse e facesse la sua vita, anche lontano da lui. Lo sentiva parlare sempre più spesso di come da giovane se ne fosse andato a scoprire il mondo, per diventare un adulto completo.

Inoltre Rei non poteva dimenticarsi di Yuichiro. Non erano più solo amici, avevano iniziato una relazione. Vivere sotto lo stesso tetto si era rivelato immensamente comodo: lo vedeva di mattina, poteva abbracciarlo quando tornava a casa, e la sera si ritagliavano un quarto d'ora insieme, al buio, per baciarsi fuori dalla sua stanza.

Sperava davvero di convincere suo nonno che sarebbe fuggita da quel piccolo paradiso? Poteva funzionare se diceva che Yuichiro si sarebbe trasferito con lei, ma a quel punto il nonno avrebbe frainteso le loro intenzioni e tornare indietro sarebbe stato impossibile. Lei non voleva davvero andare via dal tempio. Anche se... 

Fuori di casa avrebbe potuto godere di un bagno moderno - con le piastrelle rosa - e magari di un salotto arredato secondo il suo gusto personale. E di una vista con balcone? Purtroppo l'appartamento sarebbe stato piccolo, era un problema di tutte le abitazioni giapponesi. C'era da considerare anche Yuichiro, che non si sarebbe trovato bene in un posto privo di giardino.

Stava ignorando un enorme vantaggio: se lei e Yu avessero avuto una casa tutta loro, avrebbero potuto fare tutto quello che volevano, sia di giorno che di notte, senza preoccuparsi che il nonno fosse in agguato a controllarli. Magari Yuichiro si sarebbe... lasciato andare?

Voleva davvero abbandonare suo nonno per una questione del genere? Era un non-problema che si sarebbe risolto rapidamente da solo.

Un sospiro esaltato la mise sull'attenti.

Il nonno era balzato sul tavolo. «Quella ha perso il costume!»

Alla tv una delle concorrenti lanciò un gridolino e corse a sistemare il top del bikini, rossa in volto. La telecamera indugiò sulla sua scollatura e il presentatore scoppiò in una risata. Lo spettacolo era pietoso, degradante per qualunque donna.

Suo nonno si era stampato in faccia un'espressione indecente, mentre Yuichiro... La mascella le cascò a terra: lui stava guardando lo schermo a bocca aperta. 

Brutto-! Afferrò un bichiere e gli gettò tutto l'acqua dritto in quegli occhi da pervertito.

Lui affogò, colpì il tavolo con un ginocchio e dopo l'urlo di dolore saltò in piedi. «Cosa-?!»

«Sei un maniaco!»

Lui capì di essere finito dentro il vulcano acceso della sua ira. «Aspetta! Stavo solo-!»

Fissando le tette di quella lì! Si mosse per tirargli il collo e sentì bruciare ogni muscolo per lo sforzo di trattenersi. Se gli avesse messo le mani addosso non sarebbe riuscita a controllarsi. Lo avrebbe atterrato, schiacciato, schiaffeggiato, lo avrebbe...!

Schizzò fuori dal salotto, le risate alte di suo nonno che la seguivano in corridoio. 

«Rei!»

Quell'idiota del suo ex-ragazzo non aveva colto il messaggio, la stava seguendo. «Stammi lontano!»

«Ma io davvero non stavo-!»

«Risparmiartela!» Maniaco che non era altro!!

«Rei!»

La supplica non la commosse, erano solo trucchetti infimi.

Non aveva voglia di vederlo, di sentirlo, di sapere che esisteva! Voleva che evaporasse! «Sparisci!»

Arrivò alla sua stanza e sbatté la porta di lato, con tutta la forza che aveva. 

«Ascoltami! Mi dispiace, ma io...»

Oh, in quel momento dispiaceva a lei di avergli concesso anche solo un briciolo di attenzione! Gli aveva permesso di farla sentire una stupida!

«Tornatene di là! Sono così arrabbiata con te che ascoltarti mi fa salire la bile!»

La faceva fremere il solo sentirlo respirare convulsamente dietro la porta, alla ricerca di parole inutili.

Lui abbassò la voce. «Mi dispiace. Ma non perché... In realtà io...»

«Hai detto abbastanza! Ora va' via.» Non era nemmeno in grado di scusarsi a dovere, idiota che non era altro. Se si azzardava a buttarle addosso una giustificazione inesistente, lei avrebbe dato di matto! «Parlo sul serio! Non voglio sentirti dire nient'altro, vattene.»

Dietro la porta vi fu silenzio, un mutismo carico di parole che rifiutava la resa.

Ma lei era ferita.

Basta, per favore.

Era delusa, si sentiva ridicola. Si sentiva messa sullo stesso piano di un'oca senza cervello dentro un televisore. Che umiliazione.

Udì il suono di passi che prendevano la via del corridoio, in direzione della cucina.

Il suo cervello si rilassò.

«Scusa.»

Fu l'ultima cosa che udì da lui prima di essere lasciata in pace per il resto della notte, a stomaco vuoto.

Bella dieta.

  


  

Per il mattino seguente, si era calmata. Nella sua testa era stata siglata una tregua provvisoria tra due fazioni in lotta, entrambe armate di ordigni nucleari pronti al lancio. Incontrò Yuichiro a metà corridoio, prima di girare l'angolo. Lui era seduto per terra, la schiena appoggiata alla parete. L'aveva aspettata per non lasciarla andare a scuola di soppiatto.

Non mi abbasso a certi giochetti, pensò lei.

Lui scattò in piedi. Sotto gli occhi aveva due borse violacee che le strapparono un malcelato sorriso di soddisfazione.

«Rei.»

Si fermò a un paio di metri da lui, abbastanza vicina da affrontarlo, e distante a sufficienza da fargli capire che tra loro vi era uno spazio che era stato lui e solo lui a creare.

Yuichiro inspirò. Ebbe un improvviso momento di confusione, poi si inventò di sana pianta - probabilmente per la centesima volta - parole su cui aveva ragionato per tutta la notte. «Mi dispiace di averti fatto stare male. Ma ieri non significava niente. Non l'ho fatto apposta, ma cercherò di non farlo più.»

Cercherò?

Durante la notte, buttando da parte umiliazione e sentimenti personali, lei aveva ragionato innanzitutto sull'estrema inferiorità della condizione maschile: per istinto tutti gli uomini erano dei maiali, il gene della perversione era installato nel loro midollo. Come ragionamento non era servito a calmarla, ma aveva placato i suoi istinti omicidi più immediati. Nemmeno il migliore degli uomini era capace di distinguersi oltre una certa misura, perciò poteva farne a Yuichiro una colpa? Certo che sì, ma non abbastanza da morirne di rabbia e uccidere lui nel processo.

Se la sarebbe fatta passare. Aveva già un piano in mente. «Ho deciso quale sarà la tua punizione.»

Se fosse stato un cane, a Yuichiro si sarebbero rizzate le orecchie.

Lei gli girò intorno, sorpassandolo.

«Rei?»

«Scoprirai cosa intendo. Ora lasciami in pace, devo mangiare.»

Naturalmente fu una richiesta inutile. Senza perdersi un suo passo, Yu la seguì fino al tavolo della cucina. «Ti ho preparato del caffè.»

«Servimelo.»

Lui fu più che felice di adempiere alla richiesta mentre lei si sedeva soddisfatta.

Non avrebbe dimenticato presto, ma la sua vendetta sarebbe stata tanto lenta e perfetta da ripagarla di ogni momento di pena.

Yuichiro lo meritava. Forse la sera prima era stato solo sorpreso - in fondo si era voltata a guardare anche lei, la nudità aveva quell'effetto sulle persone.

Ma lui si azzardava davvero a interessarsi al corpo di un'altra - anche solo per un microsecondo - quando aveva accanto una ragazza meravigliosa a cui non aveva mai cercato di mettere le mani addosso? Nel senso più viscerale del termine, ovviamente.

Baci e abbracci tra loro non si potevano più contare, e alcuni baci erano stati davvero intensi e passionali, ma... Ma non avevano mai portato a niente.

Era normale che Yuichiro non avesse ancora cercato di toccarla in una maniera un pochino più... intima? Bastava il seno, diavolo.

Ormai stavano insieme da più di un mese. Lei non era tanto maniaca da volersi buttare a capofitto in una rotolata sotto le lenzuola, ma iniziare a intravedere di striscio l'esperienza l'avrebbe fatta sentire bene... Desiderata.

Era abbastanza bella da suscitare quel tipo di attenzioni, no? Naturale! Si faceva simili domande solo perché le era capitato un nonno maniaco che faceva notare al suo ragazzo altre donne nude.

Era tutta colpa del nonno e di Yuichiro.

Qualcuno doveva pagarla cara.

«Ehm...» Lui le mise davanti una tazza di caffè. Si era seduto al suo fianco. «Mi piacerebbe farti stare bene oggi. Chiedimi quello che vuoi. Qualunque cosa.»

Un aspetto positivo di quella faccenda? Avrebbe potuto trattarlo come suo schiavo per mesi e mesi. Si ricordò che non poteva accontentarsi di tanto poco, la faccenda era grave. «Preferisco la punizione.»

Lui ne fu così deluso che nei suoi occhi comparve persino un barlume di disapprovazione.

Con che coraggio? «Ehi! Dire che ieri ero arrabbiata è troppo poco.»

«Lo so. Mi sono già scusato con te. Mi dispiace, Rei. Mi dispiace.»

Le sue promesse avevano sempre un suono bello e sincero. Non bastava più; loro due avevano una relazione che era fatta di piccoli problemi da affrontare alla radice. «Ti sei chiesto perché mi sono infuriata tanto?»

Lui esitò. «A me non interessa nessun'altra. Guardo solo te in quel modo.»

Se avesse già messo in pratica quelle parole, lei non si sarebbe sentita tanto umiliata. «Sai... Io e te passiamo troppo tempo a stringerci le mani come bambini.»

Fu come se gli avesse detto che il sole era nero. «Non vuoi che ti tenga per mano?»

«No, ma per un po' potrai avere solo le mie mani. Ecco la punizione.» Terminò di bere il caffé e si alzò da tavola. Aveva appena fatto in tempo a voltarsi che Yu le afferrò il polso.

«Vuoi dire che...?»

Esatto, niente baci di saluto. Lui scostò la sedia con poca grazia e provò ad avvicinarsi, ma lei scosse la testa e gli strinse forte le nocche. Mosse le loro mani unite su e giù. «Ci salutiamo così.»

Inebetito, lui rimase a guardare le loro dita intrecciate. «Solo con la mano?»

 «Sì.»

«Posso toccarti solo la mano?»

A volte era proprio tonto. «Già.»

«Perché?»

Le scappò un sospiro. «Hai tutto il giorno per pensarci. Io devo andare a scuola.»

Lui non la lasciò andare e quello che vide non le piacque. «Sarà meglio che non pensi niente di questa punizione.» Soprattutto che era una cosa stupida, perché il vero stupido tra loro due era lui.

Yuichiro scosse debolmente la testa. Intristito, fece scorrere i polpastrelli sul suo palmo, assaporando il contatto come se ne sentisse già la mancanza. «A più tardi allora.»

Lei sfuggì dalla sua presa. «A dopo.»

Prima di pentirsi, corse a scuola.

 


 

La testa nera di Rei sorgeva sul piazzale del tempio come il sole oltre l'orizzonte nel cielo del mattino.

Era la cosa più vicina alla poesia che la testa di Yuichiro avesse mai concepito, e tanto gli bastava.

Col passare degli anni aveva imparato a sostare davanti all'altare del tempio dalle tre alle quattro del pomeriggio, quando Rei faceva la sua comparsa sulla cima delle scale, salendo velocemente gli ultimi gradini. Lei non lo aveva mai cercato e lui se lo ricordava con un dolore nostalgico, che quasi gli mancava.

In passato lo sguardo di lei era rimasto fisso sul boschetto, sul pavimento, già rivolto verso la casa, con in mente il pensiero del momento. Amiche, la scuola, un esame, forse un altro ragazzo.

Un ragazzo più bello di lui, più intelligente e coraggioso? Meno degno, senza dubbio. Nessuno ti amerà come ti amo io.

Ogni tanto lei l'aveva inquadrato di sfuggita, regalandogli un cenno distratto. Lui era rimasto ad osservarla mentre passava oltre, i capelli che le cadevano sulle spalle come una coperta di seta. La gonna a pieghe danza sulle sue gambe e le sue mani stringevano sicure la cartella della scuola.

Per lui era il sole del pomeriggio, che sorgeva per illuminare la seconda parte della sua giornata.

Rei stava in un cielo che lui non poteva raggiungere. Si faceva ammirare, era il dono che concedeva ad un misero mortale che l'adorava da lontano.

E oggi lei pensava davvero che poterla toccare solo sulle mani fosse una punizione per lui? Era una retrocessione - questo sì - ma il dolore vero era sapere di averle causato un risentimento che lei non aveva ancora dimenticato.

Era un problema che avrebbero risolto insieme, in un modo o nell'altro, in un tempo o nell'altro. Presto, sperava lui. Ma non aveva né dubbi né incertezze sul risultato. Era semplice, inevitabile come il ritorno di lei a casa ogni giorno.

Eccoti..

Rei si affacciò sul piazzale dalla gradinata, sorgendo nel suo piccolo mondo di lavoro, a rendere sfocato l'ambiente circostante con la sua sola presenza. Brillava. Quando arrivava l'aria si faceva più fresca e gli alberi suonavano col venti. Poesia, incanto.

Gli occhi di lei incontrarono i suoi. Questa volta cercavano lui e nient'altro.

Gli venne incontro. Quel giorno solo per parlare ma... grazie. Grazie. Nella sua testa la ringraziava troppo spesso per avergli concesso il favore di iniziare una relazione con lui, se ne rendeva conto.

Lei gli si parò davanti indolente, la cartella tenuta con entrambe le mani a fare da barriera tra loro. «Ciao.»

Non le era ancora passata. «Ciao.»

«Oggi puoi lasciare a me il banchetto dei talismani. È la tua giornata libera.»

Lo sapeva. Ricordavano entrambi come lui l'aveva trascorsa nelle ultime settimane. «Quindi non vuoi uscire insieme?»

Lei fece spallucce. «Il nonno si è lamentato di questo lavoro extra che gli abbiamo dato.»

Era una pretesto. «È stato lui a offrirci un pomeriggio alla settimana. Oggi ci tenevo a uscire con te.»

Lei osservò distratta l'altare. Guardava altrove - senza rendersene conto - quando dentro di sé sapeva di comportarsi in maniera poco giusta. «Hai capito perché ce l'ho con te, sì o no?»

«Sono stato un verme.» Una frase che non poteva essere sbagliata.

Le labbra di lei accennarono a curvarsi. «Io direi più 'maiale', ma il verme è un altro buon paragone. Lasciando stare ieri sera, hai capito cosa c'è che non va?»

Eh? C'era qualche altro problema? Che cosa aveva fatto di male?

Con gli occhi lei scavò una fossa dentro la sua faccia, cercando di arrivare fino al suo cervello per vedere se ancora funzionava.

«Prima... non avevamo litigato» tentò lui.

Il sospiro di lei fu quasi un sibilo. «No. Ci vediamo più tardi, così ci pensi ancora.»

Ma lui non aveva niente a cui pensare! «Aspetta, spiegami.»

«No e oggi non ho tempo per uscire. Domani ho un esame, me n'ero dimenticata.»

«Va bene, ma...» Capì di avere una possibilità quando la afferrò per la mano e lei non si scostò. «Qualunque cosa sia, mi dispiace.»

«Non voglio scuse, voglio che tu capisca.»

Non avrebbe mai pensato di fare con lei una conversazione tipo marziano-venusiana, trovandosi davanti un'idioma a trabocchetto tutto femminile che non aveva speranza di cogliere. Ma quella era Rei e lui sapeva bene cosa le passava per la testa. Doveva solo scoprirlo. «Ho fatto qualcosa di sbagliato.» Aveva bisogno di un indizio.

«Non hai fatto qualcosa di giusto, piuttosto.»

Oh. «Ieri sera non ho insistito abbastanza e ti ho fatto passare la notte arrabbiata?» Era questa la sua colpa, essersi mostrato poco deciso?

Lei sfoderò un sorriso letale. «Non hai capito niente. Lasciami andare.»

Con quelle parole lo gettò sull'orlo di un abisso senza fondo. «Aspetta.» Non si vergognò di prenderle il polso con entrambe le mani, per non farla andare via, ma alzandosi dallo scalino dell'altare si sbilanciò in avanti e finì addirittura in ginocchio. Lei ne fu infastidita: c'era una linea sottile tra l'adorazione servile e il servilismo adorante. Quando lui si faceva calpestare come un tappeto, Rei lo detestava più che mai.

Non commise di nuovo quell'errore e saltò in piedi. «Volevo solo dirti che oggi mi sei mancata.»

Lei guardò il suolo. «Sì, okay.» Fra le loro mani unite infilò le dita tra le sue, indugiando sul tocco per un unico momento che volle concedere a entrambi. «Ci vediamo a cena.»

Che cosa devo capire? Rassegnato a lasciarla andare, Yu le accarezzò la pelle sottile tra pollice e indice. Lei si staccò con un brivido quasi impercettibile, e lui ebbe un'intuizione improvvisa che non aveva nulla a che fare con errori o colpe da trovare.

Cercando di non correre, Rei si diresse verso casa.

   


    

Si erano fatte le nove di sera.

Yuichiro trovò Rei davanti alla sua stanza, che scostava un pannello del corridoio per permettere all'aria di scorrere. Era quasi estate.

Per il caldo lei aveva legato i capelli con un nastro rosso, nuovo. Indossava una maglietta larga e comoda che le sfuggiva a scelta da una spalla, accarezzandole il bicipite magro. Lei aveva giocato a tirarla su per tutta la durata della cena, senza capire che reazione gli provocava quel gesto innocente.

La spalla scoperta adesso era quella sinistra, ma le gambe erano entrambe nude, fasciate solo da un paio di pantaloncini scuri di cui si vedeva a malapena l'orlo.

Lui si era reso conto che col caldo sarebbe cresciuta la tentazione. Lo aveva sperimentato di anno in anno, puntualmente, con maggiore intensità con ogni estate che passava: Rei non aveva mai smesso di farsi più grande, culla di bellezze senza fine. Quell'anno c'era un ulteriore problema: ora lui poteva toccarla, ma non poteva davvero toccare.

Rispettava gli inizi in cui si trovavano, nonché il suo maestro - il nonno di Rei - che gli aveva detto di considerarlo parte della famiglia. Non c'era bisogno di un discorso chiaro per fargli capire che una fiducia simile richiedeva soprattutto un enorme rispetto.

Nella testa di un vecchino come il maestro, le libertà che lui aveva in mente erano lecite solo all'interno di un matrimonio. Yuichiro non aveva indugiato troppo su quel futuro lontano. Forse per non morire di disperazione, ma nemmeno a quello voleva pensare. Desiderava solo fare le cose per bene, e perciò non tradire la fiducia di nessuno. Aveva deciso di frenarsi finché poteva; non sarebbe stato difficile, giusto?

Gli piaceva soffrire, in fondo, e guardare Rei tanto a lungo da sentire le dita che prudevano dalla voglia di accarezzarla era un'agonia incredibilmente piacevole.

Non che dovessero soffrire in eterno entrambi, senza un briciolo di sollievo. Lei aveva proposto una penintenza che poteva trasformarsi in una soluzione interessante. Proprio perciò, a un certo punto del pomeriggio, lui aveva smesso di cercare la colpa di cui si era macchiato. Per quella sera si sarebbe permesso di essere tentato. Tutte le misure di sicurezza erano in piedi, non poteva esserci occasione migliore.

La raggiunse sul portico.

«Ehi» lo salutò Rei, annoiata. Aveva passato il pomeriggio a studiare e non era di buon umore.

«Hai finito coi libri?» le domandò lui.

«Ho lasciato perdere. Per una sola giornata ho fatto troppo e per una volta che non sono perfezionista...» Sbuffò e si adagiò contro gli shoji che facevano da parete alla sua camera. «Non venire a darmi un'altra grana: hai capito o no cos'hai fatto in tutte queste settimane?»

Settimane? Un altro indizio fondamentale, da cui non si lasciò distrarre. «Forse.»

«Allora parla.»

L'unica idea che gli era venuta in mente non era adatta a essere riferita a parole. «Pensavo a quello che hai detto.»

Lei attese di sentirlo continuare.

«Posso ancora avere solo le tue mani?»

Rei roteò gli occhi al soffitto. «Sei senza speranza.»

Lui la seguì dov'era andata a sedersi, sul lato aperto del corridoio. Le gambe di entrambi penzolarono sul giardino.

Yuichiro trovò una sua mano prima che lei potesse portarla sul grembo, fuori dalla sua portata.

Lei era esasperata. «Yu, vuoi davvero fare la vittima? Mi accontenterò di toccarle solo le mani, quanto sono bravo e paziente. Mi sembra quasi di sentirti.»

Gli venne da ridere. «Veramente avevo un altro piano.» Sollevò il suo braccio e le aprì la mano, allargando le sue dita recalcitranti. Le calmò tutte quante con un bacio al centro del palmo.

Lei sussultò. «Non è permesso.»

«Non l'hai detto.»

«Ho detto-»

«Che ho le tue mani. Perciò...» Usò il pollice per massaggiare le giunture delle sue ossa, sotto le nocche. La sentì trattenere un ansito debole: sicuramente aveva scritto tutto il giorno.

«Intendevo che potevamo solo stringerci le mani» la udì chiarire.

Lui amava da sempre la sua ritrosia, di più da quando era in grado di dissolverla. «Per me fare la vittima è divertente. Posso continuare?» Le sfiorò la pelle del palmo con le labbra e soffiò piano.

Rei soffocò un sorriso e un brivido che cercò di non fargli notare. «Non vuoi capire cosa c'è che non va?»

Se n'era fatto un'idea, ma non era facile parlarne in maniera corretta. «Anche se non ti ho visto» - non ancora, ma immaginava, sapeva - «so che tu sei molto più bella di quella ragazza.» Era quello il problema? Rei non aveva la quarta abbondante della ragazza alla tv, ma lui avrebbe preferito la sua proporzionata, soda e morbidissima terza fino al giorno della sua morte. E lo aveva anche detto in maniera delicata e sottile, era stato bravo. «Scusa se non te l'ho fatto capire.»

Lei era rimasta in silenzio, il braccio abbandonato nella sua presa. «Funziona così troppe volte. Mi fai un complimento e io cedo. Oggi no. Quello che hai detto non c'entra niente col problema.»

Allora lui non aveva più idee.

Rei si dichiarò vincitrice del match e si riprese il proprio braccio. Yuichiro lo recuperò prima che finisse rinchiuso in una gabbia di difesa.

«Non fare il bambino.»

Un giudizio che quasi lo offese. Non farlo tu, pensò. «Anche quando discutiamo, voglio che ti ricordi che ci sono limiti da non superare. Questa non è una discussione seria.» Era più un test a cui lei lo stava sottoponendo. «Non negarmi un contatto quando ti cerco.» Soprattutto se era stato lei a concederlo e lui stava alle regole di un gioco che continuava per ragioni che non comprendeva.

Nella penombra Rei cercò il cortile. «Non piace nemmeno a me questa situazione. Non mi piace che tu non capisca.»

Raramente era stato tanto frustrato. «Cos'è che non capisco?»

«Perché non continui a massaggiare? È bello e per oggi funziona meglio delle parole.»

L'aveva delusa.

Le offrì le proprie scuse massaggiando forte tra la base di medio e anulare, sciogliendo il nodo di un muscolo indurito. La mano di lei si allungò, aprendosi. Le avrebbe sciolto le spalle tese o baciato la tempia, se fosse servito, ma si limitò a dare dove lei aveva offerto, senza più lamentarsi. 

Che cosa sto sbagliando? Tracciò la fibra di ogni muscolo, ne massaggiò i contorni. Cercò i nervi alla cieca, attento ai piccoli avvallamenti e alle curve. Li trovò e lenì con carezze la loro fatica.

Rei era con lui, a guardare con occhi socchiusi il suo lavoro. Si era rilassata, in tempo per il piccolo omaggio che lui aveva in mente da tutta la sera.

Con un'unghia le tracciò l'intera mano, dalla base del palmo sino alla punta dell'indice, indugiando.

I sensi di lei si protessero dallo stimolo chudendo le dita. Lui le aprì e lo fece di nuovo, questa volta col polpastrello, scoprendo le delizie dell'anulare. Rei cercò di sfuggirgli di nuovo, senza forza. Lui la punse in un punto scoperto, sulla pelle alla base del pollice, ricca di terminazioni. Sfiorò quel punto con l'unghia e lei raddrizzò la schiena, un fiore che aveva scoperto la luce del sole.

«Che stai facendo?» La sua voce era un sussurro tremante.

«Non lo so.» Stava indovinando. L'aveva immaginata sensibile ovunque, e stava cominciando a scoprirlo nella maniera più innocente, partendo da una mano a cui non aveva mai prestato le giuste attenzioni.

Rei aveva unito le labbra, come a formare la parola basta. Una reazione che aveva spesso, senza rendersene conto. Lo diceva soprattutto con gli occhi, quando il desiderio di spingersi oltre era tanto forte da spaventarla. Diventava più audace di giorno in giorno, presto avrebbe perso ogni ritrosia. Allora lui sarebbe stato semplicemente perduto, ma, se bisognava cadere, con lei andava bene anche un abisso.

Rei inspirò piano e aprì la mano sul suo ginocchio, offrendosi inconsapevolmente.

Lui si godette la vampata che lo scosse, fuoco che poteva bruciare senza esplodere. Giocò con lei a due mani, esplorando lembi di pelle dimenticati, trascurati. Accese ogni suo più piccolo nervo, osservando rapito la sensualità di dita che si flettevano e si distendevano nel tentativo di resistere, per continuare a subire la stimolazione. Vide Rei che apriva la bocca senza emettere suono, e fu la sua più grande vittoria.

«Hm» disse lei infine, fingendosi pensierosa. «Ora andiamo a dormire, okay?»

Se solo fosse potuto entrare in camera sua, per continuare. Le avrebbe baciato l'incavo del gomito, la bocca. Si sarebbe disteso con lei e... «Sì.» Doveva proprio andare.

Lei impresse un'ultima stretta, un gesto di unità amichevole che tentò di scacciare l'intimità che avevano costruito. «Buonanotte.»

«Buonanotte» fece lui.

Non insistette oltre per quella sera.

   


     

Era proprio da loro risolvere un problema senza risolverlo.

Rei chiuse gli occhi e intrappolò il pezzo di pesce in bocca, assaggiandone il gusto sul labbro. Sotto il tavolo Yuichiro stava facendo strane cose alla vena del suo polso, stuzzicandola come per assicurarsi della corretta circolazione del sangue.

Oh, scorre, voleva dirgli lei. E molto veloce.

Cercò di masticare senza sussultare. Stavano cenando e il nonno per fortuna era concentrato sul telegiornale. 

Yu prese a far scorrere un dito sul suo braccio, su e giù. Piano, su e giù.

Le venne la pelle d'oca e non poté reggere oltre. Gli schiacciò la mano sul pavimento e lo notò trattenere una risata. Lui riprese a mangiare con tutte e dieci le dita sopra il tavolo - lei le contò per non avere sorprese.

Con la sua idea di un paio di giorni prima non aveva ottenuto di fargli capire che cosa l'avesse disturbata tanto, ma era riuscita a farlo agire in merito. Un successo insperato, sorprendente nelle reazioni che le stava provocando.

Aveva cercato di capire perché lui non la desiderasse di più, perché non facesse qualcosa di più, e Yuichiro... aveva cominciato a farlo.

Solo con una mano, ma diavolo se quelle dita non avevano rivoluzionato qualunque idea lei avesse sulla passione. Era intimo il modo in cui la toccava, amorevole e... Non aveva un'altra parola, ma molte sensazioni: le sentiva crescere nel petto, scendere e salire sino a impadronirsi di lei.

 Come se stessimo facendo...

Accolse il rossore, ma cercò di frenarlo per non essere indecente. Ti amo, diavolo, e basta con le mani.

Yu doveva riprendere a usare la bocca. Come, era solo da scoprire.

             

«Allora» tossì lei più tardi, per darsi un tono. «Hai capito?»

Aveva fatto in modo di dare tregua al suo braccio nascondendolo dietro la schiena. Tutti i suoi nervi stavano protestando in coro per la privazione.

Lui rideva a bassa voce. «Non lo so. Però mi sembra che abbiamo scoperto altre cose.»

Puoi dirlo forte. Tossicchiò di nuovo, per mandare giù l'aquolina che si era formata nella sua bocca. «Vuoi costringermi a parlare?»

«No.»

Avrebbe dovuto invece, perché lei moriva dalla voglia di farlo. Era un trampolino perfetto per riprendere coi baci serali che le mancavano come l'acqua nel deserto. Nonostante tutto, e questo dimostra esattamente quanto fossero deliziosi. Si arrese. «Mi hai mai guardato come quella svergognata alla televisione?»

Lui le prestò tutta la sua attenzione. «Cosa?»

«Sei stato un verme a guardarla» - se ci ripensava voleva ancora prenderlo a pugni - «ma mi sono arrabbiata perché con me non hai mai fatto lo stesso.»

Non aveva mai mostrato di desiderarla come un ragazzo - un uomo - doveva desiderare la donna che diceva di amare con tutta l'anima.

Yuichiro non stava dicendo niente.

«Stiamo insieme da un mese» insistette lei, «era ridicolo.»

«Era?»

Se si era sbagliata, lo decapitava sul posto. Lì, nella sua stanza. «Tu hai... Le mie mani» spiegò, arrossendo.

Lui cominciò a sorridere. Si slanciò in avanti prima che lei potesse fermarlo, e la sensazione dell'abbraccio ritrovato fu tanto piacevole da farle dimenticare ogni barriera che aveva creato.

«Ti voglio bene, Rei.»

Oh, che ingiustizia. «Anche io.» La felicità di lui era zucchero che le solleticava la lingua.

«In qualunque pensiero che ho, tu vieni sempre per prima.»

Con le braccia lei gli circondò la schiena, premuta contro il suo petto. 

Lui le prese le guance tra le mani. «Questo mi è mancato.»

Il bacio che le diede fu di fame e d'amore, privo d'urgenza. Non ne acquisì col passare dei secondi: si erano allenati a resistere e assaporare. Con le labbra, mordicchiando, suggendo, lei lo lasciò a sua volta senza fiato. Presero aria e ricominciarono.

Fu la miglior serie di baci che si fossero mai dati, almeno fino a quel momento.

Lascia ben sperare per il prossimo litigio.

Nella sua testa era rimasta irrisolta una domanda, il quesito che aveva dato il via a tutta la faccenda. Lui non aveva risposto a parole, non per davvero.

Non lo fece quella sera.

Né la sera dopo.

Né la sera seguente, ancora.

Si limitò a baciarla e ad accarezzarle le mani, senza soste di felicità o entusiasmo. La sua tattica vincente fu iniziare a sfiorarla dietro il collo. Giocò coi capelli fini alla base della sua nuca e lei fu perduta.

Così sia.

Per le domande in fondo c'era tanto tempo.

   

FINE

   

   


   

NdA: una one-shot, un parto. L'idea c'era, ma non sapevo come renderla. A risultato finito muoio dalla voglia di sapere cosa ne pensate, per capire se è saltato fuori qualcosa di degno.

ellephedre

   
 
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